Ma dove stiamo andando?
Mi raccontava oggi, un uomo della montagna, che in certi siti della Val Pellice (Torino), dove anni addietro pascolavano armenti di mucche su prati ricchi di alte erbe e fiori profumatissimi, ora le mucche non ci sono più. Non ci sono perché il manto erboso è ridotto a una distesa quasi arida e avvizzita. È ridotto così da quando si sono moltiplicate rotte aeree sui suoi cieli. I fumi di scarico dei Jet hanno accumulato in sospensione nell’aria ogni sorta di particelle inquinanti e da quelle si sono originate piogge sempre più acide che hanno finito per atrofizzare la flora montana e le belle erbe di cui si nutrivano le mucche. Persino i pesci nei laghi un tempo cristallini d’alta montagna stanno scomparendo.
Questi pensieri occupano le mie considerazioni oggi che è la giornata mondiale dell’ambiente, una giornata che viene celebrata ogni anno, il 5 giugno, a partire dal lontano 1972. Un’occhiata rapida e fuggevole sul nostro Pianeta ci avverte di un mare che sta minacciando di aggredire e invadere le coste in tutto il mondo. Su questi fatti si basa il problema individuato dalle Nazioni Unite come obiettivo su cui lavorare nell’Anno Internazionale 2014.
Il superamento delle 400 parti per milione di anidride carbonica nell’atmosfera terrestre significa – come avverte Legambiente – che il riscaldamento globale della Terra sarà più veloce del previsto e provocherà, come già sta facendo, alluvioni, desertificazioni, scioglimento dei ghiacci. L’estremizzazione dei fenomeni meteorologici causati dall’innalzamento della temperatura, a cui stiamo rapidamente andando incontro, è causa ormai di disastri a tutte le latitudini e dà come diretta conseguenza una popolazione sempre più numerosa di profughi ambientali. Soltanto nel 2012 nel mondo sono state 32,4 milioni le persone costrette ad abbandonare la propria abitazione a motivo di disastri naturali. Il dato, non ancora riconosciuto istituzionalmente dall’Onu, emerge dall’ultimo Rapporto della “International Displacement Monitoring Centre” del mese di maggio 2013.
Secondo l’Unhcr, l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, entro il 2050 si raggiungeranno tra i 200 e i 250 milioni di rifugiati ambientali.
Da alcuni giorni a Bonn sta lavorando sul problema “Ambiente”, sotto l’egida dell’Onu, una Sessione intermedia dei negoziati sui cambiamenti climatici, con il concorso di 195 Paesi. Sennonché di queste cose non si parla da ieri soltanto, ma da quasi un ventennio a questa parte. Si iniziò con il Protocollo di Kyoto nel 1997 a cui seguì, dopo una serie di incontri tra esperti, la Conferenza di Bali nel 2007: si trattava ormai del tredicesimo incontro in argomento di cambiamenti climatici. Poi il Vertice di Copenaghen nel 2009, l’anno seguente a Bonn, Città del Messico, New York, Ginevra, Tianjin in Cina, Cancun nel Messico. Quindi a Panama nel 2011 e a Varsavia nel 2013, a Lima dove si tenne la ventesima sessione della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici, verso la fine del 2014. Ma siamo sempre qua, a constatare, ad analizzare, a fare statistiche e a goderci un macabro spettacolo la cui voce si fa sempre più roboante di rovina. Noi ce ne andremo, ma… chi e con che cosa resterà?
C’era da aspettarselo:
C.V.D. ossia, come ci insegnavano a scuola: nella elaborazione di un teorema, partire da un’ipotesi, procedere alla dimostrazione per addivenire a una tesi, e qui si diceva: Come Volevasi Dimostrare (CVD).
Su questa rimembranza scolastica ripiombo con il pensiero sul clima: quante ipotesi si sono fatte, un’enormità. Di dimostrazioni s’è parlato proprio poco, perché non si sa che dire, le tesi restano estranee e fluttuano inconosciute nell’empireo del chissà. Una cosa sola si è raggiunta negli accordi di Madrid, il C.V.D. Infatti avrei giurato che non si sarebbe fatto alcunché di determinante, non si sarebbe dimostrata una volontà concreta. Negli ultimi giorni della Conferenza di Madrid pareva dover fare capolino una certa qual speranza: la UE si dimostrava favorevole verso le “emissioni zero CO2” entro il 2050. Favorevole ma, dal dire al fare… E, poi, mettendoci altri trent’anni davanti per decidere il da farsi e farlo, che cosa ci avrebbe riservato, nel frattempo, il destino traballante del Pianeta? Già si è partiti maluccio perché contro la risoluzione di 27 Paesi si è schierata la Polonia dandosi tempo fino al giugno del 2020 per assumere una decisione. Se le cose andassero come previsto in chiave ottimistica, allora si potrebbe affermare con orgoglio che l’Unione Europea salirebbe sul primo gradino del podio per la corsa a tale conquista. Sennonché la metà di dicembre ci riporta notizie poco consolanti: dopo 14 giorni di lavoro della Conferenza Cop25, con l’aggiunta di due giorni di tempi supplementari perché non si era arrivati a una conclusione comprensibilmente condivisa, la sera di sabato 14 dicembre la presidente della Conferenza, ministro cileno dell’Ambiente, Schmidt, ha riconvocato i delegati a notte fonda, ore 1,30 per esaminare gli esiti dei nuovi accordi elaborati e avrebbe esclamato: “Le cose si stanno mettendo a posto”. Ma secondo i rappresentanti dei Paesi in via di sviluppo e i gruppi ambientalisti le bozze esaminate sono di una tale inconsistenza da correre il rischio addirittura di azzerare gli impegni assunti a Parigi quattro anni fa.
