15/10/1872 – 15/10/2022 Alpini, Orgoglio del Centocinquantesimo – Parte 1 di 2

Siamo al primo Conflitto mondiale, dove incontriamo il 2° reggimento Alpini. Ci troviamo nelle Alpi Carniche. Il battaglione Saluzzo, partito da Cuneo nell’agosto del 1914, raggiunse il piccolo centro di Paularo (Udine) e si dispose, comandato dal tenente col. Alceo Cattalochino, sulla linea di confine che interessa la catena montuosa protesa fra il Monte Lodìn e il Monte Zermula sino alla Forca Pizzul.

All’inizio del primo grande Conflitto il 2° reggimento Alpini annoverava una forza di dieci battaglioni: tre permanenti (Borgo San Dalmazzo, Dronero, Saluzzo); tre di milizia mobile (Argentera, Bicocca, Monviso); quattro di milizia territoriale (Valle Stura, Val Maira, Val Varaita, Cuneo Alpini sciatori).

Il Comando del 2° Alpini, con a capo il col. Matteo Quaglia, partiva alle ore 21 del 15 agosto 1914 da Cuneo e raggiungeva Tolmezzo due giorni appresso alle ore 11. Qui fissava la propria sede che avrà a durare sino al 12 maggio, giorno in cui il Comando del 2° Alpini si trasferì a Paluzza, centro della Valle del But eletto a residenza del Comando sino al 29 maggio. – Il 1° agosto 1915 il 2° Alpini contava una forza di 55 ufficiali, 2.637 Alpini e 477 quadrupedi.

Il tenente col. Cattalochino capeggiò le imprese del Saluzzo sino al 26 giugno, allorché consegnò il comando del battaglione al maggiore Luigi Piglione. 

La zona di operazioni militari qui interessata era allora di competenza della prima brigata alpina comandata dal gen. Antonio Goiran. La prima brigata aveva la responsabilità di due sottosettori affidati al 2° reggimento Alpini: Il sottosettore Monte Paularo con i battaglioni Borgo San Dalmazzo (tenente col. Alfonso Gazzano) e Val Varaita (tenente col. Giovanni Amico); il sottosettore Val Chiarsò con il battaglione Saluzzo agli ordini del maggiore, poi tenente colonnello (dal marzo 1916), Luigi Piglione.

Il battaglione Saluzzo era formato dalle compagnie 21a, 22a, 23a, 80a e 100a, e operò in campagna di guerra, nel settore indicato, dal 24 maggio 1915 al 23 marzo 1916.

La vigilia dell’entrata in guerra avevamo schierati 41 battaglioni alpini dallo Stelvio al Natisone e all’Isonzo. Altri 11 battaglioni erano appostati più a valle.

Noi avevamo schierate la 1a e la 4a armata sui monti del Trentino; la 2a e la 3a sui confini delimitati dalle Alpi Giulie; il XII corpo d’armata in Carnia e lungo il Canal del Ferro (Chiusaforte, Pontebba, Tarvisio). Sul nostro fronte il settore che si stendeva tra il Monte Peralba e il Monte Rombon delimitava quel territorio che fu chiamato Zona Carnia, al comando del quale fu inviato il generale Clemente Lequio.

Il Rombon era presidiato dal gruppo Cantoni con i battaglioni Dronero, Saluzzo e Borgo San Dalmazzo agli ordini dei rispettivi Comandanti: Varetto, De Giorgis, Intini.

Il 24 maggio 1915 si sarebbero potuti vedere dislocati su questo settore 31 battaglioni dei quali 24 erano di truppe alpine.

Complessivamente, sulla fronte del XII corpo d’armata, erano schierati: 41 battaglioni e 189 pezzi d’artiglieria (126 di piccolo calibro, 55 di medio e 8 di grosso). Fronteggiavano il XII corpo le divisioni 48a (Fml. Gabriel), 94a (Fml. Kuczera) e 92a (magg. generale Fernengel) del gruppo Rohr. – Vedi: Ministero della Guerra, Comando del Corpo di Stato Maggiore – Ufficio Storico, L’Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), Volume III, Tomo 1° – Le Operazioni del 1916, cit., pagg. 349-352.

