La lettura di Arthur Schopenhauer ha lasciato in me un segno profondo nell’anelito alla ricerca di ciò che vado rincorrendo senza successo. Per questo sento il bisogno di soffermarmi alquanto sul suo pensiero.
Schopenhauer nacque a Dànzica nel 1788 e terminò la propria vita a Francoforte sul Meno nel 1860.
Del 1818 è il suo capolavoro “Il mondo come volontà e rappresentazione”. Del 1840 è “Il fondamento della morale”.
L’intera realtà, sostiene Schopenhauer, esiste soltanto per l’intelletto, mediante l’intelletto, nell’intelletto. Alla base dell’Universo fenomenico c’è la “volontà” intesa come impulso cieco o energia vitale.
Incisivo nella dissertazione di Schopenhauer è il suo Pessimismo, secondo il quale la volontà implica costitutivamente il dolore. La vita si identifica con il desiderio e connaturata a essa è la condizione di bisogno e di mancamento che si manifesta come sofferenza. Lo stesso stato di provvisorio e relativo appagamento porta con sé la noia, che è anch’essa sofferenza e il suo sopravvenire fornisce una ulteriore conferma dell’infinità del volere e dell’inappagabilità di esso.
Chi rifiuta la comodità delle transazioni consolatorie non può non riconoscere che “il pendolo della vita oscilla fra il dolore e la noia”. Verosimilmente vedeva giusto Schopenhauer quando sosteneva che desiderio e privazione sono fonte di dolore e di noia. L’individuo parrebbe potersi sottrarre al desiderio e atteggiarsi a contemplare le idee nella loro natura di essenze situate in uno spazio che separa l’energia creatrice del mondo, un impulso cieco di energia vitale che pervade tutto. L’unico valore del mondo risiederebbe allora, così la valutazione di Schopenhauer, nel nulla della sua negazione.
L’uomo pensante anela a conoscere la verità pura. Ci sono due vie che portano alla ricerca della verità: 1) la riflessione o meditazione razionale; 2) l’ispirazione, intuizione intellettuale o pensiero assoluto.
Il mondo che vediamo è nostra rappresentazione (rappresentazione-Vorstellung per Freud: il contenuto concreto di un atto di pensiero) e non esiste se non come rappresentazione. La rappresentazione è l’immagine mentale che noi abbiamo di un oggetto ossia la sua riproduzione: non vediamo il sole come oggetto, ma la sua rappresentazione o riproduzione, come una foto nella nostra mente. La rappresentazione può avere qualche analogia con il sogno, ma ne differisce per il diverso grado di continuità e di connessione. La vita e i sogni sono pagine di uno stesso libro. La lettura continuata di questo libro è la vita reale, mentre nel sogno noi andiamo sfogliando qua e là, senza ordine né connessione. Noi vediamo, sentiamo, percepiamo, ma il mondo che ci circonda non è altro che rappresentazione. Tutto ciò che esiste per la conoscenza è solamente oggetto in rapporto con il soggetto, intuizione di chi intuisce (condivisione con gli altri soggetti) ossia rappresentazione.
Schopenhauer deriva da Kant (1724-1804) la definizione di fenomeno (che è “rappresentazione” formata da una persona): se, per ipotesi, tutta l’umanità scomparisse, il mondo delle rappresentazioni cesserebbe anch’esso di esistere. Nella rappresentazione il contenuto (concreto) o materia è organizzato dal soggetto mediante forme “a priori”: spazio, tempo, causalità. Per Schopenhauer oggetto e rappresentazione sono tutt’uno e nessun oggetto esiste fuori della rappresentazione del soggetto. Il mondo intuito e che si manifesta come pura causalità è pienamente reale, ma ogni causalità è soltanto nell’intelletto e per l’intelletto, per cui tutto il mondo reale è nulla senza l’intelletto.
L’intero mondo degli oggetti è e rimane rappresentazione, eternamente relativo al soggetto secondo il principio di ragione. Il mondo è semplicemente rappresentazione e, in quanto tale, ha bisogno di un soggetto conoscente come fondamento della propria esistenza.
Schopenhauer immagina che un primo occhio si sia aperto sul mondo, conferendogli con ciò l’esistenza.
Le serie di cause ed effetti nel mondo sono senza fine; tale presupposta infinità deve essere determinata dalla forma di causa ed effetto e questa dal modo di conoscenza del soggetto; quindi il mondo deve esistere solo nella rappresentazione del soggetto. Senza quel primo occhio, ossia senza la conoscenza, il mondo non esisteva, e neppure il tempo.
Come primo fatto della coscienza non si deve partire dal soggetto, né dall’oggetto, ma dalla rappresentazione.
Così il tempo non è altro che il principio dell’essere nel tempo ossia successione; lo spazio nient’altro che il principio di ragione nello spazio ossia posizione; la materia nient’altro che causalità; il concetto nient’altro che la relazione con il principio di conoscenza.
Non ci basta riconoscere le nostre rappresentazioni, ma vogliamo sapere il loro significato (il perché). Contemplando l’Universo ci sentiamo piccoli, una nullità. Ma la consapevolezza che tutti quei mondi esistono solo nella nostra rappresentazione fa sì che la grandezza dell’Universo, che prima ci inquietava, stia in noi stessi.
Spiegare l’Universo: il capo epicureo Metrodòro (330-277 a.C.) sosteneva essere assurdo che in un grande campo si producesse una sola spiga, così un solo mondo nell’infinito. Aristotele (384-322) diceva che l’infinito non può mai essere dato come atto, ma solo come potenza (le possibilità).
La rappresentazione della materia nasce, per l’intelletto, mediante la legge della causalità: tempo e spazio vengono unificati; lo spazio si presenta come durata di materia, il tempo come mutamento degli stati della materia. La materia è semplicemente lo spazio divenuto percettibile.
Schopenhauer. Intuizione – Intelletto – Ragione
L’intuizione non è strettamente legata ai sensi (se non vedo, se non tocco non credo), ma bensì è intellettuale, ossia pura conoscenza intellettiva della causa a partire dall’effetto. È l’intuizione che dà luogo all’esperienza. La conoscenza che comprende i meccanismi di causa ed effetto appartiene all’intelletto, non alla ragione (la quale accoglie, fissa e collega la conoscenza immediata). Grazie alla conoscenza per astrazione possiamo abbracciare, oltre al presente, anche il passato, il futuro e l’ampio dominio delle possibilità.
Tutte le grandi scoperte sono una penetrazione immediata, l’opera di un attimo. Nell’uomo intelletto e ragione (conoscenza astratta per concetti) si sorreggono a vicenda, ma sono separati fra di loro. La ragione anela alla verità, mentre l’intelletto anela a conoscere la realtà (i loro contrari: l’errore e l’illusione). La ragione vuole sapere. L’intelletto vuole intuire (intelletto: la capacità di comprendere mediante le facoltà razionali. – Per Schopenhauer: la capacità di comprendere mediante l’intuizione pura o pensiero assoluto). La scienza, di per sé, limitandosi a insegnare il rapporto fra rappresentazioni, procedendo sul filo della ragione, non raggiunge mai una meta finale perché incapace di cogliere la più intima essenza del mondo, oltre la rappresentazione. Scopo della scienza non è una maggiore certezza, ma una maggiore facilità del sapere. Le scienze studiano il mondo dei fenomeni; l’arte, l’opera del genio, studia le idee; Affidandoci alle scienze noi percorriamo una linea orizzontale corrente all’infinito, sul filo della razionalità. Con la contemplazione adottiamo la maniera geniale, quella di Platone, una linea verticale che taglia l’orizzonte in qualsiasi punto, come il placido raggio di sole che attraversa l’uragano senza esserne scosso, come il placido arcobaleno che poggia sul tumulto della cascata (contrariamente per la scienza, nel pensiero di Aristotele: un violento uragano, le gocce di una cascata).
Noi conosciamo i fenomeni, ma non la loro essenza. L’intuizione basta a se stessa, con essa tutto è chiaro e sicuro. Con la ragione o conoscenza astratta, dove regnano la riflessione e i concetti astratti e discorsivi, si danno il dubbio e l’errore. Funzione dell’intelletto è l’immediata conoscenza del rapporto di causa-effetto ossia intuizione del mondo reale. Funzione della ragione è formare il concetto ossia le rappresentazioni di rappresentazioni. L’intuizione è la sorgente di ogni verità e il fondamento di ogni scienza. Nella scienza non tanto sono importanti i giudizi provati o le loro prove, quanto piuttosto quelli direttamente attinti dall’intuizione.
Avere facoltà di giudizio vuol dire saper trasferire con precisione nella coscienza astratta ciò che è conosciuto intuitivamente; una facoltà, cioè, intermediaria fra intelletto e ragione.
L’intero mondo della ragione, dunque, poggia e ha le proprie radici nel mondo intuitivo: la diretta evidenza è da preferirsi alla verità dimostrata ed è l’intuizione la fonte prima di ogni evidenza, in quanto ogni frapposizione di concetti può essere causa di inganni. La matematica sbaglia quando vuole dare la precedenza all’evidenza logica, rifiutando l’evidenza intuitiva. L’evidenza della matematica non si basa su dimostrazioni, ma bensì sull’immediata intuizione che è “a priori” ossia non legata all’esperienza. La conoscenza dell’idea è intuitiva, non astratta. L’intuizione esiste perfetta, non soggetta ad alcun dubbio o errore, non conosce affermazione né negazione, è pura realità (realità: termine usato per indicare i fatti astratti, es: la realità del diavolo). L’intuizione non è semplice sensazione, ma già in essa si mostra attivo l’intelletto. Il pensiero è mera astrazione dall’intuizione: la forma della conoscenza viene resa astratta in concetti.
La materia del nostro pensiero non è altro che la nostra stessa intuizione. Il pensiero consta interamente di giudizi i quali sono i fili del suo tessuto. La possibilità esiste solo nel campo della riflessione e per la ragione; il reale nel campo dell’intuizione e per l’intelletto; il necessario per ambedue.
Tutti gli avvenimenti del mondo sono una rigorosa concatenazione di ciò che necessariamente si verifica (ogni cosa ha la propria causa). Quindi tutto il reale è al tempo stesso necessario (dovevamo per forza nascere). Ciò che non è accaduto, neanche era possibile. Ogni avvenimento è necessario o impossibile, ma solo nel mondo empiricamente reale. Se invece consideriamo, mediante la ragione, le cose in generale, comprendendole in astratto, allora necessità, realtà e possibilità si separano.
Schopenhauer. Volontà – Cosa in sé
La cosa in sé, secondo Kant, è l’oggetto come esiste in se stesso, indipendentemente dalla rappresentazione che ne ha il soggetto e dalle leggi che l’intelligenza del soggetto impone a tale rappresentazione. La cosa in sé, per Schopenhauer, ossia l’intera essenza del mondo, va cercata al di fuori di soggetto e oggetto.
La volontà è la conoscenza a priori del corpo nell’individuo e il corpo è la conoscenza a posteriori della volontà. L’atto volitivo e l’azione del corpo sono un tutto unico, ma si presentano in due modi diversi: l’azione del corpo non è altro che l’atto del volere diventato oggetto, ossia penetrato nell’intuizione; il corpo non è altro che la volontà oggettivata ossia divenuta rappresentazione.
Analizzando il nostro corpo, astraendo dalla sua rappresentazione, c’è soltanto la volontà. L’essenza in sé del nostro proprio esistere è la nostra volontà che è l’elemento immediato della nostra conoscenza e che non è conoscibile se non nei suoi singoli atti.
Tutte le forze, in natura, possono essere conosciute nell’intima essenza come un’unica forza, la volontà. Soltanto la volontà apre la strada per spiegare il nostro essere, per svelarne il senso. L’intuizione immediata ci attesta che alla radice di tutte le manifestazioni della nostra esistenza c’è un’oscura “volontà di vivere”.
Cosa in sé, oltre ciò che appare, è solamente la volontà che risiede fuori del dominio del principio di ragione, ossia è senza ragione, benché ogni sua manifestazione sia sottomessa al principio di ragione; sta inoltre fuori di ogni pluralità, del tempo e dello spazio. Di ogni cosa che succede si può risalire al motivo, ma perché succeda non è possibile darsi ragione.
La volontà si manifesta tutta e con egual forza in un solo individuo come in milioni di individui. Perciò si potrebbe anche affermare che se un unico essere venisse del tutto annientato, sarebbe con lui annientato il mondo intero.
L’essenza in sé è presente in ciascun essere vivente, tutta intera e indivisa. Per questo la vera sapienza non si acquista misurando a fondo lo sconfinato Universo, ma bensì indagando in profondità un qualsivoglia singolo.
Ogni forza primitiva è l’obiettivazione della volontà in un grado inferiore che chiamiamo idea eterna. La legge naturale è la relazione dell’idea con la forma del suo fenomeno ossia spazio, tempo, causalità.
La volontà, come le idee di Platone, è immobile, eterna, immutabile, mentre invece gli individui sempre diventano e mai sono. Noi singoli non siamo volontà come cosa in sé, ma fenomeni della volontà, sottomessi alla necessità ossia al principio di ragione. Le forze della natura e l’attivazione umana sono fenomeni immediati della volontà, sottomessi al principio di ragione.
Le modificazioni nel mondo dei fenomeni sono soggette a cause; non così le forze che le spingono, prive del principio di ragione. La forza in sé sta fuori della catena delle cause e degli effetti, e anche del tempo.
