Accadde per la prima volta, era la fine del 2011, che fosse stata avvistata la particella di Dio, così l’avevano chiamata, ossia il bosone di Higgs. Si diceva che gli scienziati avessero fotografato le sue tracce servendosi di appositi rilevatori. I primi dati furono presentati a Ginevra durante un seminario del Cern a cui parteciparono numerosissimi ricercatori e organismi di stampa. Coloro che aveva coordinato gli esperimenti Atlas e Cms erano due italiani, Fabiola Gianotti e Guido Tonelli. L’individuazione del bosone di Higgs avrebbe poi dimostrato di poter dare qualche buona spiegazione di molti misteri della scienza.

Peter Higgs (nella foto, tratta da Wikipedia) ne aveva ipotizzato l’esistenza oltre quarant’anni prima per spiegare la massa degli atomi. Ma, potrebbe farsi avanti qualcuno, che cosa ci sta a fare Dio in tutta la questione? La spiegazione gli potrebbe venire da Margherita Hack, la grande e compianta astrofisica che già allora valutava, qualora la scoperta fosse stata confermata, il profilarsi di una vera rivoluzione. La “particella di Dio” infatti, fu così battezzata per via del suo essere stata il progenitore di tutte le particelle esistenti nell’Universo e, in quanto tale, sarebbe in grado di spiegare come mai le altre particelle possano avere massa. Aiuterebbe dunque a capire come si è formata la materia. La Creazione, dunque? Ma poi la notizia ebbe un seguito. Si era giunti all’estate del 2012 che in una conferenza mondiale al Cern di Ginevra furono illustrati i risultati – ottenuti con l’apporto dell’Istituto Nazionale Italiano di Fisica nucleare – dell’esperimento sulla “Particella di Higgs”, quella che dà massa a tutte le altre particelle, ritenuta fonte della materia, grazie alla quale ogni corpo ha una massa, dai batteri agli esseri umani alle galassie. Al tempo si era però ancora in attesa dei risultati che sarebbero stati forniti da Lhc, il più grande acceleratore di particelle del mondo. Trascorreva un altro solo giorno che si disse della presentazione dei risultati di due diversi esperimenti i quali avrebbero dimostrato che il bosone teorizzato da Higgs, questo anziano scienziato di 83 anni nel 2012, da 48 anni all’inseguimento dell’idea che presupponeva l’esistenza del bosone, in effetti esiste proprio. Tant’è che a Peter Higgs e al belga François Englert venne assegnato il Premio Nobel per la Fisica nell’autunno 2013 per aver teorizzato l’esistenza del bosone.

È veramente sorprendente come, spiccando un salto indietro nel tempo, si possa constatare che l’idea coltivata da Higgs avesse avuto un precursore ben 26 secoli addietro. Mi richiamo agli studi di Anassagora, filosofo ionico, vissuto fra il 500 e il 428 avanti Cristo, che già allora aveva concepito la realtà materiale come divisibile all’infinito in particelle diverse tra loro per qualità. Accusato, fra l’altro, di empietà perché negava che il Sole e la Luna fossero dèi, pose come origine di tutte le cose un numero infinito di semi. Affermò che nulla nasce e nulla viene distrutto: la nascita si configura come una mescolanza e la distruzione come separazione. In ogni cosa c’è una particella di tutte le cose. Ammise l’infinita divisibilità della materia. Al di sopra di tutto pose l’intelletto, inteso come la materia più leggera e più sottile, dotata di forza motrice e di conoscenza. All’inizio era il caos, poi venne l’intelletto che diede origine a tutte le cose. E. allora, come non vedere in questa teoria dei semi l’intuizione relativa a qualcosa di simile al bosone, e nell’intelletto come punto di partenza della materialità, qualcosa che ricorda anch’essa ciò che fu postulato molti secoli dopo con l’avvento dell’Era di Planck?
Cifre inverosimili
L’idea del bosone spinge facilmente il pensiero a inoltrarsi in campi desueti, dove il puro calcolo deve lasciare spazio all’immaginazione. Guardiamo che cosa si può avverare nel contesto delle nostre capacità mentali. Il bambino molto piccolo, è stato detto, è dotato di una smisurata capacità di produrre rappresentazioni: si parla di potenzialità pari a 10102 e di una vera e propria smania di passare dagli stati di disequilibrio a quelli di equilibrio più o meno provvisorio. Per farci un’idea del valore del numero citato si deve pensare al numero 1 seguito da 102 zeri: illeggibile!
Per rappresentazione indichiamo una trasformazione che conservi l’identità strutturale tra qualche cosa che entra in un sistema e qualche cose che ne esce, sostanzialmente un contenuto trasformato con identità strutturale conservata. Per Sigmund Freud la rappresentazione è definibile, su un versante psicoanalitico, come un contenuto concreto di atti del pensiero.
