Tedeschi e Italiani in Russia – Il secondo flagello planetario – Parte 5 di 6

L’8a Armata italiana, al comando del generale Gariboldi, segue la 3a romena. Si dispongono inoltre il 29° corpo d’Armata costituito da tre divisioni italiane, e il 35° corpo formato dalla 298a divisione tedesca, il 2° e il corpo d’Armata alpino. Queste divisioni alleate sono schierate sulla riva sud del corso mediano del Don, miseramente armate, prive di riserve di qualche rilievo, gravate di un compito di copertura del tutto illusorio per via del fronte assai esteso e privo di profondità, mentre i Russi potevano disporre di un fronte ben articolato tra il Caucaso e Voronej (Voronež, 200 km circa a nord di Rossoš). Ai Sovietici sarebbe bastato annientare la protezione degli alleati dei Tedeschi per gettarsi con forza sulle Armate naziste. La condizione di inferiorità degli alleati di Hitler influiva ancor più sulla rapidità nell’effettuare trasporti di truppe, data la disponibilità dell’unico passaggio disponibile sul Dniepr. Stalin stava preparando un attacco a nordovest e a sud di Stalingrado con intenzioni di accerchiamento. Pensava di utilizzare due raggruppamenti per scagliarli contro le forze nemiche a protezione delle vie di comunicazione della 6a Armata tedesca. Dipoi si sarebbe servito di un terzo raggruppamento strategico che avrebbe dovuto attraversare il Don nei presso di Nova Kalitva (Nowo Kalitva), dove era schierata la Cuneense, 30 km circa da Rossoš) a 200 km circa ovest-nordovest da Serafimovich. Il primo urto, infatti, si ebbe contro le Armate alleate dei Tedeschi: la 3a e 6a romene, l’8a italiana e la 2a ungherese. L’attacco sovietico è sferrato a opera di 13 Armate con 11 corpi corazzati o motorizzati, di squadriglie di caccia e di bombardieri della flotta di Krassovsky e dei generali Rudenko e Khriukin, e con la direzione delle operazioni affidata al generale Vassilievsky. Sul fronte di Stalingrado opera il generale Eremenko; sul fronte del Don il generale K.K. Rokossovsky che, già a partire dal 15 novembre, aveva organizzato nei pressi del Don un allestimento ben occultato di uomini e materiali. La 57a Armata russa annienta la 4a divisione di Fanteria romena. Le operazioni di riconquista portate a nordovest e a sud di Stalingrado costituiscono altrettanti punti di partenza per scatenare una controffensiva generale di ampia portata. La Luftwaffe si avvede di alcuni indizi rivelatori dei preparativi a est del Don, ne informa i Comandi superiori i quali non attribuiscono alcuna importanza alla segnalazione. Siamo al 19 di novembre e il generale Voronov dal suo Quartier Generale di Serafimovich dà l’ordine di inizio bombardamento all’artiglieria che fa sentire la voce di 70 bocche da fuoco per chilometro. I primi Fanti che si gettano all’attacco sono quelli della 76a divisione. Verso l’ora del mezzogiorno due corpi di Cavalleria e 21 divisioni di Fanteria rompono il fronte nelle posizioni tenute dai soldati romeni. Il giorno seguente si vanno formando fitti banchi di nebbia che impediscono l’effettuazione dei tiri di preparazione delle bocche da fuoco sovietiche. Il diradamento della nebbia, più tardi, dà il via al cannoneggiamento che da subito spezza in tre punti la linea di difesa romena. Il generale romeno Antonescu avvisa i Comandi superiori tedeschi che la 3a Armata non ha riserve da mandare avanti, e il generale Lascar, al comando di quattro divisioni ormai accerchiate, riferisce di aver esaurito le munizioni. Il 23 novembre, informato dei fatti, Hitler risponde al generale Antonescu con belle e rassicuranti parole, pontificando gratuitamente che l’ultima parola sarà quella del Comando migliore in campo e delle migliori truppe, alle quali la vittoria arriderà. Lo stesso giorno le quattro divisioni del generale Lescar sono annientate e il loro comandante tratto in prigionia dai Russi. In quanto alla 6a Armata di von Paulus, essa è ancora prigioniera di accerchiamento fra il Don e il Volga.

Tenere duro a ogni costo.

Von Paulus informa il capo supremo che la propria Armata si trova quasi agli sgoccioli per munizioni e riserve di carburante e che l’Armata stessa rischia di essere annientata. Implora l’autorizzazione a ritirare tutte le divisioni tedesche da Stalingrado e dal fronte nord. Alla sua richiesta aderiscono pienamente i generali Heitz, Strecker, Hube e Janecke. Il 24 novembre Hitler non fa altro che imporre di tenere duro, persino di fronte alle proteste del generale Zeitzler che ricopre la carica di capo di Stato Maggiore. Alla stessa data, con la 6a Armata si trova accerchiato pure il 14° corpo corazzato e la 4a Armata corazzata non dispone che di due visioni ancora al completo della consistenza. Con riferimento alla 3a Armata romena, che è stata accerchiata al centro dove opera il generale Lascar, rimangono soltanto tre divisioni del 1° e del 2° corpo d’Armata sul Don, a fianco dei reparti italiani. Il bilancio degli scontri sostenuti è pesantissimo soprattutto per le forze germaniche che hanno perso 14 divisioni con 100 mila morti, 66 mila prigionieri e numeroso materiale bellico depredato. Nonostante tutte le cattive notizie, Hitler pensa che si debba resistere per tutto l’inverno, per poi riprendere l’offensiva nella primavera del 1943. Per intanto richiama da Leningrado il generale von Manstein, il vincitore di Sebastopoli, e gli affida il comando del Gruppo di Armate del Don. Tuttavia von Manstein fa andare in bestia Hitler nel momento in osa proporgli l’evacuazione del Caucaso. Intanto i Russi avanzano e realizzano il piano di accerchiamento delle Armate tedesche i cui uomini, alla fine di novembre, danno chiari segni di sfinitezza. Mentre i Tedeschi vanno restringendo il proprio fronte che alla fine di novembre si riduce a 1.500 km quadrati, il 4 dicembre successivo i Russi attaccano e si riversano solle posizioni nemiche di Stalingrado e del Don.

Hitler pensa di condurre una nuova operazione, la “Tempesta Invernale” così detta, con lo scopo di aprire un corridoio per portare soccorso alla 6a Armata che si trova accerchiata. L’inizio dell’operazione è fissato per il 12 dicembre: l’infernale musica inizia con una pesante preparazione di artiglieria e con fitte incursioni aeree, dopodiché le formazioni comandate da von Hoth , coadiuvate da 200 carri armati, si gettano all’attacco. I Tedeschi riescono a sfondare. Allora Eremenko ne informa Stalin il quale promette l’invio di riserve. Il 14 dicembre le riserve arrivano con carri e artiglieria e con il 4° corpo motorizzato. Si sviluppa un forte contrattacco che costringe i Tedeschi a ripiegare verso il fiume Aksai. Il generale Eremenko, per il quale la situazione neppure è foriera di ottimismo, chiede a Nikita Kruscev dello Stato Maggiore di Mosca l’invio di un corpo motorizzato, di uno corazzato e di due corpi d’Armata di Fanteria. Viene accontentato e subito si dà ad organizzare una sicura linea di difesa lungo il corso dell’Aksai.

Il 16 dicembre il generale von Manstein invia a Stalingrado il maggiore Eisman perché renda noto a von Paulus che dovrà preparare la sua 6a Armata all’operazione “Colpo di fuoco” che dovrebbe coronare il successo della precedente operazione “Tempesta invernale” portata a termine dalla 4a Armata corazzata del generale Hoth. Ma il gruppo corazzato di Hube ha quasi esaurito il carburante. L’attacco si svolge il 19 dicembre a opera delle divisioni corazzate 6a e 23a, appoggiate dalle incursioni aeree degli Junker e dei Messerschmitt. I Tedeschi si fanno forti delle penetrazioni in alcuni settori, ma restano in attesa del peggio. Le forze del generale Vatutin abbattono l’ala sinistra della 3a Armata romena. Le formazioni del generale Golikov, scagliandosi nel settore Krasno-Jurauka, piegano la resistenza delle divisioni italiane di Fanteria Ravenna e Cosseria. La 385a divisione tedesca di Fanteria viene demolita a Novaia-Kalitva. I mezzi corazzati sovietici spadroneggiano nella pianura del Don costringendo alla ritirata il 35° corpo d’Armata italiano e il 25° tedesco. Il 23 dicembre von Manstein fa inviare una divisione della 4a Armata corazzata del generale Hoth sul fiume Tchir. Per altro verso l’Alto Comando sovietico prepara un piano che dovrà decretare la distruzione del gruppo di Armate Hoth. Eremenko propone l’effettuazione di un attacco lungo il corso del Don, da attuarsi per opera delle unità della Guardia e della 51a Armata, per la data del 24 dicembre con l’utilizzo immediato di 4 corpi d’Armata.

L’operazione “Colpo di tuono” ha inizio il 24 dicembre con l’attacco della 2a Armata della Guardia e della 51a sovietiche contro le truppe di Hoth e di von Manstein. Il giorno 26 si infrange il fronte tedesco sull’Aksai: il 7° corpo d’Armata corazzato del generale Rotmistrov costringe le forze tedesche e romene a ripiegare in direzione sud. Von Manstein ha bisogno urgente di rinforzi e chiede l’invio di una divisione a Rostov, ma i Russi al momento sono superiori in forze e spingono al ripiegamento la 4a Armata corazzata di Hoth. Il momento più caldo della battaglia è quello del 27 dicembre nella località di Kotelnikovo. In definitiva le truppe russe sono avanzate di 100-150 chilometri liberando dai Tedeschi oltre 130 località tra il 12 e il 30 dicembre 1942. L’ultimo giorno dell’anno Hitler, contrariamente al proprio stile di comando, dà ordine che sia ritirato da ovest il corpo corazzato SS. Per la 6a Armata, a questo punto, nulla c’è più da fare.

Ora i Russi impongono il blocco aereo su Stalingrado, mobilitando all’occasione la contraerea e l’aviazione da caccia, riuscendo in tal modo ad abbattere oltre mille aerei nazisti. Di conseguenza la 6a Armata di von Paulus, che abbisognava quotidianamente di 700 tonnellate di generi alimentari, di munizioni e di carburante, nella prima metà di dicembre deve fare i conti con una disponibilità di appena 97 tonnellate al giorno. La razione di pane, per i soldati tedeschi in Stalingrado, è ridotta a 200 grammi giornalieri pro capite. La debolezza fisica, lo scoramento, la depressione psichica fanno sì che negli ultimi giorni dell’anno fra i soldati tedeschi serpeggi l’idea ultima del suicidio, tanto che ogni giorno si arrivano a contare due o tre casi, oltre a coloro che impazziscono improvvisamente e si offrono volontariamente ai colpi mortali delle mitragliatrici nemiche.

Il 29 dicembre arriva al ricovero di von Paulus il colonnello Van Hoovens, comandato di fare una ricognizione approfondita di ciò che succede alla 6a Armata. In quella circostanza von Paulus richiede che siano accresciuti i rifornimenti di viveri, di carburante e di munizioni. Non ne riceve che la solita risposta, quella che impone alla 6a Armata di mantenere saldamente la posizione e di continuare la resistenza.

Le truppe sovietiche il 29 dicembre sono a Kotelnikovo, il 31 a Obivskaia. La 6a Armata tedesca, cinta d’assedio, è ormai separata di un centinaio di chilometri dal punto in cui si trova la Wehrmacht. Il bilancio di queste offensive, da parte sovietica, è incoraggiante: l’offensiva a nordovest e a sudovest di Stalingrado, quella sul corso medio del Don, dal 16 al 30 dicembre con la rottura del fronte tedesco presso NovaiaKalitva-Monastyrschina, con l’avanzata di 150-200 chilometri e 59 mila vittime fra Tedeschi, Italiani e Romeni. Infine l’offensiva a sud di Stalingrado. Dal 19 novembre al 12 dicembre l’Armata Rossa ha annientato 36 divisioni, ha abbattuto 175 mila soldati tedeschi e ne ha tratti in prigionia oltre 137 mila. Ma Hitler non se la prende più di tanto: infine pensa che si sia trattato di un sacrificio utile, per il solo fatto di aver coinvolto una gran parte di combattenti nemici non più utilizzabili su altri fronti, e spera ancora nella salvezza della 6a Armata che il 31 dicembre conta soltanto più di 190 mila uomini dei 300 mila in organico.

Fra i Tedeschi assediati la fame si faceva sentire, soprattutto dopo che i 130 grammi di pane al giorno, distribuiti fino al mese di dicembre, vengono ridotti a 70. Ai feriti spettano soltanto 60 grammi; essi devono arrangiarsi, se non vogliono soccombere per la fame, a procurarsi qualsiasi cosa da mettere sotto i denti. L’imperversare della carestia costringe gli uomini a cibarsi di cani e di gatti catturati. Il parossismo arriva a casi di cannibalismo sui cadaveri dei compagni. A queste difficoltà estreme si aggiunge una serie di patologie: il tifo, la dissenteria, la cancrena e l’infestazione da cimici. Molti non hanno altro che cenci sporchi per coprirsi. Altri presentano le dita degli arti gonfie di pus e congelate. Ci sono pure quelli che perdono la ragione, impazziscono. Gli aerei tedeschi di soccorso sono abbattuti in volo: la 4a Squadriglia aerea da sola perde più di 200 Junker da trasporto e un centinaio circa di Heinkel utilizzati per i rifornimenti su Stalingrado. Nei primi giorni di gennaio 1943 si contano 600 Junker in meno nella dotazione di guerra e altri 600 risultano distrutti. Colto dalla disperazione, il generale Jaschonnek, capo di Stato Maggiore della Luftwaffe, si toglie la vita. A quell’epoca la 6a Armata, accerchiata a Stalingrado, dispone ancora di 592 compagnie e di 43 batterie, ma il tempo che scorre gioca nel corrodere il materiale e nel provare duramente la resistenza fisica dei soldati. Non pochi sono i casi di diserzione. Hitler, nella sua totale indifferenza per la sofferenza delle truppe in linea, spiega tutto con il sacrificio di 300 mila soldati che vale a impegnare il grosso delle truppe sovietiche nella zona del Don, consentendogli di risolvere la situazione pure critica sul Caucaso. Il 6 gennaio Hitler fa venire al Quartier Generale il generale Hube che dipinge ai suoi occhi la scena macabra della situazione di Stalingrado ma, influenzato dall’euforia del capo supremo, torna in linea raggiante quasi di speranza. Nel tempo stesso al Quartier Generale di von Paulus perviene l’ultimatum del generale Rokossovski, con la richiesta di una risposta scritta entro le ore 10 del 9 gennaio 1943. L’ultimatum porta le firme del colonnello generale d’Artiglieria Voronov e del comandante le truppe del fronte del Don, generale Rokossovski. Hitler, venutone a conoscenza, riceve da von Paulus la richiesta che gli sia accordata piena libertà di azione, ma la riposta non cambia tono, è sempre quella del dover resistere a ogni costo. Il rifiuto di fronte all’ultimatum provoca la immediata reazione russa: sono duemila bocche da fuoco e oltre tremila mortai a far cadere 3.400 tonnellate di ordigni esplosivi per la durata di quasi un’ora; sono i bombardamenti aerei a completare la scena, insieme all’avanzata dei carri armati e della Fanteria. La temibile Panzerdivision mette in campo i T34 di 26 tonnellate, forniti di un cannone da 76 mm e di due mitragliatrici; ma poi ci sono i carri pesanti, i K.V. (Klim Voroscilov) da 44 tonnellate, i K.V.1 con la corazza spessa 10 centimetri e i K.V.2 da 52 tonnellate, che portano un cannone da 152 mm. L’Aviazione si avvale dei suoi forti Stormovik, aerei da attacco in picchiata.

In tre giorni di scontri durissimi i Russi avanzano parecchi chilometri all’interno della cerchia difensiva tedesca, provocando ingenti danni: 30 mila uomini fra morti e feriti nella fila tedesche, 3.500 prigionieri e la sottrazione o distruzione di ponderoso materiale bellico. Il 12 gennaio il Comando Supremo tedesco viene informato che le riserve si sono ridotte a zero, le munizioni sono al lumicino e potranno durare non più di tre giorni, che il carburante è completamente esaurito e le armi pesanti sono bloccate. Fra i ranghi si contano numerose perdite a causa della scarsità di vitto e del freddo dal quale non si riesce a difendersi. Non resta che prevedere la capitolazione nel giro di pochi giorni. Dall’Alto Comando non arriva neppure una risposta incoraggiante. Però, per uno stridente contrasto, nello stesso 12 gennaio a Berlino si festeggia il compleanno del generale Goering: Hitler omaggia il capo della Luftwaffe con uno scrigno ornato di pietre preziose, mentre il Governo italiano gli fa dono di una decorazione di brillanti di un ordine equestre e di una spada d’oro. Il dott. Goebbels insiste a fondo con la propaganda, tutto questo per distrarre e per distogliere la popolazione dal pensiero di quanto di più triste accade in terra di Russia. L’offensiva russa prosegue nei giorni 13 e 14 gennaio e il giorno appresso fra le fila tedesche si verificano numerose diserzioni. La lotta prosegue aspra e crudele anche il giorno 16, per riprendere il 22 gennaio, allorché von Paulus comunica ancora al Comando Supremo una situazione che è ormai diventata catastrofica, con la presenza di 16 mila feriti ai quali non arriva alcuna cura. Von Paulus rinnova la richiesta che gli sia concessa una totale libertà decisionale onde evitare lo sfacelo. Il messaggio di von Paulus è dato in consegna al maggiore Zitzewitz perché lo comunichi a von Manstein che, visto come stanno le cose, si dimostra favorevole alla capitolazione. Zitzewitz si presenta a Hitler con il messaggio in parola, ma la risposta che perviene a von Paulus dichiara recisamente per l’esclusione della capitolazione. Intanto le truppe sovietiche raccolgono progressi su tutto il fronte nei giorni 21 e 22 gennaio. Il 24 gennaio le prime formazioni russe sono sui confini della città assediata. Von Paulus, constatato che alcuni dei suoi ufficiali superiori, von Seydlitz, Pfeffer, sono favorevoli a una tregua d’armi, e che altri, Heitz, Strecker, Hube, si oppongono a ogni cedimento, trasmette un ulteriore messaggio al Comando Superiore dichiarando che se la truppa rimane sul posto e in quello stato, tutti dovranno aspettarsi la fine. Von Paulus non perde occasione per lanciare ripetuti appelli a Hitler, rendendo chiaro che mancano munizioni e viveri. Ora i feriti sono 18 mila e tutti privi di assistenza sanitaria. Per tutto ciò il crollo diventa inevitabile. Paulus insiste ancora per avere l’autorizzazione ad agire, onde evitare la distruzione dei sopravvissuti. Ancora una volta Hitler proibisce la capitolazione e ordina alla 6a Armata di difendere le posizioni fino a esaurimento delle forze. Tanti sono i morti che gli uomini, privi di forze e sfiniti, ricorrono a scavare fosse comuni, ma poi non riescono più a seppellire i caduti e pericolose epidemie minacciano la salute dei vivi. Tra il 25 e il 26 gennaio non poche unità depongono le armi ai piedi dei Russi. Chi ancora decide di resistere viene abbattuto, siamo al giorno 27, dai franchi tiratori sovietici.

