Un tuffo fra le pagine – APRIRE LE MENTI – Parte 1 di 4

Howard Gardner

APRIRE LE MENTI
La creatività e i dilemmi dell’educazione

Milano, Feltrinelli, 1991 (orig.: New York, 1989)

Avvertenza

In questo, come nei testi che seguiranno, si attinge a lavori non del tutto recenti, talvolta anche un po’ datati. Tuttavia in essi resistono significati di profondo valore didattico-educativo, tali da consigliare a mantenerli nella loro enunciazione originale. Così pure si sono lasciati termini come Scuola Materna, Scuola Elementare anziché Scuola dell’Infanzia e Scuola Primaria come si usa oggi, ma il senso non cambia.

I numeri riportati fra parentesi si riferiscono alle pagine del testo consultato.

Ma noi, siamo cinesi?

(di Marianella Sclavi)

Aprire le menti è un libro-invito a un gioco: il gioco di guardare noi stessi e il nostro contesto educativo e scolastico con gli occhi di altre culture, di altri sistemi di autorità, alla luce di diverse e contrastanti concezioni di cosa significa “istruirsi”, “conoscere”, “scuola”. In questo caso il confronto è fra i sistemi educativi e scolastici americano, cinese e, attraverso i lettori, italiano.

Ma Aprire le menti è soprattutto un libro-sfida. La sfida è: trovare i modi per far funzionare la scuola in una società multiculturale. (7) …

Howard Gardner, che insegna al Dipartimento di Studi sull’educazione di Harvard, è uno degli studiosi dell’apprendimento più originali e anche fra i più conosciuti e ascoltati nel variegato mondo della scuola statunitense. I suoi principali ispiratori e maestri sono stati Erik Erikson, Jerome Bruner, Nelson Goodman, Jean Piaget e Susanne Langer. (9) …

È proprio nei ricordi di infanzia, in quanto figlio nato negli Stati Uniti da genitori ebrei sfuggiti al nazismo, che trova un relativamente ricco bagaglio di aneddoti ed esempi di tensioni fra diverse concezioni del mondo … (10)

Prologo

Una lunga marcia verso la creatività

Fin dai tempi dei Greci, come ha evidenziato Philip Jackson, sono riscontrabili due approcci contrastanti ai problemi dell’educazione. Nell’approccio dominante, detto “mimetico”, il maestro (e “il testo”) sono visti come indiscussi depositari di conoscenza. Agli studenti è richiesto di memorizzare delle informazioni che in seguito, in altre occasioni, essi stessi trasmetteranno ad altri negli stessi modi e tramite gli stessi modelli con cui erano state loro presentate. In contrasto con questa tradizione si situa l’approccio “trasformativo” nel quale il maestro assomiglia più a un allenatore che cerchi di sviluppare certe qualità nei suoi allievi. L’insegnante sollecita l’attiva partecipazione degli allievi al processo di apprendimento sia attraverso domande sia dirigendo la loro attenzione su fenomeni nuovi, nella speranza di irrobustire in questo modo le capacità di comprensione degli allievi. Si potrebbe sostenere che nella tradizione “mimetica” lo scopo primario è la coltivazione di capacità di base (come l’abilità nel saper scrivere e leggere o l’apprendimento di rituali); invece, nell’approccio “trasformativo”, centrale è la stimolazione delle capacità espressive, creative e di conoscenza. …

Lo stile socratico (la Maieutica) di porre le domande è l’esempio più classico di “approccio trasformativo”. (34) …

Difensore appassionato di questo cammino più aperto era Jean-Jacques Rousseau … Anche famosi educatori europei di bambini anche piccoli, come Pestalozzi e Friedrich Froebel, propendevano decisamente per un approccio trasformativo. …

