Guerra sui mari – Parte 2 di 7

A Singapore!

Sir Archibald Wavell verso la metà di dicembre 1941 ancora coltivava dubbi seri sulla possibilità di mantenere una difesa duratura a Singapore. Questa era la città che il generale Yamashita desiderava offrire in dono all’imperatore Hiro-Hito in occasione del 2600° anniversario della creazione dell’Impero del Sol Levante. Comandava un’Armata di 60 mila uomini con carri armati e aerei Zero padroni del cielo della Malesia. Percival aveva ai propri ordini 85 mila uomini, dei quali ben 15 mila addetti al servizio ausiliario. Non disponeva di cari armati e persino i caccia Hurricane pervenuti furono trasbordati, il 29 gennaio 1942 per ordine di Wavell, a Sumatra per preservarli dalle incursioni dei Giapponesi.

La diga che si dipartiva da Singapore fu distrutta, isolando pertanto l’isola dal resto della terraferma. L’aeroporto di Soletar fu reso inservibile e distrutti un gran numero di edifici. Il 31 gennaio il generale Yamashita portava il proprio Quartier generale nella nuova residenza del sultano di Johore. Il 2 febbraio la situazione peggiorava. Non si era pensato di scavare rifugi di difesa passiva. In Singapore regnava il caos, con strade massacrate dalle esplosioni, banchine sconvolte e numerose navi distrutte nel porto. Inoltre, magazzini galleggianti in parte affondati, le pompe distrutte, i cannoni del forte smantellati. Percival si limitò a trattenere le proprie truppe sulla costa settentrionale dell’isola, su un’estensione di cento chilometri.

Di nottetempo, tra l’8 e il 9 gennaio, due compagnie giapponesi sbarcarono sull’isolotto di Ubin portando con sé piccoli cannoni; avrebbero dovuto bombardare l’isola di Singapore con lo scopo di fare intervenire in forze gli Inglesi. La prima ondata dei battelli nipponici fu sbaragliata dal fuoco di mitragliatrici del XXIV battaglione e da scontri corpo a corpo assai cruenti. L’apparizione dei carri armati giapponesi provocò l’abbandono dei posti da parte delle forse australiane e indiane. Di primo mattino i Giapponesi entravano nel villaggio di Ama Keng e poco dopo prendevano possesso dell’aeroporto di Tenggah. Gordon Bennett fu costretto ad abbandonare una parte dell’isola ai Giapponesi. Per venirgli in aiuto, Percival inviò gli ultimi dieci Hurricane giacenti a Kallang per contrastare l’attacco di 84 Zero giapponesi. Il 9 febbraio regnava una grande confusione fra le file britanniche e i Giapponesi ne approfittarono. Il giorno martedì 10 gennaio 1942 Yamashita sbarcava sull’isola di Singapore. Nello stesso giorno Sir Archibald Wavell lasciò il proprio Quartier generale di Giava e si recò a Singapore, mentre a Bukit Timah, Quartier generale di Bennett, gli aerei giapponesi bombardavano gli edifici dello Stato Maggiore.

La strada della diga verso Singapore era libera, a disposizione dei Giapponesi. Percival inviò forze della 18a divisione e la XXVII brigata per rimediare alle perdite subite. Per Yamashita la collina di Bukit Timah costituiva l’unico ostacolo per raggiungere Singapore. Da parte inglese si trattava di dover incendiare i depositi di petrolio e di trasferire a Giava l’intera flotta area, dal momento che l’aeroporto di Kallang non era più utilizzabile.

Divampato lo scontro di Bukit Timah, il confronto armato si risolse in una carneficina, mentre i depositi di petrolio andavano in fiamme. La battaglia imperversò a lungo con scontri corpo a corpo, finché i Giapponesi ebbero la meglio e la XXII brigata australiana fu costretta a ripiegare a sud di Bukit Timah-Village. Anche i serbatoi di acqua di MacRitchie caddero in mano ai Giapponesi. Percival si impegnò nel tentativo di evacuare circa tremila persone. Un’ottantina di navi di salvataggio ebbe modo di ripartire da Singapore, ma quasi tutte furono distrutte dal fuoco delle navi e degli aerei giapponesi. Fra gli imbarcati c’erano anche il contrammiraglio Spooner e il generale di divisione Pulford che, con 45 uomini, riuscirono ad approdare a un isolotto deserto, ma morirono di fame e di sfinimento tra i mesi di marzo e aprile. Gli ultimi sopravvissuti si arresero il 14 maggio.

