Che cosa succede in Africa? Il 1° febbraio 1943, in contemporanea alla capitolazione di von Paulus a Stalingrado, in Africa del Nord le truppe di Rommel vanno incontro a grossi guai. È la data in cui cade il mito dell’invincibilità tedesca. Il dubbio inizia a impadronirsi degli alleati della Germania. In Italia cresce l’inquietudine. Il 22 febbraio Mussolini propone a Hitler di chiedere alla Russia una pace separata, ma Hitler è inflessibile, nessuna richiesta del genere. Per il popolo tedesco si indicono due giorni di lutto nazionale, il 4 e il 5 febbraio. A Monaco affiorano sentimenti antinazisti con una rivolta ideologica che sfocia in un movimento clandestino detto “Le Lettere della Rosa Bianca”. I promotori, Hans Scholl, sua sorella Sophie e il prof. Kurt Huber con alcuni studenti vengono arrestati. Hans e Sophie vengono sottoposti a interrogatori e a torture, poi condannati a morte. In opposizione al nazismo sorge il “Circolo di Kreisau”. Negli ultimi giorni di febbraio viene dato il via all’operazione “Flash” che ha come obiettivo l’eliminazione di Hitler. Il piano prevede che un gruppo di insorti, capeggiati da von Schlabrendorff, agisca a Smolensk (350 km circa ovest di Mosca) dove si terrà una riunione dello Stato Maggiore. Il piano d’azione oscilla fra la decisione di sparare addosso a Hitler durante l’assemblea e quella di nascondere una bomba a orologeria sull’aereo che lo riporterà a Berlino. Prevale la seconda tesi. Ma le bombe tedesche hanno una spoletta a ritardo rumorosa, per cui si sceglie una bomba di fabbricazione inglese, assolutamente silenziosa. Il 13 marzo Hitler arriva a Smolensk. La bomba sarebbe dovuta esplodere entro trenta minuti dalla partenza dell’aereo, ma nulla accadde. Con l’operazione “Flash” falliscono altri cinque attentati alla persona del capo supremo nel corso del 1943. Hitler sta vagheggiando il piano di scatenare una irresistibile offensiva ai primi di luglio, ma sul fronte orientale i Tedeschi continuano a collezionare una serie di sconfitte: Mosca, Leningrado, il Caucaso. Il 2 febbraio i Russi sono a ridosso del fiume Donetz (affluente del Don nella sua parte terminale) dove tentano di accerchiare la 4a Armata tedesca. Von Manstein ne intuisce il pericolo e si prova a convincere Hitler a far ripiegare la 4a Armata lungo il corso del Dniepr, più a ovest in Ucraina. Il NO di Hitler arriva resoluto, perché il dittatore considera il bacino del Donetz alla stregua di un obiettivo strategico, essendo ricco di miniere di carbone. Von Manstein obbedisce all’ordine di difendere il Donetz e di costituire una forte difesa attorno a Kharkov, ma poco dopo anche Hitler comprende le difficoltà di tale manovra, e la 4a Armata può iniziare la ritirata.
Il 21 febbraio i Tedeschi lanciano al contrattacco 25 divisioni, per la metà corazzate. Il 10 marzo ha inizio la battaglia di Kharkov; la città cade il 15 e poco dopo l’Esercito tedesco occupa anche Belgorod, una settantina di chilometri a nord di Kharkov. Ora Hitler si dà da fare per preparare l’offensiva di primavera, l’operazione “Cittadella” per la fine di giugno. Una parte dei collaboratori di Hitler, i generali Guderian, von Kluge, von Manstein, von Kleist, non è d’accordo: sarebbe una follia battersi con i Russi che al momento dispongono di 5 milioni di combattenti, di fabbriche operanti al sicuro, di circa tremila carri armati, di un’artiglieria formidabile e degli aiuti provenienti dagli Stati Uniti. Hitler ha già predisposto alcuni dettagli: la battaglia divamperà a sud di Mosca, nell’area fra Orel, Kursk e Belgorod. Pensa di gettare tutte le forze sul Don, poi sul Volga e raggiungere infine Mosca. Affida il compito al generale von Kluge per l’attacco nella parte nord e al generale von Manstein per il centro e il sud. L’operazione “Cittadella” sarà condotta con la messa in campo di 18 divisioni di Fanteria e di tremila carri armati. I Russi si premuniscono con la posa di una enorme quantità di mine nell’area di Orel. L’operazione esordisce il 5 luglio con un feroce martellamento dell’artiglieria e con una nutrita serie di incursioni degli Stukas tedeschi. Poi è l volta di 500 carri armati. I Russi resistono per lungo tempo; verso l’imbrunire i carri armati tedeschi sfondano, ma non progrediscono per più di 6 chilometri e al costo di gravi perdite. La 4a Armata di von Hoth balza in avanti per 11 chilometri, ma anch’essa subisce forti perdite.