Qualche matematico scienziato di buona volontà ha ipotizzato che gli atomi che concorrono alla formazione dell’Universo siano pari all’entità di 1078 ossia una quantità pari a 1 seguito da 78 zeri: ancora illeggibile. Tuttavia l’informazione, per fantasiosa o fantastica che sia, lascia alquanto perplessi nel confronto fra i due numeri: 24 zeri in più per il bambino o in meno per l’immenso Universo: ancora impensabile, se andiamo a vedere che per scrivere il numero di un miliardo apponiamo appena 9 zeri dopo il numero uno. Infatti abbiamo un numero di combinazioni fra le interconnessioni sinaptiche dell’encefalo pari a 10102 dal quale possiamo ricavare la differenza ossia 10102-1078 = 1024.
Altri, alla data del 10 marzo 2019, hanno stimato la massa della nostra Via Lattea in 1,5 trilioni di masse solari. Che mistero, questo bellissimo e sfuggente Universo! Ma ancor più la nostra mente!
Siamo così piccoli!
Era il 23 agosto 2013, battevano le ore 16.52: nel mezzo della calura estiva, forse l’ultima, in un momento di pace assoluta andavo fantasticando fra me e me. Provate a spingervi in altura, in un momento di tranquillità, con il cielo notturno limpido e in assenza di fonti di illuminazione. Adagiatevi comodamente e volgete lo sguardo verso l’alto. Lasciatevi andare con il pensiero, immaginate di farvi trasportare verso gli spazi profondi. Siete a bordo di un’astronave che viaggia alla velocità della luce. Sì, perché con mezzi più lenti impieghereste un’eternità a spostarvi nei meandri siderali.
La luce, sappiamo, in un secondo percorre qualcosa come 300.000 chilometri, più di sette volte il giro dell’Equatore terrestre, ossia 9.460 miliardi e 800 milioni di chilometri in un anno. Lasciamo a parte le teorie della Relatività che ci porterebbero in altra direzione e abbandoniamoci a immaginare quali meraviglie potremmo vedere nel nostro viaggio.
Dunque, si parte. Dopo appena un secondo leggermente abbondante sfioriamo la Luna e in otto minuti raggiungiamo il Sole, a debita distanza, per non farci incenerire. Uno sguardo alle nostre spalle: la Madre Terra diventa sempre più piccola, come un palloncino che si stia rapidamente sgonfiando. La nostra bella dimora, ormai vessata da guerre, violenze, sopraffazioni, ingiustizie, inganni, conflittualità perenni e a ogni livello, quell’angolo di orto galattico che impiega ormai un anno a produrre quanto i suoi ospiti consumano in soli otto mesi, dove cresce a ritmo battente il bisogno di cibo, la “fame”. Ecco, un puntino, sempre più piccolo, ora sparisce nel buio immenso, non la vediamo più, la lasciamo nelle sue contraddizioni di sempre.
La nostra astronave prosegue imperterrita: un’ora circa per superare Giove e, poco dopo, eccoci in prossimità di Saturno. Poi cinque ore di vuoto, eppure stiamo correndo a 300 mila km al secondo! Ora eccoci presso Plutone. In 6 ore lasciamo l’ultima frontiera del nostro Sistema Solare. Vuoto, ancora vuoto, per quattro lunghi anni e due mesi, tanto occorre per raggiungere le stelle più vicine al Sole, Proxima e Rigil Centauri.

Facciamo due conti: siamo fuggiti alla bella velocità di oltre un miliardo (1.080.000.000) di chilometri l’ora e abbiamo coperto una distanza di quasi 40 triliardi di chilometri. Una bella corsa, vero? Niente, non è ancora niente. Per un’ipotesi puramente fantastica immaginiamo di mettere in fila i corpi celesti che potremmo visitare: una strategia cervellotica che renderà comunque più comprensibile il computo che andiamo elaborando. Un altro po’ di pazienza e in sei anni arriviamo nei pressi della stella di Barnard, in otto anni e sette mesi approdiamo alla luminosissima Sirio; 16 anni per Altair, 27 per Vega, 40 per Arturo, 68 per Aldebaran, 88 per Mizar.
Sarà l’ora ormai che ci ingegniamo nel trovare qualcosa di cui occuparci, perché gli spazi si stanno dilatando sempre più e ci tocca superare attese via via più lunghe. Dobbiamo correre senza fermarci per 275 anni, dopodiché raggiungiamo Spica.
Già, dimenticavo, sempre sul filo dell’immaginazione ipotizziamo di poter godere di un’esistenza lunghissima, il viaggio lo richiede! D’altra parte, a quella velocità, anche il tempo si ferma, e lo spazio si riduce a zero. Ma noi continuiamo a guardarci intorno.