Percival decise di imbarcare infermiere e malati degli ospedali per trasferirli nelle Indie Olandesi. Le imbarcazioni divennero bersaglio delle forze nipponiche: il Vyne Brooke venne affondato; i superstiti, infermiere e uomini, vennero trucidati. L’ospedale indiano di Tyersall fu distrutto dai bombardamenti e dagli incendi, con tutti i suoi occupanti.

Singapore, oppressa da incessanti bombardamenti, entrava in crisi di rifornimenti sia di munizioni sia di carburante sia di acqua, là dove le epidemie iniziavano a infestare la popolazione. Soltanto negli ultimi giorni dell’assedio vi morirono duemila persone al giorno. Tra le rovine vagavano disertori e saccheggiatori, Gli abitanti erano infestati da mosche, zanzare e immersi nella sporcizia. La mancanza totale di acqua fu tragedia soprattutto per gli ospedalizzati e per le fasce deboli. I Giapponesi, mosso l’attacco all’ospedale di Alexandra, massacrarono tutti i degenti e il personale medico.

Mentre Churchill si confrontava con il generale Brooke, capo di Stato Maggiore, sull’eventualità di interrompere la lotta, i Giapponesi iniziavano a entrale in Singapore, innescando la lotta fra le strade.

Siamo al 15 febbraio, allorché Percival dovette firmare la resa. L’Inghilterra perdeva un impero e la strada delle Indie veniva aperta ai Giapponesi che vollero chiamare Singapore con il nuovo nome di “Shonan”.

MacArthur è un personaggio che avevamo lasciato a Manila, comandante in capo delle Forze Armate dell’Estremo Oriente. Ora lo riportiamo in campo nei fatti di guerra che riguardano le Filippine. Per una conoscenza un po’ più approfondita del contesto trattato è da ricordare che l’Arcipelago delle Filippine assunse il nome dal re Filippo II di Spagna e sotto la Spagna rimase dal 1527 al 1896. La guerra fra Spagna e America portò nel 1898 l’arcipelago sotto l’influenza dell’America che, nel 1935, lo trasformò in “Commonwealth”. Il 4 luglio 1946 fu dichiarata la totale indipendenza.

Nell’anno che stiamo considerando, il 1941, è da dirsi che gli Americani erano comunque presenti in zona, a 3200 chilometri da Tokio. Il Giappone, da parte sua, nutriva mire di conquista su Giava e Sumatra per via dei giacimenti petroliferi ivi sfruttati. Ma poi non erano certo da sottovalutare le vistose ricchezze naturali di oro, argento, ferro, rame, magnesio e le ricche piantagioni di canna da zucchero, riso, tabacco, caucciù, cotone, le foreste per i legni pregiati, le piantagioni di palme da cocco e di banani e gli ubertosi vigneti. Le Filippine, poi, erano per i Giapponesi una base di primaria importanza nella rotta verso le Indie Olandesi. Di fronte a tutto questo MacArthur aveva pensato, fin dal 1935, ad allestire un preciso programma di difesa da eventuali attacchi. Il 15 novembre 1941 aveva posto l’esercito in stato di allarme. L’8 dicembre, tuttavia, MacArthur commise un errore: si sapeva che i Giapponesi avrebbero attaccato alle ore 8 precise, ma i loro aerei erano immobilizzati a Formosa da una fitta nebbia; trascorsero alcune ore in cui sarebbe stato possibile a MacArthur mettere in salvo la flotta aerea. Tra il 10 e il 12 dicembre e il successivo 20 avvenne lo sbarco dei Giapponesi che si avvicinavano nel momento in cui le autorità militari inglesi abbandonavano Manila. Su essa i Giapponesi si scagliarono con il lancio di grappoli di bombe e il 2 gennaio 1942 divennero padroni della città. I mezzi corazzati e le fanterie di MacArthur indietreggiarono fino alla penisola di Bataan, raggiunta il 28 dicembre. Il 26° Reggimento di Cavalleria aveva tenuto aperta con estremo coraggio la porta di Bataan e le truppe di MacArthur vi passarono occupando Manila e organizzando le linee di difesa.