Il 6 luglio il generale tedesco Model, nella previsione di poter avere il sopravvento, manda avanti anche le riserve che ha a disposizione, ma dall’altra parte il generale Rocossovsky lancia all’assalto le proprie truppe. Ne segue uno scontro furibondo che si conclude con il bilancio di 20 mila uomini fuori combattimento da una parte e dall’altra. Ogni giorno che passa il potenziale combattivo della Wehrmacht va calando. Le perdite sono pesanti: 800 carri armati nel solo 7 luglio. Il 12 luglio è il generale Rotmistrov a sviluppare un forte contrattacco di carri armati. Ancora 400 carri tedeschi vengono resi inutilizzabili. In una settimana i Tedeschi hanno perso 2609 carri armati e 1037 aerei. Per i generali tedeschi diventa impossibile portare avanti un’altra azione offensiva. Per i Russi nondimeno le perdite sono assai alte, ma i generali Popov e Koniev possono contare su un buon numero di riserve e decidono di attaccare ai fianchi gli schieramenti tedeschi, riportando notevoli successi.
Nel bacio del Donetz sono accampate le truppe di von Manstein, che il generale Vassilivsky intende accerchiare, con obiettivo il centro di Orel. Il 12 luglio la Guardia Rossa del generale Timocenko sfonda e si porta avanti di una quarantina di chilometri mettendo fuori uso duemila carri armati tedeschi e fuori combattimento 12 mila uomini della parte avversa. I Tedeschi arretrano, ma lasciano dietro di sé distruzioni e vittime. Siamo alla fase della ritirata per i Tedeschi i quali continuano a seminare stragi al proprio passaggio. Per altro verso i carri armati russi nella loro avanzata giungono ad appena 10 chilometri da Kharkov. A von Manstein non ci vuole molto per capire che nelle prospettive dei Russi sta l’accerchiamento del bacino del Donetz; pensa dunque di mettere in salvo i suoi 800 mila uomini ordinando con premura la ritirata fino alle sponde del Dniepr, mentre il 23 agosto le avanguardie russe di Vatutin fanno il loro ingresso trionfale in Kharkov. Al sud, il 30 agosto i Rossi occupano Taganrog e il 7 settembre sono a Stalino. Dieci giorni dopo conquistano Novorossik sul Mar Nero, il giorno 25 liberano Smolensk e alla fine di settembre sono sul Dniepr. Ora tocca a von Manstein il quale, per evitare l’accerchiamento, lancia un poderoso contrattacco il giorno 14. Le armate tedesche sono in difficoltà crescente perché devono fare i conti con più di un fronte: Balcani, Italia, Francia, Norvegia e fronte russo, mentre le munizioni si fanno sempre più scarse e le divisioni di soldati hanno perso la consistenza originaria.
Il 9 giugno i Russi corrono verso la Finlandia facendo rombare da 300 a 400 cannoni per ogni chilometro. Il 20 giugno il generale Govorov conquista Viborg. Sul fronte dell’est segna il suo inizio la battaglia dei Paesi Baltici con le conquiste operate dai generali Bagramian, Eremenko e Maskolnikov. A questi movimenti i Tedeschi oppongono una trentina di divisioni agli ordini del generale Lindemann.
Il 25 luglio a Mosca si esulta per la vittoria. L’Armata Rossa ha inflitto i Tedeschi perdite per 380 mila morti, 150 mila prigionieri e una montagna di materiale bellico.
A Varsavia un’ecatombe di dolori si abbatte sugli Ebrei del ghetto, sotto le sevizie inflitte dal generale delle SS Stroop. Oltre 66 mila Ebrei vengono catturati o sterminati dalle formazioni SS. Il ghetto comprendeva 400 mila Ebrei tenuti in stato di prigionia sin dal novembre del 1940. I deportati arano stipati in vagoni merci e destinati al campo di sterminio di Treblinka.
Il 1° agosto 1944 Varsavia insorge sotto la guida del generale Bor-Komorowsky. I partigiani attaccano i mezzi corazzati tedeschi con le bottiglie “molotov”. Il centro di Varsavia è bombardato dall’aviazione tedesca che si avvale di micidiali bombe incendiarie al fosforo, mentre a terra le formazioni tedesche arrecano disastri su disastri.
