Siamo in Africa, più precisamente in Libia dove noi Italiani entrammo nel 1911 conquistandola nella guerra italo-turca fra il 1911 e il 1914 e, in un secondo tempo, fra il 1921 e il 1924. A quel tempo il Comando Supremo delle forze militari era composto da Mussolini e dal generale Badoglio come capo di Stato Maggiore generale. Il generale Balbo era governatore generale e deteneva il comando nell’Africa settentrionale, forte di un esercito che raggruppava circa 250 mila uomini. Il contingente italiano era privo di carri armati pesanti; l’artiglieria non superava calibri di 75 mm; per la contraerea si faceva affidamento su cannoni Skoda da 75; i fucili erano ancora quelli modello ’91; una dotazione insufficiente di camion e 300 aerei non dotati di filtro anti-sabbia, perciò vulnerabili in un ambito dai climi avversi. In primo piano stavano pure le difficoltà per ottenere rinforzi nel momento del bisogno. Emergeva poi una diffusa impreparazione a tutti i livelli dell’Esercito italiano. Sta di fatto che quella guerra nei deserti della Libia non era voluta in Italia, quindi non s’erano apprestati i preparativi necessari.
Nostro nemico frontale era l’Inghilterra che disponeva allora di circa 80 mila uomini agli ordini del generale Wavell, con 275 carri armati di cui 35 corazzati e una forte squadra navale. I soldati inglesi possedevano un ottimo addestramento: consapevoli delle ragioni per cui erano chiamati a combattere, erano pronti a sopportare sacrifici anche pesanti. La guerra che stava per scoppiare era legata a due condizioni essenziali: la qualità del comando e la garanzia di fruire di rifornimenti adeguati. Il giorno 11 giugno 1940 il bacino del Mediterraneo già era entrato in stato di guerra.
Il 28 giugno nel tardo pomeriggio fu segnalata la presenta in cielo di un aereo sospetto. Fu colpito dalla nostra contraerea e si schiantò sulle dune del deserto. Con l’equipaggio moriva il generale Balbo al quale Badoglio, appena mezz’ora prima, aveva inviato un messaggio che ordinava di portare un’offensiva su Alessandria entro il 15 luglio. Balbo fu sostituito dal generale Graziani, conosciuto per l’eccessiva severità, quasi al limite della crudeltà. Graziani giunse a Cirene il 30 giugno e notò subito una serie di deficienze: il ritardo nella concentrazione di truppe, la scarsità nella dotazione di veicoli, le insufficienti riserve di munizioni, di carburante e di viveri, l’assoluta assenza degli 800 aerei promessi ma non inviati. Dalle annotazioni dell’8 agosto, stilate da Galeazzo Ciano, si sottolineava l’insufficienza del rifornimento di acqua che avrebbe contribuito all’avverarsi di una disfatta verso un disastro rapido e totale.
Gli Italiani erano una spina nel fianco per gli Inglesi, in quanto l’Esercito si trovava non molto distante dalle basi. Se si fossero impadroniti del canale di Suez avrebbero aperto la via al petrolio dell’Irak e dell’Iran. Churchill aveva convocato il generale Wavell per comunicargli la consegna di fortificare nel modo più efficiente l’area attorno ad Alessandria e di trasformare il centro di Marsa-Matruk in un bastione di resistenza con il compito di rendere difficili i rifornimenti per i nemici. Il 9 settembre la 10a Armata italiana, al comando del generale Berti, parte all’attacco. Coprendo il terreno a piedi, si avvicina a Sollum il 13 settembre. Gli Inglesi non s’impegnano ancora e retrocedono. Il 15 settembre gli Italiani conquistano Buq-Buq, il 16 Sidi-el-Barrani. A un certo punto però Graziani impose l’alt per l’esaurimento dei materiali e per la spossatezza delle truppe. L’acqua a disposizione non bastava, ne sarebbero occorsi seimila metri cubi ogni giorno. Graziani avrebbe ripreso l’offensiva il 15 dicembre 1940. Il 9 dicembre il gruppo corazzato del generale Maletti si trovava a Ni-Beiwa in pieno deserto, a sud di Sidi-el-Barrani. Lo stesso Maletti, durante uno scontro armato, si mise a sparare con una mitragliatrice il cui addetto era stato ucciso, fece strage degli assalitori indiani ma alla fine cadde anch’egli colpito a morte. Ne seguiva la capitolazione dell’avamposto di Ni-Beiwa.
