Lancio un’occhiata a un sito che offre la situazione in atto scrutando su vari scorci della vita sul Pianeta, in cifre, poi ripeto l’operazione a un mese di distanza. Ecco che cosa ho rilevato alle due date. Fate voi, se volete, le dovute considerazioni. Per chi desideri seguirne l’andamento è possibile andare sul seguente indirizzo web: http://www.worldometers.info/fr/
Evento osservato | 17 novembre 2013 | 17 dicembre 2013 |
CO2 emessa nell’anno (milioni di tonnellate) | 30.215 | 33.151 |
Foreste distrutte nell’anno (in ettari) | 4.565.000 | 4.996.000 |
Desertificazione (in ettari) | 10.533.000 | 11.529.000 |
Prodotti chimici tossici (in tonnellate) | 8.596.000 | 9.408.000 |
Persone sottoalimentate | 896.000.000 | 895.000.000 |
Persone portatrici di obesità | 1.527.000.000 | 1.584.000.000 |
Morti per fame nel solo giorno 17 del mese | 13.000 | 21.309 |
Morti nell’anno a causa di acqua contaminata | 1.500.000 | 1.700.000 |
Persone prive di accesso all’acqua potabile | 761.500.000 | 758.000.000 |
Giorni rimasti fino all’esaurimento del petrolio | 14.627 | 14.596 |
Giorni rimasti fino all’esaurimento del gas | 60.053 | 60.022 |
Giorni rimasti fino all’esaurimento del carbone | 151.223 | 151.192 |
Bambini morti al di sotto dei 5 anni di età | 6.672.000 | 7.302.000 |
Andava terminando il mese di luglio 2018 allorché si ebbe notizia di uno squilibrio pauroso riguardante le possibilità di alimentazione per tutti. La chiamarono Earth Overshoot Day, la data alla quale la richiesta annuale della popolazione terrestre sulla natura superò quella che gli ecosistemi terrestri sarebbero riusciti a rigenerare in quell’anno. Il mercoledì 1° agosto 2018 è stata una data tristemente passata alla storia del Pianeta: l’umanità aveva ormai utilizzato la disponibilità delle risorse naturali che sarebbero dovute bastare per l’intero anno. Non è stato mai così presto da quando il mondo è andato per la prima volta in overshoot (ovvero ha superato i limiti di tollerabilità) nei primi anni ’70: è l’allarme lanciato dal Global Footprint Network, organizzazione di ricerca internazionale. Era come se l’umanità avesse sfruttato 1,7 Terre. I costi di questo eccesso ecologico globale furono la deforestazione, la perdita della biodiversità, il surriscaldamento, la siccità.
Eppure l’uomo continua a fare finta di niente e a non voler guardare al futuro. Su un altro versante delle sue disgrazie si pone la violenza subita dall’ambiente, voluta dalle mani dell’uomo. È dell’8 maggio 2021 la notizia che nel 2019 le emissioni di gas serra prodotte dalla Cina hanno superato quelle degli Stati Uniti d’America e di tutti gli altri Paesi sviluppati messi insieme. Lo conferma un rapporto del Rodhium Group. Negli ultimi trent’anni a questa parte le emissioni addebitate alla Cina si sono più che triplicate raggiungendo il 27% di quelle registrate a livello globale. Gli USA si collocano al secondo posto con l’11% di emissioni e l’India al terzo posto con il 6,6%, dimostrando di superare, per la prima volta, la produzione di emissioni dei 27 Paesi dell’Unione Europea.
Passa il tempo e, trascorso appena un mese, ecco che cosa ci perviene dalle fonti di informazione. È mercoledì 9 giugno 2021. Parla il Rapporto WWF in occasione della Giornata mondiale degli Oceani: Il Mediterraneo si sta tropicalizzando, sta diventando il mare con il riscaldamento più rapido in assoluto e si sta trasformando nel più salato fra tutti i mari del pianeta: l’aumento della temperatura è del 20% più veloce della media globale e l’innalzamento del livello del mare dovrebbe superare il metro entro il 2100. Il mare non si arricchisce solamente in concentrazione salina, ma anche, tragicamente, per il riempirsi di sostanze plastiche le quali rilasciano con estrema facilità microfibre dannosissime per la popolazione ittica e, indirettamente, per l’uomo che si nutre dei prodotti della pesca. L’inquinamento da plastiche, dunque, e il riscaldamento globale rappresentano le due grandi minacce per gli Oceani. Forse non ci rendiamo conto che ogni anno gettiamo nelle acque del mare otto milioni di tonnellate di materie plastiche. Non solo plastiche, ma rifiuti di ogni genere. L’uomo ha imparato qualcosa che non si sarebbe dovuta mai verificare ossia a considerare l’ambiente di tutti come il luogo di raccolta delle immondezze le più svariate: usa e getta, dove capita, non ha importanza alcuna. Così possiamo verificarne la triste veridicità nella mala depurazione e negli scarichi illegali nei mari e nelle acque interne italiane. Lo rivela il bilancio finale di Goletta Verde e di Goletta dei Laghi, le due campagne itineranti di Legambiente. Su 389 punti, come rivelano le fonti di informazione del 13 agosto 2021, campionati in 18 regioni, in mare e in 34 laghi italiani un punto ogni tre è risultato oltre i limiti di legge. La criticità maggiore si rinviene a ridosso delle foci dei fiumi, dei rii e dei canali inquinati dagli scarichi fognari non depurati dalle Amministrazioni comunali degli entroterra; 32 foci in ben 13 regioni sono fortemente inquinate da oltre dieci anni a questa parte, come dire “malati cronici”. Che cosa ci aspettiamo allora dal futuro? Un futuro roseo di benessere garantito da un’economia rinnovata e da una tecnologia ripara-tutto? Si legge sui notiziari del 18 agosto 2021 che Powell, il presidente della Banca centrale americana, si è così espresso: “Il Covid ha profondamente cambiato la nostra economia. Dopo la pandemia l’economia dovrà adattarsi, non torneremo a quella di prima. Modificato il futuro dei giovani”.
Una notizia meno consolante dell’altra: sono trascorse appena altre ventiquattr’ore e i mezzi di informazione diffondono la inquietante notizia del record storico di anidride carbonica nell’atmosfera. Guardiamo al mese di maggio 2021, trascorso da poco e scopriamo che l’anidride carbonica ha toccato il valore medio di 419 parti per milione (ppm), il più alto mai registrato in 63 anni, da quando nel 1958 si iniziarono le osservazioni scientifiche. Questi sono i dati pervenuti dall’Agenzia meteorologica e climatica USA, Noaa e dall’Istituto Scripps di Oceanografia di San Diego. La rilevazione di cui trattasi è stata eseguita da un osservatorio situato nelle Hawaii.
Poco più avanti, al 14 giugno 2021, che cosa c’è di cambiato? I mezzi di informazione guardano al futuro con ottimismo: sono l’ambiente e la battaglia contro i cambiamenti climatici a riempire di buoni propositi la terza e ultima giornata del G7 a presidenza britannica. Gli esperti si attardano sul problema attinente al clima: “Con impegni più rigorosi contro le emissioni e la promessa anticipata da fonti USA di frenare il rialzo delle temperature globali future” perché non superino la soglia di 1,5 gradi. Ma poi, alla luce dei fatti, la soglia 1,5°C pare stia diventando una chimera. I dati desunti dalle rilevazioni quotidiane fanno purtroppo pensare che l’aumento della temperatura sia un fenomeno inarrestabile. Perché? Semplice, perché l’uomo non vuole mettersi in testa che è la catena perversa della corsa al benessere a portarci verso la catastrofe. Come? Possibile? Saranno mica tutte bufale? Chissà, e allora proviamoci a individuarne i meccanismi perversi. La mattina del 24 giugno 2021 le fonti di informazione mettono in fila le parole proferite dal presidente del Consiglio alla Camera: “Nel 2021 e nel 2022 l’Italia crescerà rispettivamente del 4,2% e del 4,4%”. Bene, un futuro prossimo di rosee previsioni per una crescita economica che avrà i connotati di un maggiore e migliore tenore di vita per tutti, o per quasi tutti o, più verosimilmente in termini percepibili, soltanto per una minoranza. Sul corso delle stime in progressione si vede una ripresa galoppante della nostra produzione industriale: ottimismo alle stelle dunque. Tuttavia c’è un demonietto nascosto, quello dagli occhi non bendati, che ci dice in sordina: “Produzione in aumento, consumi allargati, economia in rialzo, fabbriche a ritmo sostenuto, fumi nell’atmosfera, movimenti crescenti con effetti inquinanti immediati, intensificazione dell’anidride carbonica nell’aria, calore a livelli esasperanti”. Ditemi se non sarà così, se il demonietto avrà o no ragione; la storia della produttività planetaria dal XVIII secolo in qua non ha avuto un decorso benevolo per la salute umana e la curva dei danni provocati all’ecosistema prosegue nella sua avanzata iperbolica. Soltanto un’ipotesi assurda, allarmistica? Ma le ipotesi, di qual fatta siano costituite, devono essere o smentite o confermate. Teniamoci allora su un livello più propriamente scientifico e proviamo a considerare quanto è contenuto nel comunicato seguente (24 giugno 2021) del Gruppo Ipcc dell’Onu. La sintesi del comunicato ci allerta sul pericolo che un riscaldamento globale di +2 gradi centigradi metterebbe a rischio l’umanità. Addirittura! Qui non si parla di una popolazione isolata o di un continente, l’accenno è per tutti noi, abitatori della Terra. L’aumento di 2 gradi centigradi per il riscaldamento globale anziché di 1,5 che sarebbe la soglia fissata dall’accordo firmato a Parigi produrrebbe “impatti irreversibili sui sistemi umani”: con la conseguenza che circa 420 milioni di persone in più sul nostro Pianeta dovrebbero affrontare “ondate di caldo estremo” e altri 80 milioni in più potrebbero essere minacciati dalla fame. Conseguenze devastanti si potrebbero produrre ben prima del 2050.
