La parola di Dio informa il mondo intero, tutti gli esseri animati e inanimati, le leggi e le regole preposte all’evoluzione, alla trasformazione, alla nascita e alla morte di tutto ciò che c’è.
Il pensiero fugge veloce alla ricerca di una spiegazione al volgersi dei fenomeni che la nostra coscienza percepisce. Non sappiamo a chi fanno capo, non riusciamo a immaginare chi vuole e muove questo Creato. Gli è stato dato il nome di Dio, ma qualsiasi altro nome di rispetto potrebbe essere altrettanto appropriato: un nome e nient’altro, soltanto un nome, pari a un simulacro, per rappresentarci l’immagine fantastica di un Ente responsabile di tutto l’esistente. La parola Dio, pronunciata e scritta dunque, non ci rappresenta alcunché, null’altro che un’espressione della nostra mente per ricondurci a una realtà immensa che ci sovrasta e di cui nulla sappiamo. Una parola che, a buon diritto, non si dovrebbe neppure pronunciare, ma che ci è necessaria nel momento in cui sentiamo il bisogno di riferirci a qualcosa di sconosciuto e necessario. Oggidì tuttavia si parla di Dio, si prega Dio, lo si invoca, lo si prende a testimone, si gioca alternativamente con il suo nome, quasi avessimo a che fare con un vecchio amico, così familiare e confidenziale, ma che poi finiamo per utilizzare allo scopo di avere i suoi favori e la sua protezione. In realtà non sappiamo quel che diciamo né quel che facciamo quando ci rivolgiamo a Lui. La familiarità di Dio con i suoi prescelti viene alla ribalta in alcuni episodi del Vecchio Testamento. Un esempio fra i tanti può essere tratto dalla conversazione, si può dire amichevole, ma anche ravvicinata, tenuta da Abramo con il Supremo, nel momento in cui Dio decide di cambiare nome a Sarai, moglie di Abramo, in Sara (Genesi, XVII, 15-22). Con incredibile frequenza Dio appare ad Abramo e intesse con lui veri e propri colloqui di notevole durata, come riferito in molti passi della Genesi. Dio, a quei tempi, non lesinava dal farsi vedere di persona, nonostante avesse avvertito chiaramente che chi fosse riuscito a scorgere il suo volto sarebbe morto. Un altro esempio, per attenerci all’epoca, lo abbiamo in Isacco al quale, nella regione di Bersabee, il Signore apparve e gli parlò (Genesi, XXVI, 23-24). Così pure Dio apparve più volte a Giacobbe (Genesi, XXXV, 9). Stranamente per la cultura dell’epoca, Dio, che era considerato un Ente corporeo, non rinunciò neppure a rivolgere la parola a donne. Lo si vede con Rebecca, moglie di Isacco, quando ella fu sorpresa della gravidanza gemellare “e se ne andò a consultare il Signore” (Genesi, XXV, 22) il quale neppure disdegnò di darle risposta.
Credo che tutti i riti sacri, tutte le cerimonie evocative e propiziatrici siano cose inutili, così come ogni espressione collettiva più o meno investita di fanatismo. Credo, ancora, se pensiamo alla sua esistenza trascendente, potersi invocare la sua presenza in noi soltanto con un devoto pensiero, essenzialmente individuale e incomunicabile agli altri esseri umani.
Ora vorrei discendere in una realtà che origina molto addietro nel tempo, scavando alle origini dei significati che si legano alla parola “Dio”. Mi avvalgo dei Testi Sacri a mia disposizione ossia la Bibbia (La Sacra Bibbia, Editrice S.A.I.E., Torino, Traduzione di P. Eusebio Tintori O.F.M. per la Pia Società San Paolo, Alba 1956). L’analisi che va a seguire si articolerà in due parti: la prima con un viaggio nel Vecchio Testamento alla ricerca delle strade percorse dalla fede primitiva in Dio, lungo lo snodarsi di una genealogia complessa e articolata che portò il popolo di Israele a quella realtà storica che avrebbe subìto un mutamento fondamentale nelle sue premesse e nel suo statuto religioso con l’avvento di Gesù e con la sua parola alle genti. La seconda parte avrà invece il carattere di un viaggio tormentoso attraverso le fasi evolutive del pensiero religioso che assunse le sembianze del cattolicesimo, un viaggio in compagnia e sulle tracce filosofiche di un grande del pensiero moderno, Voltaire, sino anche a provare di forzare la mano per capire che cosa si sia verificata nella laboriosa metamorfosi vissuta dai primordi della Chiesa sino ai giorni nostri.