Il comandante giapponese, generale Homma, ritenne necessario un attacco in piena regola sulla questione della penisola di Bataan. A partire dal 10 gennaio 1942 i primi attacchi giapponesi furono disastrosi. Era il 25 gennaio quando MacArthur impegnò seriamente i giapponesi sulla propria destra. Era già trascorso un mese e i Giapponesi furono costretti ad abbandonare. L’8 marzo il generale Homma si suicidò di fronte all’incubo del disonore. Poco dopo il generale Yamashita provò a rimediare alla sconfitta e inviò uomini e materiale a Manila sino a realizzare un poderoso attacco su Bataan e su Corregidor.

A MacArthur era pervenuto l’ordine di lasciare le Filippine per raggiungere l’Australia e assumere il comando della zona di operazioni Sudoccidentale del Pacifico. L’8 aprile alle truppe del generale Wainwright arrivò l’ordine di distruggere ogni cosa prima della partenza alla volta di Corregidor.

Yamashita continuava insistendo per arrivare a una conclusione: fece bombardare le colline di Bataan, la cittadella e i forti di Hughes, Drum e Frank. Il 14 aprile le difese americane costiere e antiaeree furono neutralizzate. Il 5 maggio una serie di commando nipponici si infiltrarono nelle difese americane sviluppando un fulmineo attacco, costringendo la guarnigione alleata a capitolare. Con il generale Wainwright caddero in mano dei Giapponesi 11.574 prigionieri, più altri 36.853 che erano rimasti sulle rive di Bataan. Le Filippine erano perse, passate in mano giapponese, ma grazie a quella lotta estenuante le Nazioni Unite riuscirono a organizzare la resistenza nel Pacifico. Qualora Bataan non avesse opposto resistenza, l’Australia sarebbe caduta con la conseguenza di risultati disastrosi. Erano trascorsi quasi cinque mesi dallo sbarco dei Giapponesi nelle Filippine.

Il 1° dicembre 1941 il generale Sakai, comandante del 23° reggimento giapponese a Canton, attendeva l’ordine portato dal comandante Sugizata circa il piano di invasione della colonia britannica di Hong Kong. L’aereo di Sugizata si schiantò a terra in una zona presidiata dalle truppe del generalissimo ribelle Ciang Kai-shek. La questione si faceva delicata e Sakai ordinò il bombardamento sulla zona della sventura e la ricerca della borsa di Sugizata con i documenti. Il 6 dicembre Sakai dispose tre potenti divisioni presso la linea del fronte, in previsione dell’assalto dell’isola di Hong Kong (che in cinese significa porto profumato).

Al generale Maltby, incaricato della difesa di Hong Kong, era parso che un attacco immediato all’isola fosse molto improbabile. Aveva tre battaglioni, circa 6 mila uomini, sul continente e altri 3 mila di rinforzo. L’ottimismo di Maltby fu interrotto: l’8 dicembre fu dato il segnale di invasione giapponese. Le unità inglesi furono costrette a indietreggiare. La R.A.F. era impotente, dopo il disastro dell’incendio del campo di aviazione di Kai Tak. Cedeva la ridotta di Shing Mun, valutata di grande valore strategico. Nel timore di uno sfondamento generale, Maltby informò Sir Mark Young e propose la ritirata, ma ottenne un reciso rifiuto. Ne seguirono furiosi corpo a corpo. Trascorsi cinque giorni di lotta accanita, l’intero continente cadeva in mano giapponese. Il 13 dicembre Sir Mark Young rispose negativamente alla proposta giapponese di resa, dopodiché ripresero i bombardamenti. Maltby aveva dovuto cedere per l’assenza di protezione aerea, per l’esiguo schieramento delle batterie costiere, delle forze navali e delle truppe.

