Quanto costano i cambiamenti climatici
Durante le tempeste prodotte dall’infuriare del fenomeno climatico El Niño, nel 1982-83, la mortalità infantile era cresciuta del 103% solo in Perù. Gli uragani hanno provocato oltre un miliardo di dollari di danni in Perù e 10 mila morti in due Paesi del Centro America.
Nel 1998 le alluvioni hanno provocato 50 mila senza tetto in Russia, 80 mila in Corea, 2 milioni di morti in Cina. Le alluvioni del 2000 in Mozambico hanno distrutto un terzo dei raccolti di cereali del paese, danneggiato le vie di comunicazione e spazzato via interi villaggi. Centinaia di migliaia di persone sono rimaste senza casa. Il Governo mozambicano ha stimato in 65,5 milioni di dollari le risorse necessarie per la ricostruzione.
La siccità ha provocato 180 milioni di dollari di danni a Cuba, ha distrutto il 90% delle riserve di riso nelle Filippine.
Gli incendi hanno causato la perdita di centinaia di migliaia di ettari di foresta in Borneo e in Messico.
Nel 2001 si valuta che circa 170 Milioni di persone siano state colpite in tutto il mondo da disastri, per il 97% legati a cambiamenti climatici.
Il Secondo Rapporto dell’IPCC stima che un incremento della temperatura globale di 2,5° C comporterebbe, a livello dell’intero Pianeta:
- una perdita di 0,23% del Prodotto interno lordo (PIL) in agricoltura;
- 1235 kmq di foreste in meno:
- 6829 migliaia di tonnellate di pesce pescato in meno;
- un aumento di consumi elettrici pari a 353,9 terawattora (Tera = T = 1012 = 353 trilioni e 900 miliardi di watt/ora);
- Anche le riserve idriche soffrirebbero di 230,7 kmq di acqua in meno;
- 1007 milioni di dollari all’anno verrebbero spesi per la protezione delle coste;
- Si avrebbero 139,9 kmq di terre asciutte perse e 253 kmq di terre umide; 106 habitat persi quanto a ecosistemi;
- Si conterebbero inoltre numerose morti e oltre due milioni e mezzo di emigrati con 8.000 vite umane perse e 630 milioni di dollari di danni causati dagli uragani.
Cambiamenti climatici e salute.
Il numero di persone colpite nel mondo da danni fisici dovuti a disastri naturali è cresciuto enormemente: oltre 2 miliardi di persone nell’ultimo decennio, rispetto ai 740 milioni negli anni Settanta.
Secondo l’OMS e l’UNEP (Agenzia dell’ONU per l’Ambiente) almeno 150.000 persone muoiono ogni anno per effetto diretto del riscaldamento atmosferico.
I mutamenti climatici modificano la temperatura, l’umidità e la piovosità, influenzano la riproduzione e la distribuzione di alcuni insetti portatori di malattie come la malaria, la dengue (febbre rossa, simile all’influenza, trasmessa da zanzare per via virale), la febbre gialla, la leishmaniosi (malattia parassitaria, da protozoi), diffondendole in aree geografiche diverse, così come alterano lo stato batteriologico delle acque, degli alimenti e dell’aria.
Alcuni studi citano in 10 milioni i nuovi casi di malaria nel mondo dal 2005 al 2030, dovuti a un’alterazione della temperatura mondiale, vale a dire 500 mila nuovi casi all’anno.
L’UNEP mette ancora in guardia sugli effetti dannosi prodotti dall’esposizione prolungata alle radiazioni ultraviolette che raggiungono la Terra a seguito della riduzione dell’ozono atmosferico.
Alcuni studi delle Nazioni Unite indicano in 10 milioni all’anno le morti per denutrizione, legate alla siccità e alla precarietà alimentare.
Nel Lago Ciad, in Africa, le acque si sono ridotte del 95% negli ultimi 38 anni. Secondo l’UNEP 14 Paesi africani sono oggi (anno di riferimento: il 2006) soggetti a mancanza o scarsità d’acqua e almeno altri 11 lo saranno nei prossimi 25 anni.
Tra il 1970 e il 1995 la disponibilità di acqua è diminuita in Africa di 2,8 volte.
Secondo Norman Myers dell’Università di Oxford, dal 2050 il riscaldamento globale potrebbe provocare oltre 150 milioni di rifugiati “ambientali”.
