Andiamo avanti, a grandi falcate, e raggiungiamo il punto evolutivo in cui dal Big Bang era trascorso appena un secondo. Qui troviamo che la temperatura era scesa ancora, per toccare la soglia di dieci miliardi di gradi. Un gran miscuglio eterogeneo costituiva l’Universo neonato: si trattava di fotoni, elettroni, neutrini insieme alle rispettive antiparticelle e a una quantità limitata di neutroni e protoni, i candidati componenti del nucleo atomico.

Portiamoci ancora più avanti e lasciamo trascorrere tre minuti dall’inizio. Ora la temperatura dell’Universo, diminuita ulteriormente, è arrivata a un miliardo di gradi, quella che si sarebbe conservata negli abissi delle stelle giganti. La situazione raggiunta a questa tappa era tale da consentire l’accoppiamento fra protoni e neutroni vaganti in disordine, sino al loro configurarsi nella forma di nuclei. Erano dapprima nuclei di atomi di deuterio, così semplici perché formati da un’unica coppia protone-neutrone. Ma la cosa era destinata a crescere, sempre sotto l’effetto dell’espansione-evoluzione inarrestabile dell’Universo, cosicché i nuclei di deuterio attrassero a sé altri protoni sino alla formazione di nuclei di elio (l’elio è un gas il cui nucleo atomico è composto da 2 protoni più 2 neutroni ossia con numero atomico 2), litio (il più leggero di tutti i metalli, con n° atomico 3) e berillio (n° atomico 4).
Diciamo per inciso, e per chiarirci un po’ le idee, di che cosa in realtà stiamo parlando. Iniziamo dal numero atomico: non è altro che il numero dei protoni (con carica positiva) che compongono il nucleo atomico e che è lo stesso numero degli elettroni che circondano il nucleo e vi roteano attorno a velocità abissali. In dimensione mega possiamo ricorrere a un grossolano riferimento al nostro Sistema Solare: il Sole come il nucleo di un atomo e i pianeti come gli elettroni che compiono la loro rivoluzione attorno alla stella centrale.
Proseguiamo alla grande, da qui, e lasciamo scorrere alquanto tempo. Sono appena trascorse le prime ore e la brodaglia di tutte le componenti cosmiche finora citate e che conteneva pure noi tutti in nuce, che aveva prodotto l’elio in grande abbondanza, andò arrestando la propria attività sino a fermare la produzione sia dell’elio sia degli altri elementi, nel tempo in cui era l’espansione dell’Universo a prevalere nella sua corsa vincente.
Ora è il caso di lasciare l’Universo in tranquilla evoluzione, dato che nulla di particolarmente innovativo si verifica in questo lasso di tempo. Spicchiamo dunque un bel balzo e portiamoci al momento in cui il nostro infante Universo compie la sua tenera età di 380 mila anni. Guardiamo innanzitutto al nostro immaginario termometro: constatiamo che la temperatura è andata ancora più giù, ora tocca quota 3.300°C, tale che anche gli elettroni, già sf uggenti perché lanciati in una furiosa corsa senza meta, possono essere catturati dai nuclei atomici. Vengono dunque a organizzarsi i primordiali atomi di idrogeno, elio e litio. Una fortuna fu, in questa fase, che i fotoni fossero indeboliti alquanto, responsabili sempre il notevole abbassamento della temperatura e la continua espansione dello spazio-tempo. Erano dapprima stati i fotoni a cacciar via gli elettroni, e a questo punto furono gli elettroni a prendere voce e a raggrupparsi, in modo tale da consentire all’Universo di diventare trasparente alla luce.
Si pensa oggi che nei primi 700 mila anni dell’Universo la temperatura fosse stata così alta da impedire la formazione sia di stelle e galassie sia di atomi nella loro configurazione stabile e completa. Con una temperatura superiore ai 3.300°C non potevano esserci stelle né galassie, ma soltanto una mescola ionizzata di materia e radiazione.
La ionizzazione testé richiamata corrisponde a un processo di formazione di ioni. Ora, per non scadere in inutili tautologie, diciamo per inciso che gli ioni sono particelle elettricamente cariche, costituite da un atomo o da un gruppo di atomi, che ha catturato oppure perso uno o più elettroni per frazionamento di molecole o per addizione o sottrazione di elettroni a strutture atomiche o molecolari.
