Verso Mosca
Hitler decide per l’attacco a Mosca e fissa la data al 30 settembre 1941, partendo dalla presa di Leningrado e passando per Mosca, sino al Mar Nero e al Caucaso. Con l’offensiva scatenata al sud e al centro, Hitler pensa di poter annientare le forze sovietiche, ma non ha fatto i conti con le probabilità di variazioni meteorologiche e con la disinformazione circa l’entità delle riserve russe. Il 1° ottobre parte l’offensiva, denominata “Tifone”, che dovrà creare un accerchiamento a tenaglia attorno alla capitale per farla cadere. Vi partecipano le divisioni corazzate di Guderian, di Hoth, di Hoepner e le Armate di Fanteria 2a, 4a e 9a agli ordini dei generali Schmidt, von Kluge e Strauss. Le formazioni si muovono non affatto nelle migliori condizioni, dato il notevole razionamento nel numero dei carri armati e nelle risorse di carburante. Con tutto ciò nei primi giorni di ottobre Guderian riesce ad avanzare copiosamente, mentre le tre Armate di Fanteria muovono all’attacco, ma le deficienze di materiale sopra elencate costringono a lasciare fermi sul terreno centinaia di veicoli perché di carburante non ce n’è più. Il 5 ottobre la scarsità degli approvvigionamenti fa sentire il proprio peso sulla continuazione della battaglia. Ci si mettono pure di mezzo i possenti T34, i carri armati russi più temibili. Le armate tedesche continuano a spingere l’avanzata, guadagnando tuttavia una serie di successi, ma dal 6 al 7 ottobre il cielo si rannuvola e la neve inizia a cadere abbondante: è il momento della svolta dovuta alle condizioni meteorologiche avverse per tutti i combattenti. I pur potenti veicoli a motore fanno fatica a superare l’ostacolo del terreno ghiacciato. È vero che per l’Armata tedesca i successi non mancano, ma gli sforzi per ottenerli sono spropositati. Si spingono avanti orde di uomini ormai estenuati e doloranti. Una discreta assuefazione dei soldati russi al clima rigido e l’inadeguata dotazione di vestiario per i combattenti germanici fanno sì che per questi ultimi la situazione diventi via via più critica, colpendo anche il morale degli uomini. I ritardi con i quali giungono ai soldati tedeschi i rifornimenti e le sostanze antigelo per i motori, il fango che impantana i Panzer tedeschi fanno presagire agli occhi di Guderian il profilarsi di una catastrofe. Il reggimento scelto di Fanteria Gross Deutschland viene frettolosamente spostato a nordest di Briansk e impegnato in scontri durissimi per evitare la formazione di una sacca proprio a Briansk. Il 12 ottobre l’intensificarsi delle nevicate cade a favore dei Russi, con l’immobilizzazione delle truppe tedesche nella neve e nel fango. In seguito ad aspri scontri, il 17 ottobre capitola la sacca nord di Briansk e i Tedeschi fanno 50 mila prigionieri catturando gran quantità di materiale bellico. Il giorno seguente l’11a Armata germanica parte per l’offensiva alla Crimea. La 1a, la 6a e la 17a Armata spingono con veemenza l’Armata russa a ripiegare. Il 20 ottobre la 1a Armata conquista Stalino. Il 25 ottobre Guderian decreta la fine dei combattimenti per ridurre la sacca di Briansk.
Il 7 ottobre 1941 è il giorno di inizio della battaglia per la conquista di Mosca. Tre giorni più tardi si viene a sapere che, per buona sorte, l’Armata Rossa non è stata presa nella tenaglia tedesca e il 13 ottobre nella capitale si dà inizio alla mobilitazione in massa per disporre la difesa all’ultimo sangue della città. Persino le donne sono chiamate a dare il loro contributo di lavoro. Con il pericolo incombente di invasione il governo sovietico e i servizi politici vengono trasferiti a Kubicev (Samara) a est di Mosca, ma Stalin non si muove, resta con il suo popolo nella capitale, sostenendo la inderogabile necessità di difendere la città, disposti a sacrificare fino all’ultima goccia di sangue.
La difesa militare viene affidata al generale Zukov, capo di Stato Maggiore dell’Armata sovietica, con l’incarico della mobilitazione delle milizie operaie. Dovrà guidare le Armate del fronte Nord, mentre Timoscenko assume l’incarico di comandante in capo delle Armate del fronte Sud. Chapochnikov riceve la nomina di capo di Stato Maggiore Generale dell’Armata Rossa. I tesori di Stato sono trasportati nella zona dei Monti Urali e migliaia di volontari, armati di un fucile con cinque cartucce, concorrono a prolungare la resistenza, in attesa dei rinforzi che dovrebbero pervenire da est. Quando, il 5 novembre, si abbatte su un sobborgo di Mosca un’incursione aerea tedesca formata da 187 velivoli, si mette in moto il sistema difensivo del colonnello Liubimov che li abbatte quasi tutti, ad eccezione di 7 che possono tornare alle basi di partenza. Stalin può finalmente dichiarare che le mire dei Tedeschi di mettere in ginocchio la Russia sono state deluse. Ma non è ancora finita: i Tedeschi si accaniscono contro Leningrado seppellendola sotto una tempesta di bombe e di colpi di artiglieria. Vogliono farla morire di fame, tagliando ogni via di comunicazione per l’arrivo di rifornimenti. La popolazione fa sforzi enormi per non soccombere: la fame prende il sopravvento con gli appena 125 grammi di pane nero concessi giornalmente a persona. In effetti la morte serpeggia dappertutto, per fame e per malattia.