Winston Churchill era estremamente contrario alla resa, ma gli ultimi punti di resistenza non avevano più munizioni, e il giorno di Natale Sir Mark Young decise di capitolare e firmò l’atto di resa.

Puntare verso Tokio.

Il 1° marzo 1942 le operazioni furono affidate al nuovo comandante, il colonnello James H. Doolittle che avrebbe dovuto preparare un’operazione molto pericolosa e segreta. L’addestramento della truppa fu sottoposto a un ritmo pauroso. Nessuno dei militari poteva scrivere, telefonare o parlare a chicchessia. Il 2 aprile la portaerei Hornet del vice ammiraglio William F. Halsey partiva da San Francisco con sedici B25, accompagnata dagli incrociatori Nashville e Vincennes, da cacciatorpediniere di scorta e dalla nave appoggio Cimarron. La direzione era verso il Giappone per un’incursione a sorpresa su Tokio, Osaka, Kobe, Yokohama e Nagoya. La flotta si avvicinò il più possibile alle coste giapponesi. Il 13 aprile si aggiunse pure la portaerei Enterprise. Il giorno dell’attacco era stato fissato per il 19 aprile. Gli aerei erano armati di quattro grosse bombe ciascuno. Alle ore 8,30 sedici aerei si alzavano alla volta del Giappone per una traversata di tre ore a volo radente, mentre la flotta faceva dietro front. I B25 scaricarono sugli obiettivi il loro carico micidiale. Su 80 che parteciparono all’incursione furono 64 i più fortunati e, a missione compiuta, virarono e raggiunsero Chung-King nella Cina libera.

Una virata sulle Midway

Il 18 aprile 1942, a disastro avvenuto, l’alto Comando giapponese incaricò Yamamoto di sviluppare una strategia offensiva imponente, con l’occupazione dell’isola di Midway e delle Aleutine Occidentali. L’occupazione di Midway, ultimo atollo della catena americana delle Hawai, avrebbe causato l’interruzione delle comunicazioni tra il Pacifico e gli Stati Uniti. Nel piano di attacco i Giapponesi disponevano di 10 corazzate, 8 portaerei, 24 incrociatori, 70 cacciatorpediniere, 15 sommergibili, 28 petroliere e una quarantina di altri navigli. Inoltre erano 685 gli aerei pronti al decollo. I Giapponesi si erano addestrati per agire di sorpresa, con diversioni, finte e imboscate.

Negli ultimi giorni di aprile l’ammiraglio Nimitz decise di recarsi a Midway per una ispezione e constatò immense lacune nell’apparato difensivo che non avrebbe potuto far fronte a un tentativo di invasione. Decise allora di costituire una squadra con due incrociatori pesanti, Indianapolis e Louisville, con tre incrociatori leggeri, Honolulu, SaintLouis, Nashville e dieci cacciatorpediniere, pronta a salpare per le Aleutine, al comando del contrammiraglio Robert A. Theobald. L’attacco giapponese, che Nimitz si aspettava su Midway e sulle Aleutine, venne rinviato al 4 giugno.

Il 26 maggio a Pearl Harbour arrivavano le portaerei Hornet, Enterprise e Yorktown. Il 27 maggio Nimitz consegnò alla flotta il piano di operazioni. L’ammiraglio Halsey, comandante della Task Force Sedici, fu fermato da grave malattia. Fu sostituito dal contrammiraglio Raymond A. Spruance con l’affidamento di due portaerei, 54 caccia, 75 bombardieri da picchiata e 29 aerosiluranti. I primi a partire furono l’Enterprise, la Hornet con 5 incrociatori pesanti: New Orleans, Minneapolis, Vincennes, Northampton e Pensacola e con le petroliere Cimarron e Platte. Il giorno appresso si aggiunsero la Yorktown che portava 25 caccia, 37 bombardieri e 30 aerosiluranti, con gli incrociatori Portland e Astoria.

Nelle prime ore del 3 giugno il sottotenente Jewell H. Reid, a bordo di un “Catalina”, scorse una macchia nera: erano 11 navi dirette a est. Furono inviati bombardieri B27, ma le loro bombe finirono in mare. Un siluro riuscì a danneggiare la petroliera Akebono Maru.

