
Un nome di grande fama emerge fra i tanti, ed è quello di Parmenide della Scuola di Elea, vissuto fra il 520 e il 440 a.C. (o 541-450). Seguace di Senofane (565-470), sostiene l’immutabilità dell’Essere unico e nega ogni mutamento. La sua tesi fondamentale suona in questi termini: “L’Essere è, il non Essere non è”. A prima vista sembrerebbe una declamazione banale, ma vediamo. La filosofia di Parmenide presuppone una scelta precisa, quella della via disegnata dal pensiero che ha il compito di persuadere e di svelare la vera natura delle cose che ci circondano, spingendo ad abbandonare l’altra via, quella dei sensi che è soprattutto ingannevole e contraddittoria.
Già a quei tempi si faceva distinzione fra il sapere, la scienza, la ragione, la vera conoscenza da un lato, con il ricorso al termine episteme e, dal lato opposto, la conoscenza basata sulle opinioni soggettive, la così detta doxa, contrapposta dunque alla vera conoscenza.

Restando a Parmenide e alla sua asserzione “L’Essere è, il non Essere non è”, troviamo nella sua speculazione che è la via del pensiero a svelarci che l’Essere è finito ossia compiuto, che è unico ed estraneo alla duplicità perché questa, se fosse, implicherebbe, in modo del tutto assurdo, la realtà del non-Essere. L’Essere è immobile perché, qualora fosse sottoposto a mutamento, non potrebbe che divenire non-Essere. Parmenide mosse la sua critica sia alla filosofia del molteplice sia a quella del divenire segnando la via per giungere alla realtà, all’essere: eliminare dal pensiero ogni irrealtà, il non-essere, per raggiungere l’assoluta esistenza dell’essere, che solo permette di pensare e di raggiungere il vero. Difesero le posizioni di Parmenide i suoi due scolari, Zenone (495-430, i paradossi, la freccia) che sosteneva l’immutabilità di tutte le cose e Melisso, il primo approfondendo la problematica del linguaggio, il secondo sviluppando l’argomento dell’essere nella sua assolutezza sostanziale. Di Melisso di Samo, in particolare, vissuto nel V secolo a.C., riferisce Aristotele asserendo che tradì l’insegnamento di Parmenide introducendo l’idea dell’infinità dell’Essere.

Il suo pensiero è uno sviluppo delle posizioni di Anassimandro e di Senofane. L’Essere è un infinito. Essere e Natura coincidono in una unità onnicomprensiva, in seno alla quale le cose singole si dissolvono (quanto detto riporta a Baruch Spinoza 1632-1677 con la sua espressione Deus sive Natura, ponendo una distinzione: la Natura naturans ossia l’essenza di Dio e la Natura naturata che è l’insieme delle modificazioni della sostanza tramite gli attributi, come derivazione dall’essenza di Dio – Il richiamo è anche per il pensiero di Giordano Bruno 1548-1600: nel mondo naturale si può ritrovare la presenza del divino che si identifica con tutta quanta la realtà naturale, da cui l’intuizione dell’infinità della natura e dei mondi).

