L’inferno di Okinawa.
Il 26 marzo 1945 la 77a divisione di Fanteria americana sbarcava alle isole Kerama, ad appena 25 chilometri da Okinawa, un’isola di 107 chilometri in lunghezza e di 5-16 in larghezza, con Naha la città più importante. Fu indicato il 1° aprile come giorno dell’attacco e l’operazione fu affidata all’ammiraglio Spruance. Si era iniziato con il primo bombardamento aeronavale nell’ottobre 1944 e il 26 marzo 1945 la prima ondata raggiunse Aka, poi le successive approdarono a Geruma, a Hokaji e a Zamami. La maggior parte delle isole era occupata dalla 77a divisione Fanteria. Il 31 marzo il sergente Hoskisson si imbatté in una scoperta: una quindicina di siluri umani giapponesi nell’isola di Zamami. Il generale Bruce faceva sapere della conquista delle Kerama Retto, con la perdita di 31 morti e 80 feriti.
Il 1° aprile le prime sette ondate si trovavano ad appena tremila metri dalla spiaggia. I Kamikaze attaccarono l’incrociatore West Virginia, la portaerei britannica Indefatigable. Fu affondata una nave e tre gravemente danneggiate. Nei giorni 18, 19, 21, 26 e 27 marzo i Kamikaze colpirono grosse unità come la Yorktown, l’Enterprise, la Franklin, l’Indianapolis, il Bilozi e la Nevada, oltre altre navi da trasporto e cacciatorpediniere. Turner ne temeva l’incursione poiché manteneva all’ancora 1300 navi nei pressi di Okinawa. Riuscì pertanto a fare sbarcare tutto il materiale che gli fu possibile, per primi i carri armati e l’artiglieria.
Le truppe di Bruckner, nonostante l’assenza di strade, il 3 aprile ripresero ad avanzare: erano comunque dodici giorni in anticipo sul previsto, ma avevano grosse difficoltà per la mancanza di collegamenti, per la scarsità di acqua, di viveri, di munizioni e di carburante. Con tutto ciò la 6a divisione avanzava ancora verso nord per scontrarsi con le truppe del generale di divisione Mitsuru Ushijima comandante dell’intera isola e forte di 56 mila uomini, più 40 mila uomini recuperati dai servizi e 50 mila donne e ragazzi ingaggiati nel lavoro di fabbrica. A partire dall’agosto 1944 Ushijima aveva iniziato a costruire la “Linea Maginot del Pacifico” che attraversava l’isola da ovest a est presso le città di Haha e Yonabaru. Al centro si ergeva il massiccio dello Shuri, una vera fortezza a presidio del territorio, munita di centinaia di fortini, bunker, rifugi collegati da cunicoli e gallerie sotterranee. Il piano giapponese prevedeva la distruzione totale della 5a Flotta americana e l’annientamento del corpo di spedizione del generale Buckner, mediante un’azione congiunta fra le truppe di Ushijima, dei siluri umani, del Kamikaze, dei bombardieri e della flotta imperiale.
Il 6 aprile si scatenò la prima ondata di Kamikaze, seguita da numerose altre, provocando danni ai cacciatorpediniere, affondandone tre e danneggiandone seriamente altri sei.
Intanto l’aeroporto di Yontan fu ripristinato e il 7 aprile i primi caccia lo raggiunsero dopo aver lasciato la propria portaerei: era lo scopo ventilato dall’ammiraglio Turner ossia quello di alleggerire le portaerei sulle quali puntavano di preferenza i Kamikaze. Le condizioni non erano delle migliori: mancavano ancora i collegamenti tra i reparti avanzati e quelli in retrovia, mancavano acqua, viveri e munizioni per un buon numero di reggimenti.
Turner si provò a convincere Spruance con lo scopo di realizzare un’operazione contro le isole poste a est di Okinawa, avendole valutate come ottimo rifugio per le proprie navi. Erano sei isole principali, cinque occupate il 7 aprile e una che sarebbe caduta l’11 aprile, Tsugen Shima.
Il 6 aprile i reggimenti 4° e 22° della 6a divisione Marines mossero verso nord. Il generale Sheperd, al comando della 6a divisione, pensava alla conquista della penisola di Motobu dove il colonnello giapponese Udo poteva disporre di circa duemila soldati e di una forte artiglieria. Il giorno 9 Sheperd spinse i due reggimenti all’assalto e la penisola di Motobu cadde il 23 aprile. Contemporaneamente le truppe del generale Bruce aggredivano l’isola di Ie Shima sbarcandovi il 16 aprile sotto un fuoco intensissimo. Venne utilizzato il napalm.
Il 6 aprile Buckner lanciava in un’offensiva la 96a divisione: il 184° reggimento Fanteria durò grande fatica a contenere in contrattacco nemico, con numerosi scontri corpo a corpo. L’8 aprile veniva mandata in linea la 27a divisione Fanteria. Due giorni dopo una pioggia incessante impantanò tutti i veicoli. I Kamikaze non davano sosta alla 5a Flotta dell’ammiraglio Spruance, affondando, il giorno 11, il cacciatorpediniere Kidd e danneggiandone due altri, come anche le portaerei Essex e Missouri. Vennero abbattuti 47 Kamikaze. Il giorno 12 venne affondato il caccia Abele e rimasero gravemente colpiti l’incrociatore Oakland, cinque cacciatorpediniere e le corazzate Idaho, Tennessee e New Mexico. Furono abbattuti 154 Kamikaze.
Cessata la pioggia il 15 aprile, Buckner decretò l’assalto per il 19. Fu la corazzata New York ad aprire il fuoco e si scatenò l’artiglieria del generale Buckner; poi i bombardieri dell’Air Force colpirono i bunker giapponesi, mentre la Task Force dell’ammiraglio Blandy bombardava la penisola di Minatoga a sudest di Okinawa. In conclusione, il fallimento dell’offensiva, pari a una disfatta: distrutto un battaglione di carri, circa 60.
Il giorno 22 tornava a piovere. La flotta e i caccia americani abbatterono 54 Kamikaze, con la perita però del cacciatorpediniere Swallow, affondato. Un commando di paracadutisti giapponesi riuscì a distruggere sette caccia. Cessata ancora la pioggia, Buckner riprese l’offensiva con la 27a divisione Fanteria che conquistò la città e l’aeroporto di Machinato.
Il 27 aprile, 65 Kamikaze bersagliarono la nave ospedale Comfort facendola affondare. Affondarono ancora il Canadian Cictory e danneggiarono 5 cacciatorpediniere. Buckner decise allora di portare avanti una nuova offensiva affidandola alla 77a divisione di Fanteria e alla 1a divisione Marines del generale Pedro Del Valle. Il mattino prestissimo del giorno 4 iniziò a sparare l’artiglieria giapponese. Il generale Ushijima incaricò della controffensiva la 24a divisione Fanteria comandata dal generale Ammamya, ma il 4 maggio dovette ammettere il fallimento dell’iniziativa con l’ingenerarsi di una totale confusione fra i combattenti di Ammamya. I Kamikaze riuscirono ad affondare 6 cacciatorpediniere e a danneggiare numerose navi fra le quali l’incrociatore Birmingham e la portaerei Sangamon. Buckner schierò 4 divisioni di fronte ai Giapponesi. Verso sera del giorno 10 la 6a divisione Marines si portò sul fiume Kawa e riuscì a sfondare le prime linee giapponesi. Due giorni appresso si svolse l’attacco principale contro i quattro potenti bastioni al centro del sistema difensivo giapponese. Fu la 6a divisione Marines a svolgere il compito più pesante, sotto una forte pioggia, nel fango e nel freddo, con cariche alla baionetta e scontri corpo a corpo. L’attacco dei marines venne bloccato dal tiro delle mitragliatrici giapponesi. In difficoltà si trovava anche la 1a divisione Marines, impossibilitata ad avanzare. Il 15 maggio si fece sentire l’artiglieria americana che schiacciò le formazioni giapponesi sulla linea di partenza. Sui due fronti si verificarono perdite ingenti. Il giorno successivo sparavano le corazzate Colorado, Mississippi e New York insieme alle superfortezze che facevano cadere bombe da mezza tonnellata. Verso fine giornata del 18 maggio si verificò lo sfondamento a ovest delle linee giapponesi, tanto che Ushijima ordinò il ripiegamento sulla seconda linea difensiva. Un nuovo contrattacco giapponese lasciò sul terreno 500 vittime nipponiche. Ushijima fu costretto a ordinare la ritirata.