Von Paulus comunica ancora al dittatore che il crollo finale si avvererà entro le ventiquattr’ore. Il 31 gennaio a sera i Russi stanno per fare irruzione nel rifugio del Tedeschi. Von Paulus viene fatto prigioniero e condotto al Quartier Generale del generale Eremenko.

Il 1° febbraio 1943 viene emesso un comunicato ufficiale che sanziona la capitolazione della 6a Armata tedesca, con la cattura di 16 generali e di una valanga di materiale bellico. Poi si parla di 24 generali e di oltre 2.500 ufficiali fatti prigionieri davanti a Stalingrado. Vengono eliminate 22 divisioni tedesche e alleate dei Tedeschi, fra le quali si stimano oltre 147 mila morti. Il 2 febbraio 1943 a Stalingrado fra gli abitanti non si contavano più di 20 adulti e 13 bambini.

Stalin esulta e si congratula con il generale di artiglieria Voronov, con il comandante di tutte le Armate, generale Rokossovski e con la truppa combattente.

Hitler, per parte sua, comunica al popolo tedesco che la 6a Armata si è sacrificata e che il sacrificio è stato utile per le sorti finali della guerra, mentre il dott. Goebbels cerca in tutti i modi di rivestire la sconfitta di Stalingrado dei significati più rassicuranti.

Gli Italiani e i Romeni prendono la sconfitta con un senso di timore, incominciano a capire di trovarsi dalla parte sbagliata.

Restava tuttavia ancora da decidere la sorte del Caucaso, considerata dieci volte più importante di Stalingrado. A sud di Stalingrado il fronte che si stende fra il Don e Voronej aveva a difesa le Armate: 3a e 4a romena, una italiana, una ungherese e due tedesche, per un rapporto di uno a sette nei confronti dei Russi che stanno minacciando Rostov verso il Mar d’Azov e i passaggi sul Dniepr che garantiscono l’arrivo dei rifornimenti. Il 12 novembre 1942 i Russi, sul fronte sud, attaccano e sfondano le linee difese da Italiani, Romeni e Ungheresi. Il 20 dicembre i Russi annientano due divisioni italiane e si impossessano dei passaggi sul Donetz. Nessun rinforzo viene in aiuto dai Comandi tedeschi. Finalmente Hitler, il 29 dicembre, decide di fare ripiegare la 1a Armata corazzata che però non è ancora nelle condizioni utili per un rapido scollamento dal Caucaso. Gli ordini emanati da Hitler si fanno sempre più stravaganti, è un vero delirio strategico. Fra i generali serpeggia un crescente disagio. Tra il 5 e il 7 febbraio Eremenko stringe la morsa attorno a Rostov, mentre il generale Tulenev riprende i giacimenti petroliferi di Maikop. In due mesi i Russi sono riusciti ad avanzare di oltre 600 chilometri e hanno rioccupato il Kuban e il Caucaso.

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