Le radici
Il primo uomo creato direttamente dalle mani di Dio, dal fango, fu Adamo (per una documentazione appropriata vedasi il libro della Genesi, capitoli IV, V e il primo libro dei Paralipomeni, con il contemporaneo prepararsi a un non lieve sforzo per orientarsi e non perdersi nelle intricatissime linee genealogiche) dal quale discesero tre figli: Caino, Abele, Set. La discendenza di Caino enumera i seguenti nomi: Enoc, Irad, Moviael, Matusael, Lamec, Iabel-Iubal, Tubalcain, Noema (femmina, quest’ultima). Abele, come è noto, fu vittima della ferocia di Caino, pertanto pare non avesse lasciato eredi. Da Set provennero, nell’ordine: Enos, Cainan, Malaleel, Iared, Enoc, Matusalem, Lamec, Noè.
Noè generò tre maschi: Sem, Cam, Iafet. Ecco qui di seguito la discendenza che più ci riguarda da vicino, Sem, che generò nell’ordine: Alfaxad, Cainan, Sale, Eber, Faleg, Reu (o Ragau), Sarug, Nacor, Tare. Da Tare provennero tre figli: Abram o (Abramo), Nacor, Aran (padre di Lot).
Veniamo ad Abramo del quale si dice fossero due figli, Isacco e Ismaele. Quest’ultimo, denominato padre degli arabi, nato da Agar, la schiava di Sarai (o Sara) moglie di Abramo, che era sterile. Abramo aveva 86 anni quando Agar partorì Ismaele. Ma anche Sara, per volere di Dio, rimase incinta e partorì Isacco nella sua vecchiaia, quando Abramo aveva ormai cent’anni. Successe tuttavia che Sara si indispettì avendo notato che il figlio di Abramo e Agar, chiamato Ismaele, si prendeva gioco di Isacco; fece allora cacciare la propria schiava con il figlio nel deserto di Bersabee. Dio in persona promise comunque ad Abramo che da entrambi i nati, Isacco e Ismaele, avrebbe fatto sorgere due grandi nazioni. Vagando per il deserto, Agar fu presa dallo sconforto e dalla disperazione presentendo la morte del bambino ormai vicino all’esaurimento, ma un angelo del Signore la guidò verso la salvezza. Così Ismaele “crebbe ed abitò nel deserto, e divenne fin da giovane esperto nel tirar l’arco. Abitò nel deserto di Faran e sua madre gli diede per moglie una donna del paese d’Egitto” (Genesi, XXI, 20-21).
Isacco, giunto all’età di 40 anni, sposò Rebecca, figlia di Batuel Siro della Mesopotamia, discendente di Nacor fratello di Abramo. Dalla schiava egiziana Agar Ismaele ebbe dodici figli: Nabaiot, Cedar, Adbeel, Mabsam, Masma, Duma, Massa, Adad, Tema, Ietur, Nafis, Cedma. Rebecca era sterile, ma Isacco pregò intensamente perché potesse concepire. La sua implorazione fu accolta e il Signore diede loro due gemelli, “ma i bambini si urtavano nel suo seno”. Rebecca era presa da sconforto nel percepire che cosa stava succedendo nel suo grembo. Il Signore allora le spiegò: “Due nazioni sono nel tuo seno, e due popoli saran separati fin dalle tue viscere: uno dei popoli sarà più forte dell’altro, e il maggiore servirà al minore”. Quando i bambini nacquero, “il primo era rosso, e tutto peloso come una pelliccia, e fu chiamato Esaù. L’altro che uscì subito dopo, teneva con una mano il calcagno del fratello e per questo fu chiamato Giacobbe (Genesi, XXV, 19-25).
Esaù ebbe cinque figli: Elifaz, Rahuel, Iehus, Ihelom, Core. Israele (ossia Giacobbe) ne ebbe dodici: Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Issacar, Zabulon, Dan (Dina), Giuseppe, Beniamino, Neftali, Gad, Aser. Giacobbe aveva sposato Lia e subito dopo Rachele. Il Signore volle che Rachele rimanesse sterile e fece in modo che a partorire figli a Giacobbe fosse Lia la quale diede a Giacobbe il maggior numero di figli, da Ruben a Dan, da Neftali ad Aser. Dopo di che anche Rachele poté concepire e da lei nacque in un primo tempo Giuseppe; poi, proprio nel momento della morte, diede alla luce un bambino che chiamò Benoni, nome che dal padre venne mutato in Beniamino.