E quella stella lassù, che dalla nostra amata Terra indicava il Nord, eccola venirci rapidamente incontro dopo appena (si fa per dire!) 350 anni.
Ora puntiamo verso la costellazione di Orione e inoltriamoci fra le luci spettacolari della sua grande galassia M42: sono trascorsi dalla nostra partenza ben 1.600 anni, e non abbiamo rallentato né ci siamo fermati in soste intermedie.
Siamo ai confini dell’Universo? Ma che dico, ci troviamo ancora nella nostra galassia, la Via Lattea, i cui limiti riusciamo a toccare in 20.000 anni.
Ora però lo stress dell’attesa si sta facendo davvero pesante: procediamo nel vuoto assoluto sino a quando la nostra astronave punta sulla galassia di Andromeda che reca il nome di M31, di uno splendore spettacolare, ma ci sono voluti due milioni di anni e anche un po’ di più. Non andiamo oltre, avremmo comunque molti altri miliardi di galassie da visitare, decidiamo pertanto di invertire la rotta: a casa ci stanno aspettando, cosa ci diranno per il ritardo che abbiamo accumulato?
Ecco, è tempo di chiudere gli occhi e pensare al destino degli oggetti che abbiamo avuto la ventura di osservare. Proprio là, attorno alla Stella Polare, si snoda la costellazione del Drago della quale fa parte una stella molto particolare: Etamin, l’occhio del Drago, non molto distante dalla superba Vega. Etamin, detta altresì Eltanin, nome che deriva dall’arabo Al Ras al Tinnin (ossia la Testa del Drago), è un affascinante astro di color arancione, 50 volte più grande del Sole e 600 volte più luminoso. Nel nostro ipotetico viaggio l’avremmo potuta incontrare dopo appena 145 anni. Una stella particolare, ho accennato, sì, perché non vuole proprio farci scomodare più di tanto: è lei stessa che pensa ad avvicinarsi a noi e lo sta facendo alla discreta velocità di 28 chilometri al secondo; discreta, ma relativamente lenta rispetto alla nostra astronave se pensiamo che fra un milione e mezzo di anni si sarà avvicinata alla Terra per l’80% dell’attuale distanza e apparirà ai nostri posteri come la stella più luminosa del cielo. …Siamo così piccoli…
Quando tutto è prevedibile
All’inizio di un nuovo anno, non ha importanza quale, mi imbatto in una serie di termini astronomici che non possono fare a meno di destare curiosità.
L’epatta: è l’età della Luna, calcolata in giorni interi, il 1° gennaio. Chiara la derivazione greca epaktos che significa venuto da fuori ossia i giorni dell’anno precedenti, utili per calcolare le date dei noviluni. Il metodo delle epatte, ideato da L. Lilio, indica la correzione delle frazioni di tempo da apportare ai calendari. Un certo Clavio pubblicò, nel 1603, una tavola di epatte che riporta i valori validi sino all’anno 301700, dopodiché il ciclo delle epatte si ripete identico, così all’infinito. L’epoca in cui ci troviamo noi va dal 1900 al 2199. In questi anni ci è dato vedere chiaramente il giorno in cui cade la Pasqua: fu il Concilio di Nicea – 325 d.C. – a stabilire che la Pasqua cadesse la domenica successiva al primo plenilunio a partire dall’equinozio di primavera.
Ciclo solare: è il periodo di 28 anni per cui, in base al calendario giuliano, i giorni della settimana si ripetono alle stesse date.
Zodiaco. Fu E. Delporte a definire con precisione, nel 1925, i limiti delle attuali 88 costellazioni, basandosi su coordinate risalenti all’equinozio del 1875. Le coordinate delle stelle sulla volta celeste non sono fisse, ma cambiano in conseguenza della precessione degli equinozi. Così è stato possibile ricavare una tabella che riporta il giorno, l’ora e il minuto in cui il Sole entra nelle singole costellazioni. In modo non molto dissimile avviene per quanto riguarda i segni zodiacali, che non vanno confusi con le costellazioni, da cui si evince che quest’anno il Sole scavalcherà la longitudine 150° della linea della Vergine il giorno 22 agosto, ore 22,20.
Equinozi e solstizi: si calcolano con precisione in mese-giorno-ora-minuto-secondo tenendo conto della longitudine eclittica apparente del Sole, insieme agli effetti della aberrazione e della nutazione (con il termine “nutazione” si indica l’oscillazione, lo spostamento di un corpo in moto giroscopico. Per la Terra è il moto dell’asse di rotazione che, insieme alla precessione astronomica, è dovuto all’azione perturbatrice combinata della Luna e del Sole sul rigonfiamento equatoriale terrestre).