Wavell ora aveva preso l’iniziativa. Con una rapida avanzata il 12 dicembre decimava la divisione italiana Catanzaro e tre giorni appresso decretava il disastro totale per le truppe italiane che subivano danni enormi per cinque divisioni di fanteria e lasciavano agli Inglesi 38 mila prigionieri. I generali Wavell e Wilson, costui comandante dell’Armata d’Egitto, elevarono un possente sistema difensivo attorno a Marsa-Matruk. Wavell valutava che l’Armata italiana in Cirenaica, con i suoi 90 mila uomini, fosse sul punto della disfatta. Stava meditando di circondare i gruppi di resistenza nemici e di annientarli. Il 16 dicembre, pertanto, fece proseguire la marcia della truppa verso occidente. Il 3 gennaio 1941 la guarnigione di Bardia, con le divisioni comandate dal generale Bergonzoli, fu duramente bombardata e in seguito a due giorni si arrese lasciando agli Inglesi circa 40 mila prigionieri. Il 6 gennaio la 7a divisione corazzata inglese tagliò la via Balbia a ovest di Tobruk, con la conseguenza che il generale Graziani non poté più usufruire di una cinquantina di aerei in attesa. L’assalto generale sferrato dagli Inglesi il 21 gennaio costrinse gli Italiani ad affondare l’incrociatore San Giorgio e a cessare il fuoco. Il 23 gennaio la XIX brigata australiana puntò su Derna, mentre la 7a divisione corazzata inglese si approssimava a Mektili, conquistata il giorno 27. Il 5 febbraio 1941 gli Australiani facevano il loro ingresso in Barce; il giorno successivo conquistavano Bengasi accerchiando le forze italiane. Nello scontro che ne provenne vennero uccisi i generali Tellera e Bergonzoli. I combattimenti si esaurirono il 7 febbraio con il bilancio di 20 mila prigionieri italiani. In soli due mesi le Western Desert Forces avevano conquistato tutta la Cirenaica e distrutto un’Armata con più di 170 mila uomini, facendo 130 mila prigionieri fra cui sette generali e un ammiraglio. Fu a questo punto che Churchill inviò Wavell in Grecia per porgere aiuto. Intanto l’11 febbraio Graziani passò le consegne al generale Gariboldi.
In Libia vennero mandate due divisioni corazzate tedesche a supporto per gli Italiani e per frenare l’avanzata degli Inglesi su Tripoli. Le truppe italiane si trovavano in un momento di disorganizzazione e demoralizzazione in seguito al cedimento dell’ultima divisione corazzata il 6 febbraio 1941 per la presa di Bengasi. Rommel, arrivato che fu a Tripoli, prese contatto con il generale Gariboldi, comandante supremo in Africa settentrionale, sostenendo la propria tesi, che la difesa della Tripolitania si sarebbe dovuta organizzare nel settore Buerat-Sirte, a sudest di Tripoli.
L’11 marzo a Tripoli sbarcarono 120 carri armati del 5° reggimento Panzer e la divisione di Fanteria Brescia si portò sull’istmo di Mugtà per garantire il passaggio delle unità motorizzate. Era il X Corpo d’Armata italiano, agli ordini del generale Barbieri, formato dalle divisioni di Fanteria Pavia, Brescia e dalla divisione corazzata Ariete, in tutto attorno ai 40 mila uomini con 180 carri armati e 400 aerei.
