È il momento di dedicarmi al terzo e ultimo contributo che desidero riportare su queste pagine, riguardante gli studi effettuati da Michelangelo Bruno. Il lavoro porta il titolo Il mistero di un nome: BEGO – L’antico Monte Sacro delle Alpi Marittime. Ne riporto qui di seguito l’articolo apparso, come i due precedenti, sul giornale Coumboscuro.
“… Tu, re di Babilonia, che dicevi nel tuo cuore: Io mi siederò sulla montagna dove sono assisi gli dèi, nelle regioni lontane del settentrione” (dalla Bibbia, Isaia 13).
“Nelle ‘Marittime’, in una elevata e appartata regione alpestre, di grande e severa bellezza, attraversata da millenarie piste della transumanza e luogo dove le violente e frequenti manifestazioni naturali creano un’atmosfera di timore suggestivo, si svela agli occhi stupefatti dei visitatori un ricco patrimonio archeologico, inciso sulle rocce levigate dall’azione erosiva dell’ultima glaciazione. Qui ancora si percepisce, fissato nello statico mutismo della roccia, tutto il senso religioso delle antiche genti di stirpe Ligure, testimone di una vibrante e primitiva vita spirituale sorretta dall’immagine di una dimensione trascendente e accompagnata da una forte predisposizione alla credenza nel soprannaturale.

“TEMPIO NATURALE. Il santuario rupestre occupa una fascia altitudinale medio-alta, compresa tra i 2000 ed i 2600 metri; qui l’uomo pre-protostorico, in lunghi spostamenti di transumanza, convergeva dal cuneese, dalla costa ligure e dal nizzardo, per espletare una ritualità religiosa che si concretizzava alla base della montagna sacra, lasciandovi, nel volgere dei secoli, incise sui massi o sulle bancate rocciose levigate che caratterizzano questo settore montuoso, numerose tracce della propria presenza. Il monte Bego è la più rinomata cima dell’estremo settore centro-orientale delle Alpi Marittime, punto culminante di un nucleo roccioso, che si solleva come una naturale cattedrale al centro dell’ampio settore circoscritto, a tutto giro d’orizzonte, dai contrafforti del Sabbione e del Gran Capelet (vedere la cartina schematica allegata) che digradano a tenaglia sul fondo-valle Roya, a ridosso di St. Dalmas de Tende. Il tempio naturale del monte Bego, geograficamente, è quindi un’isola montuosa pressoché rinserrata da tutti i lati; esso protende due brevi diramazioni, dalla forma di una gigantesca figura cornuta rivolta al levar del sole, che circoscrivono a loro volta l’amena valletta di Fontanalbe. L’idrografia, la grandissima ricchezza del territorio, scende tutta verso levante rivolta anch’essa verso il sorgere del sole. Le acque, raccolte nel bacino artificiale detto “Les Meches”, si riversano nel Torrent Beugne (Bònia) che, a sua volta, confluisce infine presso St. Dalmas de Tende nel corso idrico di fondovalle, il Roya. La vetta della montagna ammantata di neve, anche fino a stagione inoltrata, è visibile da luoghi molto lontani, come la costa ligure (Ventimiglia) o provenzale (Antibes).
“L’ANIMALE CORNUTO. Protesa verso il cielo, con la cima che si offre al primo raggio di sole mattutino, la “montagna sacra” venne ritenuta il luogo dove, come per magia, si formano le nubi gravide di pioggia, dove saetta sinuosamente la paurosa folgore e rumoreggia cupamente il tuono, miracolo terrificante delle scatenate, oscure e misteriose forze della vita e della morte, credute espressioni della “divinità delle altezze”, la quale per mezzo della pioggia, dona fertilità alla madre terra. In quel mondo quasi irreale, durante l’età del Bronzo, l’animale cornuto fu il simbolo più ricorrente nelle incisioni del monte Bego. Il culto mediterraneo del bovide ebbe le sue origini nelle ataviche civiltà asiatiche e le corna stesse ne simboleggiarono appunto la forza e la fertilità. Anche la toponomastica dei nomi di luogo presente su questo territorio è legata, in un certo senso, al ricordo dell’animale cornuto: Lac Fourcat, Cima del Toro, Cime du Diable, Col del Cornio (antico nome del Colle di Tenda), Col de Turini, Pointe de la Corne de Bouc, ecc. Più tardi, dall’età del ferro, furono le armi di metallo il simbolo del potere e della forza. Poi, tra il lento diffondersi della mitologia omerica, anche il popolo Ligure celtizzato identificò l’eroe mitico con la divinità stessa, vista di conseguenza sotto le sembianze umane nelle quali il concetto religioso parve realizzarsi. Ebbe così termine il processo iniziale del pensiero preistorico religioso. L’immagine stessa del dio del Bego traspare dalle incisioni rupestri che, a datare dal Neolitico (circa 2000-15000 anni a.C. [10.000-3.500 anni a.C.], ma particolarmente nell’ultimo millennio a.C.), sono passate dal culto del bovide a quello delle armi, del sole ed infine alla latrìa della divinità con sembianze umane. La montagna sacra, venerata per implorare dalla sua divinità la fertilità della madre terra per mezzo della pioggia, fu considerata da tutti i popoli antichi come il punto di congiunzione cosmica tra il cielo e la terra.
