Il parlare difficile di Gesù

Proviamo ad aprire le pagine dei Vangeli canonici:
ci incontreremo con il parlare difficile di Gesù

Avete mai scorso le pagine dei Vangeli? È un suggerimento che posso darvi: vi troverete mille motivi per stupirvi e per farvi domande assillanti.

Matteo riferisce una fra le più oscure – così a me è parso – affermazioni di Gesù Cristo: ci troviamo di fronte a una rivelazione che, fra l’altro, dovrebbe stare a giustificazione della nuova fede nel regno di Dio, mentre in un certo senso dice tutto sul significato della nostra esistenza su questo mondo: “Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua… Che giova mai all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde l’anima?… tra i qui presenti vi sono di quelli che non morranno, prima che vedano il Figlio dell’uomo venire nel suo regno.” (Matteo, 16°, 24, 26, 28). L’esortazione che Gesù rivolge agli uomini è, a parer mio, quella dell’abbandonarsi completamente a Dio incarnando le parole di speranza dal Messia pronunciate. Parole pesantissime, invero, difficili da assimilare, ma anche da interpretare e da comprendere. Se Gesù parla veramente nel nome del Dio Supremo e le sue parole sono dunque veritiere, allora non ci resta che una via: spogliarci di ogni ricchezza, presunzione, superbia, di ogni desiderio di autoaffermazione e rivestirci di infinita umiltà. Ma, vado congetturando, con il mondo che ci ritroviamo intorno, qualora prendessimo alla lettera una risoluzione del genere, al primo passo del nostro dichiararci completamente disponibili per gli altri e per Dio o saremmo scambiati per matti oppure subito presi di mira, fatti bersaglio, rigettati o semplicemente ignorati e abbandonati all’indifferenza, forse scambiati per gente che s’è bevuto il cervello, in ogni caso schiacciati. Ma, poi, l’invito a prendere la propria croce come poteva venire da Gesù? Se egli sapeva, che ne poteva sapere il suo uditorio del significato della croce? Per i suoi discepoli, in quanto figli del popolo ebreo, la croce era uno strumento ignominioso, da non nominare, altro che portare a esempio e stimolo di comportamento. È più verosimile che un aforisma siffatto sia stato coniato più tardi, a bella posta, dai redattori dei Vangeli, quando il concetto di Croce si era ormai affermato nelle Scritture e posto opportunamente, ma anche con scarsa congruenza, sulla bocca di Gesù.

C.P. Thiede (Carsten Peter Thiede, La nascita del Cristianesimo, Mondadori 1999, pag. 100) si prova a dare una spiegazione all’intervento verbale di Gesù, affermando che l’idea di croce, peraltro ricca di riferimenti e di corrispettivi in molte forme usuali della natura e della stessa vita dell’uomo, si riveste anche del valore di immagine, tanto da poter avvalorare le parole di Gesù riferite al prendere su di sé ognuno la propria croce, accettare dunque le traversie e le sofferenze che immancabilmente l’esistenza terrena ci addossa (Matteo, 16°, 24).

Che dire poi, per spiccare un salto in altre sfere, quelle dei grandi potentati economici, non ultimo il Vaticano, adagiati su garanzie di reddito finanziario da capogiro? E chi mai entrerà, dei ministri di Dio, nel suo regno? Forse Madre Teresa, forse qualche missionario sinceramente filantropo, forse qualche prete cacciato in una desolata frazione di montagna qualche tempo fa e lì lasciato a consumare i suoi ultimi anni. Tutt’uno con la cruna d’ago e il cammello, a ben vedere. Ma i ricchi credono nell’esistenza dell’anima? Se ci credessero penserebbero subito a sottoporla a valutazione di mercato e a farne oggetto di speculazione monetaria; non si sa mai, un’anima bella e consistente può valere una fortuna. Pensare, infine, che quei tali assisi attorno a Gesù, in ascolto delle sue declamazioni, si convincessero quasi della propria immortalità è cosa che sta fuori di ogni buon senso comune. Costoro avevano in mente un Messia in veste di liberatore (forse il prendere la croce nasconde qualche allusione al prendere la spada – e non sarebbe l’unica volta che Gesù esorta in questo modo i suoi discepoli – che ha approssimativamente la forma di croce?), un condottiero capace di coordinare i movimenti antiromani sino alla cacciata degli invasori e alla costituzione di un nuovo e forte regno di Israele. Valutavano, se proprio non erano convinti di essere immortali, abbastanza vicino il momento della riscossa e si prefiguravano Gesù in veste di sovrano. Indubbiamente Gesù doveva essere stato un ottimo oratore; la sua parola, possiamo pensare, avrebbe portato fra le genti la buona novella, ma i suoi uditori vedevano in essa, secondo le proprie aspettative indipendentistiche, una promessa di rivolta e di liberazione dal giogo romano.