Distanze: l’anno appena trascorso eravamo più vicini al sole il 4 gennaio (km 147.101.035) e più distanti il 3 luglio (km 152.092.476).
Rotazione: il Sole ruota attorno al proprio asse nel giro di giorni 27,2752.
Congiunzioni: gli astronomi hanno ottenuto in tempi precisi – mese-giorno-ora-minuto – il momento in cui la Luna entrerà in congiunzione con i pianeti del Sistema Solare. Parimenti hanno stabilito tutti i fenomeni geocentrici ed eliocentrici di ciascun pianeta, ma anche i tempi di congiunzione fra pianeti e fra questi e le stelle. Qualcosa di simile anche per i satelliti galileiani di Giove (Io, Europa, Ganimede, Callisto).
Comete. La cometa P45/Honda si vide al mattino attorno all’11 febbraio 2017. La 2P/Encke si osservò la sera fino alla prima settimana di marzo. La 41P/Tuttle si rese visibile da metà marzo a fine aprile. La C2015V2/Johnson si fece vedere fino al mese di maggio. (Dati tratti da Astronomia – Almanacco 2017 dell’Unione Astrofili Italiani).
Ciò che sorprende in tutto questo è la precisione con la quale gli studiosi possono fare previsioni nei minimi dettagli; lavorano, per così dire, su un terreno ricco di punti di riferimento incontrovertibili. Diciamo che, guardando alle dinamiche alle quali sono sottoposti i corpi celesti, pare poter inferire che non siamo sprofondati in un caos assoluto e che nulla accada per caso. Se gli astronomi possono procedere con rigore scientifico e per deduzione logica nelle loro osservazioni e nelle loro previsioni, ciò riguarda da vicino la garanzia offerta dalle componenti cosmiche in interazione fra loro. Dunque hanno scoperto in modo induttivo, dai tempi antichi dei Babilonesi a oggi, l’esistenza di leggi che non tradiscono le aspettative, dalle quali si possono trarre deduzioni di estrema affidabilità.
Dunque niente caos e niente caso, nonostante l’apparenza. Però, pensandoci bene, è mirabolante il fatto che si siano scoperte certe leggi nell’Universo che conosciamo: un Universo intelligente, retto da leggi inattaccabili, una sorta, come fu detto, di materia mentale matematica. Se ci sono leggi che determinano l’andamento e l’evoluzione di tutto ciò che c’è, allora deve esistere un piano, e un piano presume il manifestarsi, più o meno occulto, di un’intenzione. Gli scienziati indagano per scoprire, in ultimo, di quale stoffa sia questo piano, che cosa esso presuma, quali contenuti coltivi e verso quali obiettivi sia diretto. E qui ci incontriamo con il necessario presupposto di un’intenzione dalla quale derivano la vitalità del piano e il senso della sua progressione. Non è solo un caso, allora, che sulla nostra Terra sia comparsa la vita biologica; non è solo un caso che, fra gli altri motivi intervenienti a garanzia dello svilupparsi della vita, sia posta un’atmosfera gassosa la quale, fra tutti i suoi compiti, annovera quello fondamentale di proteggerci dai bombardamenti continui di insidiosi proiettili cosmici. Pensiamo soltanto che nel giro di 24 ore fanno il proprio ingresso nell’atmosfera terrestre qualcosa come cento milioni di corpuscoli, frammenti meteorici o residui di comete. Possono essere assai voluminosi, ma per lo più non superano pochi millimetri di diametro. Penetrando negli strati alti dell’atmosfera si surriscaldano per attrito e terminano la loro corsa esaurendosi. Si tratterebbe di una vera calamità per noi abitanti del pianeta se, indisturbati per un’ipotetica assenza dello strato protettivo dell’atmosfera, quei corpuscoli potessero cadere a terra finendo per trafiggere ogni cosa. E i raggi cosmici? E le tempeste solari? E le radiazioni gamma? Tutti fenomeni devastanti e letali se non fossero deviati dalla presenza di un provvidenziale campo magnetico terrestre che ripara le nostre vite come una sorta di grande ombrello protettivo.
In conclusione, eccoci di fronte a un’organizzazione perfetta di corpi in movimento, a una distribuzione di assetti provvidenziali là dove è emersa la vita, alla testimonianza di un piano nel quale sono contenute leggi e previsioni, il tutto non disgiunto da un’intenzione sovraordinata.
Un piano e un’intenzione, insieme, ai livelli descritti, presuppongono una mente, un’intelligenza immensa dotata di vedute chiare e ampie all’infinito. Ed è questo che mi fa riflettere senza posa, che mi pone dinanzi agli occhi interrogativi latori di sofferenza mentale e di pungente angoscia!
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