“LE MONTAGNE SACRE. Già nel IV millennio a.C. i Sumeri, inventori della scrittura e della prima letteratura epica ed etica, considerarono l’unione o congiunzione cosmica del cielo e della terra la costituente della “montagna sacra”, che generalmente si identificava in un particolare rilievo montuoso, elevato e d’aspetto suggestivo, ricorrente nei miti di antichissime civiltà. Atavico senso religioso, che riconosceva nella montagna sacra la sede della divinità dello spazio alpino. Tutti gli antichi popoli adorarono dunque le loro “montagne sacre”: il Monte Meru, tradizionalmente ubicato nella catena Himalaiana e dagli indiani ritenuto il cardine centrale del Cosmo (l’axis mundi); il Monte Sinai identificato nel Gebel Musa (2132 m), la montagna sacra della Bibbia, la scala d’accesso alla legge di Dio; l’Olimpo, trono degli dèi della mitologia greca; i Monte Poeninus Iuppiter (Gran San Bernardo) sede del dio celtico venerato dalle popolazioni alpine romanizzate dei Salassi; il Monte Ventoux, per i Galli; il Baigorixo, per gli Iberici; il Monte Bego per i Liguri.L’immagine del dio del Bego, dispensatore della pioggia fertilizzante e quindi dell’abbondanza, si coniuga anche nella rappresentazione di alcune figure antropomorfe brandenti l’arma del dio celeste, la folgore. Tutte le incisioni rupestri, commoventi messaggi del lontano passato umano, parlano, nel loro simbolico linguaggio a livello semiologico, di riti propiziatori e la loro presenza evidenzia la profonda credenza di quelle genti nella dimensione superiore. L’esistenza di questo esteso parco archeologico è di tale rilevanza, da avergli valso l’appellativo di “Regione delle Meraviglie”, espressione peraltro legata alla prima descrizione della regione, risalente all’anno 1650, in “La Storia delle Alpi Marittime” di Pietro Gioffredo: “… essendo fama che, con meraviglia e stupore de’ riguardanti, s’incontrano accanto a quelli diverse pietre tutte di diversi colori, piane e lubriche, figurate con mille invenzioni, rappresentando scolpiti quadrupedi, uccelli e pesci, istrumenti meccanici, rusticani e militari, avvenimenti storici e favolosi espressi in quelle, che per la lunghezza del tempo, non son da cespugli coperte il che cagiona non poca ammirazione ai curiosi”.
“GLI DEI DELLE ALTEZZE. I toponimi, benché legati con frequenza etimologica a particolarità geofisiche del terreno, oppure connessi al ricordo di vicende storiche e culturali, alcune volte hanno altresì origini rinvenibili nel contesto delle religioni pre-protostoriche che hanno interessato profondamente le antiche generazioni mediterranee. Tale aspetto particolare trova, nell’analisi archeologica-linguistica del toponimo Bego, una connessione o, meglio, un’assonanza con nomi di luogo sacri e attinenti tutti a divinità celto-liguri, con il richiamo ricorrente alle altezze. Questi nomi, in molti casi, hanno anche valore oronimico: Baigorix (nel gallico frequenti sono i composti con rix – avente valore sacrale di “padrone, signore” e non di re – che appunto caratterizzano nomi di divinità come Baigo-rix, dio celtico ricordato peraltro come oronimo nei Pirenei); Baigus, analogo al pirenaico Baigorix; Begas, Bégos, Begon, corrispondente alla denominazione medievale (a. 1405) del Monte Bego; Belenos, Belenus (o Belinus, Belen, Belus, Bel e Baal), divinità gallica assimilata ad Apollo, il “dio splendente”, il cui culto fu particolarmente diffuso nella Gallia durante il periodo di decadenza dell’Impero Romano (II-IV secolo). Numerosi sono in Francia i nomi di località che si pongono in connessione con Bel-enos, il “dio del sole” di chiara origine gallica, mentre sicure tracce del culto solare (eliolatria) non mancano nelle valli della Alpi sud-occidentali. Questo nome presenta inoltre anche il radicale bel che, pur essendo usato in questo caso per indicare una divinità solare o delle altezze, trova sinonimia nell’antica voce provenzale bel, belugo, il cui significato di “fulmine arco nel cielo” sia affianca anche sia all’italiano balèno e arcobalèno sia al lombardo “balenà”. Belisama, divinità celtica, è identificabile nella romana dea Minerva Belisamae. Beigua richiama per assonanza il Bego e, come quest’ultimo, lo si vorrebbe pure derivare da una presunta base preromana o celtica beg, “signore divino” (il vocabolo beg, divenuto bey nel moderno turco, ha anch’esso il significato di “signore, principe”. Beon, Béonia, Bevùga sono invece i nomi della valle e del corso idrico di fondovalle del Bego. Bekkos, divinità agreste ligure, corrisponde al Pan dei latini, dio mitico della pastorizia. Beguda, riferimento idronimico? E Rebeoni, divinità celto-ligure indigena dei laghi alpini delle Alpi Marittime. Anche l’onomastica d’oltralpe ci offre alcuni cognomi, che si pongono in assonanza con il nome in esame: Bègu, Bégue, Bégon, Bégard, Lebégue, ecc.
“ IL MONTE BEGO. Mentre la prima documentazione storica inerente al Monte Bego si apre in epoca medievale, nell’anno 1405, con la denominazione di Cima del Monte Begas o Bégon, il campo delle ipotesi sul significato etimologico di questo oronimo spazia ampiamente in più direzioni, ma di preferenza le interpretazioni finiscono per sposare la tesi più vicina alla componente mitico-religiosa. Si volle anche trarre, più semplicemente, l’origine di Bego da beccus, che in latino tardo indica anche il “montone”, per richiamo diretto alla naturale vocazione pascoliva del territorio. L’ipotesi, forse la più attendibile, è quella che fa risalire l’origine del nome alla divinità pirenaica Baigorix, presente in tre iscrizioni in Aquitania, ipotesi questa giustificata però solo attraverso l’evoluzione presunta del nome: Baigorix-Baigos-Bègos-Bègo. Poco credibile pare invece l’accostamento con Begoe, ninfa etrusca, mentre si respinge l’assonanza con il termine dialettale ligure rivierasco beccu “bidente”, rusticano strumento agricolo bicornuto (il magau piemontese-provenzale, nome nel quale sopravvive chiaramente un grecismo). Recentemente il nome Bego venne analizzato anche in relazione alle due sillabe che formano la parola: be e go. Mentre il significato di be rispecchierebbe il concetto di montagna sacra e sede di una divinità tauriforme, go indicherebbe invece sia la divinità stessa rappresentata dall’animale cornuto, sia la dea Terra (dal latino Gaia o da Gê, nome mitologico di concezione cosmologica dell’antica Grecia, esso corrisponde al sànscrito Gô “Terra”, la dea madre universale). Il ricco ventaglio di ipotesi sull’etimo di questo affascinante toponimo potrebbe ricevere espansione dal nesso legato all’aggettivo gallico belos “chiaro” che, in questo caso, avrebbe attinenza con l’aspetto morfologico della montagna vista dalla costa ligure-provenzale, stagliata all’orizzonte settentrionale con il caratteristico e arrotondato cupolone sommitale innevato e quindi biancheggiante per buona parte dell’anno.