I problemi, già di per sé scottanti, si avvicinano sempre più alla nostra consapevolezza. Un comunicato del 1° luglio 2021, la nuova Cassandra, avverte che i ghiacciai nel mondo intero si stanno sciogliendo ogni anno di più, mentre i mari mostrano evidenti aumenti di temperatura, in particolare nella conca del Mediterraneo: l’Adriatico, il Mar Ligure e lo Jonio settentrionale. Non si tratta di stravaganze per riempire la cronaca quotidiana, ma bensì del primo studio effettuato dal Sistema nazionale di protezione ambientale (Snpa) che ha per oggetto i cambiamenti climatici in Italia. Le Alpi tendono alla “deglaciazione per le elevate temperature estive e per le ridotte precipitazioni invernali”. In Valle d’Aosta e in Piemonte si è registrato che ogni anno la temperatura media sale di 0,15 gradi centigradi. Per quanto riguarda il riscaldamento dei mari va cambiando anche la distribuzione delle specie. Sui terreni coltivabili si parla di stress idrico “importante” e siamo arrivati al punto che la città di Venezia sia stata dichiarata sorvegliata speciale.

Pare proprio che la cronaca quotidiana voglia rigirare il coltello nella piaga: si legge purtroppo sui mezzi di informazione del 21 agosto 2021 che tutti i ghiacciai sono a rischio, anch’essi di estinzione: “Entro la fine del secolo gran parte dei ghiacciai italiani potrebbe scomparire. Stessa sorte potrebbe toccare entro il 2050 a quelli sotto i 3.500 metri. Le temperature medie degli ultimi quindici anni non ne permettono la sopravvivenza”. È la valutazione che ci proviene da Legambiente e dal Comitato glaciologo italiano, “pronti a partire con la Carovana dei ghiacciai per monitorare 13 ghiacciai alpini e il glacionevato del Calderone (Gran Sasso, agosto 2013, immagine tratta da Wikipedia). Nell’ultimo secolo i ghiacciai hanno perso il 50% della loro area, di cui il 70% è sparito negli ultimi 30 anni, con effetti su ecosistemi, acque, raccolti”. Chi non vedrebbe il pericolo incombente nella dimensione che sto analizzando? Imitiamoci alla fusione delle masse ghiacciate sulle Alpi: che cosa succederà quando saranno scomparse? Niente più acqua dai monti, infiltrazioni in decadimento, sorgenti che andranno prosciugandosi, razionamento dell’acqua, rischio di esaurimento per la totalità dei viventi, morire di sete, peggio della morte per fame, perché alla mancanza di acqua si accompagneranno la disperazione e la pazzia e, in conclusione, guerre fratricide per l’accaparramento delle risorse ultime rimaste.
Il 2050 è vicino, quanti dei nostri giovani vivranno l’esperienza paventata? Ancora una volta: che ne sarà dei nostri nipoti che piangeranno per la fame e per la sete?
Non meno allarmanti pervengono le notizie diramate via TV domenica 22 agosto 2021: “La pioggia è caduta per la prima volta sulla vetta della calotta glaciale della Groenlandia, a più di 500 miglia sopra il circolo polare artico. L’evento è stato registrato il 14 ottobre a 3.216 metri, dove le temperature sono normalmente ben al di sotto dello 0°. Ci sono stati tre giorni particolarmente caldi con temperature di oltre 18° in media. La calotta glaciale, spessa tre chilometri, negli ultimi decenni ha perso ghiaccio e contribuito all’innalzamento del livello del mare.
