Lacrime di sangue sull’Isonzo

L’Isonzo fu uno dei giganti della Grande Guerra, famelico di vittime, vorace di decine e decine di migliaia di giovani vite. Qui, al contrario di quanto era stato possibile sulle montagne con la messa in atto di tentativi di manovra e di aggiramento, la lotta fu sostenuta secondo le direttive emanate dal generale Cadorna, attacco frontale e irruzione violenta delle fanterie.

Va da sé che quella tattica, obsoleta e assurda, non fu altro che un esporre, incosciente e delittuoso, facili bersagli alle raffiche delle mitragliatrici ben riposte sul terreno e occultate a dovere. Furono undici (quattro nel 1915, cinque nel 1916, due nel 1918) le “spallate”, come vennero chiamate, realizzate per sfondare lo schieramento nemico, e la dodicesima si risolse in una disfatta dai contorni assai funesti.

La prima Battaglia (dal 23 giugno al 7 luglio 1915), iniziata con le più rosee previsioni, si concluse con un disastro, a dispetto della superiorità numerica in uomini e artiglierie vantata dagli Italiani. Subito 13.500 vittime, ben altro che “una passeggiata a Vienna” come ottimisticamente si era divulgato fra i civili e i militari.

La seconda Battaglia (dal 18 luglio al 3 agosto 1915) vedeva la 5a Armata del generale Boroević accanirsi con particolare caparbietà per il possesso del Monte San Michele nei pressi di Gorizia, possesso che passò più volte di mano fra Italiani e Austriaci. Era iniziata con un possente bombardamento dell’artiglieria italiana che scagliò contro il Monte più di 2.500 granate.

La terza Battaglia dell’Isonzo (dal 18 ottobre al 4 novembre 1915) divampò ancora per iniziativa italiana con il fuoco di oltre 1.300 pezzi della 2a e della 3a Armata, ma quasi quattromila soldati ogni giorno venivano sacrificati in scontri mostruosi; nel conflitto perirono 67.000 Italiani e 41.800 Austriaci.

La quarta Battaglia (dal 10 novembre al 2 dicembre 1915). Le azioni si svolsero nei settori del Monte San Michele, del Podgora e di Plava. Le Armate italiane 2a e 3a, a partire dal 18 novembre, colpirono Gorizia con il lancio di oltre 3.000 colpi d’artiglieria, ma nel complesso non si registrò alcun progresso sulla strada della conquista. Il San Michele continuò a restare in possesso degli Honved ungheresi. Osserva John R. Schindler: “Tutto ciò che Cadorna riuscì a guadagnare alla fine della quarta battaglia era costituito dalle rovine dell’abitato di Oslavia, da poche trincee sul Podgora e da alcune inutili posizioni sul versante nord del San Michele”. Con quelle prime quattro “spallate” Cadorna era ben riuscito a immolare alla causa italiana decine di migliaia di giovani vite, sacrificate con grande eroismo dei singoli, ma inutilmente. La lotta, strenuamente ingaggiata in un ambiente infernale, quasi immersi i Combattenti nel fango e nell’acqua, colpiti per giunta dal diffondersi di un’epidemia di colera, lasciò sul campo di battaglia quasi 49 mila vittime italiane e più di 25 mila austroungariche.

Le successive cinque Battaglie dell’Isonzo si collocano all’interno del 1916.

La quinta Battaglia (dall’11 al 16 marzo 1916) fu ingaggiata per attrarre truppe tedesche e rendere meno pesante l’azione difensiva dei Francesi sul loro fronte orientale, in particolare Verdun, insidiato dalle truppe germaniche. Fu la prima volta che gli Austriaci fecero uso di gas lacrimogeni.

La sesta Battaglia (dal 6 al 16 agosto 1916) fece registrare un seguito di fallimenti a carico del generale austriaco Conrad von Hötzendorf, nella sfortunata Strafexpedition iniziata il 15 maggio. Esordì con un bombardamento italiano poderoso diretto principalmente contro i nove battaglioni sotto gli ordini di Zeidler, disposti sulla linea Sabotino-Oslavia-Podgora. Lo stesso 6-7 agosto fu preso il Sabotino con gran parte del Podgora. Il San Michele cadde finalmente in mano agli Italiani dopo aver inghiottito 112 mila vittime fra i nostri Combattenti. Anche Gorizia diventò italiana. Il successo conseguito dalle Armi italiane fu dovuto anche e soprattutto al verificarsi per la prima volta di una vera e grande collaborazione fra le tre Armi terrestri: Fanteria, Artiglieria e Genio; una fattiva innovazione che aprì una nuova diversa fase nella conduzione del conflitto armato. Non che le conclusioni fossero state del tutto rosee, perché la battaglia di Gorizia, terminata il 16 agosto 1916, costò a noi Italiani la perdita di 51.221 Combattenti, mentre per gli Austriaci le perdite ammontarono a 37.458 uomini (da Emilio Faldella).