I seguaci di John Dewey, i quali si autodenominano “educatori progressivi”, hanno tentato di elaborare contesti di apprendimento in cui esplorazione e scoperta sono le attività primarie e l’insegnante si presenta come un co-esploratore o facilitatore, piuttosto che come maestro della conoscenza. Per questo gruppo di educatori l’acquisizione di capacità di base rimane in secondo piano rispetto al compito di stimolare le capacità creative e immaginative del bambino. …

Ogniqualvolta si discuta congiuntamente di educazione e di creatività sorgono alcune tensioni. Da un lato c’è la necessità di sviluppare quelle abilità e conoscenze di base sulle quali poi sarà possibile fondare prestazioni e realizzazioni più mature; dall’altro c’è l’appello a una filosofia educativa di non intervento, non direttiva, progressiva, la quale sembra decisamente preferibile se si vuole che la creatività venga coltivata fin dalla tenera età per poi potersi dispiegare negli anni successivi. (35) …

Dal mio punto di vista, la creatività può essere descritta come quella capacità umana che consente regolarmente di risolvere problemi o modellare prodotti in campi specifici, in modo tale che inizialmente risulta nuovo, ma alla fine accettabile entro una data cultura. Su questo sfondo si stagliano quelle imprese capaci di alterare radicalmente la nostra comprensione dei fenomeni scientifici o le nostre concezioni del mondo, sia a livello personale che sociale. Tale creatività dovrebbe trovare alimento, specie nei primi anni dell’infanzia, in un’atmosfera trasformativa, mentre un regime pesantemente mimetico dovrebbe avere solo l’effetto di soffocarla. (43) …

Parte prima

Un’educazione americana a metà del secolo

1 – Messaggi conflittuali nell’atmosfera americana

Dalle mie ricerche risulta che i test forniscono informazioni principalmente sull’intelligenza linguistica e logica, con qualche vantaggio per chi ha doti di velocità, flessibilità e superficialità.

È così andata a finire che, paradossalmente, sono divenuto uno dei critici più agguerriti di questi test, poiché sono convinto che, a prescindere da quello che riescono a stabilire, sia sempre molto più importante quello che non riescono a stabilire; spesso questi test non riescono a darci indicazioni proprio sugli attributi e abilità umane più importanti; inoltre mi sembra che favoriscano lo studio di ciò che è facile e convenzionale anziché profondo e creativo, e che le persone che non comprendono tali strumenti attribuiscano loro molti più meriti di quanti non ne abbiano. (58) …

2 – Resistenza alla professionalizzazione

Piaget aveva sviluppato degli eccellenti metodi sperimentali per indagare il pensiero scientifico. Non sarebbe stato possibile adattare tali metodi in modo da poter esaminare nei bambini lo sviluppo di quelle abilità a base di simboli e che sono così importanti nelle arti? E, più in generale, non sarebbe stato legittimo concepire lo sviluppo come mirante alla competenza artistica, proprio come Piaget lo aveva visto finalizzato al pensiero scientifico? …

Gli esercizi su cui ci basavamo … mi diedero un senso preliminare del fatto che si potevano concepire i bambini non tanto come dei piccoli scienziati, quanto come artisti o connoisseurs in via di formazione. … In particolare, scoprii una interessante frattura fra i lavori artistici spontanei dei bambini – che spesso appaiono ricchi di immaginazione – e la loro tutt’altro che entusiasmante riuscita in compiti strutturati a vari livelli di sofisticatezza artistica. Per esempio, le storie raccontate dai bambini di sei o sette anni, i modi di esprimersi usati da bambini in età prescolare e i disegni e dipinti dei bambini piccoli e nei primissimi anni di scuola avevano spesso fascino e originalità e si potevano definire più “ricchi” o “espressivi” di lavori comparabili svolti da bambini con qualche anno in più. … Scoprimmo che fino all’età di nove o dieci anni i bambini non sono in grado di apprezzare lo stile di un’opera d’arte, ma sono attratti dal suo contenuto o soggetto e giudicano il valore di un lavoro e l’identità dell’artista in base ai materiali usati o ai soggetti ritratti. … I bambini di quell’età sono anche insensibili a certe forme di linguaggio figurato; non comprendono le metafore di cui sono spesso popolate le storie che leggono (e che qualche volta raccontano!) e sovente danno un’interpretazione errata dello ‘humour’, dell’ironia o di sottigliezze narrative che richiedono la capacità di assumere il punto di vista di un altro individuo. Inoltre, i bambini di questa età non comprendono alcuni aspetti fondamentali dell’opera d’arte: spesso assumono che i lavori siano stati fatti a macchina anziché a mano, fanno equivalere il valore estetico dell’opera al tempo impiegato per realizzarla o alla difficoltà delle tecniche usate e non riescono ad apprezzare i molti fattori soggettivi richiesti nel completare o valutare un’opera. (99) …

