Fine del percorso. Qui giunti ci sarebbe da augurarsi uno sviluppo dei progressi, già di per sé sorprendenti a considerare i limitatissimi mezzi a disposizione, realizzati nei secoli che precedettero l’era dell’espansione cristiana. Uno sviluppo che, nella logica della spinta in atto, avrebbe dovuto condurre l’uomo di scienza a perfezionare le proprie concezioni e a scoprire mezzi sempre più adeguati per la conquista della conoscenza. Uno sviluppo che avrebbe dovuto saldare gli aneliti dei primi filosofi-matematici-astronomi alle procedure supportate da una tecnologia via via più raffinata acquisita nell’epoca rinascimentale. Quattordici-quindici secoli di progresso avrebbero emancipato l’uomo da stereotipi cognitivi, da false credenze, da concezioni errate, da errori di valutazione, da immagini irreali per indurlo a scoprire in maniera sempre più completa e arricchente la sua collocazione nell’Universo e il senso inscritto in tale sua collocazione.

Già il secondo secolo dopo Cristo, tuttavia, avverte una insistente e inspiegabile metamorfosi: Claudio Tolomeo (100-178 d.C.) riveste di legalità assoluta il nuovo sistema, quello geocentrico, che viene pertanto a soppiantare quello eliocentrico preconizzato ben quattrocento anni avanti da Aristarco di Samo, fissando un codice di credenze che fungerà da freno e ostacolo a ogni successivo tentativo di superamento. Ma come fu possibile tutto ciò? È qui che vado a inserire una mia ipotesi, del tutto personale, una congettura dunque. Ma prima di addentrarmi in quell’ipotesi credo opportuno avvalermi, per una più ampia impostazione dell’argomento qui sfiorato, di una dotta rassegna pubblicata da Piero Tempesti su una Rivista specializzata. Così riferisce l’Autore[1]: Aristarco (310-230) di Samo, nel III secolo a.C., già aveva proposto una prima teoria eliocentrica supponendo che la Terra ruotasse su se stessa e compisse un’orbita di rivoluzione, come il resto dei pianeti conosciuti, attorno al Sole. Con questa teoria rivoluzionaria Aristarco si attirò dal filosofo Cleante l’accusa di empietà, seguendo la stessa sorte toccata a un altro spirito rivoluzionario, Anassagora (496 – 428) che, due secoli prima ancora, aveva osato confutare l’attributo di divinità, dato da tempi immemorabili agli astri, definendoli come semplici corpi materiali. Aristarco segue la concezione atomistica, ma pone una Mente suprema a muovere le dinamiche dell’Universo.

Dovranno trascorrere ben altri diciotto lunghi secoli perché intervenga un Copernico (1473-1543) a riprendere l’idea del Sole al centro di un sistema (De Revolutionibus, 1507-1512).
Nel II secolo a.C. Ipparco di Nicea (200-120), lasciando a parte la concezione eliocentrica dei movimenti celesti, ebbe tuttavia una formidabile intuizione, quella che faceva decadere la consistenza cosmica di una sfera trapuntata di stelle fisse e che poneva queste ultime in uno spazio smisurato a tre dimensioni, lontane le une dalle altre e dall’osservatore in proporzioni assai diverse.

Anche in questo caso si dovrà attendere qualcosa come lo scorrere di diciannove secoli perché nell’ipotesi coraggiosa di Ipparco vada a mettere le mani Edmund Halley (1656-1742) con la scoperta dei moti propri stellari. Il vuoto di conoscenza dovette aver avuto inizio subito dopo Ipparco se da lui a Tolomeo (100-178) trascorsero ben tre secoli in cui le menti dei ricercatori parevano tacere. Tolomeo compose l’Almagesto, il primo trattato che desse sistemazione precisa al sapere astronomico e che costituì, per tutti i quindici secoli successivi, il punto di riferimento privilegiato per ogni speculazione astronomica. In questa sua opera l’astronomo alessandrino si richiamava a una serie di studiosi che affrontarono argomenti cosmici prima di lui, coprendo un lasso di tempo che andava dal 530 al 110 a.C. Poi, fino al 90 dopo Cristo, non dà alcun’altra citazione, come neppure ci è dato, oggi, risalire ad alcuna opera che in quei due secoli tratti di astronomia. Sembra che qualcuno abbia sprangato porte e finestre e spento le luci: buio assoluto.

La decadenza del clima culturale fra i latini, all’inizio di quei secoli di sonno profondo, è ben delineata da Piero Tempesti là dove egli rimarca il loro essere stati retrogradi in campo scientifico, al punto da non riuscire a intendere ciò che stava racchiuso nei resoconti scientifici ellenistici. L’esempio che Tempesti porta dello storico Plinio (61-114) è eloquente. Riguarda l’eclissi totale di Sole. Ogni sapiente greco sarebbe stato in grado di affermare, come logica vuole e come la prospettiva insegna, che l’ombra della luna, proiettata sulla superficie terrestre durante un’eclisse totale della nostra stella, non avrebbe superato in grandezza quella reale della Luna stessa; pertanto quest’ultima doveva essere molto più piccola della Terra. Eppure Plinio (I secolo d.C.) era convinto – tutta la sapienza greca chissà mai dov’era andata a finire?! – che fosse la Luna a superare di molto la Terra in grandezza perché altrimenti – beata ingenuità! – durante un’eclissi totale non avrebbe potuto nascondere completamente la superficie del Sole.

Come accadde anche per Lattanzio (Cecilio Firmiano Lattanzio, apologista cristiano, Africa 250 circa – Treviri 325 circa. Tentò di dare una compiuta elaborazione, in forma classica, al cristianesimo favorendone la diffusione in ambienti colti del tempo) che, fra il III e il IV secolo, si prodigava nel mettere sotto i piedi il concetto della Terra come sfera e l’ipotesi che poneva l’esistenza degli antipodi. E pensare che i Fenici, più di mille anni addietro, avevano compiuto la circumnavigazione dell’Africa e, quindi, constatato l’esistenza degli antipodi.
Tutto porta a considerare che sia intervenuta una componente di natura non scientifica a imporre quel silenzio. La conoscenza avrebbe fatto segnare progressi notevoli e avrebbe consentito la maturazione di nuove conquiste culturali. Ma le cose andarono come andarono e quindici o diciannove secoli di silenzio in materia di speculazioni concettuali sono, all’analisi attuale, un dato di fatto.
Dal secondo secolo a.C., dopo le sensazionali intuizioni di Ipparco di Nicea, sopravviene una stasi di circa tre secoli del pensiero speculativo che porterà a prevalere il Sistema Tolemaico; inizierà una lunga fase di silenzi, lontani dalla elaborazione di nuove ipotesi, dalla ricerca e dalle scoperte, che si protrasse sino al XV-XVI secolo d.C. Il progresso scientifico rimase in sospeso, da Ipparco fino all’adozione del metodo induttivo sperimentale, 1543, per circa 1700 anni.
Nel periodo che si va considerando svanirono come nel nulla, quasi l’effetto di un sortilegio, molte delle conquiste scientifiche acquisite, persino quelle relative alla sfericità della Terra. Materialmente accadde che il centro di quella enorme cultura, rappresentata dalla Biblioteca di Alessandria, ricca già allora di 700.000 rotoli, dopo sei floridi secoli di vita venisse quasi completamente distrutto. La Biblioteca era stata fondata da Tolomeo I Sotere (367-283 a.C., re d’Egitto 305-283, macedone) ed Eratostene ne fu a sua volta direttore. Incendiata nel 48 a.C. dopo l’entrata di Cesare in Alessandria, fu ricostruita e di nuovo distrutta nel 391.
Secoli bui
L’uomo puntò gli occhi al cielo molto presto, da quando ebbe un cervello e una mente per ragionare e per fantasticare. Possiamo retrocedere a cinquantamila anni prima di Cristo. È a quell’epoca che risalgono le prime tracce attestanti rudimentali calcoli fatti dall’uomo di Neanderthal nei confronti dei cicli astronomici. L’uomo visse lungo tempo su questo pianeta prima di accorgersi che stava sulla superficie di una sfera. Gli stessi poemi omerici, mentre ci riportano il susseguirsi di vicende accadute dieci secoli prima di Cristo, ci lasciano indizi probanti del fatto che la reale forma della Terra fosse sconosciuta alla gente di allora. Soltanto seicento anni prima di Cristo fu di Talete di Mileto l’intuizione che la luna fosse più vicina a noi di quanto lo fosse il sole, mandando dunque in briciole la convinzione che tutti i corpi visibili fossero infissi su una volta celeste per fare bella mostra di lassù ai poveri mortali. Talete giunse così a dare ragione della dinamica che sottostava al fenomeno delle eclissi. Fu Pitagora, vissuto tra il 570 e il 496 circa avanti Cristo, ad avanzare l’idea della rotondità della Terra e del suo essere immersa nel vuoto spaziale. Attorno al 450 si fa vivo un certo Filolao il quale sostiene che la Terra non è altro che un pianeta in rotazione su se stesso, fenomeno questo che dà origine all’alternarsi del dì e della notte. Ora siamo a cavallo fra il quinto e il quarto secolo avanti Cristo e, ai precedenti, si aggiunge Platone con l’idea che il nostro pianeta sia veramente rotondo, molto esteso – oltre, quindi, il “mondo conosciuto” che si riduceva a poco più di una porzione del Mediterraneo – ma tutto solo e immobile come centro di tutto ciò che c’è. In pieno quarto secolo Aristotele può confermare senza dubbio la forma sferica della Terra come logica deduzione dall’ombra che appare sulla luna durante un’eclissi. Poi troviamo una serie di tentativi protratti per misurare la circonferenza della sfera – diremo noi la lunghezza dell’equatore terrestre – dovuti ad Archimede, a Eratostene, a Ipparco di Nicea, a Posidonio, tra il terzo e il secondo secolo avanti Cristo, tentativi che si avvicinano con sorprendente approssimazione a quei quarantamila chilometri e poco più di cui sappiamo oggi. Il secondo secolo dopo Cristo vede il convergere di tutte le osservazioni attorno al sistema geocentrico coniato da Tolomeo. Poi, più nulla, o soltanto flebili voci, quasi un gigantesco colpo di spugna avesse cancellato dalla scena della conoscenza scientifica quella direzione di pensiero che si stava dimostrando molto promettente sull’onda delle sempre rinnovate scoperte. In fin dei conti successe come se si fosse trattato di buttare a mare tutto quel ch’era successo prima e non parlarne più, mai più. Si deve attendere sino al nascere del quattordicesimo secolo dopo Cristo per assistere a un graduale risveglio dell’Europa verso la conoscenza dell’Universo. Come se fossero passati milleottocento anni e più senza che l’intelletto umano provasse il desiderio, la spinta, l’impulso o anche soltanto la curiosità, come quella che aveva animato i primi ricercatori, di coltivare ipotesi e idee innovative. Ma il risveglio dal lungo letargo doveva arrivare, un risveglio che portava una luce nuova. Fu così che un duro colpo alla concezione tolemaica della struttura celeste venne inferto, attorno al 1543, con l’adozione pienamente consapevole del metodo induttivo sperimentale. Ed è da questa rinnovata energia che si creò un vivaio di menti fervidissime, basti ricordare Leonardo 1452-1519, Copernico 1515, Tycho Brahe 1546-1601 (Tycho Brahe fu l’ultimo grande sostenitore della teoria geocentrica: i pianeti ruotano intorno al Sole e quest’ultimo si muove intorno alla Terra immobile al centro dell’Universo), Galilei 1600, Keplero 1687, Ferrel 1817-1891. Poi venne Newton il quale, siamo al 1687, realizzò il calcolo relativo allo schiacciamento dei poli terrestri. A grandi passi ci avviciniamo alla nostra epoca, costellata da alcune tappe di tutto riguardo: la prima misurazione della distanza di una stella, a dieci anni-luce nella costellazione del Cigno, avvenuta nel 1840 a opera di Bessel; l’enunciazione del concetto di conservazione dell’energia, attribuito a Meyer e Joule due anni appresso; la scoperta del pianeta Nettuno, dichiarata da Urbano Le Verrier nel 1844; il pendolo di Léon Foucault, del 1851, prova incontestabile del moto rotatorio terrestre.
I Moderni