Dunque la volontà, nostra più intima essenza, non soggetta al principio di ragione, si obiettivizza a determinati gradi (le idee) e si manifesta come forza naturale nei fenomeni (tempo, spazio, pluralità, causalità, materia) che sottostanno al principio di ragione.
Tutte le cose del mondo sono obiettività di un’unica identica volontà, identiche quindi nell’intima essenza. In esse c’è analogia e ogni fenomeno umano perfetto è la preparazione di un fenomeno di ordine superiore. Ogni fenomeno di volontà è in lotta contro le forze chimiche e fisiche che sono idee inferiori. Da qui le contese, le battaglie, le vittorie e le sconfitte nel mondo. È una lotta che dimostra il dissidio essenziale tra la volontà e se stessa [non posso fare a meno di domandarmi: ma perché? perché le guerre? perché la malvagità? perché le sopraffazioni?]. È così che la volontà di vivere divora permanentemente se stessa, si nutre di sé.
La volontà si obiettiva dai gradi più bassi (minerali) al più alto (uomo) dove ogni cosa ha bisogno dell’altra (il fiore del sole), in una catena di dipendenze, perché la volontà deve divorare se stessa in quanto fuori di se stessa nulla c’è. Ne derivano la caccia, l’ansia e la sofferenza. L’intimo dissidio della volontà obiettivato nelle idee si rivela nella incessante guerra sterminatrice degli individui appartenenti alle varie specie e nella perenne lotta delle forze naturali fra di loro. Volontà come lotta dà origine a ogni movimento nello spazio infinito.
La volontà agisce come oscura forza impulsiva, cieco impulso, inconscia aspirazione. La volontà dapprima seguiva il proprio impulso nelle tenebre, in modo sicuro e infallibile. Nella realtà delle rappresentazioni essa perde la propria infallibile sicurezza. Al massimo grado della propria obiettivazione aggiunse alla primitiva conoscenza intuitiva la ragione con i suoi concetti astratti, quindi la riflessione, la meditazione, la preoccupazione, la pianificazione e una coscienza del tutto chiara delle proprie decisioni volontarie.
La conoscenza nasce originariamente dalla volontà e di essa rimane schiava; se riesce a liberarsene diviene arte; se viene soppressa diviene rassegnazione che è lo scopo supremo, la più intima essenza di ogni virtù e santità, ed è la redenzione del mondo.
Il carattere di ogni specie e di ogni forza originaria della natura inorganica è da considerarsi come fenomeno di un carattere intelligibile ossia di un atto di volontà indivisibile, che sta fuori del tempo.
Ognuno di noi sente di essere questa volontà, come sente di essere soggetto conoscente. Il mondo intero esiste solo in rapporto alla coscienza dell’uomo singolo. Ognuno di noi è, dunque, tutto quanto il mondo.
Ci chiediamo che cosa vuole la volontà. Di essa non possiamo darci una ragione per il fatto che essa sta al di fuori del principio di ragione, come anche l’idea. Possiamo cercare la causa dei fenomeni, mai della forza naturale che in essi si manifesta.
La volontà è la cosa in sé e l’idea è la diretta oggettità (per Schopenhauer è la relazione fra il mondo delle rappresentazioni e la volontà; il mondo è l’oggettità della volontà, considerato come oggettivazione o manifestazione di un principio) di quella volontà in un grado determinato.
L’essenza della volontà in sé è una tendenza infinita, dove ogni meta raggiunta è a sua volta principio di un nuovo percorso. La volontà sa ciò che vuole in un dato momento, in un dato luogo, ma non sa ciò che vuole in genere, perché non ha fini né confini. L’unica conoscenza di sé che la volontà in genere ha è la rappresentazione nel suo complesso, la totalità del mondo intuitivo che è la sua obiettità, la sua rivelazione, il suo specchio.
Come in Platone e in Kant, il mondo visibile è un’apparenza che è nulla e acquista significato e realtà riflessa solo dal suo riferimento inarrivabile, al di là del mondo dei fenomeni. Idea e cosa in sé non sono uguali. L’idea è oggettità della cosa in sé ossia della volontà, ma soltanto in forma di rappresentazione. Ciò che ha effettiva esistenza per noi è l’idea dell’oggetto osservato.
Non conosciamo singoli oggetti né pluralità, ma solo idee ossia i gradi nella scala dell’oggettivazione della volontà. Conosceremmo la vera cosa in sé se la nostra intuizione non avesse un corpo come intermediario, per cui la nostra intuizione può entrare nelle cose conosciute solo nella forma del principio di ragione. Come individui non abbiamo conoscenza se non sottomessa al principio di ragione che ci impedisce di conoscere le idee.
