«πάντες ἄνθρωποι τοῦ εἰδέναι ὀρέγονται φύσει.» | «Tutti gli uomini per natura tendono al sapere.» |
Le trasmissioni televisive, al di là della pletora di programmi banali, sciocchi, talvolta di cattivo gusto se non proprio orripilanti, arrivano anche, per buona sorte, a dare alimento agli aneliti meno materiali e più trascendentali ai quali anima umana osi ambire.

Due trasmissioni, andate in onda su RAI Scuola il 4 e il 5 agosto 2020, sono state di particolare stimolo alla curiosità nella quale la mia mente si spinge senza stancarsi. La prima riguardava la filosofia ai tempi dei Presocratici, con l’intervento profondo di Emanuele Severino, figura di spicco del pensiero filosofico in Italia; la seconda aveva come interprete eccellente dell’evoluzione filosofica da Tolomeo a Copernico la grande “Figlia delle Stelle”, Margherita Hack, nel rapporto televisivo “Beautiful Minds”. Mi limito a soffermarmi su alcuni concetti che sono riusciti a sospingere un passo più avanti il mio pensiero nel desiderio di conoscere. Ed ecco le considerazioni, in breve, che ne sono scaturite.
Mi rifarei in particolare ai Presocratici, a quegli studiosi, cioè, che diedero forma agli embrioni della filosofia sistematica, così denominati perché il loro pensiero precorse gli insegnamenti di Socrate, il sommo pensatore vissuto ad Atene dal 469 al 399 a.C.
“Presocratici”, dunque, è il termine attribuito ai filosofi greci anteriori a Socrate. I presocratici affrontarono inizialmente il problema cosmologico: la natura appare ai Presocratici come un tutto vivente, che trae la sua origine da un principio primo; questa natura però presenta due facce autentiche, perché è al contempo essere e divenire, unità e molteplicità, realtà indivisibile e frazionata in atomi, sostanza e legge, sensibilità e ragione.
Socrate non lasciò scritti. Si conosce qualcosa di lui sfogliando fra le pagine dei Dialoghi di Platone. La sua missione fu quella di risvegliare coscienze, non nel chiuso di una scuola ma nelle botteghe, nelle vie e nelle piazze della città. Accusato di non ritenere dèi quelli che erano invece considerati dallo Stato e di corrompere i giovani attraverso la proposta di una nuova cultura, spregiudicata e dissacratrice. Egli era l’unico a sostenere di “sapere di non sapere”, a essere consapevole del proprio limite, in polemica contr i sofisti e le loro tesi contraddittorie. Attraverso le domande metteva in crisi i propri avversari e le loro certezze, con lo scopo di cercare la verità e di aiutare gli uomini a trovare da se stessi la verità (l’arte maieutica, ereditata dalla madre levatrice). Di fronte ai suoi interlocutori, per lo più sofisti, Socrate fingeva di non sapere e, attraverso una serie di domande serrate, metteva in crisi la loro sicurezza, mostrando l’unilateralità e l’interiore contraddittorietà delle loro tesi, suscitando il dubbio e il desiderio di approfondire la ricerca: in questo consiste l’ironia socratica. Socrate si proponeva di aiutare gli uomini ad acquisire una consapevolezza sempre più profonda del significato del loro operare. Attraverso la riflessione l’uomo diviene virtuoso, cioè acquisisce la padronanza consapevole delle proprie capacità. Il male deriva solo da ignoranza o da insufficiente conoscenza del bene.
Sto fantasticando per una digressione alquanto originale nella realtà del pensiero umano, teso da sempre a chiedersi dei perché, spinto in quella direzione da una tensione verso l’autoconsapevolezza che non conosce soluzione di continuità. L’idea mi è venuta allorché mi capitò fra le mani una dotta esposizione delle tappe che segnarono il progresso del pensiero e le sue conquiste nel corso del tempo. Si tratta di un lavoro che ha per titolo “Esperienze di didattica dell’astronomia”, di Giovanni Di Giovanni, pubblicato sulla rivista per astrofili Astronomia, gennaio-febbraio 2006, n° 1. Il passo che vado richiamando ha attratto la mia attenzione, al di là del contenuto squisitamente scientifico, per l’accenno che l’Autore pone su una inconsueta spaccatura evolutiva nella quale il pensiero ebbe ad arenarsi e a perdersi. Per meglio osservare la panoramica sulla quale mi muoverò, così credo sia la cosa migliore, seguirò in parte un percorso a ritroso nel tempo, apprestandomi a intraprendere un viaggio verso l’infinito e l’ignoto, verso quel punto che non c’è e che esercita una così intensa attrazione nella disposizione a conoscere, caratteristica dell’uomo. La linea di partenza, allora, sarà rappresentata dal primo episodio che vide l’uomo aprire la porta di casa e avventurarsi oltre la sua dimora terrestre. Era l’ormai lontano 1969 quando il primo piede umano si posò sul suolo lunare. Prima d’allora la nostra progenie s’era limitata a compiere una serie di corse intorno a casa: il 1957 segnava l’inizio dell’era satellitare con esseri umani a bordo del primo Sputnik lanciato in orbita. Di dieci in dieci a ritroso, così, riandiamo al 1948, allorquando divenne possibile misurare le distanze impiegando uno strumento portentoso, il radar. La carrellata del ventesimo secolo si completa con la scoperta della variazione stagionale a cui è sottoposto il ritmo di rotazione della Terra, attribuita a Stoyko. Entriamo ora nel secolo precedente, quello dei fermenti patriottici e degli scontri per l’Indipendenza italiana. Si incontra, nel 1851, Léon Foucault alle prese con il pendolo nei tentativi, di ottimo esito, prodigati per dare risalto al moto di rotazione terrestre. Risalendo al 1844 troviamo Urbano Le Verrier intento a scrutare il cielo sino a realizzare la scoperta del pianeta Nettuno. Due anni prima, Meyer e Joule introducono negli annali scientifici il concetto di Conservazione dell’Energia. Ancora due anni a ritroso e s’intravede Bessel il quale riesce, per la prima volta, a misurare la distanza di una stella, è la “61 Cygni”, a dieci anni luce da noi. Questa l’era moderna, per definizione approssimativa. Prima ancora, due secoli di studi, di scoperte, di esperienze del pensiero. Quindi si entra in quella fase feconda che ospitò le rivoluzioni più caratterizzanti per l’apertura della mente a nuovi lidi di conoscenza. Nel 1687 Newton arriva a calcolare l’attrazione tra sfere e rivela essere la Terra non una perfetta sfera a motivo di un leggero schiacciamento ai poli. Si susseguono poi i tentativi di misurare il grande globo che ci ospita. Come introduzione a questa fase di sperimentazioni è da rimarcare frutto dei tempi nostri la definitiva dichiarazione della lunghezza dell’equatore: lunghezza fissata dall’International Astronomical Union, nel 1965, in 40.055 chilometri per arrotondamento, essendo stato stimato il raggio terrestre in 6.378.160 metri. Un balzo indietro ed eccoci al 1636, quando Norward, attraverso calcoli che ricalcano in parte il metodo di Eratostene (276-196 a.C.), misura il meridiano Londra-York e valuta la lunghezza della circonferenza terrestre in 40.291 chilometri. Intanto Keplero (1571-1630) enunciava le tre leggi sui moti planetari. Il 1610 segna un momento di transizione fondamentale dalle precedenti concezioni su movimenti e posizioni nello spazio a un nuovo modo di concepire la realtà cosmica. Si va a osservare come gli inizi del XVII secolo, con Galileo, portino la scienza cosmologica a spiazzare il sistema tolemaico che aveva resistito incontrastato per un periodo lunghissimo. Intanto sempre Galileo, nel 1583, scopre l’isocronismo del pendolo, ponendosi come precursore dei tentativi operati con successo da Foucault quasi tre secoli più tardi. Anche il 1543 segna una data importante per lo sviluppo del pensiero speculativo: si perviene alla completa accettazione del metodo induttivo sperimentale: viene adottato il metodo induttivo-sperimentale (Leonardo, Copernico, Ferrel, Tycho Brahe, Keplero). Questi scienziati abbandonano l’uso di muovere da una norma o legge sovraordinata per dedurre da essa le conseguenze logiche, e scelgono di partire da fenomeni particolari che consentano di stabilire per induzione norme universali. Ferrel, in particolare, riesce a determinare la lunghezza della circonferenza terrestre con una sperimentazione che consisteva – non scordiamo Eratostene, di cui vedremo più avanti – nel contare quanti giri la ruota del proprio carro compiva sulla strada Parigi-Amiens. A queste misurazioni avevano spinto le scoperte fatte dai coraggiosi navigatori che, a partire dal 1492, avevano contribuito a far riemergere l’idea che la Terra fosse di forma sferica.

La prima parte di questo viaggio a ritroso si arresta agli inizi del secolo XV, allorché gli scienziati Georg von Peurbach e Regiomontano imprimono nuova spinta, e un vigore da lungo tempo sepolto nel sonno o nel terrore, agli studi astronomici. Regiomontano, nella sua identità nominale Johann Müller (1436-1476), era un astronomo e matematico tedesco, autore di un trattato di trigonometria piana e sferica; fu il primo a considerare le comete come astri dotati di un movimento determinato, abbattendo la precedente concezione di meteore loro attribuita. Con il 1400, si può dire, l’Europa inizia un percorso di risveglio delle menti che la porterà lontano. Un risveglio da un sonno – potremmo dire ipnotico, non spiegabile altrimenti – che si prolungava ormai da quasi quindici secoli. Soltanto verso il 1150, all’interno di questo incredibilmente ampio periodo buio, s’intravede l’apparire di qualche timida descrizione scientifica proposta da filosofi d’avanguardia, fra questi il noto S. Tommaso d’Aquino. Ma, intanto, che cosa era successo? Che cosa vuol significare un sonno prolungatosi per quasi millecinquecento lunghissimi anni? È qui che si va a riprendere il discorso compiendo un gran balzo verso gli inizi del movimento di pensiero, già fecondo, questa volta per avanzare nel senso del tempo.
L’uomo, dal momento della sua presa di coscienza, continuò a osservare i fenomeni che si verificavano in natura e, fissi gli occhi all’orizzonte e al cielo, si ipotizza che creasse, attorno al 4241 a.C., quello che fu chiamato il primo calendario Egizio. Verso il 1350 pervenne alla conoscenza dell’uso del ferro e riuscì a scandire il tempo che passava con la costruzione dei primi strumenti, meridiane e orologi ad acqua.