Neftali generò Tobia il quale cadde prigioniero di guerra a Ninive, capitale dell’Assiria dove regnava Salmanasar. Il figlio di Tobia sposò Sara, aiutato a superare una serie di difficoltà dall’angelo Raffaele. Tobia emise una profezia prima di morire: cadrà nell’anno 612 per mano di Nabopolassar re di Babilonia e padre di Nabucodonosor.
Dei dodici figli di Giacobbe andremo a seguire la linea discendente da Giuda, quella che ci porterà alla venuta di Gesù nel mondo. Nel momento di benedire i suoi dodici figli, Giacobbe si rivolse a Giuda, capostipite della stirpe dalla quale sarebbe disceso Gesù, con queste parole: “Giuda, te loderanno i tuoi fratelli: la tua mano sarà sulla cervice dei tuoi nemici; a te si prostreranno i figli di tuo padre. Un leoncello è Giuda: dalla preda, o figlio mio, sei tornato. Ecco ti poso, ti accovacci come un leone, come una leonessa: chi ardirà destarlo? Lo scettro non sarà tolto da Giuda e il principe della stirpe di lui, finché non venga colui che deve essere mandato, colui che sarà l’aspettazione delle genti”. Giuda, dunque, il quarto dei dodici figli di Giacobbe, sposò Tamar dalla quale ebbe a sua volta cinque figli: Er, Onan, Sela, Fares, Zara.
Tralascio qui, per non dilungarmi troppo e per non indurre in confusione chi legge queste righe, la composizione della famiglia di Giacobbe e dei suoi discendenti, che si possono trovare in Genesi XLVI, 8-27. Mi limito a prendere in considerazione la linea proveniente dal quarto figlio di Giuda, Fares.
Fares, figlio di Giuda e di Tamar, darà origine a due maschi: Hesron (o Esrom) e Hamul. Da Hesron provennero tre figli: Ierameel, Caleb e Ram (o Aram). Lascio da parte i primi due e mi dedico a seguire la discendenza di Aram: il suo primo nato fu Aminadab che a sua volta generò Nahasson; per le generazioni successive troviamo il nome di Salomone (o Salmon o Sala) che, con la moglie Raab, diede origine a Booz; e qui va a intrecciarsi una storia parallela che condurrà per altra via al nominato Booz, segnata da due figure: Elimelec e Noemi. Elimelec era un uomo di Betlemme di Giuda; per sfuggire a un a imperversante carestia si trasferì nella terra di Moab con la moglie Noemi e i due figli: Mahalon e Chelion. Questi sposarono due donne moabite: Orfa e Rut. Morti il marito e i due figli, Noemi risolse di tornarsene alla propria patria e volle convincere le due vedove a tornare alle famiglie di origine, ma Rut non accettò e volle seguire Noemi, per raggiungere Betlemme. Entrate che furono in città, a coloro che l’avevano riconosciuta nonostante fossero trascorsi dieci anni, Noemi rispose: “Non mi chiamate Noemi (bella), ma chiamatemi Mara (amara); perché l’Onnipotente m’ha colmata d’amarezza” (Rut, I, 20).
Noemi aveva, da parte di Elimelec, un parente potente e ricchissimo di nome Booz il quale si innamorò di Rut vedendola mentre andava a spigolare dietro ai mietitori, e la sposò. Da Booz e Rut nacque Obed il quale generò Isai (o Iesse). Da Isai discese David che ereditò il regno di Saul.