Noi siamo capaci di conoscere soltanto le relazioni degli oggetti fra di loro. Per conoscere la pura volontà, la cosa in sé o, meglio, l’idea che è l’eterna forma, la diretta oggettità della volontà in quel grado, è necessario smettere di ricercare secondo gli aspetti del principio di ragione le reciproche relazioni tra le cose. Ciò si ottiene se siamo capaci di lasciarci sprofondare nell’intuizione, nella contemplazione dell’oggetto sino a perderci in esso, dimenticando il nostro proprio essere individuo. Diventiamo così puro soggetto della conoscenza, fuori della volontà, del dolore, del tempo.
Differenza fra idea e concetto.
Il concetto è astratto, discorsivo, afferrabile con la ragione e comunicabile con la parola. L’idea, che è adeguata rappresentazione del concetto, è intuitiva, ben determinata, a lei perviene solo il genio, è incomunicabile. Il concetto è come un contenitore che restituisce solo ciò che ha ricevuto. L’idea, invece, sviluppa rappresentazioni nuove in rapporto al concetto cui si riferisce e produce qualcosa che già non conteneva in sé.
L’idea viene conosciuta solo intuitivamente, la sua conoscenza è lo scopo di tutte le arti le quali muovono a rappresentare le idee. Dunque il fine di tutte le arti è condurre a conoscere le idee mediante la rappresentazione dei singoli oggetti. Gli oggetti esistono solo per le intuizioni; i concetti sono sempre astrazioni da queste intuizioni. Come individui possiamo conoscere solo oggetti singoli, ma come soggetto puro del conoscere riusciamo a conoscere solo idee.
Senza le cose da conoscere, senza la rappresentazione non siamo soggetti conoscenti, ma volontà cieca. Così, senza un soggetto del conoscere, la cosa conosciuta non può essere oggetto, ma soltanto pura volontà, impulso cieco. Volontà del soggetto e volontà dell’oggetto sono identiche, ma si scindono entrando nel mondo delle rappresentazioni. Soggetto e oggetto diversificati fra di loro vengono stabiliti nel momento in cui la volontà si fa oggettità, rappresentazione.
Chi riesce a sprofondarsi nella contemplazione della natura, diventando puro soggetto conoscente, è capace di contenere in sé il mondo e ogni esistenza oggettiva, in quanto tutto viene a dipendere dalla sua esistenza. Quando ci liberiamo della volontà individuale e ci abbandoniamo al puro conoscere, siamo come trasportati in un altro mondo, come in un sogno, senza felicità e senza dolore. Schopenhauer chiama l’atto contemplativo “il sentimento del sublime”. Il suo contrario è l’eccitante, ciò che eccita la volontà soggettiva con un appagamento immediato.
La musica, in particolare, potrebbe anche sussistere in assenza del mondo [a coronamento di una meridiana solare, apposta all’esterno di una casa colonica, lessi un tempo questa deliziosa massima: Tempus fugit – Res mutant – Musica manet]. Essa non è, a differenza delle altre arti, immagine delle idee, bensì immagine della volontà stessa. Le altre arti ci danno appena il riflesso, mentre quella esprime l’essenza. Si potrebbe quindi chiamare il mondo musica materiata, quanto materiata volontà. Essa esprime, in un linguaggio universalissimo, l’essenza intima, l’essere in sé del mondo che noi definiamo con il concetto di volontà. La vera considerazione filosofica del mondo non chiede il donde e il dove e il perché, ma soltanto il che cosa del mondo.
La volontà, considerata in se stessa, è inconsapevole. Conosce se stessa per gradi progressivi, nel mondo quale rappresentazione, dove il grado più compiuto è l’uomo. Tutta la natura è fenomeno, e anche adempimento della volontà di vivere.
Per Cartesio (1596-1650) e Spinoza (1632-1677) ciascun uomo diventa quello che egli è, solo per effetto della sua conoscenza. Per Schopenhauer è la volontà l’elemento primo e originario; la conoscenza viene più tardi, come strumento della volontà. Il carattere di ogni uomo, dunque, è originario. L’uomo conosce (e conosce anche il proprio carattere originario) per effetto del proprio volere e non già vuole per effetto del proprio conoscere. Non può decidere di essere fatto in un altro modo. Non vuole ciò che conosce, ma conosce ciò che vuole.
Inutile chiedersi il perché c’è la volontà: essa manca di uno scopo, aspira continuamente, non può essere appagata, si estende nell’infinito. Di qui lo stato di mancanza, di dolore. Qualsiasi appagamento è sempre negativo; la sensazione positiva è data dal bisogno, dalla privazione, dal soffrire.
Immagine di copertina tratta da Libri Antichi On Line.