Abbiamo così raggiunto la quarta stazione, quella dell’Era stellare. L’energia dei fotoni, allora, andò sempre più scemando attraverso un processo che si prolungò e perdura, sino ai nostri giorni, allorquando si può ipotizzare esserci nell’Universo una temperatura media di appena 2,73°C.

Apparvero dunque le prime stelle. In quelle di maggiori dimensioni l’idrogeno subì un lungo processo di combustione al termine del quale le stelle, almeno quelle più grandi, si contrassero con un contemporaneo aumento della temperatura al loro interno. Intanto che le stelle andavano collassando su se stesse, l’elio che le componeva a quello stadio della loro vita si fuse in altri elementi, come il carbonio e l’ossigeno. Anche le stelle più grandi non sopravvissero al loro destino, ma seguirono un imponente processo che tutto evolveva e tutto trasformava. Al massimo della contrazione toccarono il culmine della loro esistenza ed esplosero creando attorno a sé un’immensa nube di gas ricca di materiali pesanti. Era la nuova fucina di nuove stelle e di nuovi sistemi planetari che da quell’insieme caotico avrebbero preso fisionomia definitiva.
Ora, muovendo da questa quarta stazione, entriamo in una dimensione speculativa, quella cosiddetta dell’Inflazione che ci presenta un Universo in costante, progressiva accelerazione, proprio dal momento della sua nascita, ma pur sempre dopo l’Era di Planck. Si parla di un arco di tempo che si pone fra i 10-37 e i 10-34 secondi dopo il Big Bang. In questo frattempo la velocità con cui l’Universo si espandeva andò crescendo con una rapidità impressionante, tanto da sviluppare la propria dimensione che era 100 miliardi di miliardi di volte inferiore a quella di un protone sino a configurarsi come una palla dello spessore di dieci centimetri. E, ancora una volta, lì dentro c’era tutto, compresi noi e la realtà che crediamo di conoscere.
Sarà utile qui fare il punto sul significato delle dimensioni a cui mi riferisco. Un atomo: ingrandiamolo smisuratamente, sino a farlo diventare ampio come la Basilica di San Pietro. Al centro della Basilica il nucleo, con all’interno i suoi protoni e neutroni, grande soltanto come una nocciolina. Per coprire l’ampiezza lineare di un millimetro, s’è detto, occorrerebbe mettere in riga, l’uno accanto all’altro, da uno a dieci milioni di atomi. Forse con ciò si riesce a rendere lontanamente l’idea del volume dell’Universo nell’era di cui vado dissertando. A queste scale infinitesimali i protoni, ovviamente, sono molto più piccoli del nucleo se al suo interno possono e devono muoversi. Per avvicinarci meglio alla natura delle particelle che compongono l’atomo possiamo fare riferimento alla loro velocità di moto, perché a questi livelli nulla è statico. Nella materia che noi percepiamo come inerte tutto è invece lanciato in una corsa assai frenetica. Ecco, allora, gli elettroni che ruotano attorno al nucleo atomico a una velocità di circa 900 km al secondo, qualcosa di impressionante, come dire 3 milioni di km orari. Il nucleo, a sua volta, è 20 o 50 mila volte più piccolo del diametro del suo atomo. Al suo interno circolano, ripeto, protoni e neutroni in perpetua agitazione, a una velocità folle, 60 mila km al secondo: ci avviciniamo alla velocità della luce, la massima oggi conosciuta.
È proprio durante questa fase dell’infanzia dell’Universo che, per un repentino abbassamento della temperatura, come ho già accennato, la simmetria di evoluzione fra materia e antimateria venne frantumata. Siamo sempre in tema di Inflazione, quella originalissima condizione nella quale l’Universo si venne a trovare a partire dalla sua età di 10-37 secondi, un fenomeno cosmico che si farebbe ancora sentire negli angoli bui del Creato, portatore, fra l’altro, di una nuova concezione dello spazio che ne farebbe una composizione di infinite bolle, ciascuna delle quali nel carattere di singolo Universo, in un insieme composito al quale si potrebbe attribuire il nome di Multiverso. Noi abitiamo, secondo tale ipotesi, in una di queste bolle, e qui l’inflazione ha terminato il proprio corso, tant’è che ci è consentito osservare il Cielo profondo così come si presenta alla nostra speculazione.

