Una rassegna delle teorie interazioniste in campo pedagogico
(elaborazione di Mario Bruno, 1° Settembre 2001)
Il sistema scolastico come generalmente viene percepito e gestito mobilita le preoccupazioni e le cure degli operatori scolastici verso il buon risultato delle prove: verifiche, esami di licenza. È ciò che prevale nella diffusa concezione del come e del perché fare scuola: in fondo in fondo sono gli esami, e le implicazioni di merito che ai loro esiti si legano, che, nei loro contenuti, imprimono struttura al curricolo il quale, a sua volta, regola la natura dell’indirizzo didattico e della formazione professionale riservata ai docenti.
Al contrario, se ci vogliamo immergere in una concezione di conoscenza altamente finalizzata alla completa umanizzazione della persona, dovrebbero proprio essere gli esami – e il modello delle ripetizioni mnemoniche che dai medesimi è in prevalenza richiesto – a occupare un ruolo subordinato nel complesso delle intese educative. La quantità di informazione o di conoscenza che gli alunni acquisiscono ha, peraltro, minore incisività per la loro educazione globale rispetto ai valori che derivano dallo sviluppo della capacità intellettuale di giudizio. E questa capacità non proviene automaticamente dall’applicazione allo studio di per se stessa.
Benché possa essere discutibile se proprio si possa insegnare a pensare, si dà tuttavia per certo che il pensiero può, in ogni caso, essere stimolato. Una prima cosa da farsi riguarda l’incoraggiare i bambini a pensare e a creare da se stessi, anziché continuare a creare e a pensare per loro. Fondamentalmente si tratta di esercitarli a discutere i concetti che essi prendono sul serio.
Quando si avvedono che le domande poste all’insegnante vengono prese in considerazione, gli studenti sono portati ad attribuire maggiore rispetto all’insegnante stesso, proprio per il fatto che egli ha saputo prendere sul serio le loro domande, persino se questo si risolve nel rispondere a una domanda con un’altra domanda. Sono queste le occasioni propizie per insegnare la differenza fra il ragionare in modo solido e il farlo alla leggera (fra un ragionamento valido e uno di basso valore).
È necessario superare la visione superspecializzata della conoscenza. Gli studenti hanno bisogno di globalità e di senso della prospettiva. Ancora non possiedono un quadro di riferimento completamente formato entro il quale inserire le esperienze che vanno facendo; ne deriva che tali esperienze finiscono per avere, nei loro confronti, un aspetto enigmatico e confuso. Per questo motivo il processo educativo deve essere impostato in modo tale da sfidare la capacità immaginativa dei ragazzi, da stimolare i loro processi intellettuali e da offrire loro le direttive che consentano alle diverse materie del curricolo di integrarsi reciprocamente. Il processo educativo dovrebbe creare attività di pensiero fra gli alunni che apprendono.
Gli studenti che hanno appreso a essere curiosi in modo sistematico e riflessivi in modo naturale sono portati a estendere tali comportamenti a tutti gli altri ambiti dell’apprendimento.
La classe dovrebbe trasformarsi in un luogo di discussione che possa prendere in considerazione i temi attinenti ai problemi degli studenti, temi sufficientemente vari e tali che l’attività non sia ridotta agli aspetti operatori dell’intelligenza soltanto, ma comporti anche l’assunzione di argomenti contemplativi e creativi.
Il posto della logica.
Il pensiero logico può essere stimolato soltanto attraverso l’attività creativa e, di converso, la creatività può essere stimolata attraverso lo sviluppo della capacità logica. La logica ci aiuta a distinguere fra modi migliori e peggiori di ragionare. Forse non elimina i nostri errori, ma quantomeno ci aiuta a riconoscerli. Il proposito fondamentale della logica formale è aiutare gli alunni a scoprire che possono pensare sul proprio pensiero in modo ordinato. La logica formale può aiutare gli scolari a divenire più consapevoli del fatto che sia possibile pensare in modo organizzato, ma di per sé non è sufficiente: essa necessita della compresenza di un secondo tipo di logica, capace di tener conto dell’ampia varietà di situazioni che richiedono l’attivazione del pensiero decisionale. Questo secondo tipo di logica può essere definito come “impostazione delle buone ragioni”. Essa non è dotata di regole specifiche, ma va piuttosto alla ricerca di ragioni che riguardino una determinata situazione e si propone di avallare le ragioni che sono state fornite. Qui non emerge tanto il proposito di valutare i propri pensieri e quelli altrui in relazione alle azioni e agli eventi, ma viene piuttosto in luce l’opportunità, per gli alunni, di scoprire l’ampia possibilità di applicazioni che un pensiero strutturato e decisionale può avere. Il cercare ragioni sottintende il raggiungimento della consapevolezza circa le implicazioni legate alla percezione, all’espressione verbale e all’evidenza del contesto nel quale si va sviluppando la ricerca, e il saper considerare queste implicazioni come passi del pensiero, ai quali si dà il nome di inferenze.