Ci spostiamo al 3 luglio 2021 e leggiamo l’ultima dell’estate in crescita: Si muore dal caldo. Le fonti di informazione ci dicono che il Nord del Canada è in fiamme, sotto l’ondata di calore estrema, forse nemmeno più tanto anomala, che ha causato già 500 vittime. Interi villaggi sono condannati alla distruzione nei pressi di Vancouver e a migliaia sono le persone evacuate. Il Paese è impreparato a gestire un’emergenza che può a buona ragione essere denominata storica. È crisi climatica anche negli Stati Uniti d’America e in Medio Oriente. Il giorno appena seguente, a una rapida trasvolata dell’occhio sui mezzi di informazione, si percepiscono notizie che non fanno altro che deprimere lo stato d’animo già percosso da mille eventi e situazioni deprecabili: Migranti, tragedia nel mare tunisino, 43 le vittime oltre a 11 o 14 cadaveri trovati sulla spiaggia libica di Zawia: provenivano dall’Egitto, dal Sudan, dall’Eritrea, dal Bangladesh; fuggono per la disperazione, perché il mondo li ha abbandonati alla loro miseria e non sa che farsene, come in una guerra spietata di logoramento e di annientamento sistematico. Su un altro versante sentiamo dire che il Canada, a causa del calore eccessivo, è devastato ancora da incendi in tutto il Nord; sono 152 gli incendi attivi, di cui 89 sviluppatisi negli ultimi due giorni; già si contano 719 vittime. L’ondata di caldo estremo invade il territorio statunitense dall’Oregon ai territori artici del Canada e si sta dirigendo verso la parte centrale del Canada. Nel Mediterraneo un evento simile: Cipro brucia; un enorme incendio, alimentato dal vento e dalla temperatura altissima, ha causato l’evacuazione di dieci villaggi nel distretto di Arakapas. Dalle notizie diffuse il 18 agosto 2021 si apprende che dall’inizio dell’anno sono stati ridotti in cenere 140 mila ettari di boschi e colture.
Il 20 agosto 2021, in piena vacanza estiva per chi può, i mezzi di informazione rivelano che “Il mondo sta affrontando la crisi alimentare più grave del XXI secolo e, secondo alcune stime, entro la fine del 2021 la metà dei bambini afgani al di sotto dei cinque anni (dove si stanno verificando dolorosi esodi di massa in seguito alla riconquista dei talebani) è a rischio di malnutrizione acuta a causa della siccità e degli eventi politici da cui discende la minaccia di sospensione degli aiuti. Dieci giorni appresso, il 30 agosto, è l’Unicef a stimare che siano trecentomila i bambini sfollati dall’Afghanistan, e che un milione di bambini di età inferiore ai cinque anni soffra di malnutrizione. A causa della crisi climatica anche in Africa e in India circa un miliardo di bambini è colpito da gravi rischi per il pane quotidiano. I fenomeni climatici estremi, parliamo della siccità, delle bombe d’acqua, della grandine, degli incendi, vanno anche a compromettere la vita delle api distruggendo un anello della catena alimentare che arriva fino all’uomo. Secondo l’analisi di Coldiretti, basata sui dati di European Severe Weather Database (Eswd), abbiamo perso “un vaso di miele Made in Italy su quattro per il crollo di circa il 25% della produzione”, in un 2021 che ha portato con sé in media quasi due eventi estremi al giorno. Le api “sono un indicatore dello stato di salute dell’ambiente. Tre colture alimentari su quattro dipendono in una certa misura dall’impollinazione delle api”.
Di fatta opposta si presenta la frana a Tokyo, dovuta alle piogge incessanti sulla prefettura di Shizuoka; la frana ha causato due morti e una ventina di dispersi; si presenta come un torrente di fango che già ha devastato circa 130 abitazioni, abbattuto tralicci della corrente elettrica e inghiottito automobili; è stato diffuso l’allarme per almeno 20 mila residenti. A Tokyo fa da contraltare il Tennessee dove, in data 22 agosto 2021, si sono registrati almeno dieci morti e una trentina di dispersi in seguito alle alluvioni provocate dalle forti piogge e dai venti che hanno distrutto centinaia di case. Scena terribile, fra le vittime quella di due gemelli di pochi mesi portati via dalle braccia del padre dalla furia delle inondazioni. Il governatore Cuomo ha dichiarato lo stato di emergenza in alcune aree per l’arrivo dell’uragano Henri. Trascorrono due giorni e si sente dire che nel Tennessee il numero dei morti è salito a 22, con almeno 45 dispersi; senza elettricità centomila abitanti del Nordest. Altri due giorni e lo sguardo pietoso si sposta in Venezuela dove si contano in almeno 15 i morti a causa delle piogge torrenziali e delle susseguenti inondazioni. Le persone colpite dal grave fortunale sono oltre 35 mila e più di ottomila le case distrutte. In Louisiana, poi, l’uragano Ida ha toccato terra, il 30 agosto, con venti della velocità di 240 chilometri ora. Oltre centomila persone sono rimaste senza corrente elettrica. In corso la preparazione di rifugi per gli evacuati in un momento terribile, proprio quando i casi di coronavirus sono in aumento. Non ultima la vicenda del cyberattacco contro gli Stati Uniti, che ha spinto Joe Biden a dichiarare che gli USA risponderanno se sarà accertata la colpa di Mosca sulla quale cadono di massima i sospetti. Si parla di hacker russi che avrebbero colpito gli USA, con la susseguente richiesta di riscatti.
