La prima Guerra Mondiale era scoppiata, per noi nel 1915, in forma dichiaratamente offensiva. Fummo noi a dichiarare guerra all’Austria-Ungheria il 23 maggio 1915 e ci qualificammo, di fronte all’opinione delle altre Potenze, come una Nazione pronta ad aggredire. Il nostro Governo, peraltro, aveva dato a vedere una tendenza di tal fatta con il portare guerre e tentativi di occupazione in altre terre: già dalla fine del secolo XIX in Africa Orientale, poi in Libia e, più vicino a casa nostra, in Albania nel 1914 e nel 1916, sino all’imposizione del protettorato italiano per mano del generale Ferrero nel giugno 1917.
Nel corso dei 41 mesi di conflittualità che coinvolsero l’Esercito italiano nella lotta contro le forze austro-ungariche e poi anche tedesche, fummo interessati dallo svolgersi di tre notevoli scontri offensivi, in linea con le intese coltivate dallo Stato Maggiore dell’Esercito: la presa di Gorizia nel 1916, lo sfondamento per la presa della Bainsizza nel 1917, la battaglia della riscossa dal Piave a Vittorio Veneto nel 1918.

Per altro verso ci trovammo più di una volta a mal partito e fummo costretti a difenderci dalle minacce ravvicinate e dai tentativi di intrusione perpetrati dai nostri avversari sul territorio patrio: la Spedizione punitiva di primavera o Strafexpedition del maggio-giugno 1916, la battaglia d’arresto del Piave-Grappa nel novembre 1917 e la seconda battaglia del Piave nel giugno 1918. Ne vorrei aggiungere una quarta, che come le tre precedenti andò comunque a buon fine e che non viene presa in considerazione dalla storiografia dedicata, ma che ho avuto personalmente modo di trattare sia nei miei libri Il Battaglione Saluzzo e La Grande Guerra. Zona Carnia – Cukla Rombon – Monte Nero sia in un precedente articolo su questa rubrica, pubblicato sul mio sito Web (mariobruno.net) con il titolo “Poteva essere una Caporetto”.
La battaglia d’arresto italiana nella zona che comprende l’Altipiano di Asiago, il Grappa e il Piave si svolse tra il 10 e il 26 novembre 1917. A muovere dal 1° dicembre 1917 le truppe tedesche furono sollevate dai confronti armati sul fronte italiano. Dall’11 al 18 dicembre 1917 si può parlare di una seconda fase della battaglia d’arresto. Sul fronte del Grappa gli Austro-tedeschi erano stati sul punto di travolgere le nostre difese, se non fossero intervenuti i nostri battaglioni alpini Val Pellice e Val Varaita con un coraggioso contrattacco che contribuì sostanzialmente a contenere i danni. I Tedeschi si erano dovuti accontentare di insediarsi sulla cima del Monte Asolone.
Porto ora l’attenzione, per ovvie ragioni di analisi delle strategie imposte dall’andamento del confronto armato, sulla zona Grappa-Piave, cercando di fare emergere nei loro significati già oscuri alcuni particolari di spicco nell’evoluzione dei fatti all’epoca considerata. Andiamo allora sul massiccio del Grappa dove, a partire dal 24 ottobre 1918, un anno esatto dalla sconfitta di Caporetto, la terza e ultima battaglia del Grappa vide i nostri reparti sollevarsi con l’impeto dei veri eroi che hanno conosciuto da vicino il pericolo incombente sulla propria terra e sulle proprie famiglie.
Iniziamo dunque dal giugno 1918. La cosiddetta “Battaglia del Solstizio”, come fu denominata da Gabriele d’Annunzio, ebbe luogo dal 15 al 23 giugno 1918 e interessò il territorio che si estende dall’Astico al mare. Gli Austriaci, favoriti dal crollo del fronte russo, avevano largamente rinforzato il proprio arsenale offensivo: potevano disporre di circa 680 battaglioni e di 7.000 pezzi d’artiglieria. I nostri opponevano una forza di 574 battaglioni con 5.255 cannoni. Il generale Boroević era a capo delle Armate 5a e 6a lungo il corso del Piave, mentre il generale Conrad comandava le Armate 10a e 11a nel settore dallo Stelvio al Grappa. La battaglia divampò furiosa e terminò con il triste bilancio di circa 82 mila perdite per le nostre formazioni e di quasi 98 mila per gli Austriaci.
Cadeva il giorno 15 allorché iniziava l’offensiva austro-ungarica sul Piave. Nella prima ondata d’attacco tutte le nove divisioni del generale Wenzel Wurm raggiunsero la riva occidentale del Piave. L’attacco iniziò alle ore 3 del 15 giugno con il fuoco di 600 cannoni. Trascorsa una settimana di lotta feroce, il 22 giugno segnò finalmente l’inizio del ripiegamento delle unità austriache che il giorno appresso riuscirono a oltrepassare il Piave e a sistemarsi lungo la sua sponda orientale. Era giunto infine il 23 giugno allorché il generale Boroević diede l’ordine definitivo di ripiegamento alle truppe che guadagnarono la sponda sinistra del Piave alla ricerca di una via di salvezza.

L’offensiva del Piave, prevista per il 24 ottobre 1918, si avvaleva di 51 divisioni italiane affiancate da altre 3 britanniche, da 2 francesi e da una cecoslovacca, più un reggimento americano, per un totale di 700 battaglioni con 7.700 cannoni, 6 milioni di granate e 569 aerei, oltre a una cinquantina di battaglioni di Arditi. Il 26 ottobre le Armate italiane 8a e 10a superarono il letto del Piave. Nonostante l’infuriare dell’azione offensiva dall’una e dall’altra parte, per i nostri Combattenti i successi si aggiungevano ai successi. Dopo tre giorni l’8a Armata del generale Caviglia occupò Conegliano e Vittorio Veneto. Il 29 ottobre si mosse la nostra 4a Armata, si era in tema della grande battaglia del Piave, e si portò energicamente avanti facendo strage dei punti di resistenza austriaci. Il 31 ottobre 1918, mentre gli Austriaci sgombravano il Grappa, la 4a Armata italiana occupava Feltre. L’azione vigorosa doveva esaurirsi il 3 novembre, giorno della firma dell’armistizio fra Austria e Italia, con l’entrata delle nostre truppe nelle località di Borgo Valsugana, Fiera di Primiero e Val Cismon.
Il punto forse più critico per opporre uno sbarramento efficace alla penetrazione austriaca era individuato nel Montello. La difesa del Montello era affidata alla 58a divisione con il 9° battaglione Genio. In quel frangente avvenne che gli Austriaci riuscissero passare oltre il Piave con tre divisioni per scagliarsi contro il presidio del Montello che fu costretto a cedere con la perdita di 6.200 uomini.
Nella Battaglia di Vittorio Veneto l’Esercito italiano denunciò la perdita di oltre 36 mila uomini. Gli Austriaci subirono il sacrificio di circa 427 mila effettivi, dei quali la maggior parte fatti prigionieri.
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