Nella mente dei Pensatori
Karl Jaspers
La fede filosofica
Raffaello Cortina Ed., Milano 2005 – Ed. originale 1948 – Traduzione di Umberto Galimberti.
Con Martin Heidegger, Jaspers è la figura più rappresentativa dell’Esistenzialismo tedesco. Karl Jaspers, filosofo e psichiatra tedesco (Oldemburgo 1883). Professore ad Heidelberg, in opposizione al nazismo. Ogni tentativo di abbracciare l’essere è per Jaspers destinato al fallimento. L’essere è sempre al di là, è l’orizzonte irraggiungibile che si sposta con il movimento stesso della ricerca.
Introduzione di Umberto Galimberti
“… Sia Jaspers che Heidegger hanno rifiutato l’etichetta di ‘esistenzialisti’ e hanno esplicitamente dichiarato che il loro filosofare è attenzione all’essere, e quindi metafisica”. Afferma Jaspers: “Debbo ripetere che le mie tendenze filosofiche non possono essere classificate come filosofia dell’esistenza. La questione che mi preoccupa non è quella dell’esistenza dell’uomo, ma quella dell’essere nella sua totalità e in quanto tale”.
“… Il cammino della filosofia non potrà essere percorso dal sapere che opera nell’orizzonte degli enti manifesti, ma dalla fede, da intendersi non come fede religiosa che scambia se stessa per la verità, ma come fede filosofica che si pone a tutela della verità… la filosofia non è più il ‘sistema’ che con le sue categorie logiche afferra e organizza il reale per dominarlo, ma è la ‘via’ che si incammina verso la verità”.
La filosofia occidentale è avviata sulla via del tramonto; il suo senso è raccolto nel tentativo dell’uomo di dominare l’essere, di comprenderlo nelle proprie strutture logiche e nelle proprie anticipazioni scientifiche, sì da poterne disporre in vista del superamento di quei limiti che da tempo l’uomo ha avvertito come costitutivi della sua essenza.
Jaspers denomina con il termine Umgreifende l’essere, che è ciò che tutto comprende.
“… Il destino della filosofia è in naufragio nella contraddizione”… Se la ricerca filosofica dell’uomo, a causa dei suoi limiti costitutivi, non può che naufragare, è bene che naufraghi nella contraddizione fruttuosa della fede che nasce in presenza della manifestazione dell’ulteriorità dell’essere, e non nella contraddizione rovinosa che accompagna il tentativo di circoscrivere l’essere in categorie logico-scientifiche, nulla lasciando della sua ulteriorità.”
“L’esistenza è quell’emergere dall’orizzonte dell’oggettività empirica, per scoprire ciò che prima era velato… raccogliersi tra gli enti nella dimenticanza dell’essere è volere il nulla, che accompagna ogni essere affermato nella sua autosufficienza e quindi nella sua radicale separazione dall’essere… Il nichilismo, che sempre incombe minaccioso sull’esistenza e in ogni scelta mancata e in ogni decisione rinviata, può essere evitato solo con il dispiegamento della ragione…”. Se, come dice Jaspers, “ragione ed esistenza sono i poli del nostro essere”, il loro destino è quello di “continuare a pensare oltre ogni contenuto e oltre ogni orizzonte, che deve essere spezzato dalla decisione di libertà che rifiuta ogni conclusione, per l’apertura massima dell’essere che sempre e indefinitamente si sottrae.”.
“Dal momento che l’esistenza non è un punto dal quale si diparte la molteplicità del possibile, ma è una situazione legata a una terra, a una storia e a un tempo, all’esistenza resta come unica scelta possibile l’accettazione della scelta originaria che, a questo punto, non è più scelta, ma destino che connette l’esistenza incarnata nel tempo all’eterno… La storicità… è proprio questa implicanza di tempo ed eternità, è la comprensione di quella situazione originaria che rende possibile che io sia, e da cui prende avvio e senso la mia esistenza. La storicità, quindi, rappresenta un cominciamento assoluto che si rivela realizzandosi nella fedeltà all’incondizionata situazione d’origine in cui io divento ciò che sono”.
La tracotanza dell’uomo occidentale “che nell’arco della sua storia ha creduto di dominare la totalità del reale, riducendo l’essere a divenire e l’eterno ritorno a tempo… L’essere non è il contenuto della conoscenza umana… l’essere è ciò che, sottraendosi a ogni orizzonte circoscrivente, comprende la totalità degli enti e degli orizzonti possibili… la necessità dell’essere, la sua impossibilità a risolversi nel nulla, precede, condiziona e fonda ogni contingenza e possibilità antropologica che, altrimenti, disancorata dal permanere immutabile dell’essere, minaccerebbe di risolversi nel più tragico nichilismo, scandito per ogni uomo dall’inesorabile divenire e concludersi nel tempo. In questo contesto, l’acuirsi della contraddizione che conduce al naufragio, se assume l’aspetto del tragico per chi ha posto la propria dimora definitiva nel tempo, diventa possibilità di salvezza per chi dal naufragio trae spunto per rinnegare se stesso e il proprio attaccamento al volto temporale della verità… Il tragico non si trova nella Trascendenza, nel cuore stesso dell’essere, ma solo nei fenomeni del tempo. Di qui la necessità di trascendere il tempo, di oltrepassarlo senza servirsi di quelle categorie che hanno efficacia solo nel tempo. Per l’esistenza, questo è il salto decisivo”.
“… L’uomo fa della terra il suo mondo, in esso vi si assesta, con le sue categorie logiche lo organizza, scientificamente lo domina, e tecnicamente lo usa nella pericolosa dimenticanza dei propri limiti e nell’oblio più radicale dell’essere… La coscienza in generale, dinanzi alla Trascendenza, non “sa” e quindi naufraga, il suo destino non è dissimile da quella sapienza del mondo che è stoltezza presso Dio. La Trascendenza dell’essere è per ciò stesso il naufragio della filosofia che, realizzandosi nel tempo, non è in grado di giungere al compimento della verità totale”.
La filosofia che vuole trattenerci “nel suo terreno, senz’altro solido e tangibile, ma particolare e circoscritto, finirebbe per sostituire al rischio della fede che sollecita l’esistenza a oltrepassare il mondo, la sicurezza della verità parziale; al rischio della profondità, la dimora tranquilla sui litorali sicuri… ma là dove ci si è arrestati per costruire un rifugio sicuro, proprio là la vita cessa, il nulla si fa minaccioso e l’angoscia tormenta coloro che in quella sede si erano illusi di trovare sicurezza. L’esito della filosofia di Jaspers è il naufragio come denuncia del fallimento di ogni filosofia che, nel rifiuto della Trascendenza, pretende di comprendere in un sapere l’essere che si sottrae a ogni comprensione, perché è ciò che tutto comprende (Umgreifende). Filosofare è allora essere coerenti con la natura della propria esistenza che, emergendo dal mondo e naufragando nel tempo, si pone come originaria e costante apertura all’essere.
Con l’invito a “lasciar parlare l’essere che sta davanti”, Jaspers “invita la filosofia a ritornare alle origini, quando l’essere non era una costruzione umana, ma era ciò che stava davanti e come tale assumeva il volto del divino”. In quanto alla verità Jaspers dice: “… la verità totale si trova solo là dove tutti i modi dell’essere sono presenti, ma siccome l’unità di tutti i modi dell’essere non è compiuta in alcuna parte, nel tempo la verità non sarà mai totale e assoluta… ogni singola parte possiede la propria verità solo se è colta nella relazione essenziale che essa possiede con il tutto… il tempo è quel sipario che determina l’apparizione ‘successiva’ delle parti dell’essere, impedendone quindi l’apparizione totale; il tempo è ciò che proibisce all’umano lo sguardo sulla verità totale e il possesso della verità assoluta… l’unico modo di essere nella verità è quello di restare aperti alle rivelazioni ulteriori, fino al compimento finale dell’apparizione dell’essere che si succedono nel tempo”.
“L’imperativo incondizionato” di Jaspers è “continua a pensare, continua a cercare!”
“… L’uomo che vive nel tempo dimora nella non-verità. Là dove la verità è assente, ciò che caratterizza ogni visione del mondo è la fede”… non è contraddittorio quel pensiero che progetta un ‘oltre il tempo’ come possibile dimora della verità assoluta… l’uomo deve limitarsi a interpretare quei messaggi che la Trascendenza affida al tempo… la fede nella Trascendenza non si lascia ridurre alla razionalità del sapere, fede e sapere si contrappongono… Carattere della fede è la problematicità (quando la coscienza non sa se il contenuto che le sta davanti sia vero o sia falso)”.
Jaspers critica Kierkegaard che promulga una fede contrapposta al sapere e pone per oggetto il paradosso e l’assurdo… “il credere è paradossale, ma non nel senso di un autoannientamento del pensiero, ma nel senso di qualcosa che si annuncia ‘oltre’ (e quindi trascende) il sapere mondano”.
“Se la fede nell’oltre è un problema, l’esistenza non sa se credendo, e quindi affidandosi a quell’oltre che è la Trascendenza, porterà a compimento la verità parziale che possiede nel mondo” oppure finirà anche con il perderla del tutto. “Qui sta l’angoscia dell’esistenza, qui sta il rischio che essa corre quando, non più sorretta dalla dimostrazione razionale, decide di affidarsi alla Trascendenza… la caratteristica della fede è il rischio”.
La cattolicità è volta ad annullare il rischio che l’accettazione della fede comporta. Tale accettazione non è avvenuta in vista di una sicura garanzia da opporre all’incertezza e all’insicurezza che accompagna la ricerca della verità nel tempo.
“La fede filosofica e quella religiosa partono entrambe dalla convinzione che la verità totale non è realizzata nel tempo. Convinta di non disporre di una verità universalmente valida, la fede filosofica non scomunica, non dichiara eretici i dissenzienti, non accende roghi, non dispone di libri sacri privilegiati rispetto ad altri, perché contenenti la verità assoluta”… La fede filosofica non giudica le altre fedi scambiando se stessa per la verità, ma pienamente consapevole della sua natura problematica, attende “in timore et tremore multo” il giudizio di quest’ultima. In questo senso è filosofia. La fede religiosa, al contrario, isola se stessa dalla verità, la dimentica e vi si sostituisce… Alla volontà di verità sostituisce la volontà di potenza… esige manifestazioni mondane di fede, quali le strutture”. Dà ai fedeli certezze incontrovertibili e promette “una salvezza cui possono partecipare solo coloro che prestano fede… la fede religiosa traduce in certezza assoluta ciò che per la ragione è problema, scambia l’unità della verità che è oltre il tempo con l’uniformità propria della cieca ubbidienza a strutture mondane… al rischio proprio della problematicità sostituisce la sicurezza di chi aderisce a strutture e comportamenti non scelti; alla singolarità della scelta personale sostituisce l’universalità dell’adesione comunitaria, alla drammaticità della veglia il sonno della sicurezza garantita. Nella fede religiosa, all’inquietudine dell’intelletto si sostituisce la quiete del credente che, convinto di essere già accampato nella verità, si preclude così la possibilità di giungervi”.
“Il Cristianesimo ha sempre rifiutato di arrendersi alla gnosi o di identificarsi con essa, non si è mai stancato di sottolineare il carattere soprannaturale del proprio contenuto, ha sempre insistito sul carattere volontaristico dell’assenso fideistico”… Jaspers parla della fede filosofica come di quella situazione spirituale che deve “sempre tener desta la nostra inquietudine”.
“Il Cristianesimo si basa su alcune proposizioni dogmatiche: il rifiuto della filosofia, l’affermazione di un’autorità assoluta e infallibile, il diritto di indicare l’“unica via in grado di condurre alla verità e alla salvezza, l’accettazione indiscussa della Rivelazione e la sua immediata identificazione con la verità, l’assolutizzazione di un fatto storico e la sua elevazione a verità assoluta e decisiva per tutta la storia… intese come verità incontrovertibili intorno alle quali non è ammesso il minimo dubbio o la più piccola deroga”.
La fede che non ammette il minimo dubbio o la più piccola deroga si definisce come volontà di potenza, totalitarismo. “Al di fuori del Logos, della verità, ogni imporsi è senza fondamento, quindi è prevaricazione, è tracotanza, ibris (tracotanza, eccesso, superbia, orgoglio o prevaricazione), volontà di potenza… Esigere oltre alla fede nel contenuto anche la fede nella fede posta a fondamento di quel contenuto è totalitarismo… Totalitarista è allora la religione biblica quando non si limita a chiedere al credente la fede in un contenuto, ma pretende anche la fede nella verità indiscussa del contenuto che, dal punto di vista del Logos (verità), è discutibilissimo… la volontà di potenza assolutizza il contenuto e fa del credente un militante disposto a qualsiasi forma di lotta per difendere quella fede che ha scambiato per verità. Allora alla volontà di verità si lega un sentimento di superiorità e di potenza cui subito si aggiunge il desiderio di combattere, di distruggere, di tormentare. L’apparente veracità diventa un mezzo al servizio dell’odio”. (Aggiungo io: vedi le Crociate e l’evangelizzazione post-colombiana in America Latina).
In polemica con i teologi, Jaspers afferma: “Chi si trova nel possesso definitivo della verità non può più parlare veramente con un altro, perché interrompe la comunicazione autentica a favore del suo contenuto di fede”. Il “problema jaspersiano non è tra fede e ragione ma, all’interno della fede, tra fede filosofica (che tiene se stessa in sospeso in attesa del giudizio della verità) e fede rivelata (che, prevaricando, non attende questo giudizio perché ritiene di essere già nella verità)”. Jaspers definisce “la fede filosofica come quella fede che sta di volta in volta in ascolto del fondamento” ossia sempre legata all’incertezza (mentre “la fede religiosa scambia se stessa con il fondamento”)… la liberalità della fede filosofica esige una critica continua, esistenziale”.
“Una violenza è già la volontà di credere, la disposizione all’obbedienza cieca alla Santa Chiesa presente, la disposizione alla fides implicita. Allora la verità diventa una condizione di chiusura… La fede filosofica è inseparabile dalla disponibilità incondizionata alla comunicazione. Per la fede filosofica tutto ciò che costringe a interrompere la comunicazione o tenta di farlo è diabolico”. (FINE INTRODUZIONE)
Grazie, interessantissimo libro.
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