Sino al momento fin qui trattato la luce se ne stava come imprigionata in una gabbia dalle pareti impermeabili. Ma poi apparvero i buchi neri, quei mostri abissali che si risucchiano tutto in un vortice vorace; neppure la luce è in grado di sfuggire ai loro tentacoli. Dai buchi neri proruppero all’esterno getti violentissimi di materia, come proiettili a raffica, di tale potenza eruttiva da perforare le pareti impermeabili di quella gabbia dove la luce era trattenuta in catene. Fu la prima volta che la luce, abbattute le barriere che la circondavano, poté andarsene un po’ a zonzo per gli spazi siderali. Era anche il periodo in cui nascevano le prime stelle, ormai l’Universo era diventato trasparente; si profilava una fase già molto avanzata nella vita dell’Universo, tra i 150 milioni e un miliardo di anni dopo il Big Bang. L’Universo, sino a quel momento, era per così dire una realtà neutra, ma, allorché le stelle giganti e roventi dei primordi si diedero a ionizzare l’Universo intero strappando qua e là elettroni, resero via via più rada la nube di gas e lasciarono così via libera alla luce di iniziare la propria corsa nel vuoto.
Se vogliamo andare più a fondo nella disquisizione qui riportata, allora diamo l’assoluzione alla teoria così detta del Big Bang e, per far questo, ci possiamo riferire all’espansione verificata dell’Universo e a una scoperta assai recente, quella della Radiazione Cosmica di Fondo. In quanto all’espansione dobbiamo essere riconoscenti a Edwin Hubble che penetrò con il proprio acume lo spettro delle galassie portando l’attenzione sulle variazioni di lunghezza d’onda attestanti, in appoggio al più conosciuto effetto Doppler, l’allontanamento delle galassie l’una dall’altra, come si constaterebbe gonfiando un palloncino sulla superficie del quale siano stati marcati alcuni punti. L’esistenza della Radiazione Cosmica di Fondo è qualcosa di più difficile a comprendersi, ma ancora più a condividersi. Proviamoci ancora, tuttavia. Torniamo un momento alla quarta stazione, quella dell’Era stellare. Ora sappiamo che lì la temperatura dell’Universo era scesa attorno ai 3.300°C. Si erano formati gli atomi e l’Universo si era fatto trasparente alla luce. Tutta quella massa informe di elettroni, che possiamo immaginare vagasse disordinatamente nel caos profondo creando come una nebbia impenetrabile, a un certo punto perse consistenza perché gli elettroni, assai disciplinatamente, si associarono ai nuclei per dare vita agli atomi. Ecco allora che, a mano a mano, anche le radiazioni presenti poterono sganciarsi dalla materia e presero il largo a cavallo dei fotoni. Così l’Universo divenne trasparente anche alle radiazioni. Una forma di radiazioni alla conoscenza della quale gli scienziati sono ultimamente pervenuti è proprio la Radiazione Cosmica di Fondo, nella sua veste di “eco” del Big Bang. La scoperta si deve a due astronomi, Arno A. Penzias e Robert W. Wilson, nel corso del loro lavoro indirizzato a identificare e misurare l’intensità delle radio-onde provenienti dalla nostra Galassia.

Ai tempi attuali della nostra civiltà possiamo contare su una densità di particelle nucleari in tutto l’Universo conosciuto, in una misura che varia tra le 6 e le 0,03 particelle per ogni m3 di spazio e per ogni particella nucleare sarebbero presenti da 100 milioni a 20 miliardi di fotoni. Oggi, con le conoscenze che abbiamo a portata di mano, possiamo azzardarci a enunciare alcune stime su ciò che popola il nostro Universo, su ciò di cui sarebbe formato. Ecco allora che andiamo a distinguere una distribuzione fra materia ordinaria (gli oggetti le cui rappresentazioni cadono sotto i nostri sensi, pari al 4% dell’insieme), materia oscura (23%) ed energia oscura (73%). Per maggior precisione, affidandoci agli studi di Planck, avremmo le seguenti quantificazioni nell’ordine: 4,9% – 26,8% – 68,3%.
