Julian Barbour
La fine del tempo. La rivoluzione fisica prossima ventura
Orig. The End of Time, 1999
Giulio Einaudi Editore, Torino 2003
Traduzione di Lorenzo Lilli e Smonetta Frediani
Parte 3 di 3
Per Barbour il nostro “cervello contiene le ‘istantanee’ perfettamente coordinate” di un movimento, mentre noi crediamo di percepire coscientemente il movimento. “Una capsula temporale è in sé perfettamente statica… Tuttavia, è così strutturata da creare l’impressione di movimento”.
Come una pellicola cinematografica, si potrebbe dire. Forse è meglio, per conto mio, ricorrere all’esempio di taglio propriamente psicoanalitico, come spiega Sigmund Freud nel descrivere la funzione del sogno.
“Quasi tutte le interpretazioni della meccanica quantistica cercano di recuperare un concetto di storia mediante la creazione o l’identificazione di percorsi nello spazio delle configurazioni che possono essere quell’unica storia di cui ci sembra di fare esperienza… in cui nell’istante presente sono contenute registrazioni di istanti precedenti… La meccanica quantistica fa affermazioni relative a configurazioni… sono permesse tutte le configurazioni, ma certe sono più probabili di altre… La meccanica quantistica seleziona con figurazioni particolari – quelle che sono le più probabili”.
“In tutti i mondi possibili, gli stati incoerenti, privi di ordine e di interesse sono la schiacciante maggioranza e gli stati ordinati costituiscono una minuscola percentuale”… Tutto ciò che abbiamo sono registrazioni… La meccanica quantistica si occupa di probabilità… lo spazio delle configurazioni non lo vediamo mai. Soltanto un essere divino è capace di una tale visione”.
Ecco allora che tutto il profondo e complesso discorso portato avanti cade nel baratro della incomprensibilità. È lo stesso Barbour a sottolineare la nostra debolezza e incapacità di comprensione. Su questa via finisce per preconizzare, anche se non la sostiene con pienezza, la presenza di un’Entità divina che avrebbe di per sé quella capacità di comprendere a noi già negata. Tuttavia, non affermando che tale entità esista, Barbour lascia cadere nel vuoto concettuale la parte più importante del suo teorizzare, quella per la quale siamo spinti continuamente a cercare di renderci conto, di capire, di creare in noi consapevolezza.
Ancora Barbour: “Poiché io nego che il tempo esista, non posso appellarmi a un particolare stato iniziale. Esiste soltanto uno stato e non vi è alcuna evoluzione”.
Se la funzione d’onda dell’Universo è statica, se è giusta l’equazione di Wheeler-DeWitt, dove abbiamo soltanto l’impressione di convivere con movimento e cambiamento perché tempo e movimento non esistono in un Universo che è statico, allora quale significato ha la questione morale? I molti istanti sono tutti lì e subito, in una configurazione complessiva infinita. Non c’è evoluzione, non c’è progresso, non c’è cambiamento, non c’è storia. Eppure alcuni uomini e donne – porto, fra i tanti, l’esempio di Madre Teresa di Calcutta – si danno un gran da fare per cambiare qualcosa nel mondo. Sono solo una delle tante possibilità? Perché quelle e non altre? Perché guerre e lotta alle malattie e non soltanto le une o l’altra? Siamo predestinati? Eppure ci diamo tutti, anche noi, alte prospettive per uno scopo o per un altro, per fini più o meno altruistici, per il bene nostro e di altri. Non ha senso tutto questo.
Sulla scia delle affermazioni di cui sopra, allora, per Barbour tempo e movimento non esistono, sono nient’altro che un’illusione. L’Universo è statico, nulla si muove, nulla cambia: è soltanto un’impressione quella di convivere con movimento e cambiamento. Che io, oggi, abbia profuso buoni consigli a uno studente, serve a qualcosa? E invece avessi deciso di bastonarlo a sangue, sarebbe stato possibile? Diciamo dunque che stava nelle possibilità una delle scelte, con tutte le altre, ma una che noi abbiamo voluto abbracciare. Era scritto? Doveva essere proprio quella? Quale libertà se le configurazioni, nel loro essere statiche, sono anche definite e congelate? Sembra che qualcuno si sia divertito a creare un insieme di configurazioni – uso il linguaggio di Barbour – e poi abbia messo il tutto in ibernazione, lasciando a noi la facoltà di vivere un’impressione. Come a proposito dei sogni: in un attimo d’orologio sogno una scena che occupa ampio tempo; una scintilla che scocca sviluppando in un attimo tutto il proprio contenuto attribuendogli l’apparenza di un episodio in evoluzione. Mi pare sia stato trattato un simile evento, attribuendolo a una capacità divina, quella di avere presente contemporaneamente tutti gli istanti di tempo passati, presenti e futuri. Ma allora siamo molto lontani dalla nostra natura umana, assai limitata nella veglia, forse più verosimile nel sogno.
Barbour ribadisce: “Nella nostra esperienza sono invariabilmente capsule temporali. È questo il principale fatto contingente dell’esistenza: la funzione d’onda dell’Universo, giocando il grande gioco nell’atemporalità, cerca e trova capsule temporali… l’equazione di Weeler-DeWitt del nostro Universo concentra ogni sua soluzione con un buon comportamento in capsule temporali… L’inerente asimmetria dello spazio delle configurazioni incanalerà sempre la funzione d’onda in capsule temporali”.
Secondo Barbour “è possibile descrivere tutta la fisica dell’Universo con un’equazione d’onda atemporale”. Noi viviamo in “un Universo quantistico statico… non osserviamo mai nient’altro che capsule temporali – l’intero Universo osservabile è marcato, in tutte le epoche, da una profonda asimmetria atemporale… ciò che osserviamo – una profusione di capsule temporali”.
Nel merito della dimensione atemporale: Il 26 dicembre 2004 un violento tsunami causò, nel Golfo del Bengala, più di 150 mila vittime. Se scatto una fotografia quando l’onda anomala colpisce ho un’immagine statica che posso interpretare come un’evoluzione temporale. Dov’è la situazione di atemporalità? La foto mi dice ciò che è stato in quell’attimo, non ciò che ne è seguito né può riportarmi indietro alle cause tettoniche che hanno scatenato l’onda. Ma io so che una triste evoluzione temporale della tragedia c’è stata, e qualcuno ha perso la vita, qualcuno ha sofferto, mentre io stavo al sicuro a casa mia, pur partecipando dell’Universo intero.
Asserisce Barbour: “Le cose non diventano, sono”.
Quella di Barbour è una massima fondamentale del suo pensiero e ricorda un’affermazione, simile, di Arthur Schopenhauer: “La volontà è; il mondo diviene e cambia”, con una prospettiva dissimile per quanto riguarda la realtà fisica.
Prosegue Barbour: “Il nostro Universo classico che emerge dal Big Bang è rappresentato come se in qualche modo scaturisse dall’atemporalità, o addirittura dal nulla. Una misteriosa nascita quantistica crea le condizioni iniziali… Il nostro attuale Universo è quindi il risultato delle condizioni create dalla gravitazione quantistica… Se in realtà la cosmologia quantistica è atemporale… Non possiamo ricorrere a un passato per spiegare quel che troviamo intorno a noi. Il qui e ora non emerge da un passato, ma dalla totalità delle cose… Le impostazioni basate sulla creazione quantistica implicano che le enigmatiche e tuttora ignote leggi della gravità quantistica creino al vertice – Alfa – una ‘scintilla nell’assoluta atemporalità’. La scintilla, a sua volta, crea nelle vicinanze di Alfa le condizioni essenziali del nostro Universo effettivo. Il tempo nasce dalla scintilla”. “Alfa in realtà non è un punto vero e proprio, ma un enorme spazio di possibilità diverse, tutte con un volume che tende a zero”.
Siamo ancora alle prese con il termine “creazione”: perché si continua a far uso di questa parola? Se ne spiega il significato? Se si fa questo tentativo, allora si apre nuovo spazio a tutto il discorso. Le leggi della gravità quantistica sono ancora, afferma Barbour, enigmatiche e ignote nella loro funzione creatrice. Il discorso, su queste basi un po’ opache, si fa allora incerto e procede annaspando nel buio. E, poi, si possono quantificare e definire la presenza, la forma, la forza di quella scintilla primordiale? Anche qui non si va oltre pure ipotesi che sanno molto di immaginazione, per fervida che essa possa dimostrarsi. Sarebbe necessario che a quella scintilla, supposto che esista, si applichi una descrizione comprensibile, una determinazione percettibile, un’identità palpabile, un qualsiasi fattore di riconoscimento, tutte prerogative che non si riescono a scorgere se non nell’immaginazione. Da questa ipotetica scintilla, ne è convinto Barbour, prenderebbe origine un filo, o una serie di fili, uno dei quali riguarderebbe noi.
“Poiché l’equazione fondamentale [l’equazione straordinaria di Schrödinger] non contiene il tempo”, una “delicata verifica di tutte le possibilità maggiori ha luogo nella atemporalità… Tutte le cose che vediamo intorno a noi nell’Universo sono soltanto parti di istanti di tempo… La funzione d’onda dell’Universo riesce a raggiungerne molto pochi”, tanto da “scovare gli istanti più speciali, disposti lungo fili delicati… istanti che contengono capsule temporali… Il tempo esiste in quegli istanti poiché essi riflettono la vicenda del percorso” e, dal momento che accade come del la funzione d’onda dell’Universo “illuminasse” i percorsi, “sotto un certo aspetto questi istanti riflettono tutto ciò che esiste… mentre le particelle alfa creano letteralmente, con le loro tracce, un’immagine della storia, le capsule temporali dell’Universo reale incorporano le vicende in maniera molto più sottile”.
Mi trovo ora di fronte a un particolare tipo di registrazione che contiene storie possibili e ancora una volta mi domando: Perché quelle e non altre e perché le contiene? Fobia e terrore del nulla?
Dice Barbour: “L’elemento decisivo in questo quadro è il seme – o, piuttosto, i semi – da cui si possono sviluppare tutte queste vicende grazie alla penetrazione della funzione d’onda in ogni angolo… in cui le configurazioni sono storie coerenti… Le funzioni d’onda riescono a trovare strutture speciali: per esempio, possono creare molecole complesse come le proteine e il DNA”.
Ma questa funzione d’onda, infine, può essere impersonata, valga il paragone, a una volontà creatrice?
Se “l’Universo appare profondamente temporale, da qualche parte deve esistere un motivo solido. Credo che sia l’asimmetria dell’essere… Posti nel bel mezzo delle cose, ci sentiamo trasportati in avanti sulla possente freccia del tempo. Ma è una freccia che non si muove. È semplicemente una freccia diretta dal semplice al complesso, dal meno al più… dal nulla a qualcosa… se potessimo guardare alle nostre spalle, vedremmo dove è iniziato questo lungo viaggio: al margine del nulla”… Non potremo mai capire il miracolo del mondo strutturato… può esistere una teoria scientifica dell’Universo in cui la struttura viene creata come un principio fondamentale. Forse dobbiamo ritornare allo stupore dell’infanzia per comprendere che cos’è realmente il mondo… L’aspetto individualmente più singolare del mondo che vediamo intorno a noi è la sua ricca struttura, che è molto difficile da capire sulla base di argomenti statistici a priori… La scienza dovrebbe spiegare ciò che osserviamo. Di solito, osserviamo capsule temporali e facciamo esperienze di capsule temporali… Tutto ciò di cui facciamo esperienza in un istante qualsiasi appare sempre immerso in una storia ricca e coerente… Il nostro passato è semplicemente un altro mondo (come la freccia scoccata dall’arco non è la stessa che colpisce il bersaglio)… Tutti gli istanti di cui abbiamo fatto esperienza sono altri mondi.
Parlando di “coscienza”
Barbour pone un parallelismo psico-fisico tra gli stati coscienti e gli stati fisici del cervello: Sarebbero i primi a riflettere i secondi. Vale a dire che lo stato del cervello ci consente “di ricostruire lo stato cosciente, proprio come un’orchestra può trasformare delle note scritte sulla carta in musica da ascoltare”.
Il paragone è bello assai, a parer mio, ma non è perfettamente calzante; nel secondo termine sono indispensabili due componenti; gli orchestrali con la loro cultura e la loro preparazione; gli strumenti perfettamente accordati ed efficienti. Sono queste due componenti che non trovo enumerate nel primo termine di paragone, dal cervello allo stato cosciente: per mano di chi? E in quali modi procedurali? Barbour ne fornisce spiegazione in termini assolutamente fisici, asserendo essere il cervello, in ogni istante, a contenere informazioni equiparabili ai fotogrammi di un filmato, i quali sono in corrispondenza perfetta alle diverse posizioni degli oggetti. Da qui la nostra illusione di assistere a forme reali che si muovono.
Ancora l’accostamento all’orchestra: il cervello proietterebbe il film come accadrebbe agli orchestrali che suonano leggendo le note sullo spartito. L’idea di base esplicitata da Barbour dichiara che “ogni configurazione cerebrale istantanea contiene informazioni su diverse posizioni successive degli oggetti che vediamo muoversi”, posizioni che possono corrispondere persino a una piccola frazione di secondo. Inoltre, spiega Barbour, “l’apparenza del movimento è creata dalla configurazione cerebrale istantanea, grazie alla presenza simultanea di varie ‘immagini’ diverse”. Il senso del movimento, nell’ottica di Barbour, sarebbe “creato dal cervello con la giustapposizione di alcune sottoconfigurazioni all’interno di una configurazione”.
“La coscienza – afferma Barbour – è il mistero supremo”. Secondo lui è la stessa “struttura che può rendere autocosciente un Adesso” o essere “eterna e atemporale”.
Barbour sostiene che la nostra ‘trama’ personale sia imperitura e che ci tenga insieme attraverso tutti i cambiamenti della vita. “In nessun caso vi è una perdita di esistenza personale da deplorare”.
Concludo, in tema di coscienza e di identità dell’Io a essa connessa, con la domanda che si pone Schrödinger: “Che cos’è questo ‘io’?”.