La pace, un bene inalienabile

Sì, la pace, ma garantita da chi? Da che cosa? C’è l’Onu, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, ci pensa lei a portare e mantenere la pace nel mondo. Sì, l’Onu, perché ne ha la forza, il diritto, i mezzi, o forse le manca qualcosa, che potrebbe essere qualcosa di essenziale? Vediamo.

Partiamo dal suo Statuto, sottoscritto il 26 giugno 1945 nel corso della Conferenza di San Francisco per la Pace, per la firma di una cinquantina di Stati. Le finalità si riferivano alla salvaguardia della pace nel mondo e della sicurezza globale attraverso una fitta cooperazione economica, sociale e culturale fra i Paesi partecipanti al convegno, estensibili a tutti i Paesi del mondo che si fossero affiancati nel progetto di pace. Come una biblica legge scolpita su pietra, lo Statuto si muoveva con i suoi 110 articoli nel promuovere “la difesa della dignità e del valore della persona umana, dell’uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle Nazioni grandi e piccole; il mantenimento del rispetto per le obbligazioni derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale, l’impegno a promuovere il progresso sociale a più elevati tenori di vita in una più ampia libertà generale e mediante la creazione di appositi organi capaci di stimolare l’avanzamento morale e materiale dei popoli”.

Declamazioni bellissime, splendide, foriere di assensi e di speranze se non proprio di certezze per un futuro pienamente vivibile. Ma poi, trascorsi 77 anni dalla sottoscrizione dello Statuto delle Nazioni Unite a oggi, agli albori del 2023, guardandoci intorno non ci resta da fare altro che constatare l’inefficacia, ridotta a palese impotenza, dei proponimenti allora espressi, delle raccomandazioni e delle previsioni di concordia e di sviluppo raccolti in quelle altisonanti parole, che parole per lo più sono rimaste. Oggi ci accorgiamo che un singolo uomo, circondato dal consenso di una ridotta schiera di accoliti, può fare sulla scena mondiale ciò che vuole, persino aggredire, violare diritti internazionali, depredare, distruggere, uccidere e infischiarsene delle riprovazioni provenienti da molte parti del contesto civile, per il solo motivo che ha in mano un potere deterrente. Vediamo come la guerra in Ucraina divampi a livelli sempre più sfuggenti al controllo e porti con sé, in una corsa dilagante, miserie su miserie, lutti su lutti. Tutti si indignano, tutti protestano, ma non si trova il messia che sia capace di porre un freno a questa ondata di violenze. Certo, c’è l’Onu, e quanto s’è detto tracciando le esortazioni raccolte nello Statuto dovrebbe essere sufficiente a mettere a posto le cose, a dirimere i disordini e le sopraffazioni. Tutto ciò, tuttavia, non succede, si continua a osservare, a monitorare, a informare la massa degli spettatori, a deprecare, a condannare, ma poi si lascia fare, si lascia correre, nessuno interviene con volontà risolutiva.

Ricordo un fatto di cui fui spettatore, ancora bambino, nella periferia della mia città natale: un uomo, mi pare di rammentare fosse uno zingaro, che si scagliava con pugni e calci su una donna, quasi ad ammazzarla. Un nugolo di curiosi si era accalcato a una certa distanza, ma non uno che prendesse in mano la situazione e accorresse in aiuto di quella povera crista. Paura? Forse, e timore di lasciarci la propria incolumità fisica, e intanto la poveretta si piegava con disperazione travolta da una violenza devastante. Oggi accade un po’ allo stesso modo, con qualche variazione di procedura però, come vedremo. Eppure lo Statuto dell’Onu parla chiaro ed è tuttora in pieno vigore per l’umanità intera.

Credo, per affrontare meglio il discorso che va a seguire, possa essere istruttivo portarci un po’ indietro nella Storia per farci un’idea di che cosa venisse sviluppandosi all’interno dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nel tempo in cui si profilavano possibili minacce per la stabilità politica in Europa, parlo del 1939, si era insinuato nelle maglie dei rapporti fra Stati il timore che qualcosa di impensato stesse per fare la propria apparizione sulla scena globale portando con sé sconvolgimenti imprevedibili. Fu infatti il 1939, non per nulla, l’anno che annoverò l’avverarsi di una serie di patti bilaterali aventi lo scopo di rafforzare la sicurezza interna e di premunirsi da spiacevoli sorprese a iniziare dalle linee frontaliere. Il 31 maggio 1939 ebbe inizio una sorta di corse a stipulare questo tipo di patti allorché la Germania concluse un accordo di non aggressione con la Danimarca. Era come potrebbe accadere tra due vicini di casa che siano soliti guardarsi in cagnesco, consapevoli che l’uno dall’altro prima o poi avrebbe potuto ricevere un’offesa. Più vantaggioso, allora, dichiarare o, come meglio ratifica la Storia, simulare un’amicizia a scanso di qualsiasi minaccia reciprocamente palesata. Si susseguirono infatti, nella realtà di quegli anni, semplici messe in scena che non servivano ad altro se non a concedere respiro per potersi mettere nelle condizioni, di qua e di là, di pararsi da eventuali minacce aggressive. Così accadde per la Germania che, dopo essersi accattivata la benevolenza della Danimarca, pensò bene di guardarsi dalla Russia portando nella propria sfera di influenza l’Estonia e la Lettonia perse dalla Russia come conseguenza della Grande Guerra 14-18, sino anche a cingere la propria sicurezza interna con un patto economico stipulato con la stessa Russia il 18 febbraio 1940.

Sembrava proprio che l’equilibrio fra le Potenze maggiori avesse raggiunto un grado soddisfacente di stabilità. In quanto alla Russia, al suo interno si avvertiva l’emergere di una possibile minaccia proveniente dal Giappone. Era meglio, allora, tenerselo amico il Giappone, e ne venne pertanto tra Russia e Giappone un patto di neutralità siglato il 13 aprile 1941. Stalin guardava preoccupato a oriente, ma non trascurava di prendere in considerazione quanto si andava maturando a occidente allorché decise di dare vita a un trattato di alleanza con l’Inghilterra, il 12 luglio 1941, nella promessa di reciproco aiuto militare qualora fosse scoppiato un conflitto con la Germania; ma già dieci mesi prima, il 27 settembre 1940, Italia, Germania e Giappone si erano affiancati nel Patto Tripartito. Si veniva così delineando uno scacchiere di forze che avrebbero mostrato presto denti e muscoli per il raggiungimento di una supremazia militare ed economica in Europa. Da una parte per così dire opposta si schieravano, il 27 marzo 1941, Stati Uniti e Inghilterra per un accordo che prevedesse intese militari reciproche fra gli Stati maggiori, mentre l’Inghilterra si spingeva per parte sua a dichiarare la propria solidarietà con la Russia.

Arriviamo così alla attesa stesura della “Carta Atlantica” come preambolo a una più estesa dichiarazione volta a salvaguardare l’umanità intera dal baratro delle distruzioni belliche. Questo avvenne nell’isola di Terranova dove gli Alleati, nel mese di agosto 1941, stabilirono la priorità di alcuni punti sulla scala delle richieste di benessere mondiale: nessuna aspirazione a conquiste territoriali, il diritto che ciascun popolo avrebbe avuto di accordare le proprie preferenze a una determinata forma di governo, vie assolutamente aperte al commercio e alla fruizione di materie prime, la garanzia di pace e di sicurezza interna, passaggi liberi e sicuri su mari e oceani. Si andavano dunque profilando le linee, in anteprima, di un futuro ordine mondiale garante di pace e di prosperità. Per la prima volta una mole immensa di aiuti materiali si mosse dagli Stati Uniti verso la Russia, lasciando comunque un neo vistoso allorché le navi statunitensi approdarono ai porti russi per la consegna di mezzi da guerra fra cui tredicimila veicoli da combattimento e oltre 2300 cannoni che certo non sarebbero valsi a sfamare la popolazione e a creare benessere aggiuntivo.

Il 28 dicembre 1941 si assisteva alla firma di un accordo su vasta scala, la “Grande Alleanza” che lasciava uniti nella lotta a qualsiasi forma di dittatura ben 26 Paesi di tutto il mondo.

Verso metà gennaio del 1943 si aprì la Conferenza di Casablanca con la presenza dei rappresentanti di Stati Uniti, Inghilterra e Francia. Sorvolerò sulle conferenze di Washington far Churchill e Roosevelt, di Quebec, del Cairo dove apparve per la prima volta la figura del presidente cinese Ciang Kai-scek, e di Teheran che trattarono specifici argomenti di guerra nell’intenzione congiunta di abbattere il nazismo e passerò difilato a quella di Dumbarton Oaks, tenutasi nei pressi di Washington dal 21 agosto al 7 ottobre 1944, nella quale si abbozzarono le basi di una convenzione che avrebbe dovuto garantire la pace nel mondo e l’azzeramento delle minacce di guerra. Vide la luce anche la proposta di formare una Organizzazione mondiale con gli scopi predetti, alla quale sarebbe stata applicata la denominazione di “Nazioni Unite”. Nello specifico si deliberò di lottare contro ogni forma di aggressione e di mettere al sicuro quei fattori che sarebbero stati indispensabili per il mantenimento della pace. Seguivano, nel testo, dichiarazioni di tono squisitamente evangelico inneggianti ad amichevoli relazioni fra le Nazioni, alla cooperazione internazionale sui versanti economico e sociale, al divieto di fare ricorso alla forza nei tentativi di affrontare e risolvere le controversie. Per arrivare a tutto questo si stabilì la necessità di realizzare il disarmo generale e di sottoporre il sistema di armamenti all’applicazione e all’osservanza di precise regole. Magnifico, possiamo dire, un mondo senza armi, finalmente!