Giordano Bruno (1548-1600). La Terra nel proprio spazio non è più pesante del Sole. Essa ruota (v. Filolao, 450) attorno al proprio asse, rivoluziona attorno al Sole, il suo asse è inclinato, i suoi moti non sono perfettamente circolari, i due emisferi presentano scambio di posizioni. Non esiste misura né differenza fra la parte e il tutto. L’Universo è uno, infinito, indivisibile, da cui discende che il centro dell’Universo è in ogni luogo e la sua circonferenza la si ritrova dappertutto.
Newton – 1687 – calcola lo schiacciamento ai poli terrestri.
A.W. Herschel – 13 marzo 1781 – scopre Urano.
Bessel – 1840 – Prima misurazione della distanza di una stella a 10 a/luce nel Cigno (10 a/luce = 94 triliardi e 608 miliardi di km = 632.829 U.A. o Unità astronomiche).
Meyer e Joule – 1842 – enunciano il concetto di conservazione dell’energia.
Urbano Le Verrier – 1844 – Scopre Nettuno.
Léon Foucault – 1851 – Con il pendolo dà prova del moto rotatorio terrestre.
Sistema Solare
Sole: 1,392 milioni di km di diametro (109 volte quello terrestre) e un volume pari a km3 1.412 seguito da 15 zeri (1.300.000 volte quello terrestre). La sua temperatura è di 6.000° alla superficie e di 13.000.000° al centro. Lo attornia un’estensione planetaria di quasi 12 miliardi di km di diametro (Plutone dista dal Sole 5.913,52 milioni di km, quasi 40 volte più della Terra). Si dovrebbero mettere in fila 8.000 o 9.000 (8.496,44) stelle come il Sole per arrivare da un capo all’altro del Sistema Solare.
Il Sole si trova a circa 27.000 anni luce dal centro della Galassia. Il Sole emette senza sosta particelle – neutrini – in quantità tale che ogni secondo 60 miliardi di neutrini attraversano la superficie di un’unghia della mano (dal giornale scientifico Leonardo 11-10-2010). Sistema solare ø 11,111 h/luce. Galassia ø = 90.000 a/luce.
[1] Tempesti Piero, “Storia della misura dell’unità astronomica”, Inserto in Astronomia, Editore Unione Astrofili Italiani, novembre-dicembre 2008, n° 6, Stampa: Tipolitografia Editoria DBS, Rasai di Seren del Grappa (Belluno).
Fotografie tratte da Wikipedia.
Immagine di copertina tratta da Vecteezy.