La Compagnia di Gesù – Parte 3 di 4

Contributi alla scienza.

Numerosi sono stati i contributi apportati da gesuiti, singolarmente o in gruppi, allo sviluppo delle scienze, teoriche e applicate. Essi contribuirono allo sviluppo degli orologi a pendolo, dei pantografi, dei barometri, dei telescopi e dei microscopi a riflessione. Fornirono inoltre apporti significativi nei campi del magnetismo, dell’ottica e della elettrologia. Furono tra i primi a osservare le fasce colorate della superficie del pianeta Giove, la galassia di Andromeda (M31) e gli anelli di Saturno. Esposero teorie sull’origine delle maree, sulla corrispondente influenza sulle stesse da parte della Luna e sulla propagazione ondulatoria della luce. A essi è dovuta l’introduzione dei segni + e – nella matematica, la tecnica di controllo dei flussi del Po e dell’Adige, la realizzazione di mappe stellari dell’emisfero australe. Georges Henri Lemaître ideò (1927) il concetto di Big Bang in astrofisica. Elaborò una geometria dell’Universo il cui raggio di curvatura è funzione del tempo.

Valignano inviò Michele Ruggieri a Macao a studiare il cinese: a lui si unì lo scienziato e linguista Matteo Ricci e, grazie alla fama di grande matematico di cui godeva Ricci, i due furono invitati in Cina e ottennero il permesso di risiedervi. Ruggieri e Ricci rimasero venticinque anni nel paese.

Ricci concentrò i suoi sforzi nella conversione delle classi élitarie: si appellò alla loro curiosità intellettuale mostrando loro prismi, orologi, strumenti matematici e carte geografiche. Nel 1594 fu ammesso nella classe dei mandarini, il che gli permise di aumentare il suo prestigio sociale. Nel 1601 si stabilì a Pechino, accolto con favore dall’imperatore.

Nel 1610, anno della morte di Ricci, i cattolici cinesi erano circa 2.500: tale numero raddoppiò nei cinque anni successivi.

Dopo il rapido successo iniziale, per i gesuiti cominciarono i primi problemi. Il mandarino Shen Ch’ueh, preoccupato per l’infiltrazione di un culto straniero, tra il 1617 e il 1622 promosse la prima persecuzione contro i cattolici, costringendo i gesuiti alla clandestinità. Nel 1644 le truppe della Manciuria invasero la Cina e misero fine al secolare governo della dinastia Ming (Ming – luminosa – 1368-1644; Ch’Ing: dinastia Manciù 1644-1912), che si era sempre mostrato favorevole ai gesuiti: tra il 1664 e il 1669 i religiosi furono tenuti agli arresti domiciliari a Canton.

Nonostante le persecuzioni i gesuiti continuarono la loro opera: il successore di Ricci, Niccolò Longobardi, nel 1618 fece giungere dall’Europa il gesuita Johann Schreck, astronomo e accademico dei Lincei, che portò in Cina nuove conoscenze matematiche e geometriche, le teorie di Galileo Galilei e nuove tecniche per la costruzione di strumenti astronomici.

L’apertura dei gesuiti nei confronti della cultura e delle tradizioni cinesi portò allo scoppio della questione dei riti cinesi. I gesuiti nel 1615 avevano ottenuto da papa Paolo V il permesso di tradurre la Bibbia in cinese e, per i preti locali, di celebrare la Messa e recitare il breviario nella loro lingua (autorizzazione revocata dalla Propaganda Fide con Alessandro VII 1655-1667 e Innocenzo XI 1676-1689); soprattutto avevano consentito ai convertiti, sin dai tempi di Matteo Ricci, di continuare a celebrare i riti in onore degli antenati e di Confucio che, secondo i gesuiti, avevano carattere più civile e politico che religioso.

L’arrivo dei francescani e dei domenicani nel 1631 creò ulteriori problemi: essi criticarono il metodo missionario gesuita (la decisione di vestire i preziosi abiti dei mandarini, di rivolgersi prevalentemente alle classi elevate) e condannarono come superstiziosi e pagani i riti cinesi. La tendenza genetica alle dispute continuò a generare conseguenze fatali diffondendo, nel tempo, la cattiva fama di discordia. Esempio: la controversia fra benedettini e gesuiti per la verifica dell’autenticità di documenti rilevanti per la storia della Chiesa e caduti in ombra di sospetto per presunta falsità.

