“Abbiamo un compito… Parlando nei mesi scorsi con alcuni Colleghi ex XXIII Corso Allievi Ufficiali di Complemento è emerso un filone di riflessioni che da tempo premeva per venire alla ribalta. Il trovarci insieme nel corso delle nostre Rimpatriate annuali si riveste di un valore incontestabilmente unico, dopo tanti anni volati via dai tempi della nostra giovinezza, per rinnovare vincoli di amicizia, per rammentare, per riscaldare i cuori appesantiti dagli anni e dagli affanni. Tutto meraviglioso! Ma, poi, un motivo di riflessione più pressante ci potrebbe porre il problema del “chi siamo” e del “che cosa vorremmo” fosse questa nostra grande famiglia che desideriamo ancora chiamare Patria. Siamo tutti anziani e ci circonda un mondo di indifferenza, di caduta del rispetto, di mordi e fuggi, di spinte puramente egoistiche. Sta svanendo il ricordo di quali siano le nostre radici storiche, culturali, di appartenenza. Forse noi stessi siamo una delle ultime generazioni – o l’ultima – chiamata a mantenere vivi i riconoscimenti di chi ha sofferto sino all’ultimo sacrificio e ha creduto in un avvenire migliore per la società intera. La mia esperienza di relatore dei fatti inerenti alla Grande Guerra fra gli studenti delle Scuole mi rende consapevole che i giovani ancora non hanno visto affievolirsi del tutto una certa sensibilità nei confronti dei Valori fondanti il nostro contesto umano. Credo che, per quanto siamo in grado di fare, sia oggi più che mai necessario dialogare con i nostri ragazzi e giovani, per imprimere un senso genuino alla consapevolezza che sta alla base della nostra Storia”.
Veramente abbiamo un compito verso le generazioni future. In quanto a noi, ci approssimiamo giorno dopo giorno all’oscuro ‘capolinea’, ma che cosa lasceremo a chi ci seguirà? Dovremmo batterci per far comprendere ai giovani come realmente stanno le cose in una dimensione sociologica, filosofica e ponderata dell’esistenza di ciascuno e di tutti. Oggi come oggi la maggior parte della nostra gioventù cresce sotto l’ottundimento di false chimere e di ingannevoli promesse, blandita e tradita da illusioni fugaci se non anche perverse. Noi abbiamo imparato che la vita è un misero soffio nell’insondabile afflato dell’Universo, che la nostra presenza ora e qui si riduce a un fenomeno precario e impercettibile nell’immensa storia dell’evoluzione. Lo abbiamo appreso perché siamo pervenuti alla fase della saggezza, ed è qui che dovremmo iniziare a condurre i nostri giovani attraverso riflessioni mirate. Chi ormai non è diventato cosciente dell’abisso verso il quale sta dirigendosi, senza tema di smentita, la nostra stessa stirpe umana? Basta enumerare la mole di agguati a cui siamo sottoposti ogni giorno della nostra vita. Certamente, non cambieremo il corso delle cose: sui poteri che oggi ne governano i destini non siamo in grado di mettere le mani, ma sull’educazione dei giovani, sì, perché essi conservano le energie, la disponibilità degli anni fiorenti, l’intelligenza quanto mai vivace e, qualora acquisiscano una sana consapevolezza, persino un ravvivato entusiasmo per ciò che veramente conta nell’effimero passaggio dell’esistenza di ciascuno. Ci sarà chi coltiva la convinzione che sia compito precipuo delle Istituzioni trasmettere ai giovani un messaggio culturale sano, perché è sui giovani che bisogna investire per rinnovare e coltivare un costruttivo spirito di appartenenza. Dire “le Istituzioni” equivale a procedere un po’ sul vago. Le Istituzioni esistono e funzionano perché mosse da persone che dovrebbero avere sicura competenza e buona volontà. Ma da come si assiste oggi al funzionamento della gran macchina sociale che ha le mani sulle leve del potere pare di trovarsi di fronte a un blocco granitico, inamovibile, con energie e mente rivolte altrove. Improbabile dunque profondervi con fiducia incrollabile sforzi preziosi. La scelta migliore rimane quella di investire sui giovani, allora, a muovere dalla Famiglia innanzitutto e dalla Scuola. Ma qui il discorso si fa più complicato in quanto si porterebbe in ambiti di spettanza assolutamente privata. Eppure non vedo altra via di cambiamento e di superamento della stasi perniciosa in cui giace una genuina coscienza sociale se non quella che si volge alla formazione civile e morale dei nostri giovani. Come ebbe ad auspicare Leonardo Caprioli, presidente dell’Associazione Nazionale Alpini nel corso della Operazione Sorriso a Rossoš degli anni 1992-1993, “un mondo cambiato, la speranza per un futuro diverso e migliore: un futuro in cui la generosità, l’altruismo e l’onestà soppiantino ogni forma di violenza e miseria”. Si riduce infine a questi pochi termini ciò che vorremmo realizzare tutti insieme, il vero opposto di quanto si presenta oggi a tutti noi nei termini di una realtà divenuta via via sempre più incomprensibile.
Come arrivare a tutto ciò? Potrebbe anche non essere soltanto un’illusione. D’altra parte, visto che ci troviamo inglobati in un contesto umano in netto stato confusionale, ciò nondimeno si fa viva l’esigenza di ricercare chiarezza nei nostri propositi nei confronti di coloro verso i quali abbiamo sacrosanti doveri.
Guardando al futuro. “Futuro”, non sicuramente per me e per quelli della mia età che di anni già ne portiamo abbastanza, ma per le generazioni che ci seguiranno, a fronte di una situazione socio politica che pare offrire poche garanzie per la speranza di un’esistenza dignitosa e costruttiva.
La preoccupazione rivolta al potenziamento di un assetto didattico-educativo rivolto al futuro dei nostri giovani è avvalorata dalle pieghe anomale che il nostro sistema sociale va assumendo con una frequenza via via più impressionante. C’è una parte della popolazione più giovane che corre il grave rischio di scivolare per una china perigliosa nel novero dei comportamenti e di essere fagocitata dai mostri della perversione, incoraggiati da spinte devianti e illecite, disgregatrici del senso civile e morale. Si veda qui un solo esempio, molto attuale e rappresentativo del grave disagio nel quale sono gettati a crescere, soli e senza una guida sicura, una gran parte dei nostri ragazzi; un esempio che dovrebbe allarmare senza remore, anche nella constatazione che siamo di fronte a un cancro interindividuale che protende in modo spaventoso le proprie metastasi fra le coscienze dei soggetti emotivamente ed evolutivamente più vulnerabili:
(Dai mezzi di informazione del 12 luglio 2020): Scoperta “chat orrore”, coinvolti minori. È una scoperta raccapricciante fatta dalla Polizia postale: “20 minori tra 13 e 17 anni si scambiavano, in chat, video di orribili violenze e contenuti di alta crudeltà”. L’inchiesta, coordinata dalla Procura dei Minori di Firenze, è partita a Lucca dalla denuncia della madre di un quindicenne, che ha rinvenuto nel cellulare del figlio immagini hard anche con bimbi. Trovati nel cellulare anche video di suicidi, mutilazioni e decapitazioni di persone e animali. Le ipotesi di reato sono detenzione, divulgazione, cessione di materiale pedopornografico. Coinvolti minori di molte città; venti le denunce.
È questo che vogliono i nostri figli? Sappiamo con precisione dove vanno, con chi vanno, che cosa fanno? A fianco di questa, un’altra notizia funesta: Una tragedia da fermare: ogni anno in Italia avvengono circa quattromila suicidi. Qualcosa veramente non torna.
L’obiettivo è e rimane quello di assicurare a tutti coloro che ci seguiranno un modus vivendi garante di sicurezza e di gratificazione.
Per quanto riguarda l’attenzione da portare alla crescita dei nostri giovani ci prefiggiamo lo scopo della riappropriazione dei Valori fondanti la nostra civiltà e il nostro spirito di Italianità in un contesto di collaborazione universale.
Valori, dunque, mirati allo sviluppo della coscienza di sé, alla disponibilità verso l’aiuto reciproco, all’autoaffermazione non egoistica, al superamento degli impulsi di protagonismo e dell’indifferenza per le sorti di chi soffre e vive nell’indigenza, al rispetto in tutti i contesti, al senso di appartenenza e dell’onore, all’amor di Patria, alla realizzazione, infine, di un percorso educativo e culturale nel senso della appropriazione del sapere e della convivenza civile in dimensione costruttiva, a partire dalla famiglia che è il primo istituto a stabilire le matrici del carattere e del comportamento.