Torniamo dunque ai Presocratici e proviamo a parlare di Eraclito (535-475) per il quale il mondo è fuoco, esistente da sempre e non creato, si accende e si spegne in eterno dando origine a tutte le cose (panta rhei, tutto scorre) (il modello schematico di formazione dell’Universo di Lemaître, 1927 – i modelli di Robertson e Walker, 1935 – di Misner, 1965 presuppongono l’esistenza di un’esplosione iniziale – big-bang – per cui tutta la materia che si trovava riunita in un solo punto – atomo primordiale di Lemaître – cominciò a espandersi. Si pensa che nello stadio iniziale la materia fortemente compressa avesse una temperatura altissima, circa 1012 gradi centigradi, al tempo di 10-4 secondi e un raggio di un anno luce. – La circonferenza stimata dell’Universo è di 125 miliardi di anni luce e un anno luce corrisponde alla distanza di km 1.080.000.000 – Dopo circa un secondo diventarono possibili le reazioni nucleari e cominciarono a formarsi gli elementi. Dopo 104 secondi tale formazione si arrestò. La materia a quel punto risultava composta da ¾ di idrogeno e da ¼ di elio. Dopo circa 100 anni la radiazione cessò di essere importante nella dinamica dell’Universo. Dopo circa un milione di anni la materia era sufficientemente fredda da diventare trasparente alla radiazione. Materia e radiazione cessarono di essere in equilibrio. La materia continuò a raffreddarsi, ma più velocemente della radiazione. Molti scienziati propendono per un Universo pulsante, secondo cui si arriverebbe alla massima espansione tra circa 30 miliardi di anni, per tornare infine al punto iniziale tra 70 miliardi di anni). Eraclito propose tra essere e non-essere uno stadio intermedio, il divenire, asserendo, in opposizione a Parmenide, che l’unità dell’essere ha origine proprio dalla sua molteplicità: l’unità è nel divenire cioè nella fusione dei due opposti, essere e non-essere. Per Eraclito ogni cosa tende a trasformarsi nel suo contrario. Alla base di ogni cosa stanno il contrasto e la lotta tra gli opposti e la loro sostanziale unità di fondo. Eraclito si contrappone a Parmenide asserendo che il non-Essere e il molteplice sono presenti in ogni dove e permettono lo svolgimento e il divenire.
E ora tocca a me, che non sono filosofo, ma bensì spinto dal desiderio di cimentarmi in questo tipo di elucubrazioni mentali. Non mi inoltro nell’idea dell’Essere e del non Essere, forse non ne ho neppure chiaro il concetto di fondo. Mi sfiora tuttavia la vaga sensazione che ci stia di mezzo quell’entità indefinita e ineffabile alla quale siamo usi attribuire l’appellativo di “Dio”. Vado oltre, per il momento, oppure scantono un po’ e punto lo sguardo su quell’altro concetto, quello reso dal termine Apeiron ovvero ‘infinito’, quella sorta di perimetro ideale dalle dimensioni indecifrabili entro il quale poniamo per nostra atavica cultura l’idea di Dio. Fosse anche, ma la cosa mi offre poche soddisfazioni.
Intanto, che cos’è l’infinito? Come possiamo darne una definizione quando si tratta di qualcosa della quale non s’intravede il termine né l’inizio? Sarebbe come andare alla ricerca dell’Araba Fenice. Infinito significa propriamente non-finito, quindi qualcosa che non ha e che non avrà mai fine, il cui termine sta unicamente in un nostro concetto fatuo e che non raggiungeremo mai, non conosceremo mai perché più gli ci avviciniamo, più quello si allontana e svanisce nel buio più completo. Viviamo tutti immersi in una realtà di movimento, di trasformazioni che ci indica, in ogni caso e in ogni essere, un percorso che copre una distanza fra un principio e una fine. Dire che l’infinito esiste significa anche negare la presenza di questi due punti, quello di partenza e quello di arrivo. Perché prima del momento di partenza si può pensare che esistesse qualcosa di preordinato, capace di originare, o di creare, ma non dal nulla. Nulla nasce dal nulla. Ma, poi, questa cosa preordinata esiste perché c’è qualcos’altro che la precede e che la produce; così per una regressione interminabile all’origine della quale non si vede l’Essente primo e increato. Già, l’Essente primo: e perché dovrebbe esserci? Di quale sostanza si comporrebbe, quali sarebbero i criteri che ne guidano la volontà? Più soggettivamente, nei suoi confronti io chi sono? E in quale misura lo potrei percepire nei confronti fra Lui e me? Perché Lui sì e io no? Pensando a quell’Essere che gode di tutte le più desiderabili prerogative e perfezioni, come se si trattasse di una Mente priva di dimensioni ma ricca di una consapevolezza senza limiti, come non può venire da pensare di poterlo sfidare, accarezzando l’ambizione di voler diventare come lui, più forte di lui? Assurdo, tutto completamente assurdo. E, poi, puntando all’altro capo del percorso lasciato in sospeso, tutto quel che c’è dove andrà a finire? Terminerà la propria esistenza? Si trasformerà? Per entrare in un ciclo esistito da sempre e senza una apparente conclusione? E che cosa significa “sempre”? D’altra parte, se non so dare una definizione di infinito, posso almeno prefigurarmene l’esistenza; con i numeri, in maniera assai semplice: trovare il numero più grande, che indichi una quantità insuperabile; non c’è, perché per quanto sia grande quel numero, posso sempre continuare con l’operazione “+ 1”, così, ecco, all’infinito. Mi posso rompere il capo, ma l’idea di infinito non la raggiungerò né posso trovare i referenti verbali per dimostrarne l’esistenza e darne una definizione incontrovertibile.
Inutile tentare questa direzione, la comprensione non fa altro che sfuggire e lasciare sempre minori speranze di raggiungerne l’obiettivo.
Contemporanei a Socrate (V-IV Secolo)
Con il sec. V a. C. la ricerca filosofica si sposta dai due centri iniziali delle isole ioniche e della Magna Grecia ad Atene, mantenendo però il legame con la tematica precedente: gli Eleati avevano definito assurde e impensabili sia la teoria del molteplice propugnata dagli Ionici sia quella dei numeri di Pitagora. Alla ricerca filosofica rimanevano dunque due strade: ammettere che tra il vero degli Eleati e l’esperienza concreta (sempre molteplice e temporale) non esiste comunicazione alcuna, oppure tentare una conciliazione tra verità, realtà ed esperienza.