Nel contempo la 7a divisione Fanteria occupava la città di Yonabaruche che impediva il transito sulla strada per il sudest dell’isola. La 6a divisione Marines del generale Sheperd, nominato comandante in capo del corpo dei Marines, diede l’assalto a Naha, la capitale dell’isola e sede del più grande aeroporto per grosse navi. Naha cadde il 31 maggio. I combattimenti, protrattisi per nove giorni, lasciarono distrutta la città quasi completamente. Il 5 giugno un eccezionale tifone trasformò l’isola in un lago di fango, rendendo impossibile il movimento dei veicoli. Danni furono arrecati anche a incrociatori, portaerei, cacciatorpediniere. Il 10 giugno venne sferrato l’attacco ai quattro massicci dell’ultima linea di difesa giapponese, con notevoli perdite per la 1a divisione Marines, ma il 16 giugno i Giapponesi iniziarono la ritirata. Nel corso dei combattimenti perse la vita lo stesso Buckner, il primo generale americano caduto in combattimento. Il 19 giugno si suicidò il generale Ushijima e il 21 giugno 1945 fu conquistata Okinawa dopo quasi tre mesi di lotta. I Kamikaze, ancora riuscirono ad affondare la nave officina Curtis. Nel complesso la Marina americana aveva perso 36 navi affondate e 368 danneggiate, 880 aerei abbattuti, 12.120 marines morti e 35 mila feriti. Per i Giapponesi ci furono 131 mila morti fra i quali 40 mila civili e 7800 aerei abbattuti.
È la volta di Tokio.
L’offensiva americana contro le grandi isole del Giappone non aveva dato i risultati sperati. Di conseguenza il generale Haywood Hansell perse il posto, sostituito il 20 gennaio da Curtis Le May al comando del 31° Bomber Command. Obiettivi prioritari per gli Americani erano Tokio, Nagoya e Kobé nell’isola di Hondo.
Il 24 novembre il primo aereo, il Dauntless Dotty, con 2500 chilogrammi di bombe e 30 mila litri di benzina, decollava per distruggere la fabbrica di motori di aereo Nakajima nei pressi di Tokio. Le industrie giapponesi erano per lo più concentrate nelle città di Tokio, Nagoya, Kobe, Nagasaki e Hiroshima. Sarebbe bastato colpire e distruggere completamente solo alcune città per mettere in crisi la produzione bellica giapponese. I bombardieri, forniti di 8.000 pallottole regolamentari per mitragliatrice, volavano all’altezza di 10 mila metri per evitare di essere colpiti. Nella missione si persero due B29 e altri 11 furono danneggiati.
Per la prossima operazione di attacco si attendeva il 9 marzo. Si cambiò tattica, facendo abbassare a quote inferiori, due o tre chilometri anziché dieci, gli aerei per scaricare le bombe. Stavano per prendere il volo 334 superfortezze. Nel volo di distruzione riversarono una dose di sei o sette tonnellate di cilindri incendiari, per poi tornare alle basi di Guam, Tinian e Saipan. Nel giro di appena mezz’ora Tokio era diventata un ammasso di ceneri incandescenti. La contraerea giapponese riuscì ad abbattere 14 superfortezze e 9 di queste precipitarono sull’abitato sviluppando una massa esplosiva per 60 tonnellate di bombe, carburante, gomma e leghe leggere. Il vento contribuiva ad alimentare il mare di fuoco. Le conseguenze furono 100 mila morti, molti asfissiati e soffocati o arroventati dalle fiamme e dal calore elevatissimo. Molte centinaia di civili, soprattutto bambini, erano morti per schiacciamento. Si accertarono oltre 267 mila edifici distrutti e oltre un milione di abitanti erano i senzatetto. In definitiva si contarono quasi 84 mila morti e 41 mila feriti, ma altre stime valutarono in 200 mila le vittime. La flotta giapponese era stata quasi interamente annientata nei mari di Formosa e di Leyte.
Le May inviava ogni due giorni, fino al 19 marzo, oltre 300 bombardieri B29, ciascuno con sei tonnellate di bombe incendiarie, su Tokio, Nagasaki Nagoya, Osaka, Yokohama e Kobe. I bombardamenti proseguirono poi fino al 15 giugno. Le sei principali città industriali del Giappone erano state messe in ginocchio.
Il 16 febbraio 1945 dalle portaerei dell’ammiraglio Mitscher si levarono 1200 aerei per completare la distruzione della capitale. In una operazione in cielo si distinse l’eroe giapponese Muto che, gettatosi con il proprio “Shiden” contro una formazione di 12 aerei americani, ne fece precipitare quattro. Nei giorni 11 e 12 gennaio erano quattro convogli che trasportavano rinforzi a Luzon, completamente distrutti, per una perdita di 15 mila uomini e di 127 mila tonnellate di materiale. Nei giorni 12, 13 e 14 gli aerei dell’ammiraglio Halsey bombardarono gli aeroporti di Saigon, Hong Kong, Swatow e Takao (Formosa).
A partire dal 1° aprile gli Americani erano sbarcati su Okinawa. Le ultime navi dell’Impero giapponese il 6 si diressero a sud, verso Okinawa, ma furono bersagliate da bombe e siluri e colate a picco, fra essi anche la Yamato. Il Giappone restava privato sia della Marina sia dell’Aviazione.
L’8 maggio 1945, mentre i Tedeschi si arrendevano agli Alleati, i Giapponesi decidevano di continuare la guerra, fidando nel milione di uomini a disposizione. Dalla metà di maggio i Giapponesi abbandonavano anche la Cina del sud e gli Alleati miravano al Borneo che avrebbe consentito di sferrare l’offensiva su Singapore e nello stesso tempo avrebbe sottratto ai Giapponesi numerose risorse di petrolio che davano annualmente un milione e mezzo di tonnellate di greggio. Tra il 1° giugno e l’8 agosto due divisioni australiane conquistarono il Borneo. Il 10 luglio aerei americani diedero vita all’ultimo bombardamento sulle quattro isole.
Il 16 giugno il generale Le May architettò la distruzione dei principali centri industriali giapponesi e di 25 città di media importanza, da Hachioji con 62 mila abitanti a Fukuoka con 320 mila. Il 14 agosto con bombe esplosive furono distrutte una decina di installazioni petrolifere.
L’inferno del nucleare.
Il 25 maggio fu fissato lo sbarco Kyùshù per la data del 1° novembre 1945, con un’operazione chiamata “Olympic”, affidata al generale Mac Arthur che, tre giorni appresso, rivelò i propri progetti strategici per le operazioni “Olympic” e “Coronet” ossia l’invasione di Hondo da realizzarsi il 1° marzo 1946.