Si può davvero affermare con conoscenza di causa che i bambini fra i cinque e i sette anni, nella nostra cultura, sono simili a degli artisti. Sono desiderosi e perfino ansiosi di stabilire legami, sperimentare idee e procedure nuove, mettere alla prova limiti, sbrigliare l’immaginazione. Non sono ostacolati dalle convenzioni, messi in imbarazzo dai propri sentimenti, intimiditi dai compagni, non hanno una gran cognizione di gusti e preferenze altrui. Il bambino ha un senso di base di ciò che significa inventare una canzone, raccontare una storia o fare un disegno predeterminato e può sfruttare quel senso per creare opere d’arte interessanti e spesso originali.

Intorno al 1970 arrivai proprio alla conclusione che in molti sensi il bambino nei primi anni di scuola è più vicino alla mente (e alla sensibilità) dell’artista di quanto non lo sia qualche anno più tardi. Il bambino di nove o dieci anni, nella nostra cultura, vuole che tutto accada secondo le regole e disdegna qualsiasi linguaggio non letterale o deviazione dal realismo artistico. Per contrasto, i bambini più piccoli con cui lavoravo e giocavo si mostravano pronti ad essere coinvolti in metafore, ad eseguire connessioni sinestetiche e a sospendere le regole onde ottenere l’effetto desiderato. I bambini piccoli, inoltre, si appropriano quasi senza sforzo di linguaggio e pratiche artistiche, mentre altre fasce d’età di solito necessitano di una “mediazione” o di una “traduzione” di tali pratiche, prima di poterle incorporare. Cosa forse più importante, i bambini più piccoli sono disposti a ignorare i modelli degli altri, a fare un gran numero di esperimenti su sagome e forme diverse e a ricorrere a un linguaggio non proposizionale (o non discorsivo) per trasmettere significati per loro importanti. …

Pablo Picasso ebbe un giorno modo di osservare: “Una volta anch’io disegnavo come Raffaello, ma mi ci è voluta tutta una vita per reimparare a disegnare come i bambini”.

Il mio lavoro scientifico iniziale, unito alle osservazioni che avevo svolto in classe, conduceva a un paradosso. Da un lato avevo avuto conferma che i bambini piccoli in molti sensi sono molto artistici. Dall’altro, i miei studi empirici avevano mostrato i numerosi modi in cui i bambini non sono in grado di apprezzare alcuni aspetti essenziali dell’attività artistica. (102) … Eventi successivi avrebbero in parte risolto il paradosso. Scoprimmo infatti che, se le attività artistiche venivano presentate ai bambini piccoli in maniera più accessibile, essi spesso mostravano una comprensione che era stata loro negata sulla base dei test precedenti. Per esempio, quando una metafora appare all’interno di una storia o nella sequenza simbolica di un gioco, anche i bambini piccolissimi ne assorbono il significato. In tali casi il bambino appare simile non solo a un artista adulto, ma dotato anche di una sensibilità percettiva che ricorda quella di un critico d’arte. (103) …

Immagine di copertina tratta da Storica National Geographic.

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