È bene fare il punto sulle distinzioni accennate. Se noi possiamo percepire gli elementi materiali che ci stanno intorno, non così accade per quanto concerne la materia oscura che, per definizione, non è osservabile. Ne abbiamo sentore esclusivamente analizzando le dinamiche gravitazionali. Non ha la peculiarità di emettere radiazioni e si pensa costituisca l’86% della massa e il 27% dell’energia. Il suo ruolo è quello di intervenire nell’assicurare la stabilità delle Galassie. Non abbiamo un’idea precisa della sua identità, ma teorizziamo o supponiamo che, qualora non esistesse la gravità della materia oscura, le stelle e i pianeti si disperderebbero nello spazio. Un fattore di aggregazione, dunque. È probabile che la materia oscura obbedisca a leggi fisiche diverse da quelle che a noi sono familiari. A tutt’oggi si è scoperta la presenza di materia oscura attorno a circa 12.000 galassie.
L’energia oscura, per altro verso, è responsabile dell’espansione accelerata dell’Universo, spiegata a sua volta dall’esistenza di una forza antigravitazionale diffusa nell’intero Universo, tale da impedire un collasso delle Galassie su se stesse.
Come non ravvisare un non so che di manicheo in questo va e vieni di spinte immense e contrarie? E chi potrebbe non vedere in tutto ciò un bilanciamento di forze fautore di un equilibro che permette la regolarizzazione di leggi fisiche imposte a disciplinare le trasformazioni e i moti cosmici?
Grazie alle attuali mappe che ci forniscono i vettori della radiazione cosmica, ultimamente è stata formulata una nuova ipotesi secondo la quale l’Universo conosciuto sarebbe più vecchio di quel che si potrebbe credere: da 13,7 a 13,81 miliardi di anni, lanciato in una velocità di espansione che, oggi come oggi, ha perso un po’ della sua gagliardia giovanile.
E così siamo arrivati fino a noi, dopo una trasvolata di oltre 13 miliardi di anni. Un bel viaggio davvero, ne è valsa la pena, un’esperienza affascinante in tutte le sue tappe e in tutti i suoi aspetti. Ma si potrebbe anche pensare a intraprendere un viaggio in senso contrario, spingendoci a ritroso da oggi verso l’indietro, ripercorrendo i passi compiuti di stazione in stazione, rivivendo le fasi evolutive/involutive del nostro Universo sino ai tempi della sua prima infanzia. A un certo punto, però, ci dovremmo fermare. Non riusciremmo ad assistere al momento vero e proprio della nascita dell’Universo. Nonostante tutti gli sforzi e tutte le speranze stiamo affrontando una prova impossibile. È l’Era di Planck a sbarrare il passo erigendo di fronte a noi una barriera insormontabile. Siamo ripassati attraverso l’Inflazione e nel profilarsi delle Ere stellare, adronica, leptonica. Fin qui, tutto bene, ma di poi o dianzi per meglio dire l’albero della conoscenza si fa evanescente alla nostra voglia di sapere e svanisce in un nulla sconcertante. Quel che successe prima di quel muro di 10-43 secondi, sino al punto nel quale erano esclusi concetti di “prima-dopo-spazio-materia” risiede in un gran senso di delusione e di vuoto. Al livello delle conoscenze scientifiche sin qui acquisite, non lo sapremo mai. Ma qualche domanda inquietante ce la possiamo permettere, pur senza la speranza di una sua soluzione in risposte, quand’anche parziali e provvisorie. Ed è la domanda con la quale abbiamo iniziato questo fantastico viaggio, una domanda che rimbalza su se stessa: “Perché?”. Qui il cerchio si chiude e si chiudono pure i nostri occhi di fronte all’insondabilità di una conoscenza scientifica che travalica le possibilità di concettualizzazione inscritte nella nostra limitata natura umana.
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