1 Febbraio 2014. Nel mese di dicembre 2013 il tasso di disoccupazione si è assestato al 12,7%, di poco inferiore al record storico del 12,8% registrato nel mese precedente (dati Istat). Si tratta del primo calo mensile (0,1%) da giugno, ma su base annua il tasso è salito di 1,2 punti. I disoccupati sono 3 milioni e 229 mila unità, 293 mila in più rispetto all’anno precedente. La disoccupazione fra i giovani dai 15 ai 24 anni è al 41,6%, in crescita di 4,2 punti su base annua. Sempre a dicembre i giovani 15-24 anni occupati risultano in calo di 100 mila unità su base annua.
Rispetto a novembre 2012 la retribuzione lorda per dipendente, al netto di quelli in Cig, registra un incremento dell’1,7% mentre il costo del lavoro aumenta del 2,5% (dati Istat). L’occupazione nelle grandi aziende con almeno 500 dipendenti segna a novembre l’ennesimo calo scendendo dell’1,2%. La Confartigianato rileva che anche nel 2013 la Pubblica Amministrazione italiana è stata la più lenta, all’interno della Ue, a pagare, con una media di 170 giorni e “sfora” di ben 140 giorni il limite imposto dal decreto sui tempi di pagamento che recepisce la direttiva Ue. A ciò si somma il maggior debito commerciale della Pubblica Amministrazione verso le imprese, pari al 40% del Pil.
7 Febbraio 2014. In forte crescita l’ormai abusato termine linguistico “vincere”. Dice Renzi: “Vorrei dire a chi coi sondaggi spiega che con l’Italicum vincerebbe le elezioni Berlusconi, che le elezioni si vincono o si perdono se si hanno i voti, non se si cambia sistema elettorale”. Intanto insorge Grasso, presidente del Senato, affermando che, in seguito ai trascorsi tentativi di compravendita di senatori, perpetrato da Berlusconi per far cadere il Governo Prodi, il Senato, sentendosi parte offesa, si costituisce parte civile nel processo a Berlusconi. Naturalmente reagisce Brunetta, capogruppo FI alla Camera, bocciando il comportamento del presidente Grasso.
In tutto questo c’è un aspetto che fa riflettere, ed è la coazione a ripetere quel “vinceremo”. La faccenda della compravendita di senatori è una dimostrazione schiacciante della tipologia di obiettivi a cui muove la politica. Mi ripeterò io stesso, ma è d’uopo tornare sull’argomento perché l’esigenza di chiarezza si fa sempre più impellente. Allora si rende necessaria una breve analisi dei fatti.
Il dritto della medaglia: un vero uomo politico è colui che si lancia con tutte le energie per creare il bene della comunità e garantirne la continuità nel tempo. Si dedica a questo compito per puro spirito di giustizia, di equità, di servizio agli altri, mosso in queste sue spinte da una profonda fede negli ideali e nei valori che stanno alla base della dignità della persona umana. Fa tutto questo senza mire di guadagno, senza pensare a tornaconti personali, con spirito assoluto di collaborazione, grato per essere compensato con una retribuzione decente ma non eccessiva, come dire uno stipendio che non superi più di tre volte quello di un comune operaio. Un politico, dunque, che sappia confrontarsi, con calma, con rispetto, competenza e saggezza, con i punti di vista provenienti da altre direzioni politiche, che sia naturalmente incline a proporre e analizzare idee nuove e innovative in un clima di comprensione, di coerenza ai principi che ispirano la sua condotta, di serena fiducia reciproca fondata sul rispetto delle regole e sulla capacità di considerare il pensiero di chi, come lui, esprime in modo civile il contenuto delle proprie valutazioni. Ebbene, a un siffatto uomo politico non passerà mai per la mente che tutto ciò che fa lo fa per vincere una partita, per arrivare a occupare un posto di prestigio. Da vincere, nel contesto in cui mi sono addentrato, proprio nulla c’è. Si deve piuttosto arrivare a conclusioni concrete che portino alla soluzione dei problemi economici e sociali del Paese. È piuttosto una battaglia, non fra contendenti per un premio ambito messo in palio, ma di intelligenze attivate per l’ottenimento di migliorie o miglioramenti nella collettività, contro la disgregazione sociale, contro la corruzione, contro la malavita dilagante, contro la violenza, contro l’ingiustizia e le disuguaglianze. In questo caso, soltanto, avrebbe diritto di cittadinanza la parola “vincere”.