Quelle che seguono sono mie riflessioni scaturite da quanto le notizie divulgate dai mass media sciorinano ogni giorno. Riflessioni che vertono sui mali, sui problemi che affliggono il nostro Paese, sino anche all’intera famiglia umana planetaria e che si prolungano sui possibili sviluppi della attuale situazione di precarietà in proiezione futura. Non ho curato una rassegna completa di quanto accade nel mondo, dato anche l’inserimento di forzate interruzioni occorse per vari motivi. Le riflessioni personali riportate sono ovviamente mie, mentre l’accenno ai fatti di cronaca si attiene scrupolosamente e fedelmente ai messaggi diramati sui canali di informazione di massa, per la maggior parte dalle notizie apparse sulla rubrica televisiva “Televideo”. Alcuni passi di quanto va a seguire potrebbero forse dare l’impressione di un atteggiamento di rifiuto protratto se non anche di disprezzo per certi aspetti fatti oggetto di analisi. Non è così, almeno non sempre. Qualche menzione di vituperio, in certi casi, si fa necessaria e viene da sé. Dunque non un abbattimento feroce di tutto quel che c’è, ma soltanto un intreccio di constatazioni e di considerazioni a guisa di specchio in cui si riflette inesorabilmente la realtà che si dispiega sotto i nostri occhi. Non motivi di condanna a senso unico dunque, non frecciate offensive, ma piuttosto uno stimolo a riflettere e una sollecitazione pressante, un appello accorato oserei dire, a mutare rotta là dove i fatti testimoniano di incongruenze e di inadempienze.
Nel mettere nero su bianco in merito alle argomentazioni che seguiranno rivelo necessariamente il mio spirito critico e il mio atteggiamento di intolleranza per tutte le ingiustizie e i soprusi usati da certe forme di supremazia nei confronti di chi è lontano dal poter fare uso di queste armi di soggezione. Qualcuno, soffermandosi a leggere alcune pagine, crederà di potersi fare un’idea chiara dell’indirizzo politico abbracciato da chi scrive e non pochi potrebbero essere coloro che mi appiccicherebbero decisamente al collo l’etichetta di “populismo”. Dirò intanto che questo termine, ancora non perfettamente definito nelle sue valenze sociali e di indirizzo, è stato usato per abbinarne i significati a correnti partitiche le più svariate. Dirò intanto che non ho mai dato la mia preferenza a un partito politico ossia non detengo alcuna tessera di affiliazione, proprio perché il mio modo di pensare e di valutare non trovò né trova riscontro in una realtà concreta che dovrebbe seguire all’applicazione di programmi ambiziosi e credibili. In tanti casi la mancanza di onestà, non infrequenti palesi segni di corruzione, la sensazione di instabilità nel coltivare convinzioni e propositi, ravvisabili almeno in alcuni individui, mi ha distolto dal volgere i miei interessi verso un indirizzo politico privilegiato. Mi dichiaro dunque apartitico, non già apolitico, di fronte alla situazione così come si presenta oggi in Italia e, a chi mi rammenta il dovere di scegliere da quale parte schierarmi, risponderei che una scelta comunque l’ho fatta nel mezzo di tutto il guazzabuglio che mi circonda, ed è stata quella di astenermi dall’operare una scelta. Motivazione? Devo ancora scoprire nelle declamazioni e nelle promesse elargite a iosa qualcosa di convincente e di meritevole di attenzione. Mi preme per inciso fare il punto sull’intimo significato della parola “politica”: penso sia una delle più alte espressione dei poteri della mente umana, vista sotto il profilo dell’usare della cosa pubblica per il bene di ciascuno e di tutti. Ma a ben vedere mi accorgo che le cose non stanno in realtà proprio così. E, qualora mi mettessi in politica, dovrei aderire a una corrente di partito e assimilarne ogni ganglio vitale, anche disapprovandolo in me stesso. Impossibile per me, mi caccerebbero subito fuori dai ranghi. La cosa mi ricorda un mio esame sostenuto ai tempi degli studi universitari: mentre esponevo il pensiero di un autore famoso, osai aggiungere “secondo me…”: guai e mai, il professore esaminatore subito mi trattenne “a me non interessa come la pensa lei…” e fine del tentativo.
Chi avrà dunque voglia di seguirmi nelle mie cronache e disquisizioni di sapore ora politico, ora sociologico, ora attinente ai comportamenti, vedrà, dopo poche ore di lettura, quanto la mia penna si carichi di indignazione verso tutto ciò che è ingiusto e offensivo nei confronti della gente onesta che lavora per la propria dignità personale e per il benessere della propria famiglia sino anche della società a cui appartiene. Torno dunque di dovere a quel termine “populismo” sopra appena accennato. Come in tutte le cose per le quali vale la pena spendere qualche parola, anche per questo termine si può incontrare incertezza qualora si voglia distinguere con un minimo di lucidità ciò che è dannoso a uno Stato da ciò che appare legittimo nel novero dei diritti vantati dai singoli e dalla massa.
