Il mio “spero” pedagogico
10. Si può costruire l’intelligenza a Scuola?
È quanto è stato chiesto all’interno di una ricerca sperimentale affiancata al consueto curricolo educativo-didattico, avente per oggetto una prima classe della scuola elementare.
Tutto è iniziato, a settembre ’89, quando si è venuta formulando l’ipotesi che gli alunni di sei anni di età avrebbero incontrato possibilità più favorevoli alla strutturazione delle capacità di leggere e di scrivere in modo funzionale, sciolto e gradevole, se fossero loro state garantite puntuali opportunità di vivere esperienze di spessore privilegiatamente cognitivo in un contesto a connotazione socio-interattiva in senso stretto. La stessa ipotesi, che si poggia all’assunto di base della “causalità del sociale”, punta alla elaborazione dei prerequisiti essenziali all’apprendimento e degli schemi minimali di organizzazione personale, aprendo la didattica a percorsi nuovi ed evolutivamente interessanti.
Si è pensato quindi a un lavoro, dedicato in esclusiva ai piccoli neo-scolarizzati, con obiettivi fondamentali di prevenzione, mirato alla realizzazione del massimo sviluppo attorno al potenziale cognitivo, alla caduta delle differenze iniziali, al rinforzo della motivazione ad apprendere, alla scoperta del “piacere” legato alle attività del leggere-scrivere, al consolidamento degli automatismi, all’acquisizione della stabilità circa i successi conseguiti, all’accrescimento della fiducia e dell’autostima, all’estensione della possibilità di generalizzazione delle capacità e delle conoscenze raggiunte.
La ricerca ha interessato un gruppo (16 bambini) trattato in training specifico, in parallelo a un altro gruppo di alunni coetanei (72 bambini) che hanno svolto il ruolo di controllo. Questi ultimi hanno appreso i processi di lettura-scrittura mediante l’impiego del metodo sillabico a partire dal primo impatto con la scuola e, come anche è avvenuto per i bambini in training, sono stati sottoposti a uno “screening” di entrata relativo al livello iniziale raggiunto in competenze e conoscenze di ordine cognitivo, logico, senso-percettivo e grafo-motorio.
Con modalità che per certi versi si discostavano dalla normalmente intesa attività curricolare, gli alunni del gruppo sperimentale hanno “atteso” la fine di novembre per tentare un primo approccio sistematico a quelle attività di carattere analitico-sintetico che i loro compagni del gruppo di controllo conoscevano da tempo. – Perché questo temporeggiamento?
Perché il bambino neo-scolarizzato dovrebbe saper familiarizzare con operazioni cognitive che richiedono la logica della “conservazione” delle equivalenze, di piagetiana memoria, soprattutto attraverso la padronanza di una condizione inerente alla conservazione degli insiemi che poggia su operazioni logiche, sottese queste ultime da una consolidata reversibilità delle azioni, e attraverso la apparizione di una seconda condizione, connessa questa alla capacità di ordinare per seriazioni. Nello specifico, a queste condizioni è legata la possibilità di interiorizzare in misura completa e costruttiva un pre-requisito uditivo-fonetico imprescindibile dalla dinamica dell’apprendere con efficacia a leggere e a scrivere: la capacità di operare in analisi-fusione sillabica.
Ebbene, nella mia Scuola come altrove, pochi fra i bambini neo-scolarizzati possiedono tale equipaggiamento (forse il 4%, da stime recenti). Per tutti gli altri, una partenza prematura in arzigogolature analitiche attorno a una problematica quanto inconcepibile corrispondenza “fonema-grafema” potrebbe trasformarsi in un presupposto facilitante l’insuccesso, in una componente sicuramente devastante per gli alunni portatori di forme pregresse di difficoltà.
Sono state queste considerazioni a far decidere per una scelta inusitata in programmazione didattica, indirizzata al gruppo di 16 alunni di una prima classe elementare.
Il tempo “perso” nei primi due mesi di scuola è servito a recuperare e a reintegrare, in un’ottica di prevenzione secondaria del disturbo di apprendimento scolastico, le dinamiche del processo potenziale di sviluppo verso una ristrutturazione cognitiva delle conoscenze e delle capacità di manipolazione simbolica, di analisi discriminativa, di astrazione-differenziazione-gerarchizzazione, di formulazione e verifica di ipotesi, di transfert cognitivo e di problem-solving per un apprendimento significativo a livelli di ottimalità.
Si è fatto uso di 6 metodologie affiancate: 1) integrazione cognitivo-linguistica (programma di Bereiter-Engelmann) e 2) psico-motoria (programma di Picq-Vayer); 3) integrazione logico-operatorio-concreta attraverso lo strumento della regolazione cognitiva offerto da un sistema di coordinazioni socio-interattive, come viene formulato in seno alla Psicologia sociale genetica (F. Carugati, W. Doise, G. Mugny); 4) applicazione del “Progetto M.T.” per favorire la maturazione di sei aree cognitive fondamentali mobilitate nel processo di apprendimento del linguaggio scritto; 5) proposta di collaborazione, indirizzata alle famiglie e favorevolmente accolta, volta all’adozione del progetto “Kirklees Paired Reading Project” per la lettura in coppia genitore/bambino; 6) intensificazione degli approcci individualizzati per gli alunni portatori di persistenti difficoltà di apprendimento, rivelatesi in occasione delle verifiche intermedie (schede operative di G. Stella e J. Pippo).
I risultati iniziali, intermedi e finali sono stati sottoposti ad analisi statistiche comparative (t di Student, Analisi della varianza, Coefficiente di correlazione). Teniamo conto che, per tutta la prima metà dell’anno scolastico, i rilievi paralleli hanno fatto registrare una netta superiorità dei gruppi di controllo. Le cose sono però mutate nell’arco terminale del periodo scolastico.
Le stime attorno ai risultati finali, infatti, sono state quasi sempre a favore del gruppo trattato in training (14 voci su 16). In 3 dei 14 casi positivi, le differenze a vantaggio del gruppo in training si sono rivelate statisticamente significative, là dove le voci in negativo hanno dato medie con differenze non significative.
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