È da lungo tempo che non si ricava una notizia confortante sul fenomeno “cambiamenti climatici”. Ci siamo per così dire quasi assuefatti a perderci in una prolungata lagnanza che punta il dito sull’uso sconsiderato delle risorse naturali per la creazione di benessere crescente e fruibile, tuttavia, soltanto da una parte, la più fortunata e neppure numericamente prevalente dell’umanità. Siamo solitamente informati da statistiche deprimenti sull’andamento dell’inquinamento dell’aria, della terra e delle acque. Gli ultimi rilevamenti, addirittura, ci parlano in termini apocalittici, come se ci trovassimo sul punto del non ritorno, disperati e aggrappati a un non meno buio senso di rassegnazione. Eppure, in tutto questo marasma di valutazioni al peggio, ecco spuntare una notizia rincuorante; sono i mezzi di informazione del sabato mattino 17 aprile a portarci un bel regalo: il taglio delle emissioni di gas serra in Italia, nell’anno 2020, segna una quota del 9,8% in fortunata ascesa rispetto all’anno precedente. È quanto si desume dalle stime dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). In base alla suddetta analisi il calo delle emissioni è da imputare essenzialmente “alle restrizioni alla mobilità dovute a Covid-19”.
È incoraggiante quanto si va dicendo a proposito del clima, e induce a confidare in un graduale progressivo miglioramento delle condizioni avverse alle quali abbiamo ridotto il nostro stanco Pianeta. Sennonché l’entusiasmo palesa subito una battuta d’arresto allorché poniamo mente alla contraddizione evidente che va a interessare due parametri dell’andamento socio-economico. Da una parte è stato il Pil a soffrirne, lasciando intravedere una caduta dell’8,9% nel medesimo periodo considerato. Un Prodotto interno lordo che crolla a tale quota non porta a nulla di buono. Al suo seguito, infatti, la pressione fiscale è aumentata del 43,1% nel solo anno 2020 e nello stesso periodo di tempo si sono persi oltre 39 miliardi di Euro, come ha accertato l’agenzia Eurostat, per mancati saldi di salari e stipendi. Dunque siamo stati costretti a far fronte a una situazione del tutto nuova e insperata, con l’aggravante che il dilagare della sofferenza si è abbattuto con maggiore ferocia sulle fasce più deboli della popolazione.
Per altro verso, con la minore disponibilità di valuta la poderosa macchina della produzione e del consumo ha influito in modo determinante sull’impatto che le attività umane hanno avuto sull’ambiente: fabbriche e opifici fermi o a ritmo ridotto, trasporti ampiamente ridimensionati, assottigliamento delle richieste di beni di consumo. Si è trattato di una dinamica perversa che su un versante parallelo, per assurdo e paradossalmente, ha ingenerato un beneficio per lo stato di salute dell’intero pianeta Terra. Se il tasso di inquinamento è sceso per buona sorte quasi del 10% in un anno, ciò tuttavia non è stato dovuto alla buona volontà dell’uomo nel mettere in atto i propositi pluridecennali coltivati ormai quasi farsescamente a partire dalla Conferenza di Kyoto sino agli Accordi di Parigi e oltre. L’uomo, generatore di veleni ai danni di Madre Natura e di se stesso, non si è fermato perché abbia finalmente capito e perché abbia voluto. Al contrario, si è fermato di malavoglia, con grande disappunto, costretto da un evento teratogeno, il virus che ha già mandato all’altro mondo più di tre milioni di persone e che non dà cenno di volersene andare.
Ora sto pensando alla completa demenza nella quale affoga la capacità decisionale umana e alla compresente incapacità, da parte di tutti o quasi, di connettere le cause con i loro effetti e viceversa, di guardare in faccia la realtà, di ammettere i propri errori e di industriarsi senza esitazione a emendarne le conseguenze. C’è voluta una pandemia micidiale per far tornare a livelli meno tragici lo stato di salute della nostra dimora planetaria? L’uomo proprio necessita di essere bastonato per disporsi a capire? Ma già si parla di produzione automobilistica che dà segni di ripresa. Una prospettiva incoraggiante, nulla in contrario: maggiore occupazione, maggiore giro di valuta, e il volano della ripresa economica può rimettersi in moto. L’umanità torna a sperare di poter guardare a un futuro rinnovato e promettente, un futuro di nuovo benessere e di fruizione di opportunità da lasciare ai posteri. Ma è proprio qui che ha sede il vortice contraddittorio che si appropria, senza profilarne il vero volto, di alcuni concetti fondamentali: si parla costantemente di crescita, ma l’occhio non si sposta dall’ambito economico produttivo quando invece, ai tempi che ci stanno sovrastando, bisognerebbe parlare di una più che benefica corsa alla crescita in saggezza e in capacità di previsione per il futuro. Ma proviamo a spostare l’angolo visuale e a dilatare il nostro potenziale di osservazione, di analisi e di valutazione a più lungo raggio, senza precluderci la possibilità di prefigurarci le scene antropiche e geofisiche che si apriranno in un prossimo futuro, fermamente istruiti dalle esperienze che stiamo vivendo nel presente.
Torno a dire: sembra di poter andare sul sicuro se si valuta, oggi, che la prima e inattaccabile preoccupazione fra le nazioni di tutto il mondo, nessuna esclusa, sia quella di un rinnovato miracolo economico. Non si va minimamente a riflettere sul fatto che il pericolo dell’instabilità economica non rappresenta il nemico maggiore per il futuro dell’umanità. Il vero nemico in prima linea frontale risiede invece, secondo il mio modo di vedere, in tre mostri sopravanzanti a passi da gigante: il cambiamento climatico con tutte le maledette circostanze generate a danno della vita; le minacce alla salute su scala mondiale, portate da una effettiva invasione di agenti virali che, cambiando semplicemente di abito, di mezzi di offesa e di armatura, superano in rapidità di espansione ogni nostra rosea previsione di averne ragione; ultimo, ma non meno importante, il rapporto dell’uomo con i propri simili, improntato in molti, troppi casi alla delinquenza, allo sfruttamento, alla violenza fisica e psicologica, all’imposizione delle disuguaglianze di opportunità e all’esportazione diabolica di incessanti conflitti armati.
Anch’io ho un sogno, quello di ridurre all’impotenza quei tre mostri appena descritti, ribaltando nel suo opposto il male che opprime il nostro mondo, con tutte le nostre forze e con i mezzi che il nostro stato di esseri umani ci mette a disposizione. Credo di prefigurarmi per certa una condizione di sofferenza: dopo la batosta che ci sta mettendo in ginocchio e nella previsione di probabili altre incursioni virali diventeremo, dovremo diventare tutti un po’ più poveri, a iniziare dai più abbienti i quali dovranno assoggettarsi a spartire le proprie fortune con i più miserabili e indigenti, verso una più nobile visione del concetto di giustizia e di equità sociale.
Oppure no. Coloro che nutrono molte idee avveniristiche e che coltivano vistose ambizioni si ergeranno con rinnovata sicumera confidando massivamente nel potere scientifico che suggerirà le vie migliori per un ulteriore progresso in ripresa, prenderanno in mano la situazione globale e, in forza dei mezzi a loro completa disposizione, lanceranno una nuova era di produzione, di consumi, di profitti e… di veleni per la comune Madre Natura. Finché quest’ultima, stanca e avvilita, bistrattata e offesa, metterà la parola FINE su tutto e su tutti.
Esagerato? Maniacale? Potrebbe sembrare, ma fermiamoci solo alla constatazione degli ultimi di questi giorni e proviamo a riflettere. Ecco dunque i rilevamenti diffusi dai comunicati di informazione il 20 e il 21 aprile del nostro 2021: “I cambiamenti climatici continuano in modo implacabile e i suoi impatti sono peggiori nel 2020, cosa che avverrà anche per i prossimi decenni”. Il nuovo rapporto Onu sullo stato globale del clima, messo a punto dall’Organizzazione mondiale della meteorologia, lanciato in vista del summit USA del 22 e 23 aprile, evidenzia come condizioni meteo estreme e Covid-19 si siano combinati in quello che viene definito un “doppio colpo”. “Siamo sull’orlo dell’abisso, serve azione comune” dice Guterres. Nel 2021 sono aumentati del 274% gli eventi meteo estremi rispetto all’anno scorso, con bombe d’acqua, grandinate, tempeste di vento e neve. Così da un monitoraggio della Coldiretti, dopo l’ultima bufera di ghiaccio che ha imbiancato Roma a primavera inoltrata. Trascorso un inizio di primavera con un caldo praticamente estivo, le piante sono state sottoposte a un terribile shock termico per il brusco calo delle temperature, e la grandine ha dato il colpo di grazia. Dimezzate le produzioni di albicocche, pesche, fragole, kiwi, ortaggi.
Il 21 aprile 2021 è l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) a rivelare l’attualità della situazione: “Le emissioni di anidride carbonica aumenteranno nel 2021 a un livello record, il secondo più alto della storia dopo quello di dieci anni fa al seguito della crisi finanziaria. Tra le ragioni di questo aumento c’è la pandemia di coronavirus poiché i governi di tutto il mondo stanno riversando stimoli nei combustibili fossili per finanziare la ripresa dalla recessione post-Covid”.
Un alito di speranza fa tuttavia capolino dalla scena politica: c’è chi sta abbandonando le primitive posizioni negazioniste e si ripromette ora di cercare i rimedi da opporre ai danni arrecati all’ambiente. Il 22 aprile, Giornata della Terra, il Consiglio europeo e il Parlamento UE hanno raggiunto un accordo sull’obiettivo di ridurre le emissioni di anidride carbonica “almeno”, si dice, del 55% entro il 2030, rispetto ai livelli raggiunti nell’anno 1990. Dalla Commissione UE si enuncia: “La legge europea sul clima sancisce l’impegno dell’Unione Europea a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Il presidente americano Biden ha invitato 40 leader mondiali, tra cui i presidenti Putin dalla Russia e l’omologo XI Jinping dalla Cina, a un incontro per il 22 e 23 aprile, alla Cop26 di Glasgow, in occasione della Giornata della Terra; all’ordine del giorno, la volontà di sottolineare il ritorno degli Stati Uniti d’America nella lotta ai cambiamenti climatici, dopo l’abbandono di Trump.
La prospettiva lascia sperare, ma si tratta di un filo di speranza assai sottile, quasi trasparente. È tardi, troppo tardi. I politici degli ambiti più rappresentativi al mondo stanno finalmente ammettendo l’avverarsi di una corsa di cui non volevano sapere né udire parlare, ma che dapprincipio conoscevano molto bene nei suoi termini di minaccia all’umanità intera. Come se attendessero di recarsi alla stazione per prendere un treno già sui binari e si accorgessero, a un punto, di essere già in ritardo, prendendo dunque la risoluzione di correre alla svelta per non perdere l’appuntamento. Ma, arrivati alla stazione, constatassero che il treno, ormai in moto, stava allontanandosi prendendo velocità, lasciando ai turisti del momento l’illusione che forse avrebbe invertito la marcia e sarebbe tornato indietro consentendo loro di salirvi a bordo, solo per pura cortesia.