Temo peraltro che un’interpretazione soddisfacente del nesso che lega il “non morranno” e la venuta di Cristo nel suo regno, sotto l’aspetto semplicemente temporale, lasci chiunque col fiato sospeso e non porti comunque da alcuna parte.

Ma, infine, che cosa ne hanno fatto di Gesù?

Non è una domanda retorica, tanto meno spiazzata o stupida. È una domanda che esige una spiegazione plausibile perché veramente di questo povero Cristo se ne sono dette tante e tante ne hanno fatte. Un Cristo tirato per le braccia. Prima l’hanno inchiodato al “patibulum” poi l’hanno deposto, l’hanno fatto risuscitare e spedito in cielo, ma le sue braccia sono rimaste aperte e, subito, si sono dati da fare a tirare quelle braccia, con accanimento, chi da una parte chi dall’altra. E allora si sono visti i vari cristologi della prima e dell’ultima ora schierarsi su due fronti opposti. Da una parte coloro che nutrono forti dubbi, che non si accontentano di ciò che fu e che qualcuno dà per certo avallandolo con palese sicumera nel momento in cui vi appongono il sigillo verbale “Parola di Dio!”. Dall’altra proprio questi ultimi che hanno acquisito la certezza della divinità di quell’uomo morto in croce e sul sacrificio di lui innestano tutto il proprio credo.

Una cosa è certa: di qua c’è un percorso che non vede dove stia la meta né quando eventualmente la corsa avrà termine; di là una verità fatta di carta, con tanti dogmi e tanti misteri che si pongono a freno e a ostacolo alla più naturale delle spinte a conoscere. Davvero maltrattato quel povero Cristo; sarebbe istruttivo conoscere che cosa lui stesso ne pensa. Ma, intanto, una constatazione stridente. La fede e l’amore che il popolo cristiano-cattolico oggi porta per il proprio Dio non è molto dissimile da quel complesso di credulità frammiste a devozione e tradimento, ad amore e odio, che stava alla base dell’antica alleanza fra il Creatore e il popolo eletto. Sì, perché oggi ancora tale sorta di ambivalenza affettiva persiste negli atteggiamenti e nel comportamento del cattolico praticante, in una forma, per giunta, di convenzionalità talmente viziata dall’assuefazione da farle piuttosto assumere i caratteri della distrazione, dell’indifferenza o, in qualche caso, dell’opportunismo. Porto un paio di esempi soltanto. Primo: entrate in una chiesa cattolica durante le funzioni domenicali e fermatevi al fondo del tempio; vi sarà molto difficile ammirare quell’attenzione devota che contraddistingue anime in piena disposizione all’adorazione; è più probabile che incontriate gente distratta che si annoia, che chiacchiericcia per ingannare il tempo e che anzitempo sgattaiola via per liberarsi dal peso del tedio. Secondo: fatto ancor più grave, molto più grave, fra alcune – mi astengo dallo scomodare il termine “molte” – delle persone che frequentano le funzioni in chiesa, se dovessimo radiografare le loro coscienze attraverso una ipotetica frequenza soprannaturale, troveremmo con sorprendente copiosità le macchie impresse da gravi colpe, senza l’esclusione dall’aver proferito orribili bestemmie, dell’aver abusato del prossimo, dell’aver offeso, dell’aver defraudato, dell’essere stati insensibili di fonte alle sofferenze che in modo massiccio affliggono l’umanità. Non so se un atteggiamento contraddittorio come questo, indice decisamente di fede fasulla, di “pecorismo” e di rinuncia a ricercare il Vero, esista anche in altre religioni, ma quel che so per certo, per esserci passato in mezzo, è che nel culto cattolico queste cose si verificano con il massimo della disinvoltura.