Alle ore 4,30 del 4 giugno l’ammiraglio Nagumo diede alle sue navi Akagi, Kaya, Hiryu e Soryu l’ordine di attacco. Alle ore cinque volavano a 4.000 metri di quota, con destinazione Midway, 108 aerei giapponesi. Dopo poco più di mezz’ora pervenne il messaggio da due “Catalina” della base di Midway. Poco dopo le ore sei l’ammiraglio Fletcher inviava un messaggio a Spruance, con l’ordine di fare rotta verso sudovest e di attaccare le portaerei nemiche. Si sviluppò un duello aereo fra i 26 caccia americani e le squadriglie di “Zero” giapponesi, con la perdita di diciassette piloti americani e di numerosi aerei. Intanto i Giapponesi predisponevano 93 aerei di riserva, carichi di bombe. Nagumo decise di lanciare su Midway tutti gli aerei a disposizione, onde evitare una sicura catastrofe per le navi da trasporto dell’ammiraglio Tanaka. Nagumo aveva l’arduo compito di distruggere Midway e di combattere contro la flotta nemica. Alle 7,47 sui Giapponesi si avventarono sedici bombardieri dei Marines di Midway e l’ordine di attacco emanato da Nagumo venne rinviato. La Hornet e l’Enterprise avevano lanciato 116 aerei Alle 8,38 decollarono dalla Yorktown 35 aerei tra bombardieri, siluranti e caccia, ma avversa fortuna fece sì che si perdesse un quarto della forza. I siluri americani avevano mancato i bersagli e la squadriglia mandata all’attacco subì ingenti perdite. Su un totale di 41 aerosiluranti americani ne furono abbattuti 36. Alle 10,24 Nagumo tornò sulla decisione di distruggere la flotta americana, ma dovette prima subire un formidabile attacco americano. La Kaga fu colpita ed esplose, inabissandosi con il capitano Okada e 800 uomini; erano le 19,25. Alle 10,26 era la volta dell’Agaki e della Soryu, ridotte a roghi con apparecchi ammassati che esplodevano. La Soryu andava a picco alle 19,15 trascinando a fondo 718 uomini. L’Akagi era stata mandata a fondo da quattro siluri giapponesi, per autoaffondamento. Per contropartita l’ammiraglio Yamagucki alle 10,40 del giorno seguente faceva partire dalla portaerei Hiryu 18 bombardieri e 6 caccia contro la Yorktown. Con tutti i danni subiti dalle portaerei americane, la vittoria di questa prima parte di confronti era per Nimitz, ma alle 11,59 ebbe inizio la seconda tornata. La Yorktown fu colpita gravemente. Fletcher la fece rimorchiare dall’incrociatore Portland, ma un secondo attacco ordinato da Yamaguchi ne provocò l’annientamento. L’ammiraglio Spruance reagì inviando il comandante McClusky con 24 bombardieri in picchiata contro la Hiryu, colpita con la morte di oltre quattrocento dell’equipaggio e dello stesso ammiraglio Yamaguchi. Yamamoto decise di sostituire Nagumo con Kondo. I Giapponesi rinnovarono la caccia, ma Spruance preferì evitare lo scontro dirottando verso est. Allorché la flotta nipponica decretò la fine dell’operazione Midway, Spruance intraprese l’inseguimento, raggiungendo e assalendo gli incrociatori pesanti Mikuma e Mogami, il primo dei quali fu mandato a picco. La Yorktown, che stava andando alla deriva circondata la otto cacciatorpediniere, venne infine mandata a fondo da un siluro nipponico. La flotta americana, per decisione di Spruance, si portava fuori dalla zona di conflitto. In conclusione gli Americani avevano perso una portaerei e 300 uomini; i Giapponesi avevano perso 4 portaerei e 3.500 uomini.

Nella primavera del 1942 i Giapponesi avevano esteso il proprio dominio su un’area sedici volte superiore a quella della Francia, comprendente 450 milioni di abitanti, ricca di immense risorse naturali, avendo così aperte le strade per l’Australia e per le Indie.

Immagine di Copertina tratta da Portale Storico della Presidenza della Repubblica.

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