Una rassegna delle teorie interazioniste in campo pedagogico
(elaborazione di Mario Bruno, 1° Settembre 2001)
Riferimenti culturali e normativi
- Bruner Jerome
- Büchel Fredi P.
- Gardner Howard
- Kozulin Alex
- Lipman M., Sharp A.M., Oscanyan F.S.
- Paour Jean-Louis
- Popper Karl R.
- Russel B.
- Orientamenti per la Scuola Materna, D.M. 03/06/1991.
- Programmi per la Scuola Elementare, D.P.R. 12/02/1985, n° 104.
- Programmi per la Scuola Media, D.M. 09/02/1979.
- Documento sui Saperi essenziali, 1998.
- Documento di orientamento per il funzionamento degli Istituti comprensivi, C.M./M.P.I. n° 227 del 30/09/1999.
Educazione: punti di vista
Nel contesto delle ricerche indirizzate al funzionamento della mente e alla messa a punto di modelli di apprendimento vanno assumendo notevole rilievo gli orientamenti della psicologia cognitivista e le teorie metacognitive che si propongono, come obiettivo fondamentale di approdo, il verificarsi di un miglioramento sostanziale e strutturale dei processi di pensiero e di transfert cognitivo, ai quali sono strettamente connessi i processi di apprendimento.
Con riferimento specifico alla persona che apprende, l’intesa generale è quella di far emergere e consolidare in essa, lungo l’intero processo di apprendimento, ben definiti saperi e saper fare cognitivi autonomi e autoregolativi attraverso un’impostazione puntualmente mediatizzata della didattica e dell’approccio educativo nel suo complesso. Si punta prevalentemente sia alla elaborazione di conoscenze metacognitive sia alla creazione di consapevolezza nei confronti dei sistemi attivabili per il controllo dei processi metacognitivi, in compresenza di un delicato sistema di variabili di tipo emotivo-motivazionale.
La preoccupazione di aiutare gli studenti a sviluppare armonicamente e integralmente il loro potenziale cognitivo, nella attenta considerazione delle istanze motivazionali e nella scelta ponderata di percorsi originali di apprendimento, fa sì che le ragioni dell’insegnamento scolastico prendano corpo, in via privilegiata, nella forma di strategie di conoscenza, di momenti di interscambio cooperativo attorno alle riflessioni e alle esperienze vissute. Il motivo di fondo dell’educazione cognitiva risiede nel fatto di riconoscere che ogni persona è portatrice di un potenziale e che, di norma, questo potenziale non viene condotto a dovuto compimento.
In questa prospettiva tutto si gioca sulla qualità delle interazioni educative e della mediazione sociale degli apprendimenti.
Si dà per scontato che i saperi e saper fare cognitivi non siano rigidamente fissati per trasmissione ereditaria, ma che al contrario siano, in ogni fase dell’esistenza umana, suscettibili di modificazione, di perfezionamento, di educabilità e di rieducabilità. Essi, per di più, hanno una rilevanza particolare sulla funzione formativa dell’apprendimento, in quanto sono delegati in via privilegiata all’attivazione dei processi impliciti nella memoria a lungo termine (il dominio dei significati).
Il motore dell’educazione cognitiva sta negli sforzi che si operano per mettere il mondo alla portata degli studenti, che sono sempre sforzi di mediazione educativa (Bruner, Feuerstein, Paour, Vygotskij). Le stesse componenti emotivo-motivazionali della personalità in crescita esercitano in ogni occasione un’influenza profonda sul funzionamento cognitivo attraverso la mobilitazione intenzionale dei processi di controllo.

Di per sé il carattere peculiare dell’educazione cognitiva non proviene dal materiale utilizzato o dai compiti nei quali gli alunni vengono impegnati, ma dal modo – che corrisponde al concetto di processo – di porre in atto compiti e materiali. La stessa acquisizione di contenuti passa in subordine, ovviamente senza perdere la sua valenza formativa nel processo di scolarizzazione, nel senso che lo scopo ultimo è quello di favorire l’acquisizione di saperi e di saper fare cognitivi generali, che si pone come precondizione alle successive acquisizioni di conoscenze specifiche, curricolari, sociali o professionali. I soggetti che fruiscono di un’educazione impostata secondo i criteri metacognitivi si trovano continuamente coinvolti in situazioni che richiedono il saper riflettere, l’interrogarsi, il saper valutare e sottoporre a critica le proprie risposte.
La conoscenza non è tanto qualcosa che si assimila semplicemente per mezzo della ripetizione, ma bensì qualcosa che si arriva a dominare mediante l’interazione con l’ambiente e mediante la soluzione di problemi rilevanti per gli studenti. La conoscenza appartiene loro nel momento in cui gli studenti sono in grado di dimostrare, nel discutere e nell’agire, che la possono applicare a ciò che stanno facendo. Non appartiene loro se sono in grado di ripetere le parole, ma non riescono anche a fare uso della conoscenza che dalle parole è rappresentata. Pensare da se stessi significa scoprire le proprie risposte in merito agli argomenti importanti della vita. Gli studenti hanno bisogno di apprendere a manipolare idee, non soltanto etichette.
L’educazione in un modello tribale voleva che fosse la cultura ad assimilare il bambino. Noi crediamo in un modello riflessivo, dove è il bambino che assimila la cultura.
Si può pensare all’educazione come a un sistema di interventi e interazioni capaci di stimolare la capacità di pensare, di riflettere sulla propria esperienza di vita, di discutere in modo ordinato. L’educazione attraverso il metodo della scoperta consiste nel dialogo in stretta connessione con la riflessione.
Una svolta nella definizione di educazione, legata più esplicitamente a Dewey e a Bruner, segna il passaggio da una educazione in funzione dell’apprendimento a un’educazione in funzione del pensare, ponendo conseguente enfasi sulla acquisizione di quelle abilità che rendono possibile l’acquisizione di nuove abilità e nell’ipotesi affermata che nulla sia in grado di affinare le capacità di ragionamento quanto lo è una disciplinata conversazione in classe.
Anche in ambito di normativa scolastica si raccomanda (C.M./M.P.I. n° 227/99) la necessità di “rimettere in discussione modelli di insegnamento rigidi, centrati in prevalenza sulla trasmissione di repertori informativi, per promuovere lo sviluppo di abilità procedurali (metodo di lavoro, saperi operativi, strategie di controllo dell’apprendimento) e competenze comunicative (padronanza dei linguaggi, forme di espressione e di produzione culturale)”. Si fa riferimento alla costruzione di un disegno curricolare centrato sul concetto di “competenze” che corrispondono a insiemi di conoscenze dichiarative, di abilità procedurali e di atteggiamenti. Si offre a modello l’esplorazione di strategie didattiche individualizzate, di metodologie interattive e costruttivistiche, di impostazioni didattiche imperniate sui concetti organizzatori della conoscenza. Si ricorda quanto un alunno possa diventare “competente”, nella misura in cui, soprattutto, aumenta la sua consapevolezza delle strategie e delle procedure che egli stesso pone in atto per apprendere e per raggiungere i risultati attesi. Si insiste sul vero volto dell’apprendimento, inteso come processo di integrazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti nel tessuto di esperienze e conoscenze di cui l’alunno già dispone. “Il progressivo approfondimento delle conoscenze e affinamento delle abilità deve accompagnarsi all’acquisizione della consapevolezza, da parte dell’allievo, del significato e delle potenzialità di elaborazione e uso di quanto viene imparando”. Motivare gli alunni, in questa ottica, trova riscontro nella creazione delle condizioni essenziali per un apprendimento significativo e consapevole, che si verifica allorquando gli studenti “possono cogliere la rilevanza di ciò che apprendono per la propria esperienza” e “imparano a porsi obiettivi di apprendimento, a trovare nell’apprendere il senso dell’andare a scuola”.