Parliamo allora per un momento di Saul (dalla voce ebraica che significa “impetrato da Dio”), primo re d’Israele, il quale discendeva, nell’ordine, da Iemoni, Afia, Becorat, Seror, Abiel padre di Cis (o Kish) della tribù di Beniamino. Cis “aveva un figlio chiamato Saul, forte e buono, di cui non v’era migliore tra i figli d’Israele. Egli era più alto di tutti gli altri dalle spalle in su” (I Re, IX, 1-2). Saul incontrò il profeta Samuele che lo consacrò re d’Israele confidando in lui per la liberazione del popolo dal dominio dei Filistei. Saul fu dunque il primo re degli Ebrei. Samuele aveva riunito tutte le tribù e la sorte scelse quella di Beniamino, in essa la famiglia di Metri fino a Saul figlio di Cis. Unto a Rama dal profeta Samuele, fu eletto re (il suo regno andò dal 1030 al 1015 a.C.); acquisì una prima vittoria contro gli Ammoniti servendosi di un esercito di 300 mila figli d’Israele e 30 mila uomini di Giuda (oggi diremmo un’Armata di Fanti) e fu vittorioso sugli Amaleciti, sugli Edomiti e sui Filistei. Avendo tuttavia disubbidito più di una volta alla legge divina, Saul provocò l’ira di Dio il quale inviò Samuele alla casa di Isai Betlemita perché procedesse a scegliere un nuovo re tra i suoi figli. Isai presentò a Samuele tutti i propri figli, ma il profeta non ne trovò uno degno di attenzione. Subito dopo, Isai soggiunse che ci sarebbe stato ancora un altro ragazzo, ma in quel momento si trovava al pascolo con le pecore. Lo fecero venire al loro cospetto: “Egli era biondo, di bell’aspetto e di viso avvenente. E il Signore disse – Orsù, ungilo: è lui” (I Re, XVI, 12). Il suo nome era David.
Il rito dell’unzione era la testimonianza con la quale si dichiarava re un prescelto, dopo di che il popolo avrebbe acclamato al proprio sovrano.
Il re Saul era allora perseguitato da uno spirito malvagio mandato da Dio. David, con il suono della propria arpa, riuscì ad alleviare la pena di Saul. In seguito però alla vittoria di David su Golia, Saul fu preso dalla gelosia e divenne acerrimo nemico di David. Da questo momento la stirpe di David avrebbe portato alla nascita del Redentore del mondo.
Ma chi era in effetti David? Per capire quale fu la sua origine dobbiamo tornare un passo indietro. Il primo libro dei Re fa partire la sua storia da Elcana, uomo della montagna d’Efraim, discendente in linea genealogica da Sif, Tohu, ed Eliu suo padre. Elcana ebbe due mogli: Anna e Feneenna: da quest’ultima nacquero due figli. Anna, invece, era sterile: supplicò allora il Signore di farla diventare madre e così avrebbe consacrato a Lui il figlio nato. Il Signore accolse la sua preghiera e le diede un figlio al quale fu dato nome Samuele. Dio apparve e parlò a Samuele più volte in Silo. Fattosi adulto, Samuele sconfisse i Filistei e liberò il proprio popolo da Baalim e da Astarot, divinità straniere in contrapposizione al Dio d’Israele: “il Signore con grande fracasso in quel giorno tonò sopra i Filistei, e li atterrì in modo che essi furono fatti a pezzi da Israele” (I Re, VII, 10). Gli anziani di Israele chiesero a Samuele di avere un re, com’era per tutte le nazioni.
In seguito a vari e vani attentati spinti da Saul contro David, questi si vide costretto a fuggire di paese in paese. Si recò da Samuele in Ramata, nella città di Naiot; di qui trovò rifugio presso Gionata figlio di Saul, poi presso il sommo sacerdote Achimelec, quindi sotto la protezione di Achis, re di Get; si rifugiò quindi nella spelonca di Odollani dove si unirono a lui circa 400 uomini fra quelli che si trovavano con una serie di problemi, gli oppressi dai debiti e i malcontenti che elessero David come loro capo; ancora, si spostò in Masfa di Moab e, di seguito, nella foresta di Haret. David combatté e sconfisse i Filistei a Ceila ma, minacciato ancora da Saul, fuggì da Ceila con circa 600 uomini. Si fermò sulla montagna del deserto di Zif, sul colle di Achila. Qui, braccato dagli stessi Zifei che appoggiavano il re Saul, si spostò nel deserto di Maon, a sud di Iesimon. Fu quello il punto in cui Saul desistette dall’inseguire David, perché minacciato a sua volta da un’avanzata dei Filistei. Il deserto d’Engaddi fu il successivo rifugio di David. Capitò, in quel frangente, che Saul si introducesse in una grotta, ignaro di avere David proprio alle spalle, già a portata di spada, ma David lo risparmiò. Ritrovatisi, si riconciliarono e ognuno se ne tornò per la propria strada.