L’opera evangelizzatrice si stava propagando a velocità crescente, sino alle remote coste del Giappone. Qui, però, i cristiani arrivarono al punto di ordire una congiura gettando i presupposti per una guerra civile che realmente scoppiò e causò la loro stessa soppressione in massa; si era nel 1638. Qualcosa del genere doveva essere successa in Cina dove le dispute scatenatesi fra Gesuiti e Domenicani furono di tale scandalo presso l’imperatore da far scattare l’interdizione all’insegnamento della religione cattolica e da decretare il congedo dei missionari da quelle terre.

Nel 1693 il vicario apostolico Charles Maigrot, delle Missioni Estere di Parigi, condannò l’utilizzo dei termini cinesi Tian (cielo) e Shangdi (signore supremo), che i gesuiti tolleravano. Il 20 novembre 1704  papa Clemente XI proibì l’uso di quei termini. La condanna dei riti cinesi fu confermata con decreti del 25 settembre 1710, del 1715 e del 1742.

Negli stessi anni in cui Saverio cominciava l’evangelizzazione del lontano Oriente, altri gesuiti si dedicarono alle missioni presso le popolazioni indigene del Brasile, altro grande possedimento portoghese. Il 29 marzo 1549 una comunità di sei religiosi guidata da Manuel da Nóbrega partì per l’America e sbarcò a Bahía de Todos los Santos. Il loro primo incarico fu quello di curare l’educazione dei figli dei coloni portoghesi, insediati lungo la costa atlantica.

Per quanto riguarda il Brasile, i padri gesuiti dapprima trasferirono gli amerindi in villaggi dove potevano proteggerli e convertirli, come il re aveva ordinato, e nel 1570 ottennero dal sovrano che venisse abolita la schiavitù, tranne per chi praticava il cannibalismo o rifiutava la conversione al Cristianesimo. Secondo le credenze del tempo era per volontà di Dio che gli africani fossero schiavi di padroni bianchi e cristiani. Il dibattito sul mantenimento o meno della schiavitù impegnò di gran lunga i giuristi e gli uomini di Chiesa fino a tempi non molto lontani da noi. Nel merito trovo un commento coraggioso e sincero nell’opera di C.P. Thiede (Carsten Peter Thiede, La nascita del Cristianesimo, nota 3 a pag. 405). Rimarca, l’autore, l’aspetto inglorioso da attribuirsi all’atteggiamento usato dalla Chiesa cattolica nei confronti della schiavitù che, in epoche ormai a noi remote, ma neppure tanto, veniva mantenuta come una condizione esistenziale addirittura imposta per volere di Dio. Come anche il commercio degli schiavi, per nulla disdegnato da elementi cristiani finanche agli inizi dell’era moderna. E il buon Pio IX, il papa liberale del Risorgimento italiano, non era neppure contrario al mantenimento della schiavitù. Nel 1866, infatti, il Santo Uffizio che operava sotto la giurisdizione di Pio IX andava affermando essere la schiavitù “non del tutto contraria alla legge naturale e divina”. Potevano esserci dunque persone costrette in stato di schiavitù, fatte oggetto di compravendita, di scambio o cedute in forma di regalo.

Nel 1553 Nóbrega si spinse all’interno insieme a José de Anchieta, un giovane gesuita proveniente dalle Canarie. Anchieta scrisse la prima grammatica della lingua tupi e fu autore di numerose canzoni in lingua indigena utilizzando melodie popolari.

I gesuiti furono chiamati in Paraguay nel 1585 dal vescovo di Tucumán per evangelizzare i Guaraní. Inizialmente l’azione dei gesuiti fu poco efficace per vari motivi; allora il preposito generale Claudio Acquaviva suggerì ai missionari la creazione di colonie stabili di indios, lontane dai centri abitati spagnoli. Sorsero così le prime reducciones (riduzioni), approvate dalla Corona spagnola ma ostacolate dai coloni, piccoli villaggi fortificati autonomi che, grazie alle attività agricole introdotte dai gesuiti, godettero di una certa prosperità.

Le reducciones del Paraguay si diffusero tra il 1610 e il 1640 circa, fino a comprendere gli indios della provincia brasiliana di Tapes, suscitando l’ostilità delle locali autorità ecclesiastiche e coloniali. Tra il 1628 e il 1635 i portoghesi del Brasile attaccarono le reducciones che, alla fine del conflitto, nel 1641 erano ridotte a una trentina, con circa 150.000 indios cristiani.