La Zona Carnia era stata investita della primaria importanza poiché, date le sue caratteristiche geografiche e orografiche, si mostrava come anello di congiunzione tra la 4a armata del Cadore e la 2a armata dell’Isonzo. La Zona Carnia costituiva di per sé una posizione strategica della massima criticità, perché di lì si aprivano le grandi vie di penetrazione che puntavano al passo di Monte Croce Carnico (Plöckenpaß) e al Valico di Tarvisio – Coccau. Era questo dunque un settore delle Alpi Orientali valutato di estremo rilievo, in modo assai particolare per la linea di cresta che, a est di Paularo, si frappone fra la Valle d’Incarojo (Paularo) e la Valle del Ferro (Pontebba), con la displuviale nord-sud segnata dai Monti Zermula, Salinchièt, Cullàr e Sernio sovrastanti Paularo. L’importanza strategica era data dal fatto che questa linea, vera cerniera di congiunzione fra i grandi sistemi difensivi che presidiavano l’intero arco alpino orientale, si sarebbe dovuta tenere ben saldamente per impedire che i principali settori dislocati su tutto il fronte venissero travolti da un’improvvisa penetrazione austriaca.

Alla vigilia dell’inizio delle ostilità, il 23 maggio 1915, il battaglione Saluzzo, sempre con le sue compagnie 21a, 22a, 23a, 80a e 100a, poteva contare su una forza di 26 ufficiali e 1.155 uomini di truppa. Il Comando (tenente col. Alceo Cattalochino) era dislocato a casera Pizzul alta.

Il 9 giugno 1915 perveniva finalmente l’ordine di porre fine al periodo di attesa e di produrre azioni dimostrative, in risposta alle insistenti iniziative e infiltrazioni austriache in territorio italiano. Nella stessa giornata il cap. Pasquali fu costretto a lasciare il comando della 21a compagnia, perché colpito da improvvisi e intensi dolori, sostituito immediatamente dal cap. Mario Musso di Saluzzo.

Gli Austriaci sparavano dalla quota 1854 in loro possesso e i nostri facevano tuonare i propri pezzi da Paularo, seguendo le indicazioni provenienti dall’osservatorio piazzato sul Monte Pizzul, a est dello Zermula.

Il 26 giugno 1915 fu il momento del cambio di comando per il battaglione Saluzzo. Il tenente col. Cattalochino veniva chiamato a assumere il comando del 149° Fanteria e cedeva pertanto il comando del battaglione Saluzzo al magg. Luigi Piglione.

Il 24 luglio giungeva in zona Forca Pradulina il battaglione Val Tanaro del 1° Alpini con due compagnie e una sezione mitragliatrici, per passare alle dipendenze tattiche del Comando del battaglione Saluzzo. Il Comando del settore But Degano emanò ordine di svolgere, il 25 luglio, su tutto il fronte del settore un intenso fuoco di artiglieria.

Un atto di memorabile eroismo. Il capitano degli Alpini Mario Musso.

Mario Musso nacque a Saluzzo, in Provincia di Cuneo, il 30 gennaio 1876. Abbracciata la carriera militare divenne ben presto noto, per le sue gesta esemplari, nell’ambiente del 2° reggimento Alpini, battaglione Saluzzo.

La sua storia inizia al Collegio Militare di Milano. In un primo tempo fu assegnato al 41° Fanteria, poi militò nel 3° reggimento Alpini e, infine, passò al 2° reggimento che sarebbe dovuto diventare il teatro della sua vita e delle sue imprese straordinarie sino all’ultimo giorno. C’è chi sostiene che avesse frequentato l’Accademia Militare di Modena, ma da ricerche più circostanziate risulta che il saluzzese Mario Musso fosse stato allievo della Scuola Militare di Milano, allora denominata Collegio Militare. – Vedi Lettera Prot. n° 1747 del 18 settembre 1936 inviata dal comandante la Scuola Militare di Milano, col. Pietro Baggiani, al podestà di Saluzzo. – (tratto da: Archivio Storico, Città di Saluzzo, ASS Categoria VIII, Classe II, Faldone 14, Fascicolo 8).

Si racconta, a proposito di tali imprese, che di fronte al pericolo o a improvvise e serie emergenze non badasse a calcoli di sorta e non cedesse al timore di eventuali rischi incombenti, ma si gettasse egli stesso nella situazione con la generosità, il coraggio e l’impeto di chi non conosce paure o dubbi. Il 14 febbraio 1904, al comando dei suoi Alpini, il tenente Musso (allora, infatti, non era ancora capitano) effettuava un’escursione sui monti sovrastanti Bardonecchia, in Piemonte. All’improvviso una valanga si staccò dal vallone sovrastante precipitando rovinosamente in direzione della truppa al passo.