In seguito alla morte di Samuele, sepolto in Ramata, David si spostò nel deserto di Faran. Poco di presso, nel deserto di Maon, viveva un uomo molto ricco, si chiamava Nabal e sua moglie era Abigail. David gli inviò una decina di giovani per portargli omaggio, ma Nabal li respinse brutalmente. Appena ne fu informato, David armò 400 uomini all’incirca per muovere guerra a Nabal. Fu Abigail a dissuaderlo, con parole di fede. Nabal, per parte sua, venne a sapere dell’incontro fra David e Abigail, prese male la notizia e subì un colpo mortale al cuore, che lo portò alla tomba. Trascorso qualche tempo, Abigail divenne moglie di David. Con Saul però, nonostante le apparenze, non era finita: ancora una volta Saul mosse contro David che si era nascosto nella collina di Achila. David, avvisato del pericolo, si produsse in un vero e proprio bliz: raggiunse Saul mentre dormiva profondamente sotto la tenda, fu preso da reverenziale timore e risparmiò ancora una volta il suo re.
Saul raggiungerà la fine della propria vita insieme al figlio Gionata in uno scontro cruento contro i Filistei sul monte Gelboe.
Da quando David fuggì in Get, dove regnava re Achis, figlio di Maoc, portando seco le due mogli, Abigail e Achinoam di Iezrael, più non rivide Saul che aveva rinunciato a cercarlo. Achis diede a David la città di Siceleg e David ottenne di riavere Micol, la moglie datagli un tempo da Saul e poi sottratta. In Ebron venne eletto re di tutto Israele: “David aveva trent’anni quando cominciò a regnare; e regnò quarant’anni: in Ebron, sopra Giuda, sette anni e sei mesi; in Gerusalemme (Gerusalemme era anche denominata “la città di David”. Era appartenuta ai Gabusei, ma David la conquistò verso l’anno 1000. Era limitata dalla valle del Cedron e del Tiropeo, e dalla collina di Moriah dove sorsero poi il tempio di Gerusalemme e la reggia), sopra tutto Israele e Giuda, trentatré anni (II Re, V, 4-5). Il suo regno copri gli anni dal 1010 al 970 circa a.C.

Iniziò, David, il suo ciclo di conquiste con la presa della cittadella di Sion sopraffacendo i Gabusei. Dopo aver pregato e lodato il Signore, collezionò una serie di vittorie in guerra, contro i Filistei, i Moabiti, i Siri e contro Adarezer figlio di Rohob re di Saba. Il testo biblico ci presenta ancora David vincitore in quattro giorni di battaglia contro i Filistei. Tornato dalla conquista della Siria, “mise a pezzi 18 mila uomini nella Valle delle Saline e assoggettò tutta l’Idumea”. Dimostrò in quelle occasioni una ferocia indicibile contro i Moabiti: “fattili stendere per terra, li misurò con una corda: ne misurò due parti, una per farla morire, l’altra per conservarla in vita”. – Chissà, forse potrebbe derivare da questo passo biblico il nostro detto “prendere le misure” quando si coltiva l’idea di vendicarsi di qualcuno.
Sconfitto Adarezer, “dopo avergli preso mille settecento cavalieri e venti mila pedoni, tagliò i garretti a tutti i cavalli dei carri; ma ne riservò per cento carri (II Re, VIII, 2-4). David mise in fuga ancora e sconfisse gli Ammoniti e i Siri: “dei Siri, distrusse settecento carri e quaranta mila soldati a cavallo; mise in fuga cinquantottomila uomini” (II Re, X, 18-19).
Nei rapporti con il Signore, David non mancò di cedere al peccato: la prima volta fu per Betsabea, figlia di Eliam e moglie di Uria Eteo. La fece rapire e se la portò a letto. Si disfece poi del marito di lei, Uria Eteo, mandandolo a morire in battaglia. Prese dunque con sé Betsabea e da lei ebbe un figlio. “Ma questa cosa che David aveva fatta dispiacque al Signore” (II Re, XI, 27) il quale, per punire David, dopo sette giorni fece morire il neonato partorito da Betsabea; ma ella rimase ancora incinta e diede alla luce un altro pargolo che prese il nome di Salomone ossia “l’Amabile al Signore”, perché Dio lo amava.
Tornando sui campi di guerra troviamo David nuovamente vittorioso sugli Ammoniti, con la conquista della città di Rabbat e grandissima preda dei beni ivi giacenti; poi “Ne condusse via gli abitanti e li fece segare, fece passare sopra di loro dei carri ferrati, li tagliò a pezzi con coltelli, li gettò in fornaci di mattoni. Così trattò tutte le città dei figli di Ammon” (II Re, XII, 31).