Anassagora (500-428) invece rinuncia a una visione onnicomprensiva del cosmo, si svincola dalla ricerca del “principio” e valorizza la ricerca empirica: non le “leggi del ciclo” ma le relazioni complesse che connettono fra loro le cose ci portano a un’autentica comprensione del cosmo. Per arrivare a essa bisogna percorrere tutto il cammino lungo e difficile dell’analisi scientifica. Con Anassagora la ricerca filosofica sulla natura giunge al suo compimento e si inaugura lo studio dell’uomo, cui si sono dedicati i sofisti e Socrate. Fu accusato di empietà perché negava che il Sole e la Luna fossero dèi. Pose come origine di tutte le cose un numero infinito di semi. Affermò che nulla nasce e nulla viene distrutto: la nascita si configura come una mescolanza e la distruzione come separazione. In ogni cosa c’è una particella di tutte le cose (ricorda il bosone di Higgs: ne annunciò la scoperta il 4 luglio 2012 al CERN di Ginevra. Nel 2013 valse il premio Nobel per Peter Higgs e François Englert). Ammise l’infinita divisibilità della materia. Al di sopra di tutto pose l’intelletto, inteso come la materia più leggera e più sottile, dotata di forza motrice e di conoscenza. All’inizio era il caos, poi venne l’intelletto che diede origine a tutte le cose. Anassagora dedusse una spiegazione delle eclissi lunari e solari, studiò l’anatomia del cervello e scoprì che i pesci respirano con le branchie.

Empedocle (483-423) Di famiglia ricca e potente, con ascendenti vincitori ai giochi olimpici. Fu, oltre che uomo politico, legislatore, poeta, medico, mago e taumaturgo. Espose in versi la sua concezione filosofica (come Parmenide). Filosofo eclettico, ispirato al pensiero di Eraclito, di Parmenide e di Pitagora ritorna alla teoria eraclitea delle trasformazioni. Accettò in una certa misura l’eleatismo, ma ne prospettò una soluzione diversa: la diversità della realtà si ricompone in unità nei cicli, che la strutturano. Radici del mondo sono l’acqua, il fuoco, l’etere e la terra e ognuna di esse è una, infinita e immutabile nello spazio e nel tempo. In ogni singolo ente si riscontra una mescolanza di queste radici in porzioni diverse, ma sempre presenti con tutte le loro proprietà. Esse quindi si mantengono “une” pur entrando nella composizione del molteplice. Con la sua teoria dei quattro elementi mirò a giustificare il divenire del mondo. I quattro elementi si combinano generando le cose con un processo continuo e senza fine. Empedocle, sostiene che i quattro elementi non subiscono cambiamenti, ma che la realtà è sottoposta a continue trasformazioni e nulla rimane mai identico a se stesso. Le forze che operano sui quattro elementi sono l’Odio e l’Amore, concepiti come forze attive. Empedocle fece osservazioni sulla forza centrifuga, sull’evoluzione dei viventi e sulla selezione naturale.
Filolao (470-390) fu il pensatore più illustre del Pitagorismo del V secolo. Riteneva che la Terra rivestisse un ruolo marginale nel sistema solare, attribuendo invece la massima importanza a un “fuoco centrale”, chiamato Hestia, ovvero la sede di Zeus, centro dell’attività cosmica. Due secoli prima dei calcoli di Eratostene (276-194 a.C.) o (284-192), egli sostenne un modello non geocentrico dell’Universo. Al centro dell’universo vi era dunque un grande Fuoco attorno al quale ruotavano dieci astri in senso antiorario: la Terra, l’Antiterra, la Luna, il Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno e il Cielo delle stelle fisse, e che le distanze di questi dieci corpi fossero proporzionali alle successive potenze del numero 3. Fu il primo a valutare in modo esatto la lunghezza della circonferenza terrestre, calcolando in modo assai ingegnoso la distanza angolare tra Siene (Assuan) e Alessandria, sapendo che al solstizio d’estate il sole si trova allo zenit di Siene (i raggi nei pozzi profondi). Misurò l’angolo formato ad Alessandria tra i raggi solari e la verticale, corrispondente all’angolo formato al centro della Terra tra i raggi terrestri di Siene e di Alessandria.
Fotografie tratte da Wikipedia.
Immagine di copertina ratta da Palermotoday.