Sempre nell’America del Sud, il gesuita Pietro Claver, missionario nella Nuova Granada, svolse un’importante azione antischiavista.

Dopo alcuni isolati tentativi fatti negli anni precedenti, i primi gesuiti provenienti dalla Francia giunsero a Québec nel 1632 sotto la guida di Paul Le Jeune. I padri aprirono il collegio di Nostra Signora degli Angeli e su loro invito anche l’orsolina Maria dell’Incarnazione Guyart raggiunse la colonia per unirsi alla loro missione educativa.

A pochi anni dall’arrivo in Canada i gesuiti avevano già raggiunto il numero di 23 padri e 6 fratelli. I missionari cominciarono a dedicarsi all’evangelizzazione e si spinsero verso l’interno per cercare contatti con altri popoli indigeni.

I gesuiti convertirono al cristianesimo numerosi uroni stanziati lungo il fiume San Lorenzo. Contro gli uroni si formò presto una confederazione di cinque popoli irochesi, tra cui i mohawk, che creò gravi problemi ai missionari. Il gruppo degli otto martiri canado-americani fu canonizzato da papa Pio XI nel 1930.

Nel 1548 i gesuiti tentarono di penetrare in Marocco, ma furono espulsi poco dopo. Maggior successo ebbe l’attività missionaria della Compagnia in Etiopia, Mozambico, Angola, Congo e Capo Verde.

Minacciato dai musulmani, il negus d’Etiopia Claudio promise a Giovanni III di Portogallo, in cambio del suo sostegno militare, di aderire con i suoi sudditi al cattolicesimo. Da Goa giunsero in Etiopia alcuni missionari gesuiti e il 30 marzo 1556 lasciò Lisbona João Nunes Barreto, nominato patriarca d’Abissinia (fu il primo gesuita a essere innalzato all’episcopato). Dopo la sconfitta dei musulmani il negus dimenticò le sue promesse e il successore di Claudio confinò i gesuiti nel deserto (l’ultimo morì nel 1597). Nel 1560 tre gesuiti giunsero da Goa in Mozambico. In breve i missionari battezzarono oltre 450 persone, poi si spinsero verso lo Zambesi e convertirono il capo dell’impero di Monomotapa, sua madre e i suoi 300 sudditi. I musulmani, però, ordirono una congiura e spinsero l’imperatore a far assassinare i gesuiti (1561) mettendo fine all’impresa dei medesimi nella zona.

I primi quattro gesuiti penetrarono in Angola attorno al 1563, ma la loro missione non ebbe successo: l’11 febbraio 1575 sbarcarono a Luanda altri quattro gesuiti che in tre anni battezzarono oltre 200 persone (nel 1593 gli angolani battezzati erano già oltre 8.000). I gesuiti eressero a Luanda una chiesa e un collegio e tra il 1604 e il 1608 fondarono stazioni missionarie nelle isole di Capo Verde.

Dopo una prima breve impresa in Congo tra il 1548 e il 1555, nel 1581 i gesuiti dell’Angola, guidati da Baltasar Barreira, tornarono in questa regione per un viaggio di esplorazione e vi battezzarono 1500 persone. Dopo un inizio promettente della missione, alcuni eventi portarono alla distruzione dell’armonia religiosa (nel 1645 giunsero dei missionari cappuccini spagnoli che cercarono di portare i congolesi nell’orbita spagnola) e al disordine civile (rivolte di indigeni). Anche a causa dell’esiguo numero di gesuiti, nel 1674 l’impresa in Congo fu abbandonata.

Contro l’eresia.

Le gerarchie ecclesiastiche (vescovi e inquisitori) cominciarono a ricorrere ai gesuiti commissionando loro un’opera di controllo antiereticale (tra i Valdesi di Piemonte) ma anche di rilancio della vita religiosa. Il gesuita Silvestro Landino tra il 1550 e il 1551 si diede allo smascheramento di ecclesiastici e maggiorenti in odore di eresia. Dalle zone dell’Appennino tosco-emiliano Landino passò all’isola di Capraia e poi in Corsica.

Immagine di Copertina tratta da LiberLiber.

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