Il capitano Musso, nonostante il dirompere di una valanga di fuoco micidiale, volle impedire che l’effetto sorpresa potesse annullare le possibilità di rispondere all’offensiva. Avanzava e incitava, infondeva coraggio e stimolava l’ardore dei suoi Alpini, finché alcuni colpi lo raggiunsero, trafiggendolo in più parti del corpo e causandogli ferite particolarmente devastanti. Sempre presente nei punti di maggiore esposizione al nemico, era stato ferito una prima volta all’addome per una scheggia di granata, quando lo scontro a fuoco imperversava con violenza da ormai sei ore; una seconda volta fu colpito da un proiettile che ne aveva lacerato la zona inguinale, a un punto di gravità tale da non lasciare speranze. Esaurita la disponibilità di munizioni, non pensò neppure lontanamente a una resa che fra l’altro, come epilogo di un’accanita resistenza, sarebbe stata senza dubbio onorevole. Prostrato a terra sotto i colpi dell’avversario, si rialzò e, afferrata a forza una piccozza e un po’ roteandola a guisa di bastone, un po’ sostenendovisi, tenendo contemporaneamente a bada la ferita che perdeva molto sangue e comprimendola con una gavetta pressata mediante la piccozza sulla parte martoriata, fronteggiò l’invasore e continuò imperterrito a combattere. Era riuscito a respingere l’attacco di forze soverchianti rispondendo per ben dodici ore all’offensiva con azioni mirabolanti. Nonostante le ferite accusate, aveva saputo mantenere la volontà necessaria per trascinarsi lungo il fronte di fuoco e infondere fiducia nei suoi Alpini.
Doveva giungere ben presto, tuttavia, il momento in cui non si può fare a meno di constatare che tutto è perduto. Il capitano Musso, allora, vista l’impossibilità, l’inutilità di continuare a misurarsi con le preponderanti forze avversarie, nella previsione anche dell’immane sacrificio di vite umane che ne sarebbe conseguito, ordinò ai propri uomini la ritirata. Rassicurato che tutti si fossero messi in salvo, puntò i piedi e rimase, ormai privo di forze, insieme a un piccolo manipolo di suoi difensori, ad attendere l’assalto finale del nemico.
Si offrì dunque come olocausto, con un ordine supremo, quello di essere lasciato sul luogo del combattimento. Ordine che fu eseguito con amarezza dai suoi Alpini i quali si allontanarono portando con sé soltanto le abbondanti lacrime che sgorgavano dai loro occhi.
Era disteso a terra supino, il capitano; appena vide i suoi uomini recatisi con mesta premura presso di lui, raccolse le ultime forze rimastegli, si drizzò e, quando scorse gli avversari ormai prossimi, distanti non più di una cinquantina di metri, ordinò, in un ultimo slancio di eroica fierezza: Fuoco, miei alpini, fuoco a volontà!
Tutti misero mano alle armi e spararono, persino alcuni feriti che avevano condiviso la sorte del loro capitano.
Gli Austriaci, interrotta l’avanzata, sostarono alcun tempo, ma poi balzarono gridando dai loro covi e contro quell’impeto inarrestabile per i poveri Alpini superstiti non ci fu più nulla da fare. La violenta scarica di fucileria nemica diresse un colpo preciso sulla figura eroica del capitano Musso il quale fu colpito direttamente al petto “e cadde al suolo agonizzante”. Sette Alpini rimasero prigionieri degli Austriaci, fra i quali il sottotenente Vaccari che riferisce l’accaduto.
Battevano le ore sedici e trenta all’incirca.
Per una triste ironia della sorte, pare, quello stesso 14 settembre 1915, si legge in un documento manoscritto (da una lettera dell’avv. Giuseppe Roggiery scritta da Revello – provincia di Cuneo), il 20 settembre 1919, al cav. Luigi Falco segretario capo del Municipio di Saluzzo. – Tratto da: Archivio Storico, Città di Saluzzo, ASS Categoria VIII, Classe II, Faldone 14, Fascicolo 8, cit.), cadeva a Cima Medatta [Medatte, n.d.a.], vittima di una granata austriaca, ancora in Carnia, il sottotenente Paolo Roggiery, saluzzese, decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare.