E a queste funeste previsioni e constatazioni si accosterebbero le stime per voce del Centro Europeo per la Prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), di tono ancor meno rassicurante: “Entro la fine di agosto la variante Delta rappresenterà il 90% di tutti i virus Sars – Cov2 in circolazione nell’Unione Europea; possiede un grado di trasmissibilità più alto rispetto ad altre varianti circolanti. Non basta: in quella che è stata definita “Era delle pandemie” il 2 settembre 2021 spunta una nuova variante del Covid, monitorata dall’Oms e soprannominata Mu, identificata per la prima volta nel gennaio scorso in Colombia. È stata classificata come “variante da seguire” poiché presenta mutazioni che potrebbero indicare un rischio di “fuga immunitaria”, l’equivalente della resistenza ai vaccini.
E, tanto per restare aggiornati, accendiamo il televisore la mattina del 12 luglio 2021. Siamo su Televideo: Il ministro dell’Economia, Franco, alla Conferenza internazionale sul clima del G20 a Venezia, nominata capitale mondiale della sostenibilità – dopo il non meno aleatorio epiteto di sorvegliata speciale – ha affermato: “Per raggiungere davvero l’obiettivo di emissioni nette zero servono azioni immediate e concrete”. I cambiamenti climatici sono “una minaccia alle persone, al pianeta e alla prosperità, possono creare shock e rischi per la stabilità finanziaria”. La presidente della Bce, Lagarde, alla medesima Conferenza sul clima di Venezia, ha sostenuto il proposito di contrastare il cambiamento climatico, preoccupata più che altro per la vulnerabilità delle banche a rischio che “potrebbero vedere un aumento del 30% di insolvenza dei propri portafogli creditizi da qui al 2050”. Il commissario Ue all’Economia, Gentiloni, sottolinea la necessità di “trasformare l’economia e renderla più sostenibile”. Vocabolario alla mano, non si può mancare di ravvisare i significati che si accompagnano alle parole appena proferite: si vorrebbe raggiungere “davvero” un livello accettabile; e, allora, fino a oggi che cosa si è fatto? Si voleva raggiungere non tanto davvero ma soltanto fingendo, a parole? Poi servono azioni immediate, concrete: è l’ennesima ammissione di inadempienza dell’uomo di fronte alla sua casa planetaria; ce ne accorgiamo ora? Dopo un quarto di secolo che se ne parla? Infine l’economia, preoccupazione sopra ogni aspettativa: badare bene alla stabilità finanziaria, rilanciare propositi, ancora a parole, sempre a parole, timore per le banche, per i loro portafogli creditizi. Imporre l’obbligo di trasformare l’economia in qualcosa di più sostenibile, come, con quali decisioni, chi dovrà iniziare dando l’esempio? Ma non l’abbiamo ancora capito? Qui non si tratta di economia, si tratta di sopravvivenza!
Le ore del mattino, iniziato il 15 luglio, sembra abbiano trovato la risposta. La Commissione Ue presenta il maxipiano con gli strumenti per azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050 e ridurle del 55% entro il 2030. La presidente von der Leyen comunica alla Stampa: “Stiamo facendo da apripista per un’economia pulita, decarbonizzata”. Fra le proposte, lo stop alla vendita di auto a benzina dal 2035. Ma già si sollevano le proteste dei costruttori di auto.
Dal 15 al 21 luglio sono trascorsi appena sei giorni e i comunicati stampa paiono voler incrudelire: La ripresa post-pandemia spinge le emissioni di CO2: previsto un nuovo massimo storico per il 2023 secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’Energia (Aie) che diffonde un rapporto europeo: “La pandemia ha aumentato significativamente il rischio di corruzione nella economia italiana”. Solo il 2% dei finanziamenti per la ricerca viene speso per energia pulita. Dopo il massimo che sarà raggiunto nel 2023, fra appena due anni, l’inquinamento di anidride carbonica continuerebbe a crescere, con emissioni superiori di 3,5 miliardi di tonnellate rispetto a quanto ritenuto il massimo non superabile in vista dell’obiettivo che parla di un incremento non superiore a 1,5 gradi centigradi fissato dagli accordi di Parigi sul clima. Previsioni, queste, invero poco consolanti: dopo un primo fugace momento di euforia per la rinnovata fiducia nella ripresa economica eccoci ancora a dover lottare contro i due nemici mortali del giorno: da una parte la pandemia che con un Delta terrifico sembra diffondersi con forza inarrestabile