Vincere, dunque, i mali che corrodono il tessuto sociale, vincere le difficoltà che si frappongono alla affermazione della dignità personale in ogni aspetto della vita associata, vincere gli ostacoli che abbattono e annientano il diritto a vivere un’esistenza degna dell’umana natura.
Tornando all’esempio portato poco sopra sulla posizione del presidente del Senato italiano nei confronti di chi manipola gli equilibri interni tentando e realizzando ignobile commercio di compravendita che abbia per oggetto personalità dotate di pubblica responsabilità, sto pensando al movente di questo intrigo: la compravendita, nei termini che sto trattando, è sicuramente un comportamento illecito e condannabile. Ma, allora, perché un uomo impegnato nell’attività politica ricorrerebbe a un atto illecito di tale portata? Per creare il bene del Paese e il benessere dei cittadini? Ma, per favore, non diciamolo neppure per scherzo: la cosa è talmente stridente che si commenta da sé. Un uomo non ricorre a tentativi illeciti per procurare il bene di altri. Se lo fa, lo fa perché ha di mira qualcosa di importante e di incommensurabilmente grande per se stesso e per consolidare la propria posizione all’interno del dibattito politico, in modo tale da garantire a sé e al proprio gruppo di sostenitori uno spazio vitale sul quale poter agire con sicurezza e continuità nello sforzo di tutelate i propri interessi. Questa è la prova che l’uso e l’abuso del “vincere-vinceremo” pone la maggior parte degli uomini politici sul piano di una lotta di casta per “arrivare”, una lotta del tutto avulsa da quanto la gente comune vorrebbe poter sperare da parte di coloro che hanno avuto i voti di preferenza.
8 Febbraio 2014. Analisi in negativo sul fronte del benessere comune. L’indice del disagio sociale calcolato da Confcommercio si è assestato, nel mese di dicembre, a 21,6 punti, in aumento di 0,2 punti rispetto al mese di novembre e a livello record dall’inizio della serie storica nel 2007. Intanto torna l’attenzione sugli sporchi affari con la scoperta di un giro di tangenti all’interno dell’Agenzia spaziale italiana.
10 Febbraio 2014. Crisi: 7 milioni di “under 35” vivono con i genitori. Sono 6 milioni e 964 mila i giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono con almeno un genitore. Si tratta del 61,2% degli under 35 non sposati. Una percentuale che nel 2012 risulta in crescita di due punti sul 2011. Tali le rivelazioni del Rapporto sulla coesione sociale dell’Istat. Il fenomeno risulta più accentuato al Sud (68,3% ossia 2 milioni e 36 mila ragazzi).
12 Febbraio 2014. L’Istat scopre un’Italia povera e tartassata. Il rapporto “Noi Italia” dell’Istat mette in mostra l’aspetto più crudo della realtà italiana: una famiglia su quattro vive una situazione di “deprivazione”. Il 24,9% degli Italiani sperimenta almeno tre dei nove disagi economici, come il non poter sostenere spese impreviste, avere pagamenti arretrati o vivere in famiglie prive di un pasto proteico ogni due giorni. Nel 2011 erano solo il 22,3%. Quasi 5 milioni i poveri, con una percentuale al Sud più che doppia rispetto al Nord.
Giovani disoccupati: raggiunto il record dal 1977. Erano 35 anni che l’Italia non subiva una crisi dell’occupazione giovanile così acuta. Il rapporto “Noi Italia” afferma che il fenomeno va peggiorando. Nel 2012 la disoccupazione giovanile ha raggiunto il tasso più elevato dal 1977, pari al 35,3%. Persiste il divario di genere: le ragazze senza lavoro sono il 37,5%, il 3,8% in più dei coetanei. E arrivano a 2 milioni i ragazzi che non studiano né lavorano, e solo il 6,6% degli adulti è impegnato in attività formative.