La settima Battaglia (dal 14 al 17 settembre 1916) iniziò con una indiscussa superiorità italiana in armamenti e potenza di fuoco. Da notare, in questa particolare fase, il ritorno in scena del Monte Rombòn, saldamente tenuto dagli Austriaci, punto di contrasto ai tentativi italiani di rendersi padroni della Conca di Plezzo. Fu incaricato pertanto il IV corpo d’Armata (generale Cavaciocchi) dell’attacco decisivo al Rombòn dove era appostato il 4° reggimento bosniaco con due batterie, sistemato tutt’intorno alla vetta.

Poco sotto questa, a circa 2.100 metri di quota, si prolungava una serie di triceramenti dove facevano buona guardia cinque compagnie del reggimento e dove si accomunavano soldati croati, musulmani e serbi. Gli Italiani puntarono all’attacco contro il Rombòn il 16 settembre: era il terzo tentativo che, ancora, fu sferrato nella ferma risoluzione di annientarne il presidio, nello stesso istante in cui l’artiglieria austriaca dirigeva i tiri sul Čukla e sul Romboncino causando notevoli perdite al battaglione Ceva del 1° reggimento Alpini. I nostri non riuscirono a risalire il Romboncino sino in vetta e furono costretti a tornare sui propri passi, valsa la descrizione lasciataci da John R. Schindler: “Lo sforzo era durato meno di un’ora. Il solo battaglione di testa aveva perduto ben 500 uomini… erano sopravvissuti soltanto tre ufficiali del Ceva… appena un quinto delle truppe d’élite attaccanti avevano fatto ritorno al Čukla”.

Arriviamo così all’ottava Battaglia dell’Isonzo (dal 10 al 12 ottobre 1916). Il generale austriaco Boroević non poté fare affidamento su rinforzi di una certa entità: molti contingenti, infatti, erano trattenuti altrove in seguito all’invasione della Transilvania da parte della Romania e alla sconfitta austriaca subìta in Galizia nel corso dell’estate. L’Isonzo Armee, l’Armata di Boroević, aveva dovuto distogliere dal fronte isontino ben tre brigate per impiegarle sul teatro di battaglia rumeno. Sul fronte italiano la 5a Armata austroungarica era bensì riuscita a impedire la presa di Trieste, ma aveva anche sofferto la perdita di circa 24 mila uomini messi fuori combattimento. Si concluse, l’ottava Battaglia, con un triste bilancio, quello di 32 mila perdite complessive per gli Austriaci e di 60 mila per gli Italiani.

La successiva “spallata”, la nona Battaglia (dal 31 ottobre al 2 novembre 1916) costituì anche il nono vano tentativo di raggiungere Trieste.

La decima Battaglia si svolse fra il 14-31 maggio e il 4-5 giugno 1917. L’area interessata fu quella dei “Tre Santi”: il Monte Santo, il San Gabriele, il San Daniele, in concomitanza allo sfondamento delle linee austriache di Plava. Combattimenti feroci non diedero gli esiti sperati, senonché lasciarono uno strascico di lutti ulteriori ossia perdite attorno al 60 per cento degli effettivi in ciascuno dei due schieramenti. La decima Battaglia era stata condotta come uno dei primi tentativi di effettuare l’offensiva con una tattica di movimento e di manovra. Angelo Gatti, nel suo lavoro Caporetto, Diario di Guerra, parlando della lotta sul San Gabriele così si esprime: “Sono dodici giorni che si combatte… 5 brigate sono state sciupate. Calcolando 30.000 colpi al giorno, abbiamo consumato 360 mila colpi di medio calibro. Abbiamo stancato, nell’attesa, tutto l’esercito, logorato 30 mila uomini. Per quale risultato? Nullo”.  La battaglia, iniziata il 14 maggio 1917, doveva protrarsi per tutto il mese. Era la 2a Armata comandata dal generale Luigi Capello a essere spinta in prim’ordine alla conquista del Kuk, del Vodice e del Monte Santo. L’invio dell’artiglieria alla 2a Armata, però, risultò tardivo e, in collusione con le avverse condizioni meteorologiche, causò il ritardo di preziosi e pregiudizievoli cinque giorni nel decidere l’attacco. Niente male per i nostri avversari i quali, agli ordini del generale Boroević, riuscirono in tempo a organizzarsi e a occupare posizioni loro favorevoli sul Carso. D’altra parte, alla data del 15 maggio tutta la dorsale del Kuk-Vodice resisteva in mano agli Austriaci. Il ritardo di quei cinque giorni ebbe pure implicazioni sugli effetti decisionali della nostra 3a Armata la quale poté far avanzare tre Corpi d’Armata soltanto il 23 maggio.

Pesanti furono i tributi pagati dai nostri Combattenti nella fase di conflittualità aperta fra il 14 e il 31 maggio 1917: quasi 112.000 uomini, fra i quali oltre 13.500 morti, i rimanenti feriti o dispersi.

L’undicesima Battaglia (dal 17 agosto al 12 settembre 1917) condusse alla conquista dell’Altopiano della Bainsizza per merito dell’avvedutezza tattica dimostrata dal Generale Caviglia. Fu per l’Esercito italiano un grande successo, quand’anche non si fosse riusciti a penetrare definitivamente oltre la linea austriaca. Pur tuttavia i risultati conseguiti erano tali da poter fare ben sperare. Le attese, già abbastanza promettenti, furono però tradite da una serie di errori strategici che avrebbero portato a ben più gravi conseguenze. Per intanto le riserve di proietti d’artiglieria si erano sensibilmente assottigliate negli scontri avvenuti sino alla Bainsizza. Il generale Cadorna, per conto suo, non se ne dava per inteso, anzi aveva previsto che il 1917 non avrebbe più assistito a scontri campali fra Italia e Austria, tanto che aprì la possibilità di concedere un gran numero di licenze, ma non stava prevedendo giusto. Inoltre si intestardì a tenere le brigate di riserva piuttosto a sud sull’Isonzo, dislocandole abbastanza distanti sia da Cividale sia dall’Alto Isonzo, punti che si sarebbero dimostrati di lì a poco assai vulnerabili. Accadde poi che il comandante della 2a Armata, generale Capello, fosse colpito da un acuto attacco di nefrite che lo costrinse a un periodo di terapia e di controllo in ospedale. Al suo posto fu nominato a interim, il generale Montuori il quale, nel periodo fra il 20 e il 23 ottobre 1917, iniziò il proprio mandato commettendo un grave errore nel settore dove, fra il IV corpo d’Armata del generale Cavaciocchi e il XXVII del generale Badoglio, sarebbe dovuto esserci un collegamento garantito dalla presenza del VII corpo d’Armata del generale Bongiovanni. Sennonché Montuori si diede a spostare i punti di giunzione fra questi tre corpi di Armata. Ne conseguì l’apertura di ampie zone non presidiate. C’era, inoltre, la 19a divisione del generale Villani che, con le sue due brigate, la Taro e la Spezia, era responsabile di un fronte di oltre 12 chilometri di ampiezza, là dove sarebbe stata necessaria una forza tre volte superiore.

“In complesso – scrive Gerardo Unia (L’undicesima battaglia) – il Comando Supremo aveva deciso di gettare nell’11a battaglia dell’Isonzo 608 battaglioni, 3.747 bocche da fuoco, 1.882 bombarde, 5.656 mitragliatrici e 362.900 fucili. Compresi i servizi, la forza ammontava a 38.389 ufficiali e 1.206.990 militari. Gli inglesi e i francesi avevano finito per inviare una limitata dotazione di pezzi di artiglieria: 24 cannoni francesi, 6 mortai, 64 obici inglesi… Complessivamente le forze austroungariche sul fronte dell’Isonzo comprendevano 249 battaglioni con 2.092 mitragliatrici e 161.400 fucili. L’artiglieria contava di 1.526 pezzi di vario calibro. In tutto, c’erano 260.000 uomini schierati al di là dell’Isonzo ad attendere gli Italiani”.

Immagine di Copertina tratta da World War 1 Live.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: