Quasi quattro mesi sono trascorsi da una data risalente a 708 anni fa, di cui oggi riecheggiano gli orrori perpetrati contro la persona umana, a dimostrazione che l’uomo cede facilmente e con ferocia ai biechi istinti diabolici.

Il 18 marzo viene a ricordare la morte del maestro dei Templari, Jacques De Molay, arso vivo a Parigi il 18 marzo 1314. Non tutti sono concordi sull’indicazione del giorno: c’è chi sostiene si fosse trattato del 15 o del 16 e chi riferisce dell’11 marzo. Esiste comunque una piccola targa affissa ai piedi del Pont Neuf di Parigi, sull’Ȋle de la Cité, che riporta la data del 18 marzo. Per non andare fuori strada nel tracciare il profilo di questo personaggio di grande levatura storica, mi affido per lo più alla trattazione di Desmond Seward, I Monaci della Guerra (titolo originale The Monks of War, 1972, Ed. Umberto Allemandi & C., Torino).
Era il tempo delle controversie di potere fra potentati terreni e ordini religiosi, non senza l’inclusione degli interessi politici e territoriali coltivati dal papato. Correva l’anno 1307 allorché Jacques De Molay, gran maestro dei Templari fin dal 1294, si portò a Parigi seguito da una sessantina di confratelli, essi pure cavalieri dell’Ordine.

L’intenzione che lo accompagnava era quella di spodestare l’Ordine degli Ospitalieri dalla posizione di privilegio che detenevano in vista dell’imminente crociata, ma nella notte del 12 ottobre fu tratto in arresto dalle milizie di Filippo IV di Francia, detto il Bello, il quale aveva in mente di distruggere il De Molay portandolo dinanzi al tribunale dell’Inquisizione con le accuse, rivolte ai Templari, di abiura di Cristo, di idolatria, di aver disprezzato il crocifisso, di omosessualità. Si trattava delle stesse accuse lanciate contro i Catari sino alla caduta della loro ultima roccaforte nel 1244. Fu papa Clemente V a emettere una bolla che sanzionava l’arresto di tutti i Templari. Erano oltre duecento i Templari sotto accusa: furono sottoposti a interrogazioni e a torture atroci fra il 1310 e il 1311 e soltanto quattro ammisero le colpe contestate. Dei Templari interrogati, 54 furono consegnati all’autorità secolare perché li condannasse al rogo in veste di eretici. La persecuzione proseguì il proprio malefico corso e alla fine del mese di maggio dell’anno 1310 erano stati arsi vivi sul rogo 120 Templari.
Il 2 maggio 1312 una ulteriore bolla papale dispose il conferimento delle terre, già in possesso dei Templari, all’Ordine degli Ospitalieri. Alcuni Templari ritrattarono la propria confessione di colpevolezza e quelli che avevano rifiutato qualsiasi atto di confessione furono condannati al carcere a vita. Meglio trattati furono i rei confessi i quali vennero rilasciati con l’elargizione di una piccola pensione, finendo i più a vivere da accattoni. La ragione che muoveva gli accusatori era l’avidità che li spingeva ad appropriarsi delle immense fortune accumulate dai Templari e del potere finanziario che detenevano. Se ne giovarono gli Ospitalieri che riuscirono a mettere le mani su enormi accumuli di ricchezze.

Il 14 marzo 1314 Jacques De Molay ritrattò anch’egli le confessioni rilasciate a suo tempo per sfuggire alle torture. Contava ormai circa settant’anni di vita allorché declamò pubblicamente l’aver accettato di essere lasciato in vita, ma al prezzo dell’infamia. Preferiva morire piuttosto che vivere soltanto nella menzogna. Il mattino del 18 marzo 1314 Jacques De Molai, insieme al confratello Geoffroy Charnay affrontò la morte sul rogo su un’isola della Senna. Perché soffrissero del massimo della pena, De Molay e il suo confratello furono consumati a fuoco lento di carbone, il massimo dell’atrocità, mentre gridavano a gran voce la propria innocenza attraverso le fiamme che li stavano divorando.
Da quell’evento prese a circolare una diceria secondo la quale il De Molay avrebbe chiamato il re Filippo e il Papa Clemente a presentarsi dinanzi a Dio per essere sottoposti al suo divino giudizio. Il papa sarebbe morto nel tempo di un mese appena e il re all’arrivo dell’autunno. Tutti i tre figli che succedettero a Filippo il Bello persero la vita in giovane età. E così fu.