L’epilogo non fu particolarmente grave, a eccezione del caso di un Alpino il quale, colto di sorpresa dalla furia che si abbatteva a valle, fu letteralmente sbalzato dal suolo e scaraventato in un burrone.

Si mosse immediatamente il Tenente Musso e, calatosi personalmente nel fondo del crepaccio, affrontando rischi non indifferenti per la propria incolumità, riuscì a raggiungere l’Alpino e a portarlo in salvo. Il coraggioso atto di altruismo gli meritò il conferimento di una Medaglia di Bronzo al Valor Militare.

La Grande Guerra, quattro mesi dall’inizio delle conflittualità.

Già dalle prime ore del 14 settembre 1915 l’artiglieria austriaca aveva scatenato un violento fuoco, per quattro ininterrotte ore, prolungato poi per altre cinque e più, devastando le nostre linee. Alle ore quattro del 14 settembre 1915 l’artiglieria avversaria di piccolo e medio calibro aveva aperto il fuoco contro le posizioni della linea di confine Lodìn – Val di Puartis – Meledis – Ramaz. Verso le 6 cominciarono a muoversi i reparti di fanteria avversaria.  Subito dopo erano entrate in azione le truppe di fanteria con un attacco congiunto sulla dorsale che corre fra le Cime Cuestalta e Val di Puartis. I contrattacchi della 223a compagnia Alpina del Val Varaita e di un plotone dell’8° Bersaglieri riuscirono, in un primo tempo, ad avere ragione dell’avanzata austriaca attorno al Monte Lodìn, ma non anche a impedire una diversione nemica in zona Val di Puartis. Gli Austriaci, spingendosi in forze, coperti dal fuoco dell’artiglieria e di numerose mitragliatrici ben piazzate, ebbero buon gioco a puntare le armi automatiche da siti a loro favorevoli e a snidare i difensori costringendoli a ripiegare.  

In un primo tempo era stato tentato l’attacco verso le nostre posizioni su Segnale 1579 Meledis tenuto dalla 21a compagnia del Saluzzo, e di là respinto dal tiro efficacissimo dei nostri reparti e delle nostre mitragliatrici (II sezione). Gli attaccanti, viste le insormontabili difficoltà che si opponevano a una fortunata avanzata, provarono ad aprirsi un varco alternativo, più in alto, tra le posizioni nostre del Segnale e quella di Cima Val di Puartis. Quest’ultima era al momento occupata dalla 223a compagnia alpina del Val Varaita. L’attacco della fanteria austriaca era protetto e appoggiato da un’azione intensa dell’artiglieria. Verso le ore 14, dopo la violenta azione dell’artiglieria nemica che si protraeva ormai da otto interminabili ore, le nostre truppe poste a presidiare la Sella Lodìn – Puartis e la Cima Val di Puartis, sopraffatte da un confronto a fuoco impari per numero di uomini e per mezzi impiegati, furono costrette a ripiegare per non soccombere e cadere in mano al nemico. La 21a compagnia, al comando del capitano saluzzese Mario Musso, già impegnata sul fianco destro e sulla fronte, si trovò di conseguenza minacciata anche sul fianco sinistro. Resistette sino allo stremo delle forze e si gettò in una furiosa mischia, attorno e dentro le trincee, finché fu costretta a ripiegare sulla sinistra del rio di Lanza. Questi ultimi fatti d’arme si verificavano a muovere dalle ore 13,30 di quel 14 settembre. La nostra artiglieria non era stata in silenzio, anzi aveva per tutta la giornata cercato di controbattere l’avversaria e di ostacolare l’avanzata delle fanterie nemiche; continuò dunque per tutta la notte a battere le posizioni Lodìn – Val di Puartis – Cordin ormai saldamente in mano agli Austriaci. La 21a compagnia ebbe nel combattimento a subire numerose perdite. Il sottotenente Leonardo Cipolla cadde mortalmente colpito da un colpo di fucile alla gola e da uno al capo; il comandante della compagnia, capitano Mario Musso, ferito in modo irreparabile, cadde nelle mani del nemico dopo aver dato mirabile esempio di sé; un ufficiale, sottotenente Domenico Vaccari, risultò disperso; un ufficiale ferito: sottotenente Arturo Rossi. Le perdite nella truppa ammontarono a cinque morti, sette feriti e caduti nelle mani del nemico, venti feriti e sfuggiti al nemico; ventitré dispersi.

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