Una buona ragione si riveste di alcune caratteristiche: si basa sui fatti, è pertinente rispetto all’oggetto di indagine, serve da appoggio all’argomento di ricerca rendendolo plausibile e intelligibile, fa sempre riferimento a qualcosa di familiare quando viene impiegata per spiegare l’oggetto della ricerca.
I principali sforzi della logica delle buone ragioni consistono nel mantenere il processo di ricerca e nell’incoraggiare la valutazione delle ragioni. I bambini, tanto più se sono più giovani, non sono in condizione di valutare la ragione di qualcosa, posto che non comprendano con chiarezza di che si tratti. Hanno quindi bisogno di imparare ad ascoltarsi l’un l’altro e ad ascoltare se stessi quando discutono il tema in questione. Hanno soprattutto bisogno di cogliere le ragioni proposte e di avere tempo a disposizione per farne oggetto di pensiero nel contesto della ricerca. Imparare ad ascoltare se stessi e gli altri in una comunità di ricercatori è qualcosa di essenziale nella logica delle buone ragioni. L’imparzialità, l’obiettività, il rispetto per le persone e la ricerca di ragioni ulteriori dipendono dal fatto che si presti accurata attenzione tanto ai propri pensieri come ai pensieri degli altri. Il proponimento fondamentale di questa logica è quello di stimolare gli alunni a usare in modo attivo il pensiero nelle proprie vite, di offrire loro i mezzi che consentano di prestare attenzione ai loro pensieri e al modo in cui i loro pensieri e le loro riflessioni possono prendere parte attiva nelle loro vite. Insieme alla scoperta del fatto che certi tipi di pensiero sono retti da regole, dovremmo anche ottenere dagli alunni che diventino consapevoli dei differenti modi di pensare, tali come l’immaginare, il sognare, il far finta. Gli alunni potranno allora rendersi conto del fatto che, mentre il loro pensiero presenta di solito una forma logica, una gran parte di esso non la dimostra o non ne sente la necessità. Questa è la chiave per introdurre e sviluppare la logica infantile: mai come un farraginoso insieme di formule buttate addosso, ma bensì sempre nel contesto del pensiero riflesso, specialmente in presenza di uno sforzo per pensare con maggiore chiarezza sul proprio pensiero.
Le domande logiche hanno a che vedere con il ragionamento. La relazione che lega la logica al pensiero è simile alla relazione che lega la grammatica al linguaggio. La logica ci fornisce le regole che dobbiamo seguire se vogliamo pensare bene; essa sottolinea l’importanza dell’essere coerenti nel pensare, nel parlare e nell’agire. L’insegnante non dovrebbe arrivare mai al punto di dare l’impressione di aver esaurito il bisogno di porsi domande. Facendo ricorso a una domanda apparentemente incongruente, l’insegnante può portare lo studente a sviluppare una comprensione personale di come si possano spiegare situazioni o eventi considerati. È questo movimento da spettatore a protagonista del tema in questione a consentire allo studente di ricoprire un ruolo più attivo nel processo stesso della ricerca.
Durante una discussione filosofica.
L’insegnamento in chiave filosofica consiste nel riconoscere e seguire molto da vicino ciò che gli studenti stanno pensando, aiutandoli a esprimere e a obiettivare i loro pensieri, aiutandoli quindi nello sviluppare gli strumenti necessari per la riflessione su tali pensieri, in una parola comunicando passione per il valore del pensare, per il processo di creatività e per il comportamento. L’educazione sotto il punto di vista filosofico è maggiormente efficace quando stimola le persone e permette loro di coinvolgersi nella confutazione critica e nella riflessione inventiva.
Quanto si verifica sul piano della conoscenza nel corso del procedere di una discussione in classe non è legato al conseguimento di una conclusione specifica. Il ruolo dell’insegnante durante una discussione è quello di chi pone domande appropriate, nella ricerca e selezione di opportunità che favoriscano negli alunni l’esplorazione di nuove prospettive e la consapevolezza di come le idee si intreccino e si rafforzino vicendevolmente. Per condurre una discussione filosofica è necessario sviluppare sensibilità nel sapere quale tipo di domanda sia appropriato in ciascuna situazione e quale sia la sequenza con la quale si possano fare tali domande. I docenti devono essere disposti a esaminare idee, a investigare attraverso il dialogo e a rispettare lo spirito degli studenti impegnati nell’apprendimento. La discussione in classe deve muovere dagli interessi degli alunni. L’insegnante può chiedere agli alunni il loro punto di vista. Se essi si dimostrano titubanti, l’insegnante può chiedere, a chi ha proposto il tema della discussione, di sviluppare un po’ di più la sua idea. Il docente può andare anche oltre la semplice determinazione di aiutare gli studenti a chiarire i propri punti di vista mediante la riformulazione; può cercare di esplorare non solo ciò che essi dicono, ma anche il senso di ciò che dicono. L’insegnante deve essere capace di esemplificare una interminabile ricerca di senso allo scopo di ottenere risposte più comprensive circa gli argomenti importanti della vita. Esiste una differenza fra chiedere a un alunno “Stai dicendo che …” e chiedergli “Ciò che dici implica che …”. È la differenza fra ciò che si afferma e il modo in cui tale affermazione deve essere interpretata. Ma, prima di soffermarsi su che cosa implichi l’interpretare le affermazioni degli studenti, l’insegnante deve porre attenzione su che cosa è la spiegazione. La spiegazione si situa tra la riformulazione non travisata e l’interpretazione. Quando attingiamo significati, stiamo facendo interpretazione.

Nel condurre una discussione filosofica è molto importante essere coscienti non solo di ciò che si sta dicendo, ma anche di come i vari membri della classe stanno interpretando ciò che si sta dicendo. Ci sono due modi di cogliere il significato di ciò che si sta dicendo: inferire ciò che è logicamente implicito e inferire ciò che si sta suggerendo nonostante non sia logicamente implicito. L’interpretazione riguarda la rivelazione del significato attraverso la scoperta di ciò che è implicito e di ciò che si sta suggerendo nella formulazione che qualcuno può aver espresso.
Il ruolo appropriato dell’insegnante è quello di incoraggiare a coltivare una ricca gamma di stili di pensiero, di stimolare la creatività intellettuale tanto quanto il rigore intellettuale. Compito suo è quello di aiutare gli studenti a dominare mezzi come le regole dell’inferenza logica e le norme da seguire durante la discussione in classe. Dipende dall’insegnante valutare se l’argomento ha implicazioni filosofiche, quali sono i temi filosofici impliciti e guidare gradatamente gli studenti verso una discussione su questi temi. Quando gli insegnanti possiedono la capacità di coltivare il pensiero dei loro alunni mediante la formulazione di domande, il risultato finale sarà quello di studenti che possono pensare da sé in qualunque aspetto della propria esperienza.
L’insegnante dovrebbe essere provocatorio, problematizzante, intollerante nei confronti del pensiero trascurato, a fronte di studenti desiderosi di sprofondarsi in un dialogo che li sfidi a pensare e a produrre idee. Descritta con il minimo di parole, la situazione ideale sarebbe quella che vede un insegnante che pone domande a un gruppo di studenti preparati a discutere quelle cose per le quali provano reale interesse. Il docente non deve aver timore a sfidare le supposizioni formulate dagli alunni, persino nel caso le condivida, se ciò che proviene da questa sfida si profila nella forma di un atteggiamento più vivace degli studenti di fronte al tema.
Una buona classe può essere quella in cui gli studenti sono coinvolti in una discussione animosa che riguardi l’una o l’altra cosa del libro di testo (il libro di testo dovrebbe essere un modello di scoperta attraverso la pratica), quantunque la conversazione possa discostarsi piuttosto dal tema originale. Queste discussioni sono capaci di generare impressioni durature negli studenti.
Se, per altro verso, l’insegnante incoraggia gli studenti ad accettare risposte, a non essere critici, a memorizzare dati che non capiscono, se si dà da fare a proporre verifiche che non implichino la creatività o la comprensione attiva, probabilmente i suoi studenti si formeranno l’impressione che tanto più saranno educati quanto più avranno assimilato dati in quantità. E difficilmente è questo il modo migliore di concepire l’educazione. Ciò che senza ombra di dubbio un insegnante deve evitare è qualsiasi intervento capace di arrestare il pensare degli studenti prima che essi abbiano avuto l’opportunità di vedere dove le loro idee li possono portare. Allo stesso modo è da evitare la manipolazione del processo di discussione volta a ottenere che gli studenti assumano le convinzioni personali dell’insegnante. I docenti che, con insistenza, introducono i propri punti di vista corrono il rischio, se non proprio di addottrinare, quanto meno di favorire inibizioni che, presto o tardi, causeranno l’estinguersi della discussione stessa.
L’ideale di persona educata è quella di qualcuno che sia intellettualmente aperto, curioso, autocritico e capace di ammettere ignoranza o indecisione. Quando un insegnante ha la pretesa di sapere tutto, gli studenti finiscono per formarsi l’idea che la conoscenza consista nel saper fornire risposte. L’insegnante che offre l’immagine di uno che possiede tutte le risposte può essere visto come uno che sa tutto e, pertanto, può arrivare a scoraggiare gli studenti dall’esplorare, dal contestare e dal ricercare soluzioni più globali. Anziché costringere l’alunno nel processo di acquisizione di conoscenza, l’insegnante, con tutte le sue risposte (o il docente che impone agli alunni di ripetere le risposte), ha deprivato i suoi scolari di un godimento che potrebbe essere loro tanto utile negli anni successivi: la soddisfazione di trovare le risposte da se stessi. La relazione esistente fra questa soddisfazione e l’essere una persona ricca di immaginativa, di curiosità e di vivacità intellettuale è molto intensa.
Quando l’insegnante chiede ai suoi alunni “Perché?” li sfida ad andare più a fondo nelle loro presupposizioni, a fare migliore uso dei propri mezzi intellettuali, a scoprire proposte più immaginative e creative di quelle a cui sarebbero pervenuti se il ruolo del docente nei loro confronti si fosse limitato a fornire dati.