Una gita in montagna tutta speciale – La storia incredibile di un oggetto smarrito

Al limite superiore della Valle d’Incarojo, in Alta Carnia, si apre una conca dall’aspetto attraente, dominata dalla parete severa del Monte Sernio (m 2187) e dalla catena che dal Monte Lodin (FindenigKofel, m 2015), a Nord, si prolunga in direzione Sudest sino alla Creta di Aip (TrogKofel, m 2279) e al Monte Cavallo (RoẞKofel, m 2239), segnando il confine tra l’Italia e la Carinzia austriaca. Al centro della conca sorge Paularo, sede comunale della vallata, all’altitudine di poco inferiore ai 700 metri.

Ora mi riporto a un bel mucchio di anni fa, quando nel mese di agosto, insieme a mia moglie, mi recavo per un periodo di ferie presso la sua famiglia di origine, proprio nella parte più viva della cittadina. Eravamo giovani allora, ricchi di energie, armati di spirito sportivo e di una inesauribile volontà di movimento che, complice la passione per la montagna, ci spingevano a inoltrarci in escursioni interminabili per vallate amene, fino anche a sfidare le cime più superbe, come quella del Monte Sernio, conquistata più volte. Un giorno decidemmo di percorrere un itinerario grossolanamente circolare, con salita da una parte e discesa da tutt’altro versante: molte ore di cammino, occorse l’intera giornata per completarlo. Portammo dunque con noi zaini ricolmi di alimenti energetici e del necessario per rifocillarci nella pausa pranzo. Partimmo assai presto da Paularo in una giornata dispensatrice di un sole generoso e tirammo dritto verso Nord, con la vista della cima del Monte Lodin di fronte. Attraversammo località graziose circondate da prati verdeggianti e da fitti boschi di abeti, sprazzi di ciclamini in fiore qua e là dai lati della strada. Superammo dapprima gli stavoli Battaia, fiancheggiammo la così denominata “Maina della Schialute” e proseguimmo lasciando più in basso il corso impetuoso del torrente Chiarsò tra le forre che portano il nome di “Las Callas”. Superato questo punto dall’aspetto quando mai inquietante ci infilammo lungo il ponticello della Stua di Ramaz che consente di portarsi dall’altra parte del Rio “Das Barbacis-Malinfier”. Poi la svolta a destra lungo le zone adibite ad alpeggio di Casera Melèdis bassa e di Casera Valbertàd bassa fino al Passo Casòn di Lanza dove sorgono la casera omonima, oggi frequentata meta turistica, e l’allora attiva Caserma della Finanza. Qui giunti ascoltammo l’invito di un dolce prato erboso per la sosta del pranzo, era l’ora, dopo lunghe ore di cammino.

Avevo l’abitudine, vagando per i monti, di portare con me alcuni piccoli attrezzi e accessori che sarebbero potuti servire in caso di improvvisate difficoltà e, tra questi oggetti, mai dimenticavo di inserire un pugnaletto con rispettivo fodero in cuoio, della lunghezza complessiva di sedici centimetri, regalatomi a suo tempo, rammento, da uno dei fratelli di mia moglie. Sia come sia, mi ero affezionato a quel pugnaletto che mi tornava utile, come posata multi uso, soprattutto nei momenti del ristoro. Trascorremmo una bella ora in quel paesaggio di sogno. Poi, rifocillati e ricaricati di energie, ci incamminammo, non tornando per la strada già percorsa, ma puntando direttamente verso Sud per risalire la china sulla quale poggiano le pendici del Monte Zermula (La Creta, m 2143) alla nostra destra e dell’aguzzo Zuc della Guardia (m 1911) alla nostra sinistra. Ci portammo al punto più elevato della via del ritorno, la Forca di Lanza (m 1831) sul versante occidentale del Monte Pizzùl (m 1985). Di là già si intravedeva in fondo valle l’abitato di Paularo o le sue adiacenze. Quindi discesa a rotta di collo per Costa di Crignis, per Casera Pizzul con la cappelletta del Redentore e giù giù sino a sorpassare le ridenti frazioni di Ravinis, di Misincinis e, per concludere, a casa, a Paularo, stanchi morti ma soddisfatti ed entusiasti, con nel cuore quella carica emozionale che soltanto il contatto diretto e ammirato con la montagna può donare. Era anche ormai il momento di svuotare gli zaini del loro contenuto. Tutto fuori allora. Ma, con mia amara sorpresa, il pugnaletto non c’era. Approfondimmo le ricerche, persino frugando a fondo nelle nostre tasche. Era evidente: l’avevo perso oppure, cosa assai più probabile, non l’avevo più rivisto al termine del nostro pranzo e inavvertitamente avevo richiuso il mio zaino senza pormi altre domande. Quella sera rimuginavo fra me, profondamente dispiaciuto dell’accaduto: non posso averlo smarrito strada facendo, lo zaino non l’avevo aperto più sino a casa: dunque, l’avevo lasciato sul posto di quella verde sosta, invitante e traditrice. Che fare? Non ci pensai due volte, le gambe le sentivo pienamente in forma, ero giovane e vispo, avrei preso una decisione fulminea.

Il dì seguente se ne andarono le ore del mattino e, terminato l’appuntamento meridiano al desco familiare, mi rivolsi a mia moglie: “Andrò a fare due passi verso la zona di Ravinis, tanto per sgranchirmi le ginocchia, ci vediamo dopo”. Lei, che ben mi conosceva, avrà intuito che stavo per mettere in atto uno dei miei propositi a dir poco originali e un po’ mattacchioni. E così fu. Partito di buona lena, risalii tutto il percorso che il giorno precedente era stato quello del ritorno; con passo agile e premuroso bruciai, per così dire, gli oltre mille e cento metri di dislivello e in non molto tempo guadagnai la Forca di Lanza. Discesi con balzi da camoscio la china che porta al Pian di Lanza e mi diressi frettolosamente verso il punto nel quale mia moglie e io avevamo sostato per consumare il pasto bivaccando. Spostai lo sguardo poco poco e, in men che non si dica, qualcosa che luccicava al sole mi scosse. Lì diressi i miei passi e… eccolo, il mio pugnaletto, sano e salvo, per fortuna nessuno l’aveva intravisto altrimenti non l’avrei trovato più. Lo raccolsi e lo ripulii con cura dalle ultime gocce ancora apparenti con le quali la rugiada mattutina lo aveva baciato come per serbarlo al sicuro da un inopportuno ritrovamento. Lo tenni ben custodito con me e ripresi la scalata sullo scosceso sentiero per la Forca di Lanza con successiva ridiscesa fino a casa, sicuramente a tempo di record.

Restarono tutti sbalorditi nel vedermi superare la soglia di casa con il pugnaletto in mano, in bella mostra. Tutti, ma un po’ meno mia moglie perché conosceva a fondo di quale tempra ero fatto, per carattere e per vigore fisico. Da quel giorno aumentai l’attenzione nel riporre gli oggetti estratti dallo zaino durante le gite in montagna, perché sempre quel pugnaletto lo portavo con me e tuttora mi accompagna nel mio peregrinare che è diventato più di desideri e di cari ricordi che non di ardite scorrerie per monti e valli.

Immagine di copertina tratta da Bergsteigerdörfer.

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