Guerra sottomarina – Parte 2 di 3

Fra i sommergibili italiani il Bagnolini, comandato dal capitano di corvetta Tosoni-Pittoni, affondò l’incrociatore inglese Calypso, ma verso la fine di giugno 1940 furono 10 sommergibili italiani a essere affondati. Il nostro Torricelli affondò il cacciatorpediniere Kartum e la cannoniera Shoreham, terminando con l’autoaffondarsi. Il 10 giugno il Macallè partiva da Massaua per raggiungere Porto Sudan, ma il 15 si incagliò sui frangenti dell’isolotto di Barr Musa Seghir. Tre dei suoi marinai si avviarono in cerca di soccorsi e raggiunsero l’Eritrea. Riuscirono ad avere una spedizione che giunse in tempo per trovare superstiti. Il sommergibile Provana, comandato dal capitano di corvetta Ugo Botti, sostò dinanzi al porto di Orano, quando la cannoniera Curieuse lo speronò e lo tagliò in due facendolo andare a picco con tutti i suoi uomini. Dal 20 giugno in poi furono distrutti il Diamante, l’Argonauta, il Torricelli, il Liuzzi e l’Uebi Scebeli

Dei 117 sommergibili italiani all’inizio della guerra, 72 erano nel Mediterraneo e 42 nell’Atlantico. Alcuni nomi: Da Vinci, Tazzoli, Torelli, Cappellini, Malaspina, Calvi, Archimede, Marconi, Perla, Saint Bon con 14 tubi lanciasiluri, due cannoni da 100 mm e quattro mitragliere antiaeree; Acciaio, Flutto e due grandi incrociatori sommergibili, affondati appena usciti dal porto. Il loro compito principale era quello di affondare i mercantili nemici, poi scortare navi da carico e trasportare nafta a Rommel. Dei 117 sommergibili, più 64 successivi, 87 andarono a picco.

Fino dal tempo della guerra in Etiopia presso la base di Massaua si trovava un gruppo di sommergibili italiani e, quando scoppiò la seconda Guerra mondiale, vi si trovavano 8 unità: Archimede, Galilei, Torricelli, Galvani, Ferraris, Guglielmotti, Perla, Macallé. Allora il Mar Rosso costituiva la principale via di passaggio per gli Inglesi. Fu qui che il Guglielmotti, comandato dal capitano di corvetta Carlo Tucci, affondò la petroliera Atlas. Degli 8 sommergibili della base di Massaua ne andarono perduti 4, fra i quali il Galilei e il Torricelli al Largo di Gibuti. Il Torricelli era riuscito a distruggere il cacciatorpediniere inglese Koutbum, ma finì autoaffondato il 23 giugno 1940. I 4 sommergibili rimasti si sarebbero dovuti portare nel Golfo di Guascogna circumnavigando l’Africa, per un viaggio lungo 80 giorni, ma gli Inglesi avevano minato lo stretto di Bab-el-Mandeb per il passaggio nell’Oceano Indiano. Il mare era in tempesta. Il primo a partire fu il Perla il 1° marzo 1941. Dopo due giorni l’Archimede e il Ferraris. Per ultimo, il 4 marzo, il Guglielmotti. L’8-9 marzo 1941 raggiunsero l’Oceano Indiano. 

Il 25 luglio 1940 veniva firmato un accordo fra Italiani e Tedeschi, per cui si dava la possibilità ai sommergibili italiani di agire nell’Atlantico, con base a Bordeaux. Ma per uscire dal Mediterraneo si sarebbe dovuto superare lo Stretto di Gibilterra, strenuamente presidiato dagli Inglesi. Si sarebbe dovuto passare in immersione. Da agosto a novembre si effettuarono i passaggi poco dopo l’alta marea, nella condizione meno adatta. Il 3 agosto 1940 fece il primo tentativo il Malaspina che dovette fare i conti con le forti correnti avverse. Riuscì comunque a passare. Il 6 ottobre si svolse il secondo passaggio, quello del Calvi. Il 3 novembre toccò al Bianchi al comando del capitano di corvetta Giovannini. Sprofondato e risalito più volte per le correnti impetuose, quando emerse scorse un aereo. Si immerse nuovamente incontrando nuove gravi difficoltà. Emerse ancora e si trovò di fronte tre cacciatorpediniere con i cannoni puntati, più un caccia. Era il 3 novembre 1940 e si diresse verso Tangeri. Così pure capitò al Brin che, inseguito dai cacciatorpediniere inglesi, raggiunse Tangeri il 4 novembre.

Il mito del comandante Bruno Salvatore Todaro, tenente di vascello, al comando del sommergibile Cappellini. Diretto a Bordeaux, in prossimità delle Canarie il 15 ottobre 1940 incontrò un grosso piroscafo, era il Kabalo, 8 mila tonnellate di stazza, 43 uomini di nazionalità belga, carico di varie merci, comandato dal capitano Georges Vogels. Sparò una cannonata di avvertimento contro la prua, seguita dalla fuga dell’equipaggio su due lance. Ma cinque uomini erano rimasti sulla nave. Todaro volle salvarli e li fece salire a bordo del sommergibile. Si accorse poi del grave pericolo in cui erano incorsi i naufraghi delle due lance; vi si avvicinò e fece lanciare un cavo per rimorchiarli, per poi dirigersi verso le Azzorre, ma il cavo si spezzò più volte. Infine Todaro li fece salire tutti a bordo. Era il 17 ottobre 1940, due giorni dopo l’affondamento del Kabalo. Todaro portò in salvo i naufraghi fino a Santa Maria nelle Azzorre: fu un congedo fiero e commovente.

Il Malaspina, giunto nell’Atlantico, si incontrò con la petroliera British Fame di 17 mila tonnellate. La affondò con quattro siluri. L’equipaggio corse alle scialuppe e si diresse verso il sommergibile italiano per cercare soccorso. A bordo salirono soltanto il comandante e il macchinista. Ai restanti naufraghi furono concessi acqua e viveri sufficienti per un paio di giorni. Il 14 agosto 1940 le scialuppe vennero abbandonate, ma le Azzorre non erano lontane e la salvezza era sicura. Il 4 settembre 1940 il Malaspina, guidato dal comandante Leoni, arrivava a Bordeaux. Oltre al Malaspina a Bordeaux arrivarono i sommergibili Tazzoli, Calvi, Finzi, Bagnoli Giuliani, Tarantini, Marconi, Da Vinci, Torelli, Baracca, Marcello, Dandolo, Mocenigo, Veniero, Barbaglio, Nani, Morosini, Emo Faà di Bruno, Cappellini, Bianchi, Brin, Glauco, Otaria, Argo, Delella. A questi era stata assegnato l’Atlantico come zona operativa. Partì per primo il Faà di Bruno l’11 ottobre 1940: comandato dal capitano di corvetta Ernici, non diede più notizie di sé e sparì con 40 uomini di equipaggio. Il Tarantini, al comando di Iaschi, fu affondato il 5 dicembre 1940 dal sommergibile inglese Thunderbolt. Il Malaspina si spinse a nord fino quasi al Circolo polare artico: l’acqua gelava nelle tubature e un compressore si inceppò. Il 13 dicembre 1940 l’Argo perdeva un ufficiale, il tenente di vascello De Santi, subito dopo aver affondato un piroscafo e aver danneggiato il cacciatorpediniere canadese Saguenay. Il Nani, al comando del capitano di corvetta Polizzi, scomparve, pare affondato dalla corvetta Anemone il 7 gennaio 1941 a sudest dell’Islanda. Il 25 dicembre il Tazzoli ebbe la meglio in uno scontro con il piroscafo Everlight e in seguito affondò la bella nave Ardanbahn. Il 4 gennaio 1942 rientrò a Bordeaux. Il Torelli, comandato dal capitano di fregata Primo Longobardi, il 15 gennaio 1941, diretto verso il nord Atlantico, riuscì ad affondare quattro piroscafi. Nella notte del 24 febbraio 1941 il Bianchi affondò la Adrastuss e due piroscafi. Il Marcello non dava segni di vita dal 6 febbraio, probabilmente affondato a ovest delle Ebridi. Il Cappellini di Todaro raggiungeva le coste sudovest dell’Africa, nella zona di caccia assegnata agli Italiani. Fra l’altro il comandante Todaro fu protagonista di un’innovazione straordinaria: quella del darsi del ‘tu’ fra tutti. Il 5 gennaio 1941 Todaro incontrò il Shakespeare carico di materiale bellico; con un intenso duello di artiglieria riuscì ad affondarlo. Il 13 gennaio nei pressi della Sierra Leone, a cannonate mandò a picco l’incrociatore ausiliario Eumeneus di 7 mila tonnellate. Il Cappellini veniva successivamente colpito da quattro bombe di profondità e ritornò alla base dopo 39 giorni di navigazione. Il 14 dicembre 1942, nel canale di Sicilia, da aerei in quota venne colpito alla testa il comandante Salvatore Todaro che terminò la propria esistenza nei pressi dell’isola della Galite. Carlo Fecia di Cossato, comandante del Tazzoli, finirà suicida il 27 agosto 1944 in seguito alla consegna della flotta italiana agli Inglesi.

Il 15 aprile 1941 il Tazzoli scorse un piroscafo scortato e lo colpì a cannonate e con siluri. Il 7 maggio attaccò la nave norvegese Fernlane carica di accessori e motori per aerei; con tre siluri la mandò a fondo. Il 9 maggio rincorse la petroliera Alfred Olsen e la attaccò mandandola a picco. A secco di siluri, dovette rientrare, ma fu attaccato da un aereo; ne subì le conseguenze il mitragliere Capezzuto al quale fu necessario amputare una gamba.

In conclusione, nell’Atlantico i sommergibili italiani avevano affondato 12 piroscafi per 60 mila tonnellate di naviglio. In seguito, nel giugno 1941, affondarono 15 piroscafi per circa 100 mila tonnellate.

Intanto l’Italia e la Germania avevano dichiarato guerra il 12 dicembre 1941 agli Stati Uniti d’America. Pertanto la caccia dei sommergibili si spostò verso le coste orientali del continente americano. I primi a muoversi furono il Da Vinci e il Morosini. Il Tazzoli, comandato da Fecia di Cossato, mandò sul fondo 6 piroscafi nel giro di undici giorni. Il 20 maggio 1942 in acque brasiliane il Barbarigo, comandato dal capitano di corvetta Enzo Grossi, diede l’attacco a una formazione americana, riuscendo ad affondare una corazzata Maryland da 32 mila tonnellate portante otto cannoni da 406 mm. Il 6 ottobre 1941 il Barbarigo con quattro siluri mandò a picco una corazzata Mississippi. Ma alla fine della guerra successe di tutto: vennero contestati i due affondamenti operati dalla Barbarigo. Si riunì una commissione italiana di inchiesta con 18 ammiragli i quali confermarono non essere stati effettuati i due affondamenti.

Nel 1943 fu costruito un nuovo perfezionato sommergibile, il Cagni. L’Archimede terminava la propria operatività nell’aprile del 1943. Il Da Vinci il 23 maggio 1943 venne affondato dal cacciatorpediniere inglese Active e dalla fregata Ness dopo aver affondato a sua volta il transatlantico Empress of Canada e altro naviglio per 26 mila tonnellate. Dei sette rimasti partivano per Singapore il Cappellini l’11 maggio 1943, il Tazzoli comandato dal capitano di corvetta Caito, poi scomparso del tutto, il Giuliani il 23 maggio e poco dopo il Torelli e il Barbarigo, anch’esso repentinamente scomparso. Il Giuliani, catturato dai Giapponesi l’8 settembre 1943, verrà affondato nel canale di Malacca dal sommergibile inglese Tallyho. Accadde lo stesso per il Torelli che verrà affondato dagli Americani nei dintorni di Kobe. E così pure per il Cappellini.

A Bordeaux restavano il Filzi e il Bagnolini che andranno a far parte della Marina tedesca. Il Cagni giunto a Durban nel Sud Africa, si consegnò agli Inglesi. Nel Mediterraneo le cose volgevano male per gli Italiani. L’incrociatore Colleoni fu affondato il 19 luglio 1940. L’11 novembre 1940 le tre corazzate Littorio, Duilio, Cavour furono messe fuori combattimento. Il 28 marzo 1942 presso Matapan furono colati a picco gli incrociatori Zara, Fiume, Pola e i cacciatorpediniere Alfieri e Carducci. Per poco riuscì a salvarsi la corazzata Vittorio Veneto. Agli alti vertici dei Comandi ci si domandò se fosse stato lecito destinare sommergibili italiani all’Atlantico quando il Mediterraneo era rovente. Una decina di sommergibili venne quindi ritirata dall’Atlantico. I primi furono il Perla e il Guglielmotti, poi i sommergibili Brin, Argo, Velella, Dandolo, Emo, Otaria, Mocenigo, Veniero. Passarono indisturbati sotto il presidio inglese di Gibilterra, come era successo 44 volte nel forzare lo stretto in immersione, quando invece i Tedeschi, nel 1941, tentarono con 22 sommergibili perdendoli tutti. L’unico degli italiani a perdersi fu il Glauco. Intercettato il 27 giugno 1941 dal cacciatorpediniere inglese Wishart, dopo un duello feroce si autoaffondò. Si salvarono il comandante, capitano di corvetta Boroni e una parte dell’equipaggio.

A Bordeaux restavano 11 sommergibili italiani. Nel luglio 1941 scomparve anche il Bianchi, comandato dal capitano di corvetta Tosoni-Pittoni. Il 9 settembre 1941 si inabissò anche il Malaspina con 45 marinai e il comandante, tenente di vascello Prini. L’8 settembre era andato a picco il Baracca, bombardato dal cacciatorpediniere inglese Chrome, poi autoaffondato. Così capitò al Ferraris che il 25 ottobre affondò tra le Azzorre e Gibilterra in seguito a un duro scontro con il Cacciatorpediniere Lamerton. E il giorno successivo toccò la stessa sorte al Marconi. I sommergibili italiani rimasti a Bordeaux furono: Calvi, Barbarigo, Morosini, Da Vinci, Cappellini, Finzi. Archimede, Bagnolini, Torelli, Giuliano, Tazzoli.

Il 22 novembre 1941 la nave corsara tedesca Atlantis fu avvistata dal Devonshire e colata a picco. Il successivo 4 dicembre furono recuperati 400 marinai tedeschi grazie all’opera di salvataggio dei sommergibili italiani Calvi, Finzi, Torelli, Tazzoli. Il 15 luglio 1942 il Calvi del comandante Longobardo combatté contro aerei inglesi e da quel momento nulla si seppe più del comandante Longobardo.

Nel fondo del Mediterraneo giacevano 150 sommergibili, per lo più italiani ossia 67 contro i 41 inglesi, i 38 tedeschi e i 4 alleati. Una ventina di sommergibili erano stati affondati dal giungo al dicembre 1940, tra i quali il Lafolè comandato dal tenente di vascello Riccominie il Durbo che, colpito da bombe di profondità, si autoaffondò. Nel corso del 1941 si persero 18 sommergibili, fra i quali l’Adua il 22 settembre. Nel 1942 furono 22 i sommergibili a non rientrare, fra cui lo Zaffiro e il Veniero al comando del tenente di Vascello Zappetta, scomparso il 17 maggio 1942. Nei tentativi di rifornire Malta nell’agosto 1942 l’Emo fu messo fuori combattimento e il Cobalto affondato. Il Corallo, mossosi il 10 dicembre 1942 in direzione Biserta, fu affondato da un cacciatorpediniere alleato. Nel 1943 furono 26 sommergibili italiani a non rientrare, quali il Malachite, affondato in pochi istanti, e il Gorgo. Gli Alleati avevano perso oltre 834 mila tonnellate di mezzi affondati dai nostri Da Vinci con oltre 123 mila tonnellate, Tazzoli con oltre 104 mila e Torelli con quasi 64 mila. Nel Mediterraneo e nel Mar Rosso gli Alleati avevano perso 8 incrociatori, 4 cacciatorpediniere e un sommergibile.

Immagine di Copertina tratta da Harold A. Skaarup.

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