Con un’ampia falcata sino ai giorni nostri troviamo che le notizie dell’ultima ora non sono invero più rassicuranti di quanto lo erano in passato: il 4 dicembre 2021 le fonti di informazione riferiscono i dati provenienti dall’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), secondo i quali in Italia nel 2021 le emissioni di gas serra, dopo tutto quello che si è detto e si è deliberato nelle varie convenzioni sul clima, sono aumentate del 4,8% rispetto al 2020. Per alcuni settori produttivi, visto l’andamento in progressione, l’Ispra prevede un incremento significativo delle emissioni: 8,4% per l’industria, 11,1% per i trasporti.
Nel medesimo tempo e in seguito a un’analisi parallela, dal 55° Rapporto Censis emerge la notizia del raddoppio del numero di persone in condizioni di povertà assoluta, nel giro degli ultimi dieci anni: 980 mila persone nel 2010, poi 2 milioni nel 2020, con un incremento pari al 104,8%. La ripresa – stima il Censis – rischia di rallentare per la “scarsità di risorse umane”.
Contraddizioni
Secondo dati delle Nazioni Unite la povertà uccide ogni giorno 50 mila persone al mondo, mentre un miliardo di donne, uomini, bambini continuano a soffrire la fame (es. la Somalia nel 2011) e la mancanza delle più elementari cure sanitarie. Oltre un miliardo di persone vivono in stato di assoluta povertà; 104 milioni di bambini non possono andare a scuola; 860 milioni di adulti non sanno leggere né scrivere; la fame è una realtà quotidiana per 852 milioni di persone; 1400 milioni di persone non hanno un lavoro dignitoso, altrettante non hanno accesso all’acqua potabile. L’Aids ha già contagiato 40 milioni di persone.
Vale la pena investire in denaro? Si stima che per ogni dollaro speso in attività di prevenzione dai disastri si risparmierebbero circa sette dollari per la ricostruzione.
La Banca Mondiale ha finanziato, dal 1992 fino oltre la metà del 2004, 128 progetti per l’estrazione di combustibili fossili in 45 Paesi, la maggior parte destinata ai Paesi industrializzati del Nord, contribuendo ad aumentare l’emissione di CO2 per 43 miliardi di tonnellate.
I Governi occidentali sostengono con sussidi pubblici alcuni settori economici altamente inquinanti per oltre 235 miliardi di dollari l’anno, vanificando gli impegni e le sfide assunte in sede internazionale per combattere l’inquinamento atmosferico e i cambiamenti climatici.
I combustibili fossili partecipano per quattro quinti alle forniture di energia nel mondo. La predominanza di energia cosiddetta sporca è la conseguenza delle politiche di sovvenzione di cui godono i combustibili fossili.
Solo le fonti pulite (sole, vento, acqua) possono soddisfare le esigenze di energia e migliorare le condizioni di vita di oltre un miliardo di persone.
La gestione delle risorse finanziarie previste dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici è affidata al GEF (Fondo per l’Ambiente Globale).
Marrakech, 2001: si prevede un Fondo per i Paesi Meno Sviluppati (CoP7): molti tra i Paesi più ricchi del G8, tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone, principali responsabili delle emissioni di gas serra, non hanno dato un euro per sostenere il Fondo.
2004, Buenos Aires, prende corpo il Fondo Speciale per i Cambiamenti Climatici (CoP10): Si stanziano 34,7 milioni di dollari in progetti per l’adattamento e il trasferimento di tecnologie nel settore dell’energia, dei trasporti, dell’agricoltura, della riforestazione, per la gestione dei rifiuti e la diversificazione economica.
Le possibilità
Si prevede, dal 2000 al 2030, un aumento dei consumi energetici del 61% su scala mondiale.
I trasporti saranno responsabili di un incremento di oltre il 50% nei Paesi ricchi e di circa il 300% nei Paesi in via di sviluppo.
Si pensa di passare dall’energia da combustibili fossili all’energia da fonti rinnovabili.
Nel settembre 2002 a Johannesburg si era previsto di sviluppare le fonti alternative entro il 2015.
Ciò che è necessario oggi è un nuovo paradigma culturale che renda possibile uno sviluppo sostenibile e un riequilibrio sociale.
Ma i negoziati, che ai primi di dicembre 2011 non erano ancora approdati a una conclusione di qualche effetto, non facevano che ribadire la presa d’atto della malattia che colpiva la salubrità del pianeta ovvero i 36 miliardi di tonnellate annui di CO2 buttati nell’atmosfera che sarebbero diventati 55 nel 2020 al ritmo di crescita ormai in rapida progressione verso un aumento devastante di tre gradi centigradi della temperatura globale. Il limite, si diceva (TG Leonardo-Rai3 del 9 dicembre 2011), non avrebbe dovuto superare i due gradi centigradi, cosa che sarebbe stata possibile contenendo le emissioni nel già molto preoccupante quantitativo di 44 miliardi di tonnellate di gas serra annui per il 2020.
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