Mi voglio ora attardare sulla figura esaltante e misteriosa del Cristo evangelico, ponendo l’accento sul suo parlare di difficile comprensione e talvolta apparentemente contraddittorio. Ne riporto alcune citazioni.

Quanta gente ipocrita nel mondo, quanta gente preoccupata di ben apparire nel momento stesso in cui coltiva pensieri malvagi. A costoro si rivolge Gesù: “Se dunque tu stai per fare la tua offerta all’altare ed ivi ti ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta lì dinanzi all’altare, e va’ prima a riconciliarti col tuo fratello” – Da notare: non se hai qualcosa contro, ma se è altri che abbia qualcosa contro di te. Chi ci riuscirebbe?

Pregare il Padre supremo. Niente di eclatante, niente di faraonico: “Ma tu, quando vuoi pregare, entra nella camera, e, chiuso l’uscio, prega il tuo Padre in segreto… E quando pregate non vogliate usare tante parole” (Matteo, VI, 6,7).

La fede. Sì, perché “Dio è luce, e in lui non ci son tenebre” (Prima Lettera di Giovanni, I, 5). E, allora, “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto” (Luca, XI, 9).

Decisioni estreme. Come sarà possibile seguire il Maestro e chi lo potrà mai fare? “Se uno viene da me e non odia suo padre e sua madre e figli e fratelli e sorelle, e perfino la sua vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo… chi di voi non rinuncia a tutto quel che possiede, non può essere mio discepolo” (Luca, XIV, 26,27,33).

Arduo pesare parola per parola e darne un significato plausibile: “Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, vi dico; ma la discordia” (Luca, XII, 51).

Premonizioni terribili. “Vi dico in verità che ci sono alcuni dei presenti i quali non gusteranno la morte prima di aver veduto il regno di Dio venire con maestà” (Marco, VIII, 39 – Luca, IX, 27). – “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Luca, IX, 60). – Il regno di Dio non viene con apparato… Perché il regno di Dio, ecco, è dentro di voi” (Luca, XVII, 20,21). -– “… si solleverà popolo contro popolo, e regno contro regno, e vi saranno pestilenze, carestie e terremoti… E usciranno fuori tanti falsi profeti… E guai alle donne gravide e allattanti in quei giorni… la tribolazione sarà grande, quale non fu dal principio del mondo… s’oscurerà il sole, la luna non darà più la sua luce, e cadranno le stelle dal cielo, e le potenze dei cieli tremeranno. Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo, e piangeranno tutte le nazioni della terra; e vedranno il Figlio dell’uomo venir sulle nubi del cielo con gran potenza e gloria… quando vedrete tutte queste cose sappiate che egli è alle porte… I cieli e la terra passeranno; ma le mie parole non passeranno. Quanto poi a quel giorno e a quell’ora, nessuno li sa… nell’ora che non pensate verrà il Figlio dell’uomo… e vi sarà pianto e stridor di denti” (Matteo, XXIV, 7,11,19,21, 29, 30, 33, 35, 36, 44, 51 – Luca XXI). “… verranno i giorni in cui si dirà: Beate le sterili e i seni che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato” (Luca, XXIII, 29).

Ma infine Gesù, il Figlio dell’uomo, sentendosi abbandonare dalla vita, è uno di noi, diventa come ciascuno fra noi, nel momento della disperazione: “E verso l’ora nona Gesù gridò con gran voce: Eli, Eli, lamma Sabactani?” (“Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” – Matteo, XXVII, 46).

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: