Un Dio che gioca a dadi con il mondo?

Così, per tentare di conferire un volto a una disquisizione un po’ pazza su argomenti alquanto inabbordabili, portata avanti in altra sede, mi spingerò a guardare la nostra isola di residenza, l’amato e seviziato pianeta Terra, osservandolo un po’ eufemisticamente dall’alto in basso.

Quel Dio, che dicono averci creato con le sembianze che gli sono connaturate, non solo ci ha procurato una serie interminabile di guai, problemi da risolvere sempre più pesanti e infidi, capaci di autoreplicarsi, di intensificarsi, di differenziarsi in complessità e natura. Non solo, ma ci tiene costantemente sotto tiro, come dire che pare si diverta a lanciare dardi su di noi, accontentandosi il più delle volte di mancare il bersaglio, ma una cosa pare certa: prima o poi non sbaglierà la mira. Sta a lui decidere quando e quanto. A noi non resta che guardare perplessi alquanto e un po’ frustrati con il naso all’insù. Sì, perché questi dardi esistono fisicamente, ci sono stati e ci saranno, e si chiamano “Bolidi”. Vengono da luoghi sperduti del Sistema solare, da qualche angolo recondito di casa nostra in una parola. Vengono, trasvolano, piroettano, rimbalzano, sfiorano, colpiscono.

Nel giro di alcuni anni abbiamo fatto la conoscenza di alcuni fra questi mostri silicei, venuti a farci visita, ma scivolati sempre un tantino alla larga da noi. Nemmeno tanto, però, se dal novero andiamo a estrarre quelli che sono passati ad appena un soffio, indicando per “soffio” una distanza cosmica che può misurare anche qualche centinaio di migliaia di chilometri, proprio nulla in proporzioni spaziali. Non molti sanno di questi eventi, poiché la prudenza e il timore di creare allarmismi prematuri e panico hanno, per una volta tanto, avuto il sopravvento sulla smania di diffondere notizie e immagini strabilianti da parte delle fonti multimediali di informazione. Non è di moltissimo tempo fa il rapido passaggio di un meteorite nello spazio che separa il nostro pianeta dalla Luna. Ci voleva un nulla, proprio un nulla correttivo per deviare la rotta e indurla nel campo gravitazionale terrestre. Lascio immaginare le conseguenze di un eventuale impatto. Basti riportarsi a ciò che si presume fosse successo un’ottantina di milioni di anni addietro con un cataclisma simile, che fu causa, così pare, addirittura dell’estinzione dei dinosauri, i rettili dominatori della superficie planetaria, e di un graduale e successivo sconvolgimento nella determinazione e nell’affermazione delle specie viventi che oggi conosciamo.

Succede, guardando ancora dall’alto al basso, che minacce di questo genere aleggino con notevole disinvoltura sopra le nostre teste, mentre noi la testa letteralmente la perdiamo in sciocchezze, in programmi senza futuro, in guerre fratricide, in soprusi e prevaricazioni di ogni sorta sui nostri simili e sulla terra fonte di sussistenza.

Pericolo? Corriamo davvero un pericolo? Con tutti i progressi che scienza e tecnologia sono riuscite a realizzare, in misura così sorprendente specie negli ultimi anni? Pare di sì, e si tratta di una delle tante cose alle quali si preferisce non pensare: la morte che viene dal cosmo, che fare, tanto, quando arrivano quei bolidi c’è più nulla da scegliere, speriamo solo che vadano a scovare altri lidi su cui cadere; il riscaldamento del pianeta, che fare, tanto, quel che si sarebbe dovuto decidere era da farsi settant’anni fa, o magari anche prima, ancora nel diciannovesimo secolo. Ora è tardi e inutile pensare a rallentare il progresso, perché quello segue un percorso a senso unico e indietro non si torna. Ecco la morale spicciola e sbrigativa del secolo, e intanto vanno in voga e si rafforzano le due raccomandazioni fondamentali che, sole, resisteranno probabilmente ad ogni avversità: “carpe diem”, vivi l’attimo, perché non sai se ci sarà un domani, un domani che peraltro apparterrà ai nostri figli, non ci avevamo pensato? E, in ultimo, per l’ennesima volta, “si salvi chi può!”.

Possiamo liberamente portare qualche esempio, fra quelli che attestano visite ravvicinate degli ultimi tempi, ma non illudiamoci che si tratti di eccezioni così rare. Le attenzioni che corpi vaganti rivolgono al nostro pianeta sono meno infrequenti di quanto potremmo immaginare, solo che, ripetiamolo, non se ne dà notizia adeguata per non ingenerare le solite psicosi da allarmismo prematuro.

Ne abbiamo testimonianza abbastanza vicina, l’anno 1908, allorquando un meteorite di circa quaranta metri di diametro si abbatté in Alaska spazzando via, con la sua terribile onda d’urto, ottanta milioni di alberi e sviluppando un’energia distruttrice pari a 185 volte quella della bomba nucleare che distrusse Hiroshima nel 1945. Portiamoci, molto prima, in Arizona: qui un enorme cratere testimonia della caduta di un meteorite ferroso del probabile diametro di 25-30 metri, penetrato negli strati profondi del terreno circa cinquantamila anni fa, lasciando in superficie un cratere del diametro di 1.200 metri. Non che oggi la musica si sia esaurita, perché ogni giorno, che ce ne accorgiamo o no, precipita nell’atmosfera, per lo più dissolvendosi prima di raggiungere il suolo terrestre, qualcosa come una massa di cento tonnellate di materiale cosmico.

Ed eccoci allora a “2004XP14”, un asteroide ascrivibile, in gergo astronomico, alla classe PHA, ovvero “Potentially Harzadous Asteroids” (Asteroidi a potenziale rischio di impatto), che potrebbe avvicinarsi alla Terra, stando alle stime effettuate, sino alla irrisoria distanza di 267.000 chilometri o poco più. L’ha già fatto, ma in quell’occasione si è presentato il 3 luglio 2006, lunedì, alle ore 18 a una distanza leggermente superiore, poco al di là della Luna, a circa 432.000 chilometri. Noi intanto eravamo intentissimi a massacrarci in guerre bestiali, a deturpare l’habitat, a minare ogni più recondito angolo del pianeta con ordigni micidiali, a stordire le nostre menti con droghe e stupidità di ogni genere.

(L’immagine dell’asteroide 433 Eros è tratta da Wikipedia)

E Dio stava a guardare: “chissà, devo dargli una spintarella?” avrà forse pensato. Intanto un altro si preparava sulla linea di partenza. Anzi, è già partito, da tempi immemorabili. È “Apophis”, un mostro di 320 o forse 600 metri di diametro, in grado di sconvolgere in un attimo l’intero assetto planetario nel quale noi stessi siamo immersi. Gli scienziati gli hanno assegnato un nome più canonico, quello di “2004MN4”, incasellandolo con il numero 99942. Ma tutto ciò viene adombrato dal nome altisonante di Apophis che, riportandosi all’etimo greco “Apep”, prende il significato ben più terribile di “Il distruttore”.

Avete mai giocato ai bicchieri? Non credo, dal momento che l’ho inventato io quel gioco, insieme a mia moglie. Occorre un tavolo non molto grande, uno di quelli che vanno bene per i pasti di due persone, ma con la superficie liscia e scorrevole. Giocate in due, ponendovi frontalmente l’uno all’altro. Il primo afferra un bicchiere in vetro e lo lancia, per scorrimento, sulla superficie del tavolo in direzione del suo avversario. Lo scopo è quello di imprimergli una spinta tale da farlo avvicinare il più possibile alla sponda opposta del tavolo, senza che vada a cadere oltre. Se la supera, sarà il vostro avversario ad afferrare il bicchiere, poi ripeterà la vostra stessa azione, in senso contrario ovviamente. Si attribuisce un punto per chi è riuscito a fare arrestare il bicchiere più vicino alla sponda per ogni coppia di lanci, o che l’abbia superata rimanendo però in bilico; zero punti a chi lo ha spinto oltre facendolo ribaltare. Il gioco prosegue a vostra discrezione.

Ebbene. Non ho accennato a caso a questo ingenuo passatempo; l’ho fatto per rendere una bislacca e vaga idea di quel che certi asteroidi stanno tentando di fare con la nostra palla sospesa nel vuoto. Il 2029 non è poi così lontano da poter essere collocato in un futuro improbabile. Mentre scrivo, penso che mancano più o meno otto anni. Qualcuno di noi certamente sarà presente al riaffacciarsi sulla scena cosmica di Apophis, per un appuntamento fissato al 13 aprile di quell’anno. Un appuntamento per un passaggio così vicino da far tremare al solo pensiero di quel che potrebbe accadere, sempre che le leggi della dinamica gravitazionale non ci tradiscano, 37.000 chilometri appena, quasi un decimo della distanza che ci separa dal nostro satellite notturno, con la promessa di una probabilità di impatto pari a 1,2 su 10.000. Gli scienziati pensano di sfruttare i primi avvicinamenti per operare accurate misurazioni dell’orbita percorsa dal mostro di pietra, allo scopo di indagare le possibili soluzioni da applicarsi in occasione del suo ritorno nel 2029, se mai ritorno ci sarà! Ma, dico io, potevamo andare proprio sicuri che nel 2021 o nel 2013 Apophis avrebbe compiuto in eleganza la propria ‘défilé’ compiacente della nostra ammirazione, lasciandosi fotografare e misurare, poi se ne sarebbe andato ancora per i fatti suoi come una soubrette scivolata dietro le quinte, lasciandoci l’arrivederci per i prossimi otto e sedici anni? Riapparirà, dicono gli astrofisici, nel 2036 e, sempre secondo i calcoli, la sua probabilità di impatto sarà una su quarantacinquemila. Ci sarà ancora qualcuno ad assistere allo spettacolo?

Siamo sicuri che Dio non si sarà del tutto stufato di starsene con le mani in mano? Una piccola stecca, non si sa mai…

Rammento quanto lessi su Televideo, era il primo pomeriggio di martedì otto novembre 2011: “Mancano poche ore all’incontro ravvicinato con l’asteroide gigante 2005YU55 che stasera passerà tra noi e la Luna raggiungendo una distanza record dalla Terra di 324 mila chilometri. Il corpo celeste offrirà uno spettacolo unico, ben visibile dall’Italia, che potrà essere apprezzato fino a venerdì (alla data indicata con le cifre: 11/11/11, guarda che combinazione originale!) non solo dagli astrofisici ma anche dai telescopi amatoriali degli astrofili; 2005YU55 è il più grande che sia mai stato visto passare così vicino alla Terra negli ultimi decenni, un’occasione d’oro per studiare nei dettagli la sua forma, le dimensioni e il periodo di rotazione”. Sempre che non sia lui, per primo, a venirci a studiare nei nostri dettagli di stupidità e di perversione!

Passa un giorno ed eccomi nuovamente di fronte al teleschermo per leggere le prime notizie del mattino su Televideo, ore 6,50 del 9 novembre 2011; riporto testualmente: “Asteroide grande come una portaerei è passato alle 00.28 ora italiana a circa 325.088 chilometri dalla Terra, all’interno dell’orbita lunare. La distanza media tra la Luna e il nostro pianeta è di 384.633 chilometri. Gli scienziati, che avevano comunque escluso qualsiasi probabilità di collisione, hanno diretto i loro telescopi verso lo spazio per scoprire qualcosa di più sull’asteroide denominato 2005YU55. L’ultima volta che un grande corpo spaziale è passato così vicino alla Terra fu nel 1976”.

Poco dopo vado sulla pagina economica e leggo, ancora secondo testo: “La Borsa di Tokyo ha chiuso la seduta positivamente, dopo il calo registrato ieri. L’indice Nikkei dei 225 titoli guida ha guadagnato 99,93 punti, pari a + 1,15%, ed è salito a quota 8.755,44. Positivo anche il Topix, che è cresciuto di 11,37 punti, pari a + 1,54%, e si è attestato a 749,40 punti. Debole il livello dell’attività borsistica, con 1,8 miliardi di azioni scambiate sul primo mercato”.

Ora soffermiamoci un attimo sulla contraddizione. Diventiamo matti per gli andamenti economici, per i mercati, per le svalutazioni, per le congiunture, per le diatribe politiche e parapolitiche, per le crisi che non hanno termine; temiamo fortemente per il lavoro, per i nostri risparmi e/o investimenti, se ne abbiamo; guardiamo al domani con trepidazione e timore, insicuri e in balìa delle ondate di piena e di magra improvvise e inattese, e con tutto ciò ci illudiamo di essere eterni, indispensabili. Poniamo il caso: 2005YU55, per una qualche deviazione di rotta, avesse puntato sulla Terra e fosse caduto nel Mediterraneo oppure nel Sahara? Oppure fosse stato catturato dalla Luna e ne avesse modificato i parametri di rivoluzione generando progressivo allontanamento dal o avvicinamento al nostro pianeta? Avremmo avuto ben altre cose di cui occuparci e preoccuparci la mattina del 9 novembre 2011. O forse, nella peggiore delle ipotesi, tutte quelle cifre dei più e dei meno, dei rialzi valutari e delle cadute a precipizio, dei Nikkei e dei Topix e di quant’altro sarebbero finite in una bolla di sapone e scomparse senza lasciare la minima traccia di sé. Eppure siamo ancora qui a raccontarla. Ma, vale proprio la pena romperci cotanto capo restando appesi ad un esile e quanto mai precario filo dell’esistenza?

Noi, peraltro, siamo sempre molto ottimisti – o irresponsabili – quando si pone il caso di guardare alle emergenze. Non prendiamo provvedimenti prima che ci scappi il morto, non crediamo che Dio ci abbandoni al nostro destino, non vediamo la necessità di sanare le ferite inferte al nostro pianeta se non con un secolo di ritardo e in tempi che hanno perso ormai le migliori opportunità di intervento, non diamo il peso dovuto alle minacce cosmiche e alle probabilità devastanti che a esse si correlano né valutiamo con intelligente ponderazione le urgenze e le emergenze in cui andiamo incappando. Così gli scienziati pensavano, concedendosi un generoso lasso di tempo, di assumere una decisione valida prima che sopraggiungesse l’anno 2014, per contrastare l’orbita di Apophis deviandola da una sua possibile traiettoria proiettata sul pianeta Terra. Già si valuta il 2029 come un periodo ormai tardivo perché siano garantiti buoni esiti qualora si voglia tentare una deflessione di rotta per allontanare da noi “il distruttore”. Cinque anni, quattro, tre, due… un sospiro, un attimo di vita dell’Universo, un soffio nel volgere del quale molte cose possono succedere, inaspettate, impensate e volutamente impensabili.

E Dio ci guarda, pietoso e forse anche un po’ divertito: “Ma non avete ancora capito, popolo di dura cervice, che non è necessaria una stecca del mio dito? Non avete ancora realizzato che sarete voi stessi, in questi prossimi vent’anni, ad autodistruggervi? Povera mia misera, meschina, sprovveduta progenie, quanto sciocca sei, e stolidamente presuntuosa! La mente che t’ho affidato l’hai ridotta a demenza assoluta. Nulla farò per fermarti, dopo che ti ho amato e ho riposto la mia fiducia in te. Ti elargisco ancora un dono, per rispetto alla libertà che ti ho lasciato: così vuoi e così sia”.

Intanto qualche avvisaglia, avanguardia di quelle manifestazioni inaspettate di cui dicevo, appare a intervalli irregolari. Ne è un esempio il bolide che poco prima delle diciannove del giorno giovedì 15 marzo 2007 ha attraversato un buon tratto del cielo veneto, come riportato nel precedente mio articolo del 16 luglio 2021, “Minacce dallo spazio”.

Ma la carrellata continua, pare prenderci gusto nel provare a tenerci in apprensione. È la volta dell’asteroide “2012 EG5”, avvistato nel mese di marzo 2012, quando si prevedeva un suo transito fra la Terra e la Luna, a una distanza approssimativa di 230.000 chilometri da noi. In realtà, la sera del 30 marzo 2012 ci è passato più vicino, molto più vicino: fu osservato ad appena 107.712 chilometri dal nostro pianeta. Il primo di aprile, è proprio il caso di dirlo, uno scherzo maligno da pesce d’aprile, ci ha quasi sfiorato. Ed era un pezzo da cinquanta metri di diametro. Un bel botto se fosse stato catturato dal campo di attrazione terrestre! Ancora un asteroide di discrete dimensioni fra l’undici e il dodici dicembre 2012. Poi, per completare l’opera, la grande paura e attesa quasi febbricitante per la fine del Calendario Maya, il cambiamento di Era che avrebbe dovuto causare, il 21 dicembre 2012, la fine del mondo. Chissà che non l’abbiamo scampata per miracolo anche quella volta?! Che cosa diceva la Profezia Maya?: l’imminente “13 Baktun”, il cambiamento del calendario Maya che si celebra ogni 5.125 anni è arrivato il 21 dicembre 2012. In vista della “fine del mondo” tutto era pronto in Guatemala e negli altri Paesi (Messico, Belize, El Salvador, Honduras) del “pianeta Maya”: dai tanti riti religiosi alle celebrazioni, ai concerti. Anche nel resto del mondo furono organizzate feste e riti. Ma un consiglio per tutti i timorosi arrivava dagli psichiatri: “Per non farsi prendere dal panico, a chi crede nella fine del mondo: coltivare in tutti i modi la cultura del dubbio, cioè provare ad aggredire la certezza con il dubbio per smorzare la tensione” (da Televideo del 21 dicembre 2012, ore 7).

Non è finita, no. Metà febbraio 2013: a Chelyabinsk, sugli Urali russi, cadeva esplodendo prima di toccare il suolo un bolide provocando una forte onda d’urto. Oltre mille si contarono i feriti, tra cui duecento bambini. Ecco presentarsi, alle ore venti e quaranta del 15 febbraio 2013, un altro gigante killer, l’asteroide 2012 DA14 che, transitato ad appena 27.700 chilometri al di sopra dell’Oceano Indiano, a una quota dove stavano i vari satelliti geostazionari, pensò bene, con i suoi cinquanta metri circa di dimensione, di andarsene altrove. Se si fosse lasciato tentare dal risucchio geogravitazionale e avesse concluso la propria corsa sul nostro pianeta? Già, forse Dio, anche quella volta, si sarà voltato dall’altra parte, non ne valeva ancora la pena.

Qualcosa di simile dev’essere accaduta la notte del 4 agosto del 2013 quando, dall’osservatorio spagnolo J75 OAM Observatory, La Sagra, veniva scoperto un nuovo asteroide, designato con la denominazione provvisoria di “2013 PS10”, del diametro stimato sui 30-70 metri, avvicinatosi alla Terra all’incirca a sole 0,0025 Unità Astronomiche, equivalenti a qualcosa come 370.000 chilometri ovvero a poco meno della distanza Terra-Luna.

Un’altra delle disattenzioni di quel Dio bizzarro e giocherellone che più non sa che farsene di una copia di creatura venuta male?

Ma smettiamola con queste domande. Io mi rifiuto di pensare a un Dio che gioca ai dadi con il mondo, e con questo mi metto dalla parte di Einstein. E quel Dio, che sta “dentro di te e ti tormenta”, avrà infine un volto, rivelerà le proprie intenzioni, dove ci vorrà portare? Quanto è difficile, tutto sommato, e arduo vivere e reggere una situazione interiore che non è più speranza e non è ancora certezza. È qualcosa di diverso, che si situa a una certa distanza fra le due, che “vorrebbe” essere, forse una pulsione che potrei chiamare “desiderio”, “anelito impossibile”, “ossessione”. Ma tant’è, questa è la natura in cui qualcuno mi ha scaraventato, mio malgrado persino. Dopotutto, grazie, comunque, perché, almeno per il momento, so della cosa più bella del mondo: sto pensando, sono capace di pensare. Vorrei essere pensiero puro, coscienza senza confini di spazio e di tempo. Chissà, se Dio m’ascolta!

Immagine di copertina tratta da Slashgear

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