Populismo, dunque, visto che se ne parla ampiamente e in un’ampia serie di circostanze, può corrispondere a una allocuzione coniata per descrivere una certa ideologia che pone in diretta antitesi due schieramenti del contesto umano: da una parte una “élite” detentrice del potere, dall’altra un popolo che vanta diritti, valori, identità e bisogno di esprimere la propria statura socio-politica. Si parla dunque di un vero e proprio attacco alle oligarchie politiche ed economiche imperanti e di una rispettiva esaltazione delle virtù naturali di cui il popolo si riveste ossia i desideri, i sentimenti collettivi e anche le frustrazioni e le delusioni. L’accezione del termine Populismo è stata forgiata anche in senso negativo, spregiativo, denigratorio là dove i movimenti populistici consideravano le élites economiche e politiche come le maggiori responsabili delle difficoltà di sussistenza e dell’ostracismo politico in cui era stato sprofondato il popolo nel suo insieme, perché era lo stesso popolo a caricare i detentori di potere della responsabilità circa il malessere dilagante, dovuto alla non curanza e alla trascuratezza nei confronti degli interessi della gente comune.
Stando a un profilo più particolarmente politico, allo scopo di attribuire una definizione più esauriente alla voce “Populismo”, mi torna utile l’analisi svolta da Angelo Panebianco e Massimo Teodori nella loro opera La Parabola della Repubblica. Ascesa e declino dell’Italia liberale (Solferino Libri, RCS MediaGroup S.p.A., Milano 2022). Proseguo dunque nel tentativo già iniziato di chiarirmi le idee, riportandomi al marzo 2018 allorché le elezioni politiche decretarono “la vittoria delle forze populiste e sovraniste” (pag. 199). I risultati elettorali erano stati l’epilogo di una “campagna qualunquista e disgregatrice” alla quale avevano aderito una schiera di “velleitari, ignoranti e protestatari d’ogni genere” (pag. 202). Riferendomi più strettamente al nostro Paese, nel libro citato incontro la descrizione di come in Italia, a partire dal 2018, si sia trovato terreno adatto per l’insorgere e l’affermazione del populismo, all’ombra del quale si andò verificando una sorta di “deterioramento” generalizzato. Come uomo di Scuola, sensibile ai problemi educativi dei giovani, sono stato colpito dall’enunciazione offerta dai due Autori citati ossia quella riguardante il “deterioramento delle istituzioni scolastiche” dovuto in prima istanza al fatto che “le politiche scolastiche sono da decenni dominate dai sindacati” sino a lasciare uno strascico indesiderato che ha portato a una crescita enorme del “numero degli ‘analfabeti funzionali’” (pag. 225), indice dell’accrescimento di una deleteria sottocultura o anticultura. In termini più strettamente politici c’è da dire ancora che il populismo si contrappone decisamente alla democrazia liberale: ne diventa l’antidoto “con il suo antipluralismo, con le sue pulsioni autoritarie”. Addirittura si va ad assistere, all’interno della evoluzione politica, a uno sdoppiamento dell’idea di populismo, rappresentato da una coalizione di destra contrapposta a una coalizione di sinistra che, in costante reciproco conflitto, rendono “impossibile stabilizzare la democrazia” (pag. 230).
Ora io penso che in una configurazione come questa il senso genuino di democrazia si vada volatilizzando e quella parola – democrazia – indice di una propensione quanto mai nobile dell’uomo a praticare il bene comune, riduca i propri connotati al rango di un contenitore ricco di beni sui quali gettarsi con bramosia per scopi esclusivamente egoistici, a dispregio di ogni dovuta cura da garantire a tutti e a ciascuno dei cittadini di uno Stato. La sensazione provata concretamente sulla pelle è quella di opposte (opposte senza seria convinzione, ma per puro opportunismo di facciata) fazioni che gareggiano su fronti contrastanti, con un obiettivo unico che non unisce ma che divide, quello di vincere per poter assumere il potere, senza distinzione di identità nei riguardi di alleanze, cercate e accettate soltanto per fare numero, tutto in un clima che non disdegna il mostrare buon viso alla corruzione a scopo di arricchimento personale e persino a finanziamenti illeciti (pag. 135) come quello, portato a esempio dagli Autori ai quali faccio riferimento, della “maxitangente Enimont che pare consistesse in mille miliardi di Lire messi a disposizione dei partiti” (pag. 176).
Molto intricate davvero tutte queste interpretazioni, ed è per questo che non mi ritengo populista come non sono comunista né fascista né di qualche oscura coalizione di centro. Oggi purtroppo va per la maggiore definire ciascuno dei soggetti di una comunità soltanto dopo una affrettata interpretazione del suo modo di pensare, qualora quegli ne abbia rivelato le spoglie. Il vezzo comune è quello di incasellare ciascuno in un contenitore più o meno ermetico e di affibbiargli una connotazione politica di un certo tipo.
