Il secondo Flagello planetario – 1940. L’invasione della Francia – Parte 2 di 2

Ci spostiamo al Quartier Generale di Vincennes, in Francia, dove il generale Gamelin intesse un colloquio accorato con il ministro della Difesa Nazionale, Eduard Daladier. Di fronte al ritratto cupo di una disfatta militare, Daladier invoca l’intervento della Gran Bretagna e chiede l’invio dei 10 squadroni da caccia sui quali si era convenuto. Il pericolo si va profilando attorno a Sedan dove i Tedeschi sono riusciti a sfondare nei settori nord e sud occupando un tratto di territorio della larghezza di 80-95 chilometri. In quanto alla capitale, Parigi, sono già in moto tutti i provvedimenti per una rapida evacuazione della popolazione, benché per i Tedeschi la stessa Parigi non rappresenti l’obiettivo più ambito, almeno per il momento; essi guardano a conquiste più a nordest, nella zona che si estende tra la Sambre e l’Aisne, dove il generale tedesco Guderian sta spingendo le proprie truppe nel territorio della Thiérache in direzione di Montcornet mentre, 50 chilometri circa più a nord, Rommel prende possesso della città di Avesnes per gettarsi in direzione di Landrecies, altri 20 chilometri a ovest, sulla Sambre, e il generale Reinhardt ha già superato la Mosa nei pressi di Monthermé, più a est, dove hanno inizio le Ardenne.

Restando a Montcornet si assiste a un feroce scontro tra la 2a Panzer (divisione corazzata)e la 4a divisione corazzata del colonnello De Gaulle (le immagini di tutto l’articolo sono tratte da Wikipedia) che, sotto le incursioni dell’artiglieria e degli aerei tedeschi, è costretto a ripiegare. A questi fatti segue un ordine del giorno, tanto laconico quanto terribile, sull’eco delle direttive emanate dal Generale Cadorna nei confronti dei Combattenti italiani della prima Guerra mondiale. Il 17 maggio 1940 è il generale Gomelin a ordinare: “Le truppe che non sono in grado di avanzare devono farsi uccidere sul posto piuttosto che abbandonare… la parola d’ordine, oggi, è questa: vincere o morire”. Ma gli eventi si susseguono a favore degli invasori che si impadroniscono di Cambrai, di Saint-Quentin, di Péronne. Ancora si avvera una reazione da parte del colonnello De Gaulle in direzione della Valle del Serre ma, sotto l’impeto dell’aviazione tedesca, ancora una volta De Gaulle deve ripiegare. Il 21 maggio 1940, nei pressi di Arras, contro le truppe corazzate di Rommel si avventano 74 carri armati inglesi al comando del generale Franklyn, ma in definitiva Arras resta in possesso degli inglesi. I panzer tedeschi si dispongono lungo le coste del Mare del Nord, dove la 2a Panzer si porta a Boulogne, una ventina di chilometri circa da Calais. Qui al generale Nicholson viene recapitato un ultimatum inviato da Guderian (che si trova a capo del XIX corpo d’Armata), subito respinto ma con poche speranze di buon esito. Gli Inglesi già sono a corto di munizioni e le prospettive sono del più nero immaginabile, tali da costringere la guarnigione inglese a capitolare. Sulla scena appare ancora il colonnello De Gaulle che, il 27 maggio ad Abbeville, tenta di portare a buon fine una nuova controffensiva che avrà il solo risultato di aver scosso il morale dei soldati tedeschi a causa delle elevate perdite subite nello scontro e di una certa supremazia dei mezzi corazzati francesi. Questa fase della lotta per la sottomissione della Francia ha concesso a Hitler un ottimo livello di sicurezza, con la conquista dell’Olanda, del Belgio e del Nord della Francia in una ventina di giorni appena. Hitler si affretta pertanto a convocare un consiglio di guerra con il capo dell’O.K.H. (Comando supremo), generale Keitel, con il direttore delle operazioni, generale Jodl, con il comandante in capo delle forze terrestri, generale von Brauchitsch e con il comandante del Gruppo d’Armate A, generale von Rundstedt, comunicando la decisione di portare un’offensiva di straordinarie dimensioni su tutto il tratto che si estende dalla Somme alla linea Maginot. La riunione, tuttavia, non trova tutti d’accordo sulla stessa linea d’azione, a iniziare dai generali von Brauchitsch e Halder, per cui viene a configurarsi un vero e proprio conflitto d’opinione sulla visione della guerra in corso, come si verifica fra il generale von Rundstedt e il generale von Klüge sull’affare “Dunkerque”.

L’ordine di eliminare la sacca di Dunkerque perviene alla Luftwaffe (l’aviazione tedesca), ma il generale Kesselring, comandante della 2a Flotta aerea, è nel dubbio. Nonostante tutto, l’attacco divampa e si protrae per oltre tre settimane. L’aggressione dal cielo era iniziata il 18 maggio con bombardamenti su larga scala. Forti danneggiamenti subirono il porto e il sistema ferroviario, tanto che furono immobilizzati tutti i treni già pronti per la partenza. La risoluzione, da parte degli Inglesi, è una sola: provvedere a realizzare la ritirata dal porto di Dunkerque. Il 26 maggio viene incaricato l’ammiraglio Ramsay al quale restano appena 40 torpediniere delle 202 in possesso della Royal Navy. Un soccorso a Ramsay proviene dalle navi mercantili che, nel bel numero di diecimila, offrono la propria disponibilità all’operazione di evacuazione dei 45 mila uomini. La vittima “Dunkerque” subisce la devastazione prodotta dalle 30.000 bombe incendiarie e dalle 15.000 esplosive lanciate dalla 2a Flotta aerea di Kesselring. Ma oltre 17.800 soldati inglesi possono essere trasferiti in sicurezza, seguiti a breve da altri 47.310. Poi, il 31 maggio, altri 53.823, seguiti il 1° giugno da circa 60 mila nuovi evacuati e, dal 2 al 3 giugno, da successivi 60 mila. Ma il 4 giugno sulle spiagge di Dunkerque si trovano ancora migliaia di soldati britannici. Numerosi, a decine di migliaia, sono i prigionieri e a migliaia gli abitanti civili morti. Le perdite si contano a cifre altissime: navi affondate, aerei abbattuti, materiale abbandonato. L’aspetto più incoraggiante è stato quello della salvezza di oltre 98.600 soldati dalle spiagge e di altri 239 mila dal porto di Dunkerque, nonostante il crescente peso dell’offensiva tedesca a partire dal 5 giugno.

Torniamo al colonnello De Gaulle, propenso per una guerra di movimento con l’impiego dei 1.200 carri armai a disposizione, da concentrare a nord di Parigi e a sud di Reims. Il suo progetto, però, non incontrò i favori dello Stato Maggiore.

La Battaglio di Francia data a partire dal 5 giugno 1940 e dai due giorni precedenti con incursioni aeree votate a distruggere i maggiori centri produttivi e militari della Francia. Subiscono feroci bombardamenti Parigi, Sains, il villaggio d’Estrées. Una colonna di Fanti francesi ripiega in direzione di Breteuil, ma viene circondata e isolata, ormai assolutamente priva dei necessari rifornimenti. Intanto il 6 giugno Rommel conduce la sua divisione Panzer verso Rouen, costringendola a cedere. Quindi punta verso la costa con l’ordine di impedire la ritirata di Francesi e Inglesi da Le Havre. Riesce a fare 46 mila prigionieri, dei quali 8 mila sono Inglesi. Anche la fortezza di Cherbourg si arrende e con essa termina anche la campagna di Rommel nella Francia occidentale.

Le Armate di von Kleist che erano state portate sulla valle dell’Aisne, si trovano ora a Champagne, comandate da von Rundstedt. Il 10 giugno Guderian sferra l’attacco nella valle dell’Aisne. La lotta è furente ma breve: già nella nottata non si sente più il crepitio delle armi. Gli schieramenti di Guderian e di von Kleist procedono a una rapida avanzata. I carri armati tedeschi puntano a nord, verso Vrizy e piegano in direzione nordovest mentre l’artiglieria tedesca tiene a vista d’occhio i carri armati francesi. L’aviazione tedesca non cessa di insidiare le linee di difesa francesi con copiosi e devastanti bombardamenti. Il 13 giugno von Kleist è a Romilly, mentre Guderian punta a nordest di Pontarlier, una decina di chilometri a sud di Besançon e alla stessa distanza a ovest della frontiera svizzera. Quattro Armate francesi sono completamente accerchiate il 17 giugno e non si può più rinunciare a ritirarsi dalla linea Maginot, nonostante un’eroica difesa sia sostenuta sino al 25 giugno. Quattro giorni prima era toccato arrendersi anche ai difensori della fortezza di Kerfent.