Qualche nota informativa sulla “Volpe del Deserto”. Erwin Rommel era nato ad Heidenheim il 15 novembre 1891. Nella città natale iniziò gli studi che portò avanti in Aelen. Dopo la “maturità” volle intraprendere la carriera militare. Il 19 luglio 1910 era in forza al 124° reggimento Fanteria a Weingarten dove ottenne il grado di sottotenente nel gennaio 1912. Dimostrava un coraggio superiore, era insensibile alla fatica, ricco di risorse, sempre primo nelle missioni più difficili e rischiose. Dimostrò il proprio valore combattivo già nella Prima Guerra mondiale con la conquista del Monte Mataiur il 26 ottobre 1917. Rommel si era affidato al proprio intuito e alla propria spregiudicatezza per penetrare nelle linee italiane e catturare una batteria italiana all’arma bianca. Con quell’azione aveva fatto un migliaio circa di prigionieri. Sulla strada del Mataiur aveva sorpreso una colonna italiana di rifornimenti con 50 ufficiali e circa 2.000 uomini. Nelle prime ore dell’alba attaccò un accampamento della brigata Salerno intimando la deposizione delle armi a 43 ufficiali e a 1.500 soldati. Nella corsa al Mataiur Rommel, superati 20 chilometri di terreno, era giunto a duemila metri di quota e aveva tratto in prigionia 150 ufficiali e 9.000 soldati, compreso il bottino di 81 cannoni. Passò al grado di capitano e, in seguito al conflitto, fu istruttore alla Scuola di Fanteria di Dresda dal 1° ottobre 1929. Nel 1933 fu promosso maggiore e tenente colonnello nel 1935; colonnello due anni dopo. Con questo grado ottenne la direzione della Scuola di Guerra di Wiener-Neustadt in Austria. Ebbe il grado di generale di brigata il 23 agosto 1939 e divenne capo del Quartiere Generale di Hitler che il 15 febbraio 1940 gli diede il comando della 2a divisione corazzata. Il 10 maggio Rommel penetrò in Belgio. Raggiunse la Senna nei pressi di Rouen il 9 giugno e il 12 catturò 12 mila prigionieri, ottenendo poi la resa di Cherbourg. In sole sei settimane la sua divisione aveva tratto in prigionia quasi 97.500 soldati e catturato 458 fra carri armati e veicoli blindati. Raggiunto il grado di Generale di divisione, nel gennaio 1941 fu nominato comandante dell’Afrika Korps. Personalmente dava a vedere un’energia inesauribile, tenacia a oltranza e particolare capacità di comando. Di grande lealtà, fu altamente stimato, persino dai suoi nemici. Suo diretto avversario, nel marzo 1941, era il generale Neame, nominato comandante militare in Cirenaica, forte di un complesso di 25 mila uomini e di 70 carri armati.
Eravamo rimasti al generale Wavell che, privato di un bel numero di contingenti armati per portare aiuto alla Grecia ai primi di marzo del 1941, restava comunque il responsabile delle operazioni in Libia, in Eritrea, nella Somalia britannica e italiana, e in Etiopia. Ma nell’insieme doveva anche interessarsi di quanto accadeva in Siria e in Irak.
Rommel, per conto suo, non vedeva l’ora di scatenare un’offensiva in grande stile; chiese l’autorizzazione a Hitler il quale lo indirizzò a von Brauchitsch per avere informazioni su che cosa fare in Cirenaica. Von Brauchitsch gli confermò la consegna della 15a divisione corazzata per il mese di giugno e lo esortò a preparare un piano per riprendere possesso della Cirenaica, da presentare allo Stato Maggiore il 20 aprile. Rommel aveva fretta, sapeva che gli Inglesi si stavano fortificando nel sito di Mersa-el-Brega; prese allora la determinazione di attaccare senza pensarci due volte, per prendere possesso della linea di Mersa-el-Brega. Fu così che il mattino del 31 marzo venne sviluppato un violento fuoco dalle artiglierie tedesche e italiane. Furono neutralizzate le mine interrate dagli Inglesi e fu aperto un varco per il passaggio dei mezzi; seguirono l’attacco della Fanteria e le incursioni degli aerei tedeschi. Prima che sopraggiungesse la notte gli Inglesi si arresero, lasciando prigionieri 800 loro soldati. Rommel non si fermò: il 2 aprile conquistava Agedabia.
Il generale Gariboldi non condivideva il piano d’attacco concepito da Rommel, mentre Hitler dava a Rommel piena libertà di manovra. Rommel partì lanciando le truppe su cinque diverse direzioni, nell’intesa di spingere gli Inglesi verso la zona di Mektili per chiuderli in una sacca e successivamente annientarli. Un gruppo della 5a divisione leggera, al comando del ten. colonnello von Wechmar, conquistò Bengasi e piegò verso Mektili. La divisione di Fanteria Brescia si portò oltre Bengasi e mosse verso Derna. Anche il distaccamento italiano di artiglieria Fabris e la divisione corazzata Ariete puntarono verso Mektili. Il 5° reggimento Panzer, comandato dal colonnello Olbricht, con il rinforzo di 40 carri italiani, si diresse verso M’sus e Mektili.
Immagine di copertina tratta da Encycopedia Britannica.