“ROBEONIS. A conclusione di questa esposizione teorica sulle svariate ipotesi etimologiche fin qui avanzate, dalle quali l’attribuzione sacrale emerge peraltro come la più attendibile, è forse il caso di formulare un’ultima congettura che, seppure ampiamente discutibile, può essere supportata a livello intuitivo da una probabile connessione fra il nome del monte e quello della divinità celtica indigena Robeo, onis, come da attestazione su di un’ara votiva rinvenuta sul versante piemontese delle Alpi Marittime. Nell’anno 1886 presso i laghetti di Rialpo, frazione di Demonte (valle Stura) venne alla luce un’epigrafe latina, di carattere religioso, risalente al I secolo, ora conservata nel Museo Civico di Cuneo. Ritenuta consacrata agli specchi lacustri dove fu rinvenuta, essa ricorda due divinità indigene sconosciute ai Romani: “L(ucius) / Augustinus / Dumvir, Diis / Rubacasco et / Robeoni Votum / S(olvit) L(aetus) L(ibens) M(erito)”. Ermanno Ferrero, nell’anno 1890, intravvide una connessione con un “saltum sive fundus Rubacotium et Rubacaustos”, citato nella Tavola di Valeia, in Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL, XI, 1147, II, 9). Ne deriverebbe, quindi, un lumeggiamento verso un paesaggio silvo-pastorale (ubi silvae et pastiones sunt), oppure di un terreno fondiario e lacustre (pagus) posto sotto la tutela di queste due divinità indigene, Rubacasco e Robeoni. Illustri studiosi di storia locale, tra i quali A. Holder, A. M. Riberi e N. Lamboglia, sostennero l’esistenza di un chiaro legame tra la divinità indigena Robeoni, i laghi alpini e la transumanza. Robeoni, fra l’altro, trova una notevole corrispondenza fonetica in Roubion, l’antica Robio o Rubion del XII secolo, villaggio presso Saint Sauveur; ma anche in Lac de Rabuons, il più grande specchio d’acqua delle “Marittime”: entrambi ubicati nella val Tinée. Nell’antico idronimo corrispondente al corso idrico romagnolo del Rubicone, che nel I secolo a.C. segnò il confine tra la Gallia Cisalpina e l’Italia (Plinio, III, 21), spicca evidentemente una marcata assonanza con la nostra divinità indigena; il Rubicotius fluvius riprende il classico Rubico-onis di origine peraltro non chiarita (Diz. di Toponomastica, UTET, Torino, 1990).
“MONTE DELLE ACQUE. L’ipotesi relativa alla correlazione tra la divinità celto-ligure Robeoni ed i bacini lacustri delle Alpi Marittime, formulata dagli illustri studiosi di storia locale sopra citati, mi spinge a proporre in tal senso una nuova congettura, peraltro aperta alla verifica attraverso riscontri per il momento non disponibili, che potrebbe collocare la divinità Robe-onis anche in connessione con la denominazione stessa del Monte Bego mediante la seguente presunta evoluzione riduttiva: Robeonis-Beon-Begon-Bego. La trasformazione lessico-fonetica che si vuole rimarcare nel contesto, si ricondurrebbe alla compresenza di due variabili ugualmente determinanti nella definizione del profilo culturale che investiva usi e costumi di vita dei primi abitatori di quei luoghi. La risultante etimologica del toponimo Bego, pur limitandosi al livello di ipotesi ampiamente discutibile, sul filo di questo risvolto interpretativo verrebbe ad assumere un evidente valore sacrale (da Baigorix o da Robeoni) e quindi ad avallare un forte rapporto tra la simbologia del culto mediterraneo del bovide ampiamente reperibile in loco nella maggioranza dei reperti archeologici, ma anche a rivestirsi di una specifica valenza idronimica (si ricorda che il territorio è ricchissimo di bacini lacustri, tanto da avvalergli l’appellativo di “Regione dei Cento Laghi”). Di conseguenza il toponimo Bego potrebbe essere preso semanticamente in considerazione anche nella accezione di “monte dei laghi”, oppure di “montagna dove nasce l’acqua”, etimo che si giustificherebbe nella ricca idrografia del territorio. Il valore sacrale dell’animale cornuto e la valenza idronimica si fonderebbero così nell’etimologia di questo misterioso oronimo; il primo ampiamente accertato archeologicamente, la seconda quale risultante intuitiva supportata e rinforzata dall’analisi topografica di questo stupendo e misterioso lembo delle Alpi Marittime”.
Immagine di copertina tratta da CNN.