Il 16 luglio a Los Alamos si verificò la prima esplosione nucleare in seguito agli studi di Robert Oppenheimer e di Enrico Fermi. Il 2 dicembre 1942 a Chicago prese il via il primo reattore nucleare. Nella primavera del 1945 la bomba A era pronta in tre esemplari. Il 12 aprile moriva Roosevelt e al suo successore, Harry Truman, toccò l’onere di decidere per l’impiego della nuova arma atomica.
Il 26 luglio, da Potsdam, Truman, in coppia con Ciang Kai-shek (al termine del conflitto Ciang Kai-shek dovette rifugiarsi a Formosa, mentre tutta la Cina continentale fu affidata a Mao Tse-Tung), inviò un ultimatum al Giappone, con la clausola di lasciare la sovranità giapponese sulle quattro isole di Hondo, Hokkaido, Kyùshù e Shikok. L’imperatore, tuttavia, decise di continuare la lotta su tutti i fronti, come rifiuto alla richiesta di resa incondizionata. A Potsdam il 17 luglio si riunirono Truman, Stalin e Churchill per l’ultima conferenza di guerra. Il 2 agosto, dall’incrociatore americano Augusta, Truman decise per il lancio della bomba atomica. In prima fase sarebbe toccato al 509° Gruppo misto lanciare la prima bomba il 3 agosto su una delle città di Hiroshima, Kokura, Niigata, Nagasaki. Il 509° Gruppo, formato da 225 ufficiali e 1.542 uomini al comando del colonnello Paul Tibbets, comprendeva la 393a Squadriglia da bombardamento dotata di una quindicina di B29 e comandata dal colonnello Charles Sweeney. Soltanto il colonnello Tibbets era al corrente dell’affare bomba atomica che conteneva 10 chili di uranio con una potenza distruttiva pari a duemila dei più grandi ordigni “Great Slams” britannici da 10 tonnellate ossia corrispondente a 20 mila tonnellate di tritolo.
Giunto il giorno dello sgancio, il colonnello Tibbets nel primo mattino del 6 agosto puntava verso il Giappone a bordo del suo B29 Enola Gay, a circa 8 chilometri di altitudine. Al momento Hiroshima, città di 365 mila abitanti, ne contava 245 mila in seguito agli sfollamenti. Alle ore 9,11 l’aereo era prossimo al punto di lancio. Erano pronti il comandante Thomas Ferebee come bombardiere, il capitano Theodore van Kirk e il sergente Joe Stiborik come operatori radar. Trascorsi altri 4 minuti Ferebee sganciò la bomba da un’altitudine di 10 mila metri. Una impressionante nube a forma di fungo si levò fino a quasi 20 chilometri, restando visibile fino a 550 chilometri. Il disastro che ne seguì fu chiamato peste atomica e colpì oltre 150 mila persone. Ne sopravvissero circa 100 mila, rimasti senza casa per via distruzione quasi totale della città, come se questa fosse stata schiacciata da un pugno gigantesco. La seconda bomba atomica fu sganciata alle ore 11,02 del 9 agosto su Nagasaki.
Hiro-Hito era del parere che si dovesse capitolare e il giorno 15 verso mezzogiorno parlò al suo popolo. Sussisteva un gruppo di militari fanatici che tentò di impadronirsi del palazzo imperiale. Il generale Anami si suicidò, decisione che fu presa da numerosi altri ufficiali di fronte al pubblico. Il governo Suzuki si dimise il 15 agosto e due giorni appresso il principe Higashikuni diede forma a un nuovo governo.
Il giorno 28 furono 40 mila Americani, al comando dell’ammiraglio Badger, a entrare in Giappione, nelle località di Tateyama e di Wakayama. Alle ore otto antimeridiane del 2 settembre 1945, a bordo della corazzata americana Missouri, il ministro degli Affari Esteri Shigemitsu e il ministro della guerra, generale Umezu firmarono la resa senza condizioni. Era la fine della seconda Guerra mondiale e di un’epoca.
Immagine di Copertina tratta da Live Science.