Le valutazioni espresse dalle fonti di informazione il lunedì 16 dicembre parlano di un accordo pervenuto ai minimi dell’accettabilità, sebbene i lavori siano stati protratti di ben tre giorni dal momento in cui era stata programmata la chiusura. I circa 200 Paesi firmatari dell’accordo di Parigi del 2015 non sono riusciti a evitare il fallimento. Ora, a Madrid, nella sessione conclusiva si sono limitati a segnalare “il bisogno urgente” di agire contro il riscaldamento climatico, ma ancora in assenza delle regole che dovrebbero disciplinare i mercati internazionali in materia di carbonio.
Che sarà? Si dice, per il momento, che se ne dovrebbe riparlare a Bonn nel giugno 2019. “Un’occasione persa”, twitta Guterres.
Ma, allora, che cosa si riuniscono a fare? Non vedo che una conclusione: quella che un obiettivo condivisibile non sarà mai raggiunto; l’uomo non rinuncia allo “star bene”, all’avere tutto e il meglio per sé, allo sfruttare, tutto e tutti, senza remissione. Be’, accada quel che accada, non resta che scrivere in calce: C.V.D.
Polmoni al silicio
Poco poco e i nostri polmoni, se vorranno funzionare ancora, dovranno adattarsi a ingerire polveri sottili. Non più alveoli e capillari organici, ma sofisticate condotte silicee, come i cristalli di quarzo.
Sì, se quanto si va dicendo prenderà il sopravvento. Siamo al giorno che segue il Natale 2015 e a Milano viene bloccata la circolazione delle auto private per tre giorni, da lunedì 28 a mercoledì 30 dicembre, dalle ore 10 alle 16. A Roma si ripristina il traffico a targhe alterne per lunedì e martedì prossimi.
Più lontano, a Pechino, allerta smog: bambini e anziani sono sollecitati a non uscire di casa, mentre duecento voli aerei sono cancellati per via della densa nube di smog che incombe sulla città. L’inquinamento a Pechino è arrivato a soglia 647 microgrammi per metro cubo, quando il limite massimo stabilito dall’Oms è di 25 microgrammi.
In Russia il surriscaldamento va galoppando a una velocità più che doppia rispetto al resto del mondo. Lo riferisce il ministro dell’Ambiente. La temperatura media a partire dal 1976 sino a oggi è cresciuta di 0,42°, più di due volte e mezzo rispetto alla tendenza globale di 0,17°.
Ma è proprio strano, un contesto umano gravido di contraddizioni fra le più stridenti: abbiamo cercato con la furia dei disperati il benessere e questo, appena conquistato, ci ripaga con un ambiente reso mefitico e invivibile. Quando non ci si mette pure la Natura a scrollarsi dalle spalle il parassitismo devastante della nostra presenza e del nostro muoverci.
Ecco allora che “I cambiamenti climatici producono eventi meteorologici estremi” come annuncia il ministro russo, nel tempo stesso in cui lancia l’allarme sul rischio di alluvioni e incendi.
E così succede che da un’altra parte del globo si prefigurano eventi minacciosi, tanto oscuri da richiedere addirittura la mobilitazione dell’Esercito: sta accadendo in Cumbria, nel Nordovest dell’Inghilterra, a causa dell’allarme maltempo. Un gran numero fra ponti e strade di campagna sono stati chiusi a scopo preventivo, mentre soldati e volontari hanno allestito resistenti barriere nell’attesa dell’abbattersi di forti inondazioni da fiumi e torrenti esondati. Il Governo inglese ha diramato l’allerta in 86 località fra il Galles, le Midlands, le coste scozzesi fra il Nordest e il Nordovest. Sono attese forti precisazioni, maree e onde pericolose sulla costa, quando già le acque dei fiumi stanno superando i livelli di guardia.
Da noi, in Italia, si registrano temperature oltre la media, si ammirano montagne assolutamente spoglie di neve, si scrutano terreni arsi e cieli limpidi, così come a New York, per completare il giro del mondo, dove persiste un caldo eccezionale e si toccano i 21° primaverili o quasi estivi.
E intanto l’atmosfera si agita, intorbidisce, si scatena: una serie di tornado e altri violenti fenomeni meteo stanno imperversando nel Sud degli Stati Uniti d’America; da subito si registrano quattordici morti e decine di case distrutte o danneggiate. Nel Mississippi altre quattro persone hanno perso la vita e le loro case sono finite in macerie. Complessivamente si contano 87 vittime tra le quali un bambino di sette anni che si trovava all’interno di un’auto travolta da una terribile tempesta.
Che siano segnali? Ma che cosa potrebbero volerci comunicare? Forse lo scopo sotteso è quello di farci aprire gli occhi di fronte alla nostra stoltezza? Che dire, che pensare al cospetto del triste spettacolo di tanta gente impotente nel tentativo vano di difendersi dallo scatenarsi della Natura, di quella parte dei viventi umani che rincorre la fallace chimera del benessere scegliendo di agglomerarsi nei centri urbani più affollati, costringendo se stessi a respirare l’aria fetida che essi stessi hanno prodotto, tappandosi naso e bocca con filtri ultima generazione o barricandosi in casa per non bruciare i propri polmoni?
L’ennesima Conferenza sul clima, testé riunita a Parigi, sortirà qualche risultato benefico? Oppure darà segno di essere arrivata, come quelle che l’hanno preceduta, troppo tardi?
Che cosa ci riserberà il prossimo futuro? Ci sarà un futuro? Come lo interpreteranno i nostri bimbi di oggi?