I Russi si astengono dal muovere in aiuto dell’esercito clandestino guidato da Bor-Komorowsky perché lo credono connivente con i Tedeschi, ma il 10 settembre decidono di attaccare in forze i sobborghi orientali di Varsavia e dal 12 al 15 settembre realizzano l’occupazione di Praga. A Varsavia vengono richiesti aiuti ai Russi, aiuti che non arriveranno mai. Il 28 settembre, pertanto, il generale Bor-Komorowsky è costretto a porre termine ai combattimenti e il 2 ottobre viene firmata la capitolazione.
Il 20 agosto è la data in cui si scatena l’offensiva sovietica. Sono 94 divisioni e 7 corpi corazzati che, agli ordini dei generali Malinovsky e Tilbukhin, si muovono contro il fronte tedesco-romeno del Mar Nero. I Russi indirizzano le proprie forze d’assalto contro le difese apprestate dai Romeni che, esausti fisicamente e moralmente, hanno in soprappiù il compito di difendere di ben 287 chilometri di fronte. Lo sfondamento riesce: le forze russe possono penetrare nella breccia creata e si portano in Moldavia causando agli avversari 25 mila morti, oltre 12 mila prigionieri e materiale da guerra preso o distrutto. A tal punto che il re Michele di Romania fa arrestare il generale Antonescu e si appresta a negoziare con i Russi, ordinando il 23 agosto alle ruppe romene di rinunciare alla resistenza. I Tedeschi, braccati dai Russi, vengono battuti, con sei generali della 6a Armata caduti in battaglia. Il 6 settembre i carri armati russi sono sul Danubio. È il caos generale: anche la Bulgaria cede; il 5 settembre Mosca le dichiara guerra e quattro giorni dopo è la stessa Bulgaria a dichiarare guerra alla Germania.
È la giornata del 7 settembre 1944 quando 5 divisioni corazzate sovietiche si approssimano alla capitale ungherese: è la 6a Armata della Guardia che si porta a soli 50 chilometri da Budapest. Il giorno 10 il Danubio è raggiunto dai mezzi corazzati sovietici; inizia così la battaglia per Budapest. Guderian chiede al capo supremo di inviargli rinforzi, perché il 20 dicembre le divisioni del generale Friessner stanno subendo una forte offensiva delle forze russe. Il 24 la 6a Armata tedesca ha ceduto sul Danubio e sul lago Balaton. Dopo molto tergiversare Hitler invia a Budapest rinforzi, ma la superiorità degli schieramenti russi è molto grande: 11 a 1 per la fanteria, 7 a 1 per i mezzi corazzati e 20 a 1 per l’artiglieria. Hitler ricorre a provvedimenti estremi: ordina la mobilitazione generale del popolo tedesco, reclutando uomini dai 16 ai 60 anni, per un totale di 500 mila unità.
Intanto vanno prendendo corpo i presupposti della Conferenza di Yalta (Crimea, dal 4 all’11 febbraio 1945) con Roosevelt, Churchill e Stalin che concordano nella deliberazione di annientare la Germania, in forma totale e incondizionata. Si progetta di affidare l’amministrazione della Germania a una commissione formata da governatori militari alleati e di procedere allo smembramento della città di Berlino in quattro settori di occupazione. Infine si delibera di far addebitare alla Germania i danni di guerra per la somma favolosa di 20 miliardi di dollari, di cui la metà destinati alla Russia. Il 12 gennaio 1945 le truppe del generale Koniev portano un furioso attacco nel sud della Polonia. A ovest della Vistola sono 12.000 bocche da fuoco, come dire 250 cannoni ogni chilometro, a colpire la difesa tedesca che crolla in breve tempo. L’obiettivo di Koniev è quello di spingersi verso l’Oder, ad appena un centinaio di chilometri da Berlino e conquistare la città di Breslau. Per altro verso il generale Zukov fa pesare la forza aggressiva delle truppe russe su Varsavia, dando voce contemporaneamente a 22.000 cannoni e sfondando verso l’Oder. Alla fine del mese di gennaio 1945, mentre Koniev e Zukov sono sull’Oder, Eisenhower ha raggiunto il Reno. Hitler, continuando a ordinare la resistenza a oltranza, pensa di far bene consegnando pieni poteri a Himmler sul fronte della Vistola. Ma la Germania sta andando incontro a un disastro totale: negli ultimi tre mesi sono cadute sul suo suolo 34 milioni di bombe, 650.000 edifici colpiti e distrutti, 480 mila civili uccisi o feriti, 7 milioni di persone senza tetto. Soltanto nella giornata del 3 febbraio 1945, in meno di un’ora, su Berlino sono state gettate 2300 tonnellate di bombe dirompenti. Ed è lo stesso Himmler che, nemmeno trascorsi due mesi dalla sua nomina, presenta la propria rinuncia. Al suo posto Hitler nomina, il 20 marzo, il colonnello generale Heinrici. Il 28 marzo anche Guderian viene messo in congedo, sostituito dal generale Krebs. Ormai lo Stato supremo tedesco ha perso anche il senso della realtà: carte geografiche alla mano, si fanno manovrare divisioni che più non esistono. I rapporti fra Hitler e il capo dello Stato Maggiore Generale degenerano: Guderian viene aggredito da Hitler per aver proposto di far piegare la Germania di fronte agli Alleati occidentali. Hitler era coadiuvato da tre personaggi dei quali avrebbe fatto bene a non fidarsi troppo, tutti avidi di potere e protesi a diventare i sostituti del capo supremo. Uno di questi era Albert Speer, molto vicino a Hitler; il secondo era Hermann Goering, attento ormai a interessi del tutto personali; infine Heinrich Himmler, il capo delle SS, spietato esecutore di decisioni infami.