e, dall’altra, l’inquinamento dell’atmosfera che provocherà problemi sempre più grandiosi alla vita biologica sul Pianeta. In contesto economico non si fa che parlare di crescita: sì, siamo cresciuti e, guardiamoci intorno, che cosa abbiamo ottenuto? Lasciamo scorrere altri due giorni e vediamo che cosa si dice il venerdì 23 luglio. Si sono riuniti a Napoli i rappresentanti di una ventina di Stati per decidere che cosa fare in vista della salvaguardia dell’ambiente planetario. Il comunicato finale della prima giornata del G20 Ambiente di Napoli “è ambizioso e individua dieci linee di intervento che riflettono la visione del Pnrr (Piano nazionale ripresa e resilienza) italiano: soluzioni naturali per il clima, lotta al degrado del suolo, sicurezza alimentare, uso sostenibile delle risorse idriche, tutela degli oceani, lotta alla plastica in mare, uso sostenibile e circolare delle risorse, città sostenibili, finanza verde”. Ecco la declamazione del ministro della transizione ecologica, Cingolani: “È la prima volta che queste categorie vengono riconosciute dal G20 e diventano vincolanti”. Al Corsera il vicepresidente della Commissione UE con delega al Green Deal, Timmermans, sempre a Napoli, nel contesto del G20 Ambiente, ha enunciato: “L’Unione Europea ha dimostrato con piani concreti che possiamo fare progetti che ci aiutino ad arrivare alla neutralità climatica entro il 2050 e ridurre le emissioni del 55% entro il 2030. È possibile raggiungere questi obiettivi e nello stesso tempo far crescere l’economia”. Non poche perplessità si sollevano nel mio modo di vedere su quanto esposto. Già l’essere capaci di portare a buon fine quelle dieci linee di intervento sarebbe di per sé un vero miracolo. Di tali interventi se ne parla fin dalla prima Conferenza di Kyoto sul clima e se n’è parlato a raffica come un ritornello che si ripete puntuale; soltanto dopo un quarto di secolo si viene a dire che sono stati riconosciuti e sono diventati vincolanti? Poi si parla di soluzioni naturali per il clima: ma non ce ne siamo ancora accorti che ci sta pensando, senza attendere oltre, Madre Natura con le calamità che ci scaraventa addosso? In quanto ai piani concreti, se mai qualcuno abbia pensato a redigerli, sono essi approdati a insiemi progettuali efficaci? E, in ultimo, si valuta che gli obiettivi prospettati dal G20 siano compatibili alla crescita dell’economia mondiale. Non si pensa che la terra coltivabile, sfruttata senza misura, non riesce più a sfamare una popolazione crescente e sempre più esigente? In quanto all’inquinamento, tutti d’accordo, bisogna inquinare di meno, sino a zero emissioni: sì, ma chi incomincia? Ognuno guarda i propri vicini e pare voler dire: “Incominci tu?”. E, poi, chi controlla gli inadempienti e chi li riconduce ai propri doveri? I fatti, in tempo men che breve, danno ragione di queste supposizioni. Arriviamo al 24 luglio 2021 e leggiamo sui mezzi di informazione: “Negoziato in salita sui provvedimenti a favore della ‘decarbonizzazione’; resistenze da Cina, Russia e altri Paesi”. Benché l’accordo su clima ed energia sia stato approvato nel corso della seconda e ultima giornata dei lavori del G20 a Napoli, qualcosa da subito fa stridere gli ingranaggi della macchina attuativa. Il negoziato ha occupato lungo tempo e si è protratto con notevole intensità. Il punto più controverso è stato quello sulla decarbonizzazione rispetto alla quale Cina, ma soprattutto India, hanno opposto le maggiori resistenze. Due sono stati i punti di mancato accordo: mantenere il riscaldamento globale al di sotto della temperatura di 1,5 gradi centigradi entro il 2030 e l’eliminazione del carbone dalla produzione energetica entro il 2025. È chiaro che chi ha puntato sulle risorse inquinanti guarda di malocchio l’imposizione a farne d’un tratto a meno.
Ormai si va a tambur battente con le notizie incresciose, ci stiamo malauguratamente abituando. Arriviamo al 27 luglio 2021 e le fonti di informazione quotidiane annunciano un ennesimo allarme clima sull’agricoltura, lanciato dal vertice Onu in tema di sistemi alimentari. Un consuntivo che fa registrare un aumento di 130 milioni di persone colpite da malnutrizione nel mondo, anche per causa del Covid. Come se non ce ne fosse abbastanza, emergenza tifoni in Cina e, in casa nostra, incendi devastanti in Sardegna, Sicilia, Abruzzi e furie meteorologiche nel Lecchese e altrove.