Da molte parti si attende con terrore la deflagrazione di un secondo grande attacco da parte delle forze germaniche. La 2a Armata corazzata tedesca, infatti, si prepara ad assediare Tula (200 km sud di Mosca). Ma i timori insorgono con l’arrivo di corposi contingenti sovietici da est e, per evitare il peggio, la 2a Armata corazzata viene fatta deviare su Voronej. L’avanzata verso Tula riprende il 28 ottobre, ma le riserve di carburante incominciano a segnare rosso. Si abbandonano gli autocarri che trasportavano il reggimento Gross Deutschland e si fanno salire i soldati sull’esterno dei carri armati: molti di loro perdono la vita per intorpidimento e per congelamento. A fronte delle gravi difficoltà di percorrenza della strada Orel-Tula i Tedeschi subiscono forti rallentamenti e, nel corso di frequenti scontri, gravi perdite di uomini e materiali. Il gelo non uccide soltanto i combattenti, ma immobilizza anche i veicoli a motore. Nella notte fra il 2 e il 3 novembre si verifica un’ecatombe di uomini per congelamento.
In altri settori per i Tedeschi le cose vanno meglio. Il 25 ottobre conquistano Kursk e Karkov, penetrano in parte della Crimea e si spingono verso il bacino del Donetz (Donetzk, Ucraina, centro di industrie siderurgiche, meccaniche e tessili. Fu nominata Stalin nel 1924 e Stalino nel 1935. Fu occupata il 20 ottobre 1941 dai Tedeschi; in tale azione si distinsero forze italiane del CSIR, delle divisioni Celere e Pasubio). Di Stalino si impadronisce il corpo italiano al comando del generale Messe. Proprio mentre i Russi fanno sentire rinnovata vigoria nello sferrare attacchi mortali, Guderian annuncia che la truppa è sfinita, allo stremo delle forze. Il freddo crescente diventa un buon alleato per i soldati russi. Guderian intanto continua a sottolineare la situazione di grave disagio che si abbatte sulle truppe tedesche: mancano indumenti caldi, scarseggia quasi del tutto il carburante e per l’Armata corazzata svaniscono le speranze di cimentarsi in una nuova avanzata sul terreno russo. Nonostante le notizie che gli arrivano da Guderian, Hitler, inflessibile nella propria visione della guerra, dà ordine di attacco: il 16 novembre devono muoversi 51 divisioni, di cui 13 sono corazzate, più le motorizzate, l‘artiglieria e le flotta aerea, tutto questo sotto il comando di von Bock. Guderian, dopo l’attacco sferrato il 18 novembre, si consulta con von Bock il quale si risolve di telefonare a von Brauchitsch, comandante in capo delle forze terrestri, ma quest’ultimo non può derogare agli ordini emanati da Hitler in persona, e allora non accoglie le richieste di Guderian e ordina recisamente di portare avanti l’offensiva. Per i Tedeschi, però, le cose si mettono davvero male e si devono scordare di Tula che stava nei loro propositi di conquista. Il 30 novembre il Comando Supremo decide di evacuare Rostov presidiata dalla guarnigione agli ordini del generale von Rundstedt che viene sostituito con il generale von Reichenau. Si parla di evacuazione strategica, ma il provvedimento suona male agli occhi dei responsabili delle operazioni ossia Hitler, l’O.K.W. (Comando Supremo di Esercito, Aviazione e Marina) e l’O.K.H. (Comando Supremo dell’Esercito).
La controffensiva russa.
Il 29 novembre 1941 viene diramata la notizia della vittoria di Rostov, la città riconquistata dal generale Timoscenko, con la 9a Armata del generale Kharitonov e con la 56a del generale Remizov. Zucov pensa all’ultima settimana di novembre, allorquando disporrà in prima linea le quattro divisioni formate da miliziani moscoviti. Sono tutti volontari impegnati in tutto e per tutto a ritardare l’avanzata dei Tedeschi opponendovi una poderosa resistenza. Si tratta anche delle ultime riserve a disposizione dell’Esercito russo, ma la speranza vuole che si tenga conto dello sfinimento che pesa anche sulle truppe tedesche. I Comandi russi, inoltre, cercano in ogni modo di attrarre gli avversari su terreni che possano creare loro le maggiori difficoltà, curando di diffondere carte stradali fuorvianti per disorientare i nemici che ne fossero venuti in possesso. La tattica si dimostrò buona, in quanto i Tedeschi, continuando ad avanzare verso nord e verso nordest, a un certo punto si accorsero di essersi spinti troppo oltre incappando così in gravi difficoltà per via delle comunicazioni e dei rifornimenti, ma anche perché stavano sempre più prestando i fianchi ai colpi del nemico.