Udite? Dai dati diffusi dai mezzi di informazione pare quasi di avvertire lo schiocco di una potente frustata provenire da lontano, spaccature enormi nella massa ghiacciata al Nord e al Sud del Pianeta. Tutti i giornali ne parlano; ne estraggo alcuni stralci (TODAY Ambiente, 21 aprile 2021): Il cambiamento climatico non è una prospettiva: è la realtà, ed è drammatica. Una sezione di ghiaccio di circa 110 chilometri quadrati si è staccata dalla più grande piattaforma della Groenlandia, Nioghalvfjerdsfjorden, o N79. La porzione distaccata, che si è spezzata in più punti, è grande quanto la città di Firenze, tanto per dare plasticamente l’idea. Secondo gli esperti danesi incaricati di redigere ogni anno il Rapporto di controllo nazionale geologico è un’ulteriore – e forse definitiva – prova dei cambiamenti climatici in atto. Jenny Turton, climatologa presso la Friedrich-Alexander Universitat Erlangen-Nurnberg Institut fur Geographie, spiega che “l’atmosfera in questa regione si è riscaldata di circa 3 gradi centigradi dal 1980 e negli ultimi due anni sono state registrate temperature record”. “Dovremmo essere davvero preoccupati – dice il professore Jason Box – per quella che appare come la disintegrazione progressiva dell’ultimo grande blocco di ghiaccio che rimane nell’Artico”. Nioghalvfjerdsfjorden è da qualche anno la più grande piattaforma di ghiaccio rimasta, dopo che tra il 2010 e il 2012 il ghiacciaio Petermann nel nord-ovest della Groenlandia ha ridotto notevolmente il suo volume”.
Gli scenari per i prossimi anni sono drammatici e nel futuro prossimo la zona del massiccio N79 sarà il punto focale della deglaciazione della Groenlandia. Secondo i dati completi più aggiornati il 2019 è stato un anno da record, durante il quale la calotta glaciale ha perso circa 530 miliardi di tonnellate, sufficienti a innalzare il livello globale del mare di 1,5 millimetri.
All’altro capo del mondo, in Antartide, gli sconfinati ghiacciai Pine Island e Thwaites, stanno andando incontro a un destino simile: si stanno fratturando rapidamente nei loro punti più vulnerabili in un processo che potrebbe portare al collasso delle piattaforme di ghiaccio galleggianti su cui poggiano.
Lo scioglimento dei ghiacci, si dice, ha già superato il punto di non ritorno. E il problema è che non esiste alcune soluzione non diciamo rapida, ma nemmeno a medio termine.
Il 2020 non ha visto le temperature calare. È già troppo tardi. La Groenlandia sta di fatto perdendo ghiaccio sette volte più velocemente rispetto agli anni ’90. E qui si aggiungono, a rincarare la dose, le notizie diffuse dai mezzi di informazione il venerdì 23 aprile 2021, secondo giorno dell’ultima Conferenza in ordine di tempo, la Cop26 di Glasgow: “In UE il 2020 è stato l’anno più caldo con almeno 0,4°C in più rispetto ai cinque anni più caldi registrati nell’ultimo decennio. La notizia proviene dal Rapporto annuale di Copernicus sul clima europeo, che rileva concentrazioni di CO2 e di metano in costante aumento. A livello globale il 2020 è uno dei tre anni più caldi negli annali delle analisi climatologiche. Le temperature medie degli ultimi cinque anni sono le più alte mai registrate, con 1,2°C in più rispetto alla media del periodo 1850-1900.
“Stiamo distruggendo nel giro di pochi anni e sempre più velocemente – scriveva lo scorso aprile su Repubblica Marco Tedesco, glaciologo che insegna presso il Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University e ricercatore del centro Nasa Giss a New York – ciò che ha impiegato migliaia di anni a formarsi. Questo ha implicazioni per il mondo intero: oltre all’innalzamento del livello dei mari, la fusione dei ghiacci groenlandesi ha conseguenze enormi sulla flora e la fauna degli oceani circostanti, sulle popolazioni locali e sul clima del nostro Pianeta. Ciò che accade in Groenlandia riguarda tutti noi”.
Ed eccoci all’ennesima assurdità: nella corsa al benessere, privilegio assoluto per la crescita economica, i tre mostri di cui dicevo canteranno vittoria. Questo, inesorabile, il nostro destino. Non resta che piangere sul futuro che sarà riservato ai nostri nipoti.