Mentre problemi come quelli appena accennati premono sull’andamento della vita sociale, ecco che lassù si continua a circolare lungo una tangente che trasporta le occupazioni quotidiane a un livello più alto di astrazione. Fervono ore convulse per il futuro del Governo: il presidente della Consulta, Letta, incontra il segretario del Pd, Renzi. Al termine è prevista una conferenza stampa nel corso della quale il premier illustrerà il suo “patto di coalizione” per rilanciare l’azione di governo. Un’azione, come la vedo io, simile a un dirigibile creato per inoltrarsi nel continente dei problemi che richiedono con urgenza di essere risolti, problemi le cui magie infittiscono a mano a mano che il tempo scorre e il cui peso sovrasta minacciosamente la vita dei cittadini. Ma quel dirigibile non è mai pronto a salpare. I suoi artefici gli girano intorno discutendo dove e come appiccicare le toppe per conferirgli stabilità, e discutendo senza fine, completato il giro a 360 gradi, tornano al punto di partenza, mentre a una a una le toppe applicate sulla sua superficie prendono a staccarsi e penzolano qua e là conferendo al dirigibile un aspetto, a onor del vero, poco edificante. Ma ciò che viene valutato prioritario è la cura estetica della struttura, anche se poi questa rimane ferma sul posto e lascia che il pianeta delle magagne s’ingegni a trovare lì per lì qualche rimedio alla bisogna. Quel pianeta, con tutte le rogne che si porta appresso, può ben aspettare. Noi, pare di sentirli declamare dall’alto, abbiamo altre cose di cui occuparci. C’è l’inizio delle votazioni sugli emendamenti e gli articoli dell’Italicum, che era previsto per ieri pomeriggio nell’aula della Camera, ma che potrebbe slittare di qualche giorno. Che guaio, che disastro, tutta colpa dei partiti minori che chiedono di avere più tempo per studiare i tre emendamenti della proposta di riforma elettorale presentati da Sisto (FI), relatore del provvedimento. La conferenza dei capigruppo della Camera è stata convocata alle 14 e, probabilmente, rivedrà il calendario dei lavori. Il Pd ha chiesto un rinvio di 48 ore nella votazione degli emendamenti e degli articoli. I tre emendamenti, poi, vengono approvati dal comitato ristretto della commissione Affari costituzionali della Camera.
Le tre modifiche al testo dell’Italicum: la soglia del 37% dei voti per far scattare il premio di maggioranza, lo sbarramento del 4,5% per l’ingresso in Parlamento dei partiti coalizzati, il meccanismo di assegnazione dei seggi nei collegi.
Ma vi pare, non è tutto questo ciò che galvanizza l’attenzione del Paese? Agli esiti delle diatribe, dei rilanci di palla, degli addebiti a raffica fra i contendenti che continuano a girare in tondo senza concludere, è a queste cose che anela il pubblico mentre rovista fra le cianfrusaglie e i rifiuti se c’è qualcosa che soddisfaccia la propria sete di verità. È così? Quale ambito politico più incoerente, contraddittorio, fuorviante si potrebbe dare in un libero Stato? Bene, andiamo avanti, chi vivrà vedrà.
13 Febbraio 2014. Frane e alluvioni. Ecosistema a rischio. Ben 6.633 comuni italiani, l’82% del totale, sono in aree a rischio idrogeologico; oltre 6 milioni di cittadini sono esposti ogni giorno al pericolo di frane e alluvioni. Lo rileva Ecosistema rischio 2013, il Dossier annuale di Legambiente e Protezione Civile, che ha monitorato le attività per la mitigazione del rischio idrogeologico di oltre 1.500 comuni. Tra quelli esposti a maggior pericolo. “Nonostante le ripetute tragedie – evidenzia il Dossier – sono state edificate nuove strutture in zone a rischio di frane e alluvione” e solo 55 comuni hanno intrapreso azioni di delocalizzazione delle aree più esposte. “Frane e alluvioni comportano ogni anno un bilancio pesantissimo per il nostro Paese sia per le perdite di vite umane che per gli ingenti danni economici”, così il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza. “Anche le risorse stanziate dopo ogni tragedia – ha proseguito – finiscono spesso a tamponare i danni, ripristinando lo stato esistente”. In dieci anni di Ecosistema Rischio, ha sottolineato, “sembra sia cambiato poco o nulla nell’attenzione rivolta ai temi della protezione civile e della salvaguardia del territorio”, mentre sarebbe ora di pianificare “interventi concreti di ripensamento di quei territori in termini di sicurezza e gestione corretta del rischio”.
