Riflessioni sui lavori dei seminari
Mario Bruno – Ottobre 2005
Anni addietro ricevetti in omaggio, dall’Associazione Treellle di Genova (le tre LLL stanno per Long Life Learning) una serie di pubblicazioni dei Seminari svolti per iniziativa dell’Associazione stessa, comprendenti le annualità dal 2002 al 2009. L’Associazione si qualificava per l’edificazione di una società di apprendimento continuo. I lavori in mio possesso percorrono i seguenti argomenti:

Seminario n° 1, maggio 2002. Presentazione iniziative PISA-OCSE
Quaderno n° 1, maggio 2002, Scuola Italiana, scuola Europea?
Quaderno n° 2, novembre 2002. L’Europa valuta la Scuola. E l’Italia?
Quaderni degli annali dell’Istruzione, 2002. La professione docente
Quaderno n° 4, luglio 2004. Sintesi – Quali insegnanti per la scuola dell’autonomia?
Seminario n° 2, settembre 2004. La scuola in Finlandia
Seminario n° 3, dicembre 2004. Il futuro della scuola in Francia
Seminario n° 4, aprile 2005. L’autonomia organizzativa e finanziaria della scuola
Seminario n° 5, settembre 2005. Il governo della scuola autonoma: responsabilità e accountability
Seminario n° 6, novembre 2005. Stato, Regione, Enti locali e scuola: chi deve fare cosa?
Quaderno n° 5, giugno 2006. Per una scuola autonoma e responsabile
Seminario n° 7, settembre 2006. La scuola dell’infanzia
Quaderno n° 6, dicembre 2006. Interventi – Oltre il precariato
Quaderno n° 6, dicembre 2006. Oltre il precariato/2
Seminario n° 8-9, aprile/giugno 2007. La dirigenza della scuola in Europa
Quaderno n° 7, dicembre 2007. Quale dirigenza per la scuola dell’autonomia?
Questioni aperte/1, maggio 2008. Latino perché? Latino per chi?
Seminario n° 10, ottobre 2008. Sistemi europei di valutazione della scuola a confronto
Ricerca n° 2, aprile 2009. La scuola vista dai giovani adulti
Quaderno n° 8/2, gennaio 2009. L’istruzione tecnica/2.
Ne trassi motivi utili per riflessioni che posai nero su bianco e ne venne un lavoro interessante che sarebbe assai utile alle persone di Scuola qualora volessero darvi una scorsa nell’anelito a cercare di migliorare sia la Scuola sia la propria professionalità docente. Qui di seguito mi interesserò delle questioni dibattute nel corso dei Seminari accennati.
Questa relazione vