Steven Weinberg – I primi tre minuti. L’affascinante storia dell’origine dell’Universo. Parte 2 di 2

Nella mente dei Pensatori
Steven Weinberg
I primi tre minuti. L’affascinante storia dell’origine dell’Universo

Mondadori – De Agostini, Milano 1994-1997, Novara 1994

Originale: The First Three Minutes. A Modern View of the Origin of the Universe

Traduzione italiana di Libero Sosio

Secondo una delle tante teorie che s’ingegnano per spiegare l’Universo ci sarebbero due limiti da ascrivere alla temperatura, ritenuti insuperabili: lo zero assoluto come limite inferiore e un livello pari a 2.1012 (2 seguito da 12 zeri ossia 2.000 miliardi di gradi) gradi Kelvin per la temperatura massima che sarebbe stata quella dell’inizio dell’universo, in condizioni di densità e di energia infinite. Un’altra versione della formazione dell’Universo presuppone esserci stato un inizio, in uno stato di densità infinita e di temperatura infinita. In quelle condizioni gli adroni si dividerebbero nei quark di cui sono formati, così come a una temperatura di alcune migliaia di gradi gli atomi si scompongono in elettroni e nuclei e a una temperatura di miliardi di gradi sono gli stessi nuclei a scomporsi in protoni e neutroni. Si dà pertanto la possibilità che l’Universo all’inizio fosse formato da fotoni, leptoni, antileptoni, quark e antiquark in moto libero. Questo fa pensare che nel primo centesimo di secondo l’Universo fosse composto di particelle elementari libere.

Le teorie di campo entrate in vigore a partire dal 1973 per descrivere le interazioni forti sono del medesimo tipo matematico ossia teorie di gange (pron. ghéig = misura) che “possono fornire una base unificata per la comprensione di tutte le forze della natura: deboli, elettromagnetiche, forti, gravitazionali”. Assumendo come dato di confronto una temperatura pari a 3×1015 gradi Kelvin, detta temperatura critica, al di sotto di essa l’Universo doveva presentarsi nell’aspetto che constatiamo ai nostri giorni. Ma se la temperatura era superiore “l’unità essenziale fra le interazioni deboli e le interazioni elettromagnetiche era manifesta in quanto esse davano a vedere di avere la stessa forza”.

Gravitazione

Dagli studi di Leonard Parker (Università del Wisconsin) è stato accertato “che gli effetti di ‘marea’ del campo gravitazionale dell’Universo avrebbero prodotto dallo spazio vuoto coppie particella-antiparticella, appena trascorso un tempo brevissimo, 10-24 secondi, dall’inizio dell’Universo”. Alla temperatura di 1032 K le forze gravitazionali potevano essere dotate di notevole forza, e la produzione di particelle operata dai campi gravitazionali poteva essere abbondante… ogni particella era all’incirca grande quanto tutto l’Universo osservabile. È possibile stimare che la temperatura di 1032 K si fosse manifestata attorno ai 10-43 secondi dopo l’inizio del tutto (l’Era di Planck). Per la durata del primo secondo di vita si pensa che l’Universo si trovasse in uno stato di equilibrio termico. “La radiazione gravitazionale deve essere uscita dall’equilibrio termico, con gli altri contenuti dell’Universo, quando la temperatura si aggirava intorno ai 1032 gradi Kelvin”.

Per non creare confusione: la cifra 1032 gradi sta per il numero 1 (grado) seguito da 32 zeri – provate a scriverlo, probabilmente illeggibile. La cifra 10-24 secondi sta per una frazione con al numeratore il numero 1 (secondo) e al denominatore il numero 1 seguito da 24 zeri. Da immaginarsi, se si può, l’estrema piccolezza del quoziente ricavabile.

Weinberg crede che l’Universo si espanderà fino a un massimo per poi iniziare a contrarsi per seguire quindi un percorso a ritroso, sino all’ultimo centesimo di secondo dove maggiori sono le nostre incertezze su ciò che accadrà. “Soprattutto, l’Universo intero dovrebbe essere descritto, in questo contesto, nel linguaggio della meccanica quantistica a temperature superiori a 1032 K, e nessuno ha la più pallida idea di quel che accadrà in condizioni del genere”. Weinberg chiude la propria dissertazione con una constatazione probabilistica: “Negli esseri umani c’è un’esigenza quasi irresistibile di credere che noi abbiamo un qualche rapporto speciale con l’Universo, che la vita umana non sia soltanto il risultato più o meno curioso di una catena di eventi accidentali risalente fino ai primi tre minuti, che la nostra esistenza fosse già in qualche modo preordinata fin dal principio”. Guardandosi intorno Weinberg commenta che sia di gran lunga difficile “rendersi conto che l’Universo attuale si è sviluppato a partire da condizioni indicibilmente estranee e che sul suo futuro incombe un’estinzione caratterizzata da un gelo infinito o da un calore intollerabile. Quanto più l’Universo ci appare comprensibile, tanto più ci appare senza scopo” e conclude: “Lo sforzo di capire l’Universo è tra le pochissime cose che innalzano la vita umana al di sopra del livello di una farsa, conferendole un po’ della dignità di una tragedia”.

Ora tocca a me esprimere qualcosa di quel che sento dopo la lettura sulla fisionomia e sul destino del nostro Universo. È chiaro che non è stata una lettura facile e scorrevole, anzi mi sono più volte dovuto fermare e tornare su un passo che richiedeva maggiore comprensione e più approfondita riflessione. A parte il contenuto scientifico, già di per sé richiedente particolare attenzione e concentrazione, ciò che mi ha trascinato con sé per tutta la durata della lettura è stato quell’elevato grado di complessità caratteristico della formazione dell’Universo e che ha scatenato nelle mie possibilità di concettualizzazione il riaprirsi di una scena ricorrente nei miei pensieri. Weinberg parla di eventi straordinari e di trasformazioni mirabolanti usando spesso termini come “vengono creati, si formano” inducendo a immaginare un contesto scenico nel quale un bravo illusionista ti fa assistere a eventi che in realtà non esistono, se non per via di suggestione. Lo stesso Universo, secondo una serie di teorie elaborate a proposito, sarebbe eterno, non conoscerebbe una fine, in qualsiasi forma questa possa essere concepita. Perché, se l’Universo avesse avuto un inizio mi verrebbe subito da chiedermi che cosa c’era prima di quell’inizio. Il Nulla, potrebbe essere la risposta attesa. Ma intanto si dovrebbe definire in termini intelligibili che cosa si possa intendere con il termine “nulla”. Già, tutto quello che non c’è, direbbe qualcuno, ma questa definizione in buona parte semplicistica non fa altro che ribadire la nostra incapacità di circoscrivere e di spiegare un concetto di totale assenza di peso e pertanto ineffabile. D’altra parte, per quanto ne sappiamo ai nostri giorni, nulla può procedere dal nulla. Ciò che esiste può derivare da altre forme, per trasformazione, ma non può essere scaturito dal nulla. Allora mi sento spinto a ricorrere a una soluzione alternativa o, meglio a un tentativo di soluzione: le cose si sono create, così come abbiamo visto nel caso delle particelle contemplate dalla meccanica quantistica, ma si tratta comunque sempre di sub-particelle che nascono dalla collisione fra fotoni e così via. E, dunque, prima dei fotoni? Qui con il termine “prima” non intendo riferirmi esclusivamente a quello che grammaticamente procede da un avverbio di tempo, ma più propriamente darei a quel termine in valore di “all’origine”.

Il ricorso frequente alla parola “creazione” riporta necessariamente a un soggetto al quale si possa attribuire la formazione del tutto ossia a un Creatore. Ma in questo modo ricadiamo nel luogo comune delle religioni che ti impacchettano la Verità ultima e te la offrono in omaggio gratuito, e questo andare a vuoto non può essere altro che una trappola o un freno al procedere della spinta alla ricerca. Tuttavia mi sento portato a soffermarmi su questo aspetto dell’argomentazione, per un mio senso, non di religione, ma piuttosto di religiosità. Ovvero vado a congetturare che, nel relativismo posto al timone delle scoperte degli ultimi due secoli di Storia umana, abbiamo inteso che non siamo al centro dell’Universo e che nulla o quasi nulla dipende da noi, dalla nostra pura volontà. Ossia anche la realtà che stiamo vivendo, nel volgere degli anni di vita che ci vengono concessi, non è detto che sia una disposizione definitiva e che il mondo percepito, quello che cade sotto i nostri sensi, sia quello che crediamo esista e nulla più. Mi piace dirigere il mio pensiero su un piano meno determinato, un piano che mi consenta di valutare quella che ci distingue, non come l’unica espressione di esistenza. Così come nel corso degli anni ci siamo accorti che la nostra Terra non si trovava al centro dell’Universo, che il nostro non è probabilmente l’unico pianeta abitato nel Cosmo, che forse nemmeno questa porzione di Cielo che siamo riusciti a scrutare fin qui non è tutto quel che c’è, ma che possono sussistere Universi paralleli, numerosi e inimmaginabili, così posso arrivare a credere, nel mio intimo di pensatore sprovveduto, che questa alla quale apparteniamo e che cogliamo, o crediamo di cogliere, con i nostri sensi, non sia la realtà ultima, ma appartenga a una serie di possibilità nella quale si esprimono altre dimensioni, più mentali, più progredite, mi azzardo persino a chiamarle spirituali. Chissà, perché dobbiamo fossilizzarci su una credenza imposta nella Storia del genere umano da poteri terreni che coltivavano progetti, neppure tanto velatamente di controllo delle masse per fini di supremazia?

Noi ossia i viventi dell’epoca attuale siamo fortunati sotto questo aspetto perché ci siamo liberati, relativamente, da false credenze, da stereotipi culturali e da idiotismi conoscitivi per inoltrarci in uno spazio ignoto, nel quale ci è dato formulare ipotesi sempre più ardite e di addivenire a livelli di conoscenza sempre più vicini al vero, seppure nella direzione asintotica imposta al nostro potere speculativo. La formica che svolge un lavoro accuratissimo nei meandri oscuri del terreno non può sapere che cosa accade sulle pianure sconfinate del Pianeta, nel profondo degli oceani, negli abissi del cielo e delle vette. Il suo mondo è quello dei cunicoli e delle provviste per l’allevamento delle larve e per il sostentamento della colonia, per lei è quello tutto il mondo dato. L’intelligenza umana, per altro verso, è dotata di una spinta vivace, capace addirittura di rinforzarsi e di autoreplicarsi. Per lei i confini raggiunti in ambito scientifico non sono la fine della ricerca, ma piuttosto sono via via un nuovo trampolino di lancio per successivi tentativi, per nuove sperate conquiste. Ecco allora che, a questo punto del discorso intrapreso, torno a rivedere le mie posizioni su quei concetti tanto declamati ovvero “creazione, formazione” ma come racchiusi in uno scrigno imperscrutabile.

Due sono gli argomenti che nel corso della lettura hanno lasciato in me molte perplessità e alcuni interrogativi. Il primo riguarda l’origine e il destino dell’Universo. C’è chi sostiene doversi parlare di un Universo eterno, di un “sempre stato” che non ha mai avuto origine e, nonostante tutte le sue trasformazioni cicliche, non avrà neppure un termine. C’è chi ammette una formazione iniziale di tutto l’esistente ma che, a motivo del perenne processo di espansione, finirà per perdersi in un vuoto e in un gelo senza fine. Per me è difficile la comprensione di tutte queste posizioni di pensiero; per me, che sono abituato ad assistere, nella natura in cui sono coinvolto, a esseri che nascono e che muoiono, a strutture fisiche che si formano e che si dissolvono, al ripetersi e all’alternarsi di cicli epocali, è pressoché impossibile costruirmi un’idea di qualcosa che non abbia un inizio e neppure una fine. Posso pensare a una trasformazione di sostanza, di forma, di funzionalità, sempre però riferendomi a qualcosa che sia sottoposta a un necessario sviluppo da un inizio a una fine, spinta e voluta da uno scopo che attende di essere raggiunto. Tutto questo nella consapevolezza che, così lasciando correre la mia mente a briglie sciolte, mi accadrà senza dubbio di chiedermi ancora: E prima? E dopo? Tormentando le mie circonvoluzioni cerebrali e restando sistematicamente senza risposta.

Il secondo argomento a cui ho fatto cenno ha a che fare propriamente con ciò che intendiamo per “creazione”. In termini metafisici la creazione viene definita l’atto mediante il quale Dio genera dal nulla il mondo assegnandogli un’esistenza separata. Per Cartesio si tratta di un’azione creatrice senza soluzione di continuità: il mondo si annienterebbe se venisse meno l’azione creatrice di Dio. Se si vuole intendere la creazione alla maniera di un atto che trae l’esistente dal nulla, è da notare che nelle religioni antiche non si trova l’idea pura di creazione. Ne fa eccezione l’ebraismo. Troviamo un’opinione puntuale in Aristotele il quale va al di là del concetto di creazione sostenendo essere eterno il mondo, ma nel medesimo tempo postulando la presenza necessaria di un motore primo, antecedente a tutte le cose.

Personalmente amo seguire un mio sillogismo, fondato su una sequenza logica stringente e sequenziale, ed è il seguente. Abbiamo visto quanti passaggi e quante trasformazioni evolutive abbia attraversato il nostro Universo dai primissimi istanti fino a noi. Non c’è solo da stupirsi, ma anche da chiedersi tanti perché. Ogni stato dell’Universo è scaturito da uno stato precedente di caos inspiegabile e ha generato un successivo stato di organizzazione a livelli più intellegibili. Tuttora notiamo come gli scienziati parlino di “leggi” nella determinazione di ciò che accade nella profondità dell’estremamente grande e dell’infinitamente piccolo. Orbene, abbiamo scoperto, per inferenza e per induzione, la presenza di precise e circostanziate leggi, le norme che regolano la vita cosmica, quella sub nucleare e gli stessi processi organici che sperimentiamo quotidianamente sulla nostra persona. Deduzione logica: se ci sono leggi pare molto improbabile che si siano fatte da sé; e, poi, che cosa può significare “fatte da sé”? Che siano dovute al caso può essere un’alternativa, ma allora viene da pensare a un Caso con la C maiuscola, dotato a sua volta di intelligenza e di volizione. Casualmente può darsi una possibilità su miglia di miliardi che il caso si trasformi in organizzazione perfettamente funzionale. Fu solo il caso a determinare che, a un certo livello di temperatura dell’Universo, gli elettroni venissero assorbiti in una configurazione adeguata a formare, insieme ai nuclei, veri e propri atomi di materia? Fu solo il caso ad avere precedentemente cosparso lo spazio di una quantità tale di elettroni liberi da costituire come una fitta nebbia che avrebbe imprigionato i fotoni impedendo alla luce di diffondersi nello spazio? Ma, ancora, che cosa intendiamo per spazio, per vuoto, per qualcosa che denominiamo “nulla”? Che cosa sappiamo di queste realtà? E che dire delle corse sfrenate di corpi celesti e di ammassi siderali? La velocità con la quale si spostano senza collidere, almeno per il momento, è cosa che sorprende e lascia ammirati. Tutte le stelle sono in movimento, e persino le galassie.

Qui di seguito andrò esponendo alcuni dati suggeriti da Weinberg sulla scorta delle sue conoscenze, che ai tempi nostri vanno parzialmente aggiornate. La galassia che ci ospita, dice Weinberg, ruota su se stessa alla velocità di 250 chilometri al secondo. La Terra rivoluziona attorno al Sole alla velocità di 30 chilometri al secondo e il Sole con i suoi pianeti si sposta attorno al centro galattico a circa 250 chilometri al secondo. Molto più lontano, la nebulosa di Andromeda, M31, si avvicina a noi varcando lo spazio a circa 300 chilometri al secondo. Gli ammassi di galassie più lontani, come quello che si vede nella costellazione della Vergine, si allontanano dalla Terra correndo a circa 1.000 chilometri al secondo. Nell’allontanarsi delle galassie l’una dall’altra, secondo i dati di Edwin Hubble (la “costante” di Hubble), le velocità vanno aumentando di 170 chilometri al secondo per ogni milione di anni-luce di distanza. Ma nel momento in cui l’autore scrive, la costante di Hubble è stimata a soltanto 15 chilometri al secondo. In base a questo dato la stima dell’età dell’Universo sarebbe un po’ meno di 20 miliardi di anni-luce (oggi abbiamo dati più precisi ossia 13 miliardi e 831 milioni di anni-luce). Quale sovrana forza muoverà questo immenso orologio cosmico?

Mistero assoluto; allora non mi resta che tornare al mio sillogismo: sì, ci sono le leggi e, come accade nel contesto della natura umana, a monte di leggi, regole e condizioni dev’esserci una mente che se ne faccia promotrice, che abbia pensato a formulare un codice di condotta perché si proponeva di raggiungere uno scopo e, in tale direzione, che abbia ideato un piano d’azione per realizzare il proprio obiettivo. Dunque intelligenza, dunque capacità di fare previsioni, dunque volontà, dunque pianificazione e controllo degli stati progressivi. Un Piano e un’intenzione, in ultima analisi, senza il quale il dominio sarebbe rimasto al Caos. Chiamatela come volete questa Mente, forse Demiurgo, forse Forza astrale, forse Dio. Nel nostro contesto culturale non è raro sentire usare la parola “Dio”. Ne parlano i preti, ne parlano i benpensanti, ne parlano gli educatori, persino i politici e i Signori della guerra, cosa mostruosa, i fautori dei conflitti armati nelle varie epoche infuocate della nostra Storia. Ma nessuno di costoro sa in effetti di che cosa va blaterando nell’atto di pronunciare il nome di Dio come se si trattasse di un compagno di lunga data, un compagno di giochi, di avventure, come se lo conoscessero personalmente e avessero con lui una dimestichezza quasi familiare. Ma vaneggiano. Quel Dio arcano al cui nome ricorrono non può essere considerato altro, e le testimonianze bibliche ne danno certezza, che un essere potentissimo e nello stesso tempo antropomorfizzato dalla testa ai piedi, ligio dispensatore di favori e supporto sicuro nelle situazioni umane di bisogno. Dio è una parola, se a essa si voglia dare il valore soprannaturale che le compete, da non usarsi nella parlata quotidiana. Non lo conosciamo, ci limitiamo a cercarlo come Entità creatrice e possiamo trattenerne le sembianze, se sembianze ha, esclusivamente nella nostra immaginazione. Di questo passo, allora, a chi o a che cosa ci rivolgiamo quando, attoniti e impauriti per la voce grossa che l’esistenza esercita su di noi, avvertiamo il bisogno che qualcuno risponda ai nostri accorati “perché?”.

Riprendo a questo punto una mia riflessione precedente, quella che verteva sulla possibilità dell’esistenza di un numero illimitato di dimensioni, oltre e al di là di quella organica e materiale di noi esseri umani su questo infimo mondo perso nell’Universo. Nulla al giorno d’oggi possiamo sapere delle realtà alternative che vado supponendo esistere, resta comunque la facoltà di immaginare che in qualche modo, su parametri a noi ignoti e con caratteristiche recondite, possano trovarsi oltre i confini della nostra conoscenza e della nostra potenza immaginativa. Tutto ciò non mi può certamente liberare da quell’angoscia che mi attanaglia nel momento in cui rimbalzano su di me i miei interrogativi, nel momento cioè in cui mi sento rigettato in un vuoto inspiegabile e indefinibile, solo con me stesso, privato di ogni sia pur flebile speranza. Eppure di questa speranza continuo a coltivare una piccola scintilla che ancora non si è spenta, e la porto con me pur tormentandomi in quella ricerca di conoscenza e di consapevolezza alla quale anelo e nella quale trascorro i miei ultimi giorni di questa esistenza terrena.

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