Il Documento sui “Saperi essenziali”, elaborato nelle stesure del maggio 1997 e del marzo 1998 per tracciare il profilo di una Scuola che cambia, intravede, fra i compiti primari della Scuola di base, quello di sviluppare tutte le potenzialità dell’individuo, quello di favorire l’assimilazione e lo sviluppo della capacità di comprendere, di costruire, di criticare argomentazioni e discorsi tenendo ben presente la necessità sia di conferire significato alle proprie esperienze sia di stabilire difese efficaci contro l’ambiguità e la tendenziosità di determinati messaggi provenienti dal contesto di appartenenza. Da qui proviene l’urgenza di delineare una mappa delle strutture culturali di base che sappia orientare gli sforzi della Scuola verso l’esigenza di garantire lo sviluppo della capacità di capire, di fare, di prendere decisioni, di progettare e di scegliere saggiamente il proprio futuro, di sapersi dirigere verso processi di integrazione culturale, sociale e lavorativa. Strutture culturali di base peraltro sensibili alla forza creativa del pensiero, dal momento che dovrebbero possedere un’architettura tale da favorire e incoraggiare l’innesco e l’estensione di processi di problematizzazione e di ricerca di soluzioni divergenti nell’apprendimento. Su questa linea il Documento sui “Saperi” sposta il peso del valore sotteso alla conoscenza, dall’enfasi accordata alla trasmissione di contenuti, a una definizione di istruzione scolastica come occasione formativa adeguata a stimolare l’alunno verso la scoperta e l’utilizzazione dei processi connettivi e costruttivi della conoscenza. E, nella stessa direzione, si va a parlare delle discipline curricolari le quali dovrebbero rompere i propri confini specialistici per divenire espressione della conoscenza sociale. La trasmissività del sapere, pertanto, dovrebbe essere ampiamente rimpiazzata da un atteggiamento educativo capace di abituare gli studenti a interrogarsi continuamente sui problemi fondamentali del rapporto che l’uomo stabilisce con la realtà. I saperi si prefigurano allora come tramiti adeguati a stimolare processi mentali e abiti comportamentali, a facilitare la scoperta e l’utilizzazione di processi di integrazione tra le differenze in ogni settore dell’esperienza umana, a facilitare, dunque, negli alunni, la costruzione di significati intorno a ciò che imparano, in una parola come organizzatori della conoscenza sociale.
La forza dell’incertezza e il bisogno di significato.
Sembra un paradosso, quando pensiamo che noi dovremmo dare certezze ai nostri alunni. Ma, chi interpreta il significato profondo di questo paradosso in una concezione ottimistica e costruttivistica può essere Bertrand Russel (“I problemi della filosofia”): “Il valore della filosofia è, infatti, da ricercarsi nella sua grande incertezza. … La filosofia, per quanto incapace di dirci con certezza quale è la vera risposta ai dubbi che solleva, può suggerire molte possibilità che amplifichino il pensiero e lo liberino dalla tirannide dell’abitudine. Così, diminuendo il nostro senso di certezza intorno a ciò che le cose sono, si accresce grandemente la nostra conoscenza intorno a quello che esse possono essere … La filosofia deve essere studiata non con lo scopo di definite risposte alle sue domande poiché, generalmente, non è possibile riconoscere vere delle risposte definitive, ma piuttosto per le questioni in se stesse; perché queste questioni allargano la nostra concezione di ciò che è possibile, arricchiscono la nostra immaginazione intellettuale e diminuiscono la sicurezza dogmatica che limita la speculazione; ma soprattutto perché, attraverso la grandezza dell’universo che la filosofia contempla, anche la mente s’ingrandisce e diviene atta a quell’unione con l’universo che costituisce il suo più alto bene”.
“La scienza non solo risolve problemi, ma, nel farlo, molti ne crea … la ‘natura essenziale’ dell’uomo è la creatività culturale … Credo nel potere delle idee” (Karl R. Popper, 1969).
“Se gli studenti non arriveranno a capire perché vengano loro inculcati certi concetti e certe abilità, e come se ne debbano servire una volta che abbiano lasciato la scuola, tutte le attività scolastiche rischiano di essere una perdita di tempo. … Se c’è una cosa che questi sforzi tesi a promuovere l’alfabetizzazione culturale si limitano a sfiorare, questa è rappresentata dalle ragioni per cui queste conoscenze vanno perseguite. Se gli studenti non hanno alcuna ragione per desiderare di possederle e nemmeno occasioni per usarle regolarmente e per costruirvi sopra, il loro conseguimento sembra sostanzialmente inutile. … Lo stato di competenza – ossia il possesso della capacità di usare in modo appropriato abilità e concetti – è il segno distintivo dell’emergere della comprensione … delineare un’educazione al comprendere adatta agli studenti di oggi e al mondo di domani …” (Howard Gardner, 1991).
“Forse le culture scolastiche che danno risultati positivi dovrebbero essere considerate delle ‘controculture’ che si propongono di accrescere la consapevolezza e la metacognizione dei loro partecipanti, e di aumentarne l’autostima” (Jerome Bruner, 1996).