Con il superamento della Senna da est a ovest Parigi si ritiene accerchiata senza speranza e iniziano i lunghi esodi. L’11 giugno la capitale è dichiarata “città aperta”. Si moltiplicano i convogli di profughi iniziati ancora con i Belgi e i Lussemburghesi in fuga. Ma tutto diventa più difficile dopo che le ferrovie sono state devastate dai bombardamenti e che l’insidia delle mitraglie incombe su chi si trova lungo le strade in cerca di salvezza.

Molto toccante un riferimento che leggo sui testi consultati, nel rievocare i bambini dei quali si ode la “piccola voce che urla, con la gola soffocata: «Gli aeroplani, mamma, gli aeroplani!»… hanno imparato a vedere la morte scendere dal cielo”. Affiora alla mia mente un’esperienza simile, nel novero dei miei vissuti. Bombardamenti, nella mia città natale, ne subimmo più di uno. La formazione di aerei, tedeschi o inglesi o americani che fossero, era stata avvistata e lungo i viali che costeggiano il centro abitato erano state installate sirene con un suono cupo, lugubre, penetrante: quel suono lanciava l’allarme aereo e, allora, tutti di fretta a trovare un precario rifugio negli scantinati dei rioni. Mi rivedo saltare di corsa i gradini della rampa di scale che portava al primo piano, dove abitavamo, ansimante e terrorizzato, gridando: “Mama, ij arèoplan!”.

Sotto quei terribili bombardamenti il 19 marzo 1940 cade la città di Arras. L’ondata degli sfollati si ingigantisce: sono decine di migliaia di persone che cercano di riparare nel dipartimento della Loira Inferiore, a Montauban, a Tolosa. La crisi si fa acuta, tanto da consigliare Paul Reynaud, al Governo, di chiamare il colonnello De Gaulle al Sottosegretariato della guerra, creando le condizioni per la nomina di De Gaulle a generale e affidandogli l’incarico di tessere saldi rapporti di cooperazione con Churchill, nella speranza di arrivare sino a Roosevelt per ottenerne gli aiuti in guerra. Churchill, infatti, vive del proposito di continuare la guerra fino all’agognata vittoria. Contrariamente, in Francia sorge una polemica fra Reynaud e Camille Chautemps che si oppone recisamente al proseguimento del conflitto armato. Persino il comandante in capo, Weygand, è del parere che alla Francia non rimanga altra via d’uscita se non quella della capitolazione. L’armistizio, per Weygand, è la condizione d’obbligo per consentire alla Francia di sopravvivere. Lo controbatte calorosamente Reynaud invitando tutti a riflettere sul fatto che una capitolazione sarebbe grave oltraggio all’onore della Francia. Il presidente della Repubblica francese, Lebrun, è del fermo parere che siano i militari, Pétain e Weygand, a dichiarare la volontà di fermare le azioni contro la Germania. Ma il 14 giugno, mentre il Governo francese ripara a Bordeaux, le truppe tedesche fanno il loro ingresso nella capitale. A Bordeaux arriva pure De Gaulle che, insieme a Jean Monnet e a Pleven, aveva lavorato duramente per mettere in piedi un progetto di intesa fra la Francia e la Gran Bretagna, in una visione più ampia che avrebbe quindi coinvolto gli Stati Uniti d’America.

Nello stesso giorno, quando già l’Alto Comando francese aveva posto il veto a qualsiasi azione offensiva contro l’Italia, entrata in guerra contro la Francia il 10 giugno, successe che dalla squadra navale di Tolone partisse un improvviso bombardamento a danno dei depositi di petrolio e delle raffinerie nella zona del porto di Genova. Le cose intanto precipitano e si perviene alla formazione di un nuovo Governo, quello presieduto da Pétain e dal vicepresidente Chautemps, con Weygand alla Difesa, Darlan alla Marina e Baudouin agli Affari Esteri.

A quest’ultimo membro del governo è affidato l’incarico di interpellare i Tedeschi per ottenerne le condizioni di armistizio che saranno trattate attraverso Madrid per la Francia e il Vaticano per l’Italia. Già Hitler, che aveva subodorato la piega politica che la situazione, estremamente critica per la Francia, sarebbe insorta in conclusione, aveva assegnato al generale Keitel il compito di redigere un progetto attinente al trattato di armistizio, nella chiara previsione di occupare per intero il territorio francese, di obbligare la Francia al disarmo totale e alla consegna delle armi. Per quanto riguarda l’Italia, Mussolini riesce a ottenere la promessa di smobilitazione della Francia, della consegna all’Italia di tutto il materiale francese da guerra e una serie di occupazioni italiane: della Corsica, della Tunisia, della Somalia francese e dei territori orientali del Rodano. L’Italia avrebbe ancora goduto del diritto di occupare i territori in mano alla Francia, nella previsione della resa sia della flotta da guerra sia dell’aviazione francese. Hitler, da parte sua, non intende occupare la Francia superando la Loira, ma vuole limitarsi a una striscia litoranea sull’Atlantico, sino alla Spagna e a una zona verso est, adiacente alla frontiera svizzera. Le truppe tedesche, tuttavia, siamo al 20 giugno, si spingono oltre la Loira verso Nantes e Vichy, poi ancora a Roanne risalendo il corso del fiume. In quanto alla Flotta francese, Hitler non intende doversi ricorrere alla sua distruzione, ma propone il procedere a un disarmo delle navi negli stessi porti francesi, con l’intenzione di ridare in mano ai Francesi la loro flotta una volta terminato il conflitto armato. Sicuramente Hitler voleva evitare che la flotta francese si portasse nei porti inglesi. Da parte italiana persiste qualche motivo di titubanza in quanto non è stata ricevuta alcuna richiesta di armistizio. Si delibera allora che l’accordo preveda l’attivazione del Governo francese insieme al Governo italiano passando per la mediazione del Governo spagnolo. Numerosi membri del Governo francese e parlamentari partono sul natante Massilia e raggiungono Casablanca il 24 giugno. Nel medesimo tempo la delegazione francese incaricata della firma dell’armistizio si porta fra Tours e Amboise. Il 21 giugno si trova a Compiègne, dove sosta il vagone ferroviario di Rethondes. Vi arrivano anche Hitler, Göring, von Brauchitsch, von Keitel, l’ammiraglio Raeder, von Ribbentrop e Rudolf Hess. Delegato a interloquire in tema di armistizio è il generale Keitel. Hitler prende posto sul sedile occupato nel 1918 dal generale francese Foch. È il 21 giugno 1940 e le condizioni dell’armistizio vengono portate alla conoscenza dei presenti. Hitler da parte sua, mentre approva la posizione politica assunta dal generale Pétain, ribadisce la propria fermezza sull’armistizio, ma non sulla pace, dimostrando una fortissima ostilità alla Francia della quale intende azzerare la potenza politica e militare sulla scena europea. Alle ore 18,50 il delegato per la Francia, Huntziger, appone la propria firma al trattato di armistizio. Poco dopo, in un vis-à-vis con il generale Keitel, gli confida: “Il nostro esercito ha coscienza di essere stato battuto dalla Wehrmacht, ma assolutamente non dall’esercito italiano”.

Con la delegazione francese giunta a Roma il 23 giugno, Badoglio, a nome dell’Italia, comunica le condizioni dell’armistizio che viene successivamente firmato il giorno 24 tra Huntziger e Badoglio. Con l’Italia il cessate il fuoco verrà stipulato il 25 giugno 1940. Ma di là della Manica è la voce di Churchill a spronare, il 22 giugno, alla prosecuzione della lotta armata, facendo eco all’appello di De Gaulle lanciato nella medesima direzione. Il 26 giugno 1940 è per la Francia un giorno di lutto nazionale, allorché il Governo sposta la propria sede a Clermont-Ferrand e quindi a Vichy. Ma dal fondo della disperazione risuona il richiamo di De Gaulle: la Francia si risolleverà nella vittoria.

Immagine di Copertina tratta da Rai.it

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