Bene, credo di essermi espresso a sufficienza per fare intendere che non ci sto a essere incastrato in alcunché di definito. Il mio spirito libero mi suggerisce che non dovrò asservire ad alcuna direzione di pensiero partitico incrinando o menomando o sacrificando la mia personalità, la mia cultura, la mia fede. Chi sarà così benevolo da leggere ciò che va a seguire in queste puntate potrà, se vorrà, definirmi di parte per questo o per quell’aspetto della vita collettiva oppure si limiterà ad attribuire un peso alle mie considerazioni e ad appuntarmi coscienziosamente le proprie critiche. Libero di farlo, ovviamente. Sarò felice se sarò riuscito, come è stato detto, ad “aprire le menti” e a stimolare maggiori e più ardue riflessioni sul mondo che ci siamo costruiti attorno.
Incominciamo allora, come preambolo pertinente alle disquisizioni attese, dai primordi della nostra Nazione.
L’Italia nella percezione di Giuseppe Garibaldi
31-10-1860. Piazza San Francesco di Paola, dal Palazzo della Foresteria: “Il cancro, la rovina d’Italia furono sempre le ambizioni personali”.
26-09-1880. Garibaldi si dimette da deputato e indirizza una lettera ai suoi elettori: “Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita, non questa miserabile all’interno, ed umiliata all’estero, ed in preda alla parte peggiore della nazione”.
Dalla Tomba di Caprera, invano invocante il rogo, una voce grida ancora: “Date all’Italia l’opera di animi forti e il voto di oneste coscienze: siate cittadini gagliardi; io non vorrei, oltre la tomba, vivere ancora su questa terra nei marmi, se questa non avesse ad essere la terra del mio ideale, un’Italia cresciuta alla virtù dei liberi, una Italia degna dei martiri suoi, degna di aprire la nuova era nel mondo”.
Garibaldi odiava i codardi, ma disprezzava ancor più i non sinceri. “Non si accosti a quel marmo chi non intende la voce che da quel marmo si leva: perché l’eroe, se dall’urna risorgesse, gli ripeterebbe con Cristo: Costoro mi onorano col labbro, ma il loro cuore è lontano da me. E aggiungerebbe: Non datemi corone, se venite dall’avere rinnegato, ingiuriato il martirio! … se venite dall’aver commesso viltà; perché io qui vivo coll’ombre degli eroi; e pur oggi nel dì della mia morte, ho abbracciato di essi il più eroico e gentile! (Alberto Mario, moriva il 2 giugno 1883, nello stesso giorno del generale, a un anno di distanza). Sventura per l’Italia! Oh date a me, date a lei cuori che prendano il posto dei cuori che se ne vanno; datemi fiamme che prendano il posto delle fiamme che si spengono. Scaldate l’aria! scaldate l’aria! fa così freddo qui nel sepolcro! pare il gelo della nuova vita italiana.” (Achille Bizzoni).
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Nove anni di politica italiana: 2013-2022
Fare politica. Ma che cosa intendiamo per politica? Scrivo il termine con la P maiuscola, per esprimere la considerazione che provo per un aspetto dell’attività umana della massima dignità. Le pagine di un’enciclopedia ne definiscono il significato con l’espressione “Scienza o arte di governare uno Stato, di dirigere la vita pubblica” La Politica si costituisce in un insieme di provvedimenti governativi con i quali si vuole raggiungere una serie determinata di scopi prefissati, attraverso l’esame di questioni che riguardano la vita pubblica.
Per meglio definire che cosa si può intravedere nel termine Politica, non vado certo a scomodare gli otto libri dell’opera di Aristotele, Politiká, ma mi accontento di prendere come riferimento il pensiero di un personaggio dei nostri tempi, Hannah Arendt, per il suo impegno instancabile nel tentativo di comprendere i fondamenti di quella che definì la “banalità del male” che imperò al tempo del nazismo germanico. La Politica, secondo Hannah Arendt, è “teatro interattivo”, è un “piano orizzontale di esibizione reciproca e di cooperazione” nel rispetto della unicità dell’identità personale di ciascun individuo.
Questa breve premessa vale per porre in rilievo quanto andrà a seguire, nella esposizione prossima a un decennio selezionato, per la vita politica italiana, dove il “teatro interattivo” molto spesso e con discreta continuità altro non si è rivelato che “teatro controattivo”, inconcludente, dannoso agli effetti della vita sociale del Paese.
Iniziamo dunque la sequenza delle osservazioni, rimandando alla prossima puntata.