Un mezzo per combattere la fame ci sarebbe, il più semplice, quello cioè di produrre più cibo per nutrire chi ne ha più bisogno. Ed è qui che rientriamo nel solito circolo vizioso dal quale pare non saremo capaci di uscire nel futuro: produrre più cibo significa disporre di maggiore estensione di terreno coltivabile; per avere questa disponibilità bisogno deforestare immense aree del pianeta; deforestare significa privare di sostegno l’atmosfera già appesantita da veleni di ogni sorta e influire ancora una volta sui meccanismi che agiscono nell’enfatizzare i cambiamenti climatici; coltivare maggiori estensioni di terreno significa anche ricorrere all’uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi che certamente non possono giovare alla salute dell’uomo. Ma non basta, c’è di più; proprio il mattino del 30 luglio 2021 ci viene incontro con una notizia diffusa da Televideo: Earth Overshoot Day (il giorno che segna l’aver passato il segno), oggi stesso il mondo esaurisce le risorse naturali disponibili per il 2021 e, per le necessità di esistenza, inizia a consumare quelle del 2022. A questa fa eco la susseguente notizia, diramata da Coldiretti, che parla del 55% degli Italiani costretti a tagliare o annullare gli sprechi nell’ultimo anno trascorso: qualcuno forse, spinto da necessità, incomincia a capire… Subito dopo si legge che il maledetto Covid imperversa più che mai baldanzoso: il monitoraggio della Fondazione Gimbe segnala che siamo entrati nella quarta ondata con aumento di contagi e di vittime: il monitoraggio eseguito dal 21 al 27 luglio 2021 mette il dito su un aumento pari al 64,8% di nuovi casi.
E nemmeno il mese di agosto ci porta notizie un po’ più consolanti. Siamo alle solite con il clima. Televideo del 10 agosto 2021 riporta un articolo tratto da “Il Manifesto” dove si legge: “Alla canna del gas. Aumenta la febbre del pianeta sempre più velocemente. Gli eventi climatici estremi causati dall’uomo saranno ancora più frequenti”. Il rapporto shock degli scienziati dell’Onu dichiara: “Siamo fuori tempo massimo, eliminare subito le emissioni di gas a effetto serra. Effetti irreversibili. Cambiamenti climatici senza precedenti in migliaia, se non centinaia di migliaia di anni, e alcuni tra quelli che sono già in atto, come il continuo aumento del livello dei mari, sono irreversibili in centinaia o migliaia di anni”. L’allarme viene dall’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) dell’Onu. “A meno che non ci siano riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle emissioni di gas serra, limitare il riscaldamento a circa 1,5°C o addirittura a 2°C sarà obiettivo fuori portata”. Il segretario generale dell’Onu, Guterres, commentando lo studio del Gruppo intergovernativo sull’emergenza climatica, commenta: “Questo rapporto è un’allerta rossa per l’umanità. Se adesso uniamo le forze possiamo invertire la catastrofe”; puntando il dito contro i combustibili fossili aggiunge: “Come il rapporto chiarisce molto bene, non c’è tempo per ulteriori ritardi né scuse. Conto sui leader di governo e su tutti gli attori coinvolti affinché si impegnino a rendere la Cop-26 un successo”. Per Greta Thumberg il peggio è ancora evitabile: “Il nuovo rapporto dell’Ipcc conferma ciò che già sappiamo da migliaia di studi e rapporti precedenti: che siamo in una situazione di emergenza. Non ci dice cosa fare, sta a noi essere coraggiosi e prendere decisioni basate sulle prove scientifiche fornite in questo rapporto. Possiamo ancora evitare le peggiori conseguenze, ma non se continuiamo come oggi, e non senza trattare la crisi come una crisi”.
Intanto, però, la febbre del Pianeta continua a salire. In casa nostra vanno a fuoco estensioni enormi di boschi e foreste in Calabria, in Sicilia, nell’Oristano.
È del 13 agosto 2021 la notizia che la Siberia annovera l’incendio più grande del mondo. Il rogo che da settimane infuria nel Nordest della Siberia è pari come entità a tutti gli incendi del mondo messi insieme. È Greenpeace Russia a denunciare il fatto al Moscow Times, valutando che l’incendio di cui si parla potrebbe diventare il più grande nella storia documentata del Pianeta. In Jacuzia, la regione più grande e fredda della Russia, il fumo denso e acre copre gli insediamenti e raggiunge le città a migliaia di chilometri di distanza. Il più esteso degli incendi ha superato l’invasione di un milione e mezzo di ettari, come si ricava dalla denuncia del responsabile forestale. Il giorno seguente, sabato 14 luglio, si viene a sapere che il luglio 2021 è stato il mese più caldo mai registrato dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa) degli Stati Uniti, da ben 142 anni. L’amministratore della Noaa, Rick Spinrad, ha dichiarato: “Il record si aggiunge al percorso senza precedenti e preoccupante del cambiamento climatico”. Mi balza davanti agli occhi un paragone: una nave con migliaia di passeggeri e l’inconveniente di infiltrazioni di acqua per la presenza di piccole falle. Il capo ne è al corrente, ma non ne rende partecipe l’equipaggio: ognuno sa ciò che deve fare; lo sgombero dell’acqua infiltrata diventa un’occupazione per così dire routinaria e nessuno ci fa caso più di tanto. Trascorrendo i giorni il capo viene informato che le falle aumentano di numero e di grandezza, allora scatta l’allerta e pochi addetti specialisti si danno da fare por apportare i ripari. I danni allo scafo, però, vanno intensificandosi, perciò il capo raduna ripetutamente gli ufficiali del comando per fare il punto sulla situazione: ciò che viene constatato proviene da scarichi che contengono sostanze pericolosamente corrosive. Ognuno dice la sua, ma non si addiviene a un accordo che indichi la via da seguire per affrontare e debellare il pericolo. L’acqua, intanto, continua a salire e ha già invaso i piani inferiori della nave. Scatta l’allarme: ognuno dei trasportati cerca di capire, di trovare una via d’uscita, qualcuno si cinge della cintura di salvataggio, altri danno in escandescenze, smaniando e maledicendo. Poi l’ultimo atto: con l’acqua ormai alla gola, l’ultimo annuncio: “Si salvi chi può!”. Nel caso del clima impazzito è facile dire che occorre eliminare subito le emissioni. Mi sapete dire come? Frenando i consumi, alzando i prezzi a livelli quasi inarrivabili per una serie di oggetti di consumo, frenando drasticamente il ritmo produttivo industriale, minimizzando i trasporti a emissione di gas serra, riducendo i servizi all’essenziale ed eliminando ogni attività diportiva che comporti la combustione di materiale fossile? Ma ci pensate? Innanzitutto perdita di posti di lavoro, restrizioni a non finire e malcontento dilagante, poi l’insorgere di ribellioni e di violenze, di ingiustizie e di soprusi. E, inoltre, incominciare da chi? Eppure ci si dice che gli effetti constatati di giorno in giorno sono irreversibili, la questione si ridurrebbe nel migliore dei casi agli sforzi per mantenere le cose allo stato attuale senza che ingigantiscano e, subito dopo, procurare quelle riduzioni di cui si è detto, e che dovranno essere immediate. Occorre tempo per arrivare a tutto ciò, eppure tempo non ne abbiamo più, siamo arrivati all’allerta rossa, la situazione è quella dell’emergenza. È questo che dobbiamo capire, non restare inermi e attendere il giorno in cui gli esseri umani cadranno come le foglie d’autunno. Chi ha in mano gli strumenti del potere deve agire subito e tutti gli altri devono fare coro accontentandosi di molto meno, a iniziare da chi ha sempre goduto di più. Ci vuole coraggio, è vero, ma se non cambiamo rotta, subito, verremo inghiottiti dagli eventi in men che non si dica. In ultimo, vogliamo pensare ai nostri bambini, al loro ipotetico e incerto futuro?
Persino Papa Francesco si concede di lasciare un momentino da parte le occupazioni spirituali per la salvezza delle anime per indirizzare la propria preoccupazione alle cose di quaggiù. È dell’8 settembre 2021 l’appello congiunto, il primo, fra papa Francesco, il patriarca ortodosso Bartolomeo e l’arcivescovo anglicano Welby indirizzato alla Cop26 di novembre: “Tutti possiamo svolgere un ruolo nel cambiare la nostra risposta collettiva alla minaccia senza precedenti del cambiamento climatico e del degrado ambientale. Scegliamo la vita per il futuro del pianeta e ascoltiamo il grido della Terra, impegnandoci a sacrifici significativi”.
Be’ diciamo che il nostro sistema politico ne avrà problemi da districare. Il timore persistente è che questi grossi problemi, dovuti al riscaldamento globale e alle minacciose epidemie incalzanti, continueranno a crescere e a farsi avanti a forti spallate sulla loro strada in congiura contro l’accresciuta demenzialità dell’Homo Sapiens Sapiens.
In sostanza sono ben 24 anni, da quando si concordò a livello mondiale il Protocollo di Kyoto (11 dicembre 1997), che ci piangiamo sulle spalle nel constatare il degrado progressivo del nostro Pianeta. Si sono accumulate promesse di interventi risolutivi, poi ancora promesse, sempre promesse, ed ecco dove siamo arrivati e verso dove siamo proiettati per il prossimo futuro. Ci siamo persino assuefatti a udire ripetere le stesse frasi gettate al vento, come un ritornello che si ripete, sempre uguale, a intervalli stabiliti qua e là nel mondo.
Di fronte ai mali del Pianeta e dell’Umanità in se stessa c’è senza dubbio da trasalire e da correre senza attendere oltre ai ripari. Eppure, almeno a vedere quanto accade qui a casa nostra, i politici (almeno una parte, così si fanno chiamare molto impropriamente) non hanno altra preoccupazione che quella di fare e disfare alleanze, di creare nuovi gruppi e partiti, di preparare un terreno infido di dispute per “vincere” la tenzone che dovrebbe portarli al potere e a un tenore di vita negato ai più. Il loro dovere è verosimilmente un altro: quello di affrontare i problemi di tutta evidenza e di lavorare sodo per risolverli e per migliorare le condizioni esistenziali di chi soffre di deprivazioni sostanziali o vive sul filo di rasoio della precarietà.
L’uomo ha imparato persino a mentire a se stesso. Che dire, allora? Chi vivrà, vedrà!