Una rassegna delle teorie interazioniste in campo pedagogico
(elaborazione di Mario Bruno, 1° Settembre 2001)
Pensare sul pensiero significa studiare, controllare e rivedere i propri processi di pensiero. Pensare sul pensiero è un atto metacognitivo che rende possibile l’autocorrezione. Quando incominciamo a ragionare sul modo in cui stiamo ragionando, a sviluppare concetti sul modo in cui concettualizziamo e a definire la maniera nella quale costruiamo definizioni, il nostro pensiero diventa cibernetico, ovvero qualcosa di affine, se vogliamo richiamarci all’ambito delle attuali tecnologie, a un ente complesso o a un sistema organizzato capace di autogoverno per la realizzazione di un fine.
L’alunno che ha raggiunto la padronanza di buone capacità di pensiero non è semplicemente un soggetto che è cresciuto, ma anche un individuo la cui capacità di crescita ha subìto un incremento.
C’è un modo di usare il pensiero, le cui valenze evolutive sono state rimarcate in uno studio all’avanguardia (Lipman, Sharp, Oscanyan), ed è il modo di pensare filosoficamente. Una simile affermazione non dovrebbe far cadere nell’equivoco dell’immagine di vecchi saggi che speculano su ogni problema senza fine e senza conclusioni, ma dovrebbe piuttosto richiamare una realtà del tutto naturale, quella che assiste, da quando l’uomo è uomo, al bisogno di conoscere. Tutti noi, che lo vogliamo o no, che ce ne rendiamo conto o no, immergiamo il nostro pensiero nella filosofia ogni volta che incontriamo o solleviamo problemi e questo, ai tempi d’oggi, non costituisce un comportamento di eccezione. Ma il pensare filosoficamente non è un atteggiamento mentale che si acquisisce esclusivamente in età adulta; la sua apparizione, anzi, è molto precoce. I bambini incominciano a pensare filosoficamente quando iniziano a chiedere “Perché?”. Essi sentono la necessità di riflettere, senza che nessuno glielo suggerisca, sugli aspetti chiave del periodo vitale che stanno attraversando nel momento in cui sono.
Lo scolaro gradualmente arriva a rendersi conto di stare agendo non direttamente “sul mondo”, ma sulle credenze che egli ha coltivato “riguardo” a quel mondo. È da questo momento che diviene capace di iniziare a riflettere sul proprio pensiero. Ed è qui che si impone la necessità di realizzare l’auto-osservazione, poiché è poco probabile che i ragazzi ragionino meglio se non incontrano la possibilità di ragionare sul modo in cui ragionano.
Si dovrebbero perfezionare le capacità di pensiero attraverso un uso pratico e volontario, anziché tentare di insegnarle mediante lo svolgimento di esercizi. Quando si tratta di perfezionare un qualsiasi tipo di pratica, generalmente apprendiamo molto di più se ci vengono offerti esempi anziché insegnamenti, se decidiamo di agire anziché limitarci ad ascoltare. Gli adulti offrono spiegazioni e, talvolta, impartiscono semplicemente ordini ai bambini dando per scontato che essi comprendano le parole e le idee implicite in questi ordini e spiegazioni. Ma i bambini vogliono sapere continuamente ciò che intendiamo dire quando usiamo questo termine o quell’altro: non provano interesse soltanto per le parole in se stesse, ma per le opinioni di cui sono permeate tali parole, opinioni che non sono disposti ad accettare se non a condizione di maggiori spiegazioni. Il bambino vive di cose pratiche, sensibili: ciò che è bene, nel suo modo di valutare, non può essere bene per se stesso, ma bensì è bene nei termini della relazione che una azione pone con il contesto di cui è parte. Per questo diventa prioritario aiutarli a scoprire le relazioni esistenti tra ciò che essi si prefigurano di fare e la situazione nella quale si prefiggono di farlo.
Sul piano degli apprendimenti scolastici, pensare nei termini di una determinata disciplina (in termini storici, matematici …) è l’equivalente dell’imparare a pensare. Le discipline vanno viste come linguaggi per mezzo dei quali i bambini devono apprendere a pensare. Esiste una netta distinzione tra il pensare su una disciplina e il pensare in una disciplina. E c’è differenza fra pensare e pensare da se stessi. Pensare da se stessi implica un’attenzione particolare agli interessi e ai punti di vista propri degli studenti.

Per potersi dire perfettamente educata, una persona deve essere in grado di trattare ciascuna disciplina come un linguaggio e pensare con scioltezza in tale linguaggio. Non è tanto importante “sapere scienza”, quanto piuttosto “pensare scientificamente”. L’immagine di scienza dovrebbe presentarsi nei termini di impresa umana e culturale, vale a dire come una storia di esseri umani che superano le idee ricevute. Qualcosa di analogo si può dire per la storia e per le altre discipline curricolari. È possibile, ad esempio, stimolare gli studenti a “pensare storicamente” e a detenere un senso storico tale da poter essere applicato alle loro stesse esistenze come anche alla loro vita nel contesto civile. I ragazzi possono farsi una certa idea di come i personaggi storici possano aver ragionato, e questo pensare sul pensiero contribuirà molto presto al perfezionamento della capacità di pensare storicamente.
Ogni ambito tematico possiede una dimensione estetica, una dimensione epistemologica (ogni volta che vogliono sapere come possano ritenersi sicuri di qualcosa, gli studenti stanno impostando questioni epistemologiche), una dimensione metafisica (ogni volta che uno studente pone in questione i presupposti di fondo della disciplina che sta studiando, egli sta impostando questioni metafisiche).
Una disciplina di studio non solo possiede contenuti, ma riunisce insieme una serie di implicazioni e di presupposti etici, logici, estetici ed epistemologici. Se viene spogliata di questi presupposti e implicazioni, per il solo fatto che essi possono essere valutati discutibili o trascinatori di atteggiamento polemico, nello stesso tempo finisce anche per perdere le autentiche caratteristiche che consentirebbero agli alunni di vederla e di considerarla nella luce di una componente culturale in stretta connessione a tutte le altre discipline di insegnamento.
Pensare in termini filosofici non è l’equivalente del far uso di uno strumento per abbattere convinzioni affermate a livello individuale, ma piuttosto si accosta all’idea di disporre di una serie di attrezzi che consentano agli alunni di fare chiarezza nelle loro convinzioni e di scoprirvi fondamenti più solidi. Tant’è che l’insegnante non deve credere di dover cambiare le convinzioni dei suoi alunni, quanto invece deve prodigarsi per aiutarli a trovare motivi migliori e più ricchi per credere in quelle cose nelle quali, in seguito ad accurata riflessione, essi hanno scelto di credere, ma anche per rafforzare la loro comprensione degli aspetti implicati nel mantenere le convinzioni che per loro sono importanti.
Pensare in termini filosofici trova supporto nel fatto che gli studenti possono apprendere gli uni dagli altri. Incoraggiare il pensiero filosofico corrisponde a ottenere che gli alunni siano riflessivi in modo fresco e innovativo, che prendano in considerazione modi alternativi di pensare e di agire, che sappiano decidere in modo creativo e immaginativo.
Pensare e ragionare filosoficamente mira a rendere chiari i significati, a trovare risposte a presupposizioni, ad analizzare concetti, a considerare la validità dei processi di ragionamento, a investigare le implicazioni delle idee e le conseguenze che dal sostenere un’idea anziché un’altra possono derivare per la vita umana. Detto così, può essere utile aggiungere che, all’interno del pensare filosoficamente, la coerenza, la consistenza e la comprensione sono valori adeguati al modo in cui una persona deve pensare.
Non si tratta, beninteso, soltanto di chiarire concetti; si tratta di porsi anche come fertile fonte di idee, si tratta di concedere diritto di accesso all’incertezza, al dubbio, alla confutazione ragionata. Negare allo studente il diritto di dubitare sul risultato di una ricerca scientifica è lo stesso che impedire il proseguimento di tale ricerca. Quando gli studenti confutano i dati scientifici che vengono loro offerti, il loro comportamento è totalmente in accordo con il compito della scienza (Karl R. Popper). In più, lo stile mentale filosofico funge da antidoto essenziale nei confronti del dogmatismo scientifico e si pone come sorgente di idee fresche e provocanti che devono essere prese in considerazione dalle ricerche scientifiche.
I ragazzi possono comportarsi filosoficamente e, quando lo fanno, si può presumere anticipatamente che i risultati di questo comportamento saranno creativi. La maggior parte degli studi effettuati su questo terreno di ricerca dimostra che gli alunni fruitori di un contatto con la filosofia migliorano in modo significativo nelle capacità di ragionamento. Si registra un miglioramento importante nella comprensione in lettura e si ravvisano progressi notevoli in tutti i casi in cui ci si è orientati a scoprire miglioramenti nella capacità creativa.
Una società desiderosa che nella scuola vengano formate persone capaci di pensare e di ragionare deve far sì che il sistema scolastico sia per se stesso un luogo in cui si pensa e si ragiona, attraverso l’acquisizione di una serie di abilità indispensabili per poter ragionare su qualsiasi tema; ecco quali passi intraprendere:
- Trarre inferenze a partire da un’unica premessa.
- Normalizzare gli enunciati del linguaggio ordinario.
- Trarre inferenze a partire da premesse doppie.
- Utilizzare la logica ordinale delle relazioni.
- Lavorare con la coerenza e la contraddizione.
- Sapere come trattare le ambiguità.
- Formulare domande.
- Percepire le relazioni parte-tutto e tutto-parte.
- Identificare i presupposti soggiacenti.
- Formulare relazioni causa-effetto.
- Sviluppare concetti.
- Generalizzare.
- Trarre inferenze a partire da sillogismi ipotetici.
- Prendere in considerazione tutti gli aspetti.
- Riconoscere la dipendenza reciproca tra mezzi e fini.
- Sapere come trattare le fallacie informali.
- Rendere operativi i concetti.
- Definire termini.
- Identificare e utilizzare criteri.
- Porre esempi.
- Costruire ipotesi.
- Contestualizzare.
- Anticipare, predire e stimare le conseguenze.
- Classificare e categorizzare.
- Avere la capacità di riconoscere ed evitare – o di saper utilizzare – l’indeterminatezza.