L’esistenza dell’eroico capitano piemontese doveva protrarsi per altri tre giorni e, il 17 settembre, l’Alpino capitano Musso lasciò gli orrori della guerra e intraprese il lungo viaggio per il paradiso di Cantore. Fu sepolto con tutti gli onori, conferiti dalle autorità militari austriache, con la partecipazione di soldati, ufficiali e l’accompagnamento delle meste note di una banda musicale, nel cimitero di guerra allestito nei pressi della piccola località d’oltre frontiera, Straniger Alpe.
Alla memoria del capitano Mario Musso venne concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare, medaglia che tutt’ora è di prezioso fregio al vessillo della Sezione A.N.A. di Saluzzo.
Paularo, centro della Valle dove il comandante della 21acompagnia lasciò la vita, gli ha dedicato una delle sue vie, l’attuale VIA CAPITANO MUSSO.
Al capitano Musso sono altresì intitolate la caserma di Saluzzo, ora parzialmente adibita a sede di un istituto di Scuola Media di secondo grado, a sede della Sezione A.N.A. di Saluzzo, e un edificio di Scuola primaria della Direzione Didattica di Saluzzo.
Quattordici anni dopo i fatti del settembre 1915, il 21 giugno 1929 si svolse, al passo di Monte Croce Carnico sul confine italo-austriaco, una cerimonia commovente e di profondo valore commemorativo. I resti del capitano Musso, riesumati dal cimitero di Straniger Alpe e sotto la scorta di un battaglione di Alpenjäger, furono riportati in Italia. L’evento si verificò in forma di scambio con la salma di un altro eroe caduto, quella del tenente Franz Weilharter esumato dal cimitero di guerra in Timau (il tenente dei Finanzieri Weilharter era stato protagonista, l’8 luglio 1915, di una ardita impresa per la conquista della vetta del Monte Cellon sul Passo di Monte Croce Carnico. Proprio qui, nel tentativo di superare i nostri reticolati, cadde eroicamente. La sua salma venne recuperata dagli Alpini del battaglione Tolmezzo e composta nel cimitero di Timau).

In memoria e onore dell’esemplare combattente saluzzese è stato siglato in Paularo (provincia di Udine), il 28-29 giugno 2008, un patto di gemellaggio tra le Sezioni A.N.A. Saluzzo e Carnica, motivato dall’essere caduto, il capitano Mario Musso, saluzzese di origine, nel lontano 14 settembre 1915 in Val di Puartis presso il confine sulle alture che separano l’Austria dal comune di Paularo.
Oggi i resti mortali dell’Alpino Mario Musso sono custoditi all’interno della Cripta Ossario che fa corpo unico con il Tempio Ossario della chiesa Gran Mare di Dio nella città di Torino.
Il Tempio Ossario conserva le spoglie mortali di 3.851 caduti italiani della Prima Guerra mondiale.
Cukla-Rombon
Il 16 settembre 1916 sarebbe dovuto passare alla storia come il giorno che, in seguito all’attacco al Rombon, annoverò il maggior numero di caduti cuneesi nel volgere dell’intero grande Conflitto mondiale.

Il movimento degli Alpini era iniziato sotto un’ondata di fuoco tremenda da parte dell’avversario, ma le compagnie del battaglione Saluzzo non esitarono a balzare fuori dai loro appostamenti, tutte insieme alle ore 8,15 nel tempo in cui le nostre artiglierie che avevano iniziato il fuoco alle 6,30 precise, rinforzate dalle bombarde, continuarono a tuonare gettando scompiglio fra le posizioni austriache. La compagnia che precedeva le altre era ancora la 21a, al comando del tenente Tornatore.
Il magg. Barbieri, al comando del battaglione Saluzzo, descriveva l’entità dei morti, feriti e dispersi che ammontava a: 3 ufficiali uccisi e 10 feriti ai quali ultimi si doveva aggiungere lo stesso comandante di battaglione; 13 Alpini uccisi, 240 feriti e 25 dispersi.
Sul Rombon i nostri battaglioni Borgo San Dalmazzo, Dronero, Saluzzo e il I/88° Friuli seppero respingere il 59° reggimento austro ungarico e un battaglione del 4° Kaiserjäger della 3a divisione austriaca. Resistette tutta la prima linea del nostro IV Corpo d’armata, nel tempo stesso in cui cedettero le seconde linee.

Soltanto alle ore sei del 25 ottobre, pervenuto l’ordine di ritirata (l’ordine era partito dal Gen. Rocca, comandante la 36a divisione), le truppe del Rombon puntarono verso Sella Prevala, nel tentativo di sfuggire alla CCXVI brigata della divisione Edelweiss che le seguiva cercando di accerchiarle. Poi l’ordine di ripiegamento diramato dal Comando Supremo alle ore 2,30 del 27 ottobre, verso il Tagliamento per la 2a e la 3a armata e sulle Prealpi Carniche per il XII corpo d’armata della Zona Carnia.
Ma a Sella Prevala le sorprese continuavano a presentarsi a ritmo serrato: gli Austriaci, infatti, si fecero vedere ad appena un migliaio di metri dal valico, nelle ore del pomeriggio, ben muniti di mitragliatrici.
La quiete doveva essere rotta, alle cinque del 27, da un improvviso attacco nemico che si svolse in due tempi ravvicinati, ma sempre vanificato dal nostro contrattacco. Alle 19,30 perveniva un nuovo ordine: il battaglione Saluzzo deve ritirarsi su Sella Buia passando per il Monte Canin, sella Grubia e passo di Terrarossa. Si mise dunque in cammino, ma l’attraversamento richiese sforzi e sacrifici immensi, fu una marcia dagli esiti disastrosi che ebbe termine alle sei di mattino del 28 ottobre.
Le nuove posizioni sulle quali il battaglione Saluzzo e gli altri reparti si dovevano affermare portavano con sé la consegna di impedire che gli Austriaci dalla Val Resia passassero in Val Raccolana.
1942-1943. Nel gelo della steppa.
I Russi inveirono contro i tre capisaldi Valdieri, Vinadio e Vignolo della 23a Compagnia del 2° reggimento Alpini nella piana di Kalitva. Era la sera del 23 dicembre 1942 e lo schieramento russo penetrò in profondità nelle nostre linee, quasi incurante delle frequenti esplosioni che le mine piazzate dai nostri genieri provocavano all’intorno seminando morte e seri danni. L’attacco era diretto contro i capisaldi della 23a compagnia (comandante il cap. Enrico Pennacini). Concorsero alla difesa le restanti compagnie 21a e 22a del Saluzzo. Al caposaldo Vignolo si collegava la 72a compagnia del battaglione Tolmezzo (cap. Eusebio Palumbo) colà giunta tre giorni avanti. Gli Alpini, dopo aver scatenato un tremendo fuoco d’arresto, balzarono fuori dalle trincee e si batterono, ancora, all’arma bianca, come leoni.
L’allarme si diffuse immediatamente fra i Comandi della 21a (cap. Chiaffredo Rabo) e della 22a (tenente Piero Menada) che stavano di rincalzo a Staro Kalitva. Le squadre mitragliatrici della 22a si disposero a rinforzare i capisaldi della 23a mentre i reparti di Alpini si portarono sui rovesci delle posizioni per impedire che si verificassero improvvise infiltrazioni nemiche. Per il Saluzzo giungeva in linea persino il plotone zappatori della compagnia Comando di battaglione, agli ordini del tenente Roberto Savoino.
La situazione delle forze contrapposte si presentava ora in questi termini: 754 semoventi russi, tipo T34, di 28 tonnellate (I Russi avevano in dotazione anche i più temibili KV, di 50 tonnellate, armati con un cannone da 152 mm), armati con mitragliere pesanti e cannone da 76 mm, contro i 47 carri armati italiani da 10 tonnellate; un’artiglieria russa composta da 810 bocche da fuoco, comprendente 300 pezzi di grosso calibro, contro le 132 bocche da fuoco italiane, compresi 66 cannoni; armamenti individuali russi costituiti da parabellum automatici contro i moschetti a sei colpi dei nostri combattenti.