Le armate di Tolbukhin e di Malinovsky sono padrone di Budapest a far data dal 15 febbraio, quando Hitler dà l’ordine di un attacco, quello che dovrebbe decidere le sorti della situazione, nella zona del lago Balaton. L’ordine perviene al generale delle SS Joseph Dietrich sul quale Hitler ripone la fiducia della salvezza estrema della Germania. Il 5 marzo, forte dello schieramento di 20 divisioni, Dietrich muove all’attacco, riesce a sopraffare le formazioni di Tolbukhin e a portarsi in vista del Danubio, ma ben presto è costretto a fermarsi perché il carburante è esaurito. La situazione si ribalta, ora è Tolbukhin a contrattaccare sino a sfondare, il 15 marzo, le linee tedesche. Per i Germanici si mette male, perché contro di loro si rivoltano le truppe romene e la stessa Turchia. Dietrich, sconfitto, incassa in aggiunta l’accusa di vigliaccheria pervenuta dalla Cancelleria del Comando supremo e rivolta alle divisioni combattenti. Alla Cancelleria di Berlino entra in scena Albert Speer, intimo di Hitler, nel tentativo di convincere il capo a proporre la capitolazione agli Alleati occidentali, ma Speer per tutta risposta viene esonerati da tutti i propri incarichi. Speer non demorde: pur di salvare il salvabile della Germania riesce a trovare alleanze. Arriva persino a boicottare gli ordini del potente Martin Bormann, il segretario personale di Hitler, il quale il 23 marzo ordina che tutte le popolazioni dell’est e dell’ovest vengano fatte evacuare. Il 30 marzo Speer insiste nel dichiarare la sconfitta generale.
Succede che anche le venti divisione tedesche, presenti in Italia, siano bloccate dai continui bombardamenti degli Alleati. Il 2 aprile Tolbukhin entra con i carri armati in Wiener-Neustadt e requisisce le officine sotterranee addette alla fabbricazione di aerei a reazione. Il 5 aprile le truppe corazzate di Malinovsky si sono di molto avvicinate a Vienna e Bratislava cade due giorni appresso. Intanto Malinovsky avanza nel territorio della Boemia. Il 13 febbraio assiste a una scena fra le più brutali delle escursioni aeree: la splendida città di Dresda viene letteralmente rasa al suolo, con tutte le sue ricchezze artistiche e monumentali. Per la popolazione tedesca la primavera del 1945 è peggio dell’inferno. In fuga disperata sono incolonnati Tedeschi della Curlandia, Prussiani dell’Est e della Pomerania. Sono milioni di persone che cercano la salvezza incontrando invece, in moltissimi casi, la morte, cercando una via di scampo verso il fiume Neisse o verso il litorale marino. La colpa di queste inimmaginabili sofferenze ricade senza dubbio alcuno su Hitler come su Himmler, su Goebbels, su Bormann che osteggiarono ogni tentativo di evacuazione. Per i migranti, i battelli in vista venivano presi d’assalto, pur di fuggire da quella maledizione. Qualcosa come diecimila persone al giorno riuscivano a sfuggire a una tragica sorte. Terminato il mese di aprile, erano circa 400 mila le persone evacuate, ma di queste ben 100 mila non raggiunsero la salvezza. Si rammenta la sorte del piroscafo Goya che il 16 aprile portava 5.385 persone delle quali, in seguito a naufragio, si salvarono soltanto 163.