Il 2 dicembre 1941, a Mosca, si decide per lo scatenamento della controffensiva contro le truppe d’invasione tedesche; la data prevista sarebbe per il 6 dicembre. A coronamento del piano d’azione si dispongono in funzione di riserva due divisioni di Cavalleria cosacca a nord e a sud di Mosca, ai comandi dei generali Belov e Leone Dovator. All’ordine di attacco, lanciato da Stalin il 6 dicembre, nel settore nord le forze del generale Leliuscenko infliggono un duro colpo alle divisioni corazzate e motorizzate tedesche. Gli stessi successi arridono al generale Kustnetsov che costringe i Tedeschi a ripiegare e a liberare il centro di Krasnaïa-Poliana, ad appena 58 chilometri da Mosca. Così pure, le truppe del generale Rokossovski hanno la meglio in durissimi scontri persino all’arma bianca. Mentre i Tedeschi cercano riparo nella fuga, nella zona centrale del conflitto è il generale Govorov a ottenere vistosi successi. Siamo nei dintorni di Mosca e la lotta si fa sempre più serrata. La determinazione dei Russi, a sud, è quella di annientare le truppe corazzate di Guderian. Nei pressi di Tula è Boldin a ottenere successi vistosi contro le formazioni Panzer e contro il reggimento scelto Gross Deutschland. Il 6 dicembre il Generale Golikov, con i mezzi corazzati di Rotmistrov e di Belov, riesce ad accerchiare Guderian il quale, per non favorire i Russi vincitori, ordina di dare alle fiamme duemila autocarri e una ventina di carri armati. Il bilancio per i Tedeschi si dimostra davvero pesante: nel periodo dal 16 novembre al 6 dicembre hanno perso più di 55 mila soldati caduti in battaglia e abbondante materiale bellico. Secondo le stime di Zukov sono 1.500 i carri armati tedeschi distrutti nelle vicinanze di Mosca. Il disastro non finisce qui, ma si ingrandisce, mentre pervengono le notizie da altri fronti, come quella dell’attacco giapponese a Pearl Harbour il 7 dicembre e, il giorno seguente, la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti da parte di Germania e Italia.
Il Generale Inverno
La lotta si fa aspra e piena di imprevisti anche nei cieli. Alla temperatura di 28 gradi sotto zero gli aerei della Luftwaffe sono impossibilitati a muoversi. All’interno della truppa serpeggia un acuto senso di demoralizzazione, ma il Comando Supremo dell’Esercito tedesco incita e ordina a continuare l’aggressione. Hitler non tiene conto dei suoi sottoposti e delle loro valutazioni del caso; appoggiato da pochi fedelissimi si ostina a volere l’attacco a ogni costo. Il 30 novembre incarica il generale Halder di recarsi a uno a uno nei Quartieri Generali con l’ordine di portare una ennesima offensiva generale per la data del 2 dicembre. Guderian, che vede in prima persona le disastrose condizioni delle truppe e delle risorse disponibili, si consulta con von Bock; i due decidono di telefonare a von Brauchitsch, comandante in capo delle forze terrestri, per presentargli le estreme difficoltà in cui si trovano le Armate tedesche, ma si accorgono che von Brauchitsch non è ormai più nelle grazie di Hitler. Inutile, gli ordini venuti dall’alto dovranno essere eseguiti. Ora le truppe dovranno agire in un contesto che conta i 35 gradi sotto zero e il 2 dicembre, quando l’esercito si muove, gli effettivi risultano ridotti per oltre il 50% e le armi sono neutralizzate dal gelo intenso che impedisce persino ai mezzi motorizzati di entrare in funzione. Inoltre il vestiario individuale non è assolutamente adatto a far fronte ai rigori di un inverno che incrudelisce giorno per giorno. La temperatura scende ancora, arriva a meno 40. Persino gli impianti radio non vogliono saperne di funzionare, è l’immobilità più assoluta. Nonostante gli sforzi degli addetti, il 5 dicembre Guderian decide di dare termine alla lotta, pervenuta ormai a condizioni di impossibilità materiale. I comandanti dei reparti combattenti si guardano intorno: un macello all’interno dei ranghi, materiale a profusione abbandonato, divisioni corazzate decimate e distrutte.
Un drappello di uomini della 258a di Fanteria tedesca, sbandati, vanno a finire in un sobborgo di Mosca; scoperti dai Russi, vengono massacrati furiosamente. È il 6 dicembre 1941, la temperatura segna 45 gradi sotto lo zero: così ha termine l’offensiva tedesca per la presa di Mosca.