Procedendo di questo passo arriviamo a Yalta sul Mar Nero dove, il 4 febbraio 1945, si assunsero accordi volti a impedire che la Germania costituisse per il futuro ulteriore minaccia alla pace mondiale. Si ribadì l’obbligo di sopprimere ogni forma di aggressione. Si concordò, per altro verso, sulla necessità irrinunciabile di sviluppare amichevoli relazioni fra le Nazioni e, ancora, su programmi di sviluppo della cooperazione internazionale in contesti economici e sociali, praticamente ribadendo e riconfermando quanto discendeva dalle precedenti delibere di Dumbarton Oaks approvate l’anno precedente.

Il cerchio descrittivo qui si chiude e ci fa tornare alla Conferenza di San Francisco dalla fine di aprile 1945. Abbiamo visto quante belle declamazioni fossero state confezionate e profuse in quell’occasione e abbiamo anche notato come e quanto le disposizioni emanate siano state disattese negli anni successivi, così in numerose lande del globo trasformate in campi di sterminio, così in Ucraina, come ultimamente ci è toccato di sperimentare.

Dicevo di un uomo solo che si fa beffe di tutti, compresa l’Onu con i suoi cinquanta Paesi sulla medesima e condivisa linea della pace, che, anziché porre in atto tutti i magnifici presupposti costruiti a tavolino, si limita a offrire aiuti agli aggrediti, cosa lodevole assai, ma anche armi perché, si dice, possano difendersi come necessità richiede. Nulla fa, l’Onu, per impedire le sopraffazioni in atto e nulla ha fatto di determinante perché l’aggressione fosse evitata sul nascere. I fatti lo dimostrano.

Ora sto rivedendo la terminologia riportata all’inizio di queste riflessioni: la salvaguardia della pace e della sicurezza, la cooperazione sui piani economico, sociale e culturale, la difesa della dignità e del valore della persona umana, il rispetto e l’osservanza nei confronti delle clausole stabilite dai trattati per la pace nel mondo, e così via. Bene, le parole ci sono, e molte, sovrabbondanti anche; il consenso, la condivisione, l’approvazione per i valori in esse contemplati, pure. E allora? Che cosa s’è fatto e non s’è fatto?

Si danno due procedimenti, nella linguistica corrente, per specificare il raggiungimento di un obiettivo: quello del “sapere cosa” e quello del “sapere come” ossia gli insiemi corrispettivi delle conoscenze dichiarative e delle conoscenze procedurali. Nel dettato dello Statuto Onu sono chiarissimi i passi che si collegano al “sapere che cosa”; molto meno espliciti e nebulosi assai quelli che potrebbero indicare e suggerire il “sapere come”. C’è in tutto questo la mancanza di qualcosa di essenziale e che dimostra chiaramente come il passaggio dalle conoscenze dichiarative alle conoscenze procedurali sia irto di ostacoli. Tutti i fautori della pace sostengono che Putin debba fermare la guerra in Ucraina, ma nessuno ancora h scoperto il modo di convincere a tanto il presidente russo. Anzi, se proprio lo vogliamo dire, e perché no, la situazione si dimostra particolarmente favorevole per consentire di mettere le mani, da una parte e dall’altra, su beni, siti geografici ricercati e fonti di energia divenuti oltremodo preziosi e indispensabili. Io credo, e l’ho esposto in altre mie riflessioni sulla guerra, che ogni Nazione dovrebbe starsene a casa propria a curare i propri affari e i propri interessi. Rapporti con altri Paesi dovrebbero essere improntati agli scambi commerciali, culturali, di diporto e alla partecipazione a eventi sportivi. Sacre frontiere geografiche da mantenere dunque, salde e sicure. Di per sé anche la questione disarmo si risolverebbe come naturale conseguenza. Ed è quello che si legge negli accordi approvati dalle Nazioni Unite. Ma, come è dato constatare, nulla o quasi di tutto questo. I Membri dell’Assemblea dell’Onu, impegnati giornalmente nel dare forma reale agli articoli dello Statuto, si accontentano di prendere atto della situazione di fatto? Proprio non conoscono le vie per fermare gli atti criminali disseminati da questa e da altre guerre? Leggo su un sito Internet, dal titolo Trend online, che questi impiegati al servizio dell’Onu sono neppure mal pagati, anzi sbarcano il lunario, a seconda della posizione, da funzionari a dirigenti, con retribuzioni niente male da 3.500 a 12.800 dollari mensili, quando, così almeno credo fra me e me, quel nobilissimo lavoro al quale sono addetti dovrebbe essere espletato in forma di volontariato, con il solo rimborso per le spese di viaggio e soggiorno. Che cosa rimane in difetto nell’insieme? Ecco, allora, un semplice trinomio: determinazione, volontà, azione. I mezzi, le strategie, le tattiche e le piste da battere dovrebbero costituire oggetto di ricerca senza sosta né ripensamenti e senza soluzione di continuità. E, poi, agire nel modo più opportuno e indolore. Altrimenti, quale senso attribuire al mantenimento di una Organizzazione mondiale con compiti così ardui e delicati ma ferma nella propria impotenza?

Immagine di Copertina tratta da Vatican News.

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