Lassù, intanto, nella bolla, la bufera interna non smette di soffiare. Pare sia una questione di posti, da quanto afferma il presidente del Consiglio, Letta “Ognuno deve pronunciarsi e dire cosa vuole, specie chi vuole venire al mio posto”, da quanto ribatte il renziano Carbone “Tella dimostra che il suo obiettivo è restare al governo, ma non basta il tirare a campare” e da quanto emerge per voce del capogruppo di FI al Senato, Romani “L’ansia di Renzi di essere premier è palese” e del capogruppo FI alla Camera, Brunetta “Se la direzione del Pd togliesse la fiducia a Letta e proponesse Renzi come premier succederebbe il finimondo”.
Ecco di che cosa si stanno occupando i politici italiani, nel momento in cui il nostro Paese, almeno sotto l’aspetto idrogeologico, ma non solo, pare stia andando a pezzi. Ma che importa!? Vada pure a pezzi, è ben più urgente la lotta per il potere grottescamente mascherata dal grande sforzo per dare definizione a un governo stabile, dove la stabilità del governo, anziché presentarsi come un fatto concreto, si riduce al ruolo di un evanescente campo di battaglia percorso da contendenti in costante lizza per l’appropriazione del trofeo della vittoria.
14 Febbraio 2014. Oggi Letta si dimette dalla presidenza del Consiglio. Renzi ha respinto la sua proposta, lanciata mercoledì 12, di andare avanti con il suo governo rinnovato con un patto di coalizione. Renzi propone “un nuovo governo” con l’obiettivo di arrivare al 2018 per fare la riforma elettorale e quelle istituzionali. Letta se ne va e Renzi è ben intenzionato a scalare il Colle.
16 Febbraio 2014. A gennaio sono state chieste 81 milioni di ore di cassa integrazione, equivalenti a 440 mila lavoratori a zero ore (Comunicato Cgil in base dati Inps). Il reddito complessivo perso è stato pari a 311 milioni di Euro ovvero 700 Euro in meno in busta paga per ogni lavoratore in Cig a zero ore.
Pianeta crisi: suicidi in aumento. Nel 2013 sono state 149 le persone che si sono tolte la vita per motivazioni economiche. Sono i dati di Link Lab, laboratorio di ricerca socio-economica che da oltre due anni studia il fenomeno. Nel 2012 i casi erano stati 89, il 40% dei quali nell’ultimo quadrimestre. Il 45,6% dei suicidi sono imprenditori, ma rispetto al 2012 cresce il numero tra i disoccupati: 58 senza lavoro si sono tolta la vita, contro i 28 del 2012. Dopo l’estate il numero dei suicidi è tornato a salire a settembre, con 13 casi. Ben 18 solo nel mese di dicembre.
L’eco di questo malessere che sfocia per molti, con proiezione in crescendo, in vera e propria tragedia, non giunge alla bolla dove tutt’altra aria spira, su un piano del tutto trascendente a quello dei tormenti che affliggono la gente giorno per giorno privata della sicurezza di vivere un’esistenza accettabile. Figuriamoci, ora hanno ben altro di estremamente più importante a cui rivolgere la propria attenzione. C’è la crisi di Governo, ci sono le consultazioni al Quirinale, consultazioni che vedono anche un pregiudicato, indagato su più di un capo d’accusa, ricevuto dal Presidente con gli onori di casa. Ci sono le mai sopite diatribe fra partiti, grandi e piccoli, per dare forma a coalizioni stabili come le nuvole del maestrale, ci sono indizi di spaccatura all’interno dello stesso partito che porta il proprio leader a formare il nuovo governo, ci sono le opposizioni tenaci e reiterate, ci sono i primi tentativi di ipotizzare la composizione di un nuovo governo, ma ci sono anche moti di indignazione provenienti da nuclei della popolazione. C’è, in sostanza, tanto rumore e tanto assordante da riempire sino all’orlo le teste di quelli che ancora attendono, sperano, nutrono fiducia sull’avvento di una forma di governo capace di risolvere i problemi e di sanare il Paese dai mali che lo sovrastano.