Nello stesso 16 aprile 1945 si scatena un’offensiva aerea sovietica, con la forza di cinquemila caccia e bombardieri che colpiscono le rive occidentali dell’Oder e della Neisse con una tempesta di bombe, seguiti da migliaia ci bocche da fuoco che, a terra, gettano disastro con i loro tiri mortali. Ora i generali Zukov e Koniev muovono su Berlino, nel tempo in chi gli Americani conquistano Norimberga.
Hitler, verosimilmente, non sa più che pesci pigliare e lancia l’ordine di inviare al fronte tutti gli uomini abili. Nello stesso tempo pensa di poter rovesciare la situazione a proprio favore impiegando i nuovi 180 caccia e bombardieri a reazione di cui può disporre. È il tempo in cui il dittatore inizia a farneticare, a vedere ciò che non esiste e a non rendersi contro della realtà dei fatti. Il suo medico personale, Theodor Morrell, lo stracarica di stricnina e di atropina, di sulfamidici e di ormoni, ne fa quasi un automa ambulante. Si crea un’atmosfera da follia, condivisa nel bunker della Cancelleria da Goebbels, Himmler, Goering, Bormann, von Ribbentrop, Doenitz, Keitel, Krebs (succeduto a Guderian) e Jodl. Hitler va congetturando di affidare il comando militare della parte nord all’ammiraglio Doenitz e della parte sud a Kesselring. Aleggia fra i tanti la speranza di succedere a Hitler nel comando. Nella disperata attesa dell’irreparabile è Himmler che si dà da fare addirittura per salvare numerosi Ebrei: il 22 aprile riesce a metterne in salvo 3.500 in terra di Svezia. Per conto suo, Goering è più preoccupato di mettere in salvo le proprie fortune e ricchezze accumulate in servizio.
Il 21 aprile 1945 si ode il frastuono di 100 o 120 pezzi d’artiglieria in azione che sparano contro Berlino da appena 12 chilometri di distanza, e ad Hohenlychen è Heinrich Himmler a continuare nei suoi tentativi di suggellare trattative segrete per portare a casa la pelle.
Il giorno 24 aprile segna la congiunzione delle armate di Zukov e di Koniev nella località di Ketzin, nei pressi di Berlino. Il generale Voronov, per parte sua, ha già disposto lo schieramento di 610 bocche da fuoco per ogni chilometro, pronte a gettare 25.600 micidiali tonnellate di proietti su Berlino. Nel contempo la Fanteria della 1a Armata della Russia Bianca percorre le vie della città per abbattere le resistenze naziste. Anche Americani e Russi si incontrano, e ciò avviene a Torgau, sul fiume Elba il 25 aprile. Affluiscono poi altre truppe americane, alcune provenienti dal Nord Italia.
Il 29 aprile alla Cancelleria del Comando supremo tedesco si viene a sapere del tradimento perpetrato da Himmler il quale ha prospettato la capitolazione al generale Eisenhower. Ma non si tratta di un caso isolato, sono dello stesso parere anche Doenitz, Keitel, Jodl. Hitler esplode in una delle sue solite crisi di collera: Nomina Doenitz come suo successore, mentre si dà a radiare dal partito Goering e Himmler destituendoli da ogni nomina. Trattiene soltanto al proprio fianco il dott. Goebbels, Bormann e Seyss-Inquart.
Il 30 aprile alle 15,30 Hitler si suicida con un colpo di pistola in bocca; sua moglie Eva Braun – si erano sposati il giorno precedente – finisce avvelenata. I corpi vengono dati alle fiamme, come è stato tramandato.
Il 2 maggio le truppe di Zukov e di Koniev portano a termine la completa occupazione di Berlino. Il governo presieduto da Doenitz il 7 maggio 1945, alle ore 2,41 in un edificio scolastico di Reims, accetta la resa senza condizioni e Jodl firma la capitolazione da parte germanica. Himmler, catturato dagli Inglesi, si suicida. Goering tenta ancora una via di salvezza cercando la benevolenza degli Americani.
Nella notte fra l’8 e il 9 maggio, presso la Scuola Militare di Berlino, il generale Georgij Konstantinovic Zukov fa introdurre nella sala il generale Keitel, con tutto il proprio seguito. Alla mezzanotte e sedici minuti Keitel appone la propria firma, seguito da Stumpf e da Friedeburg, sui protocolli della capitolazione. Segue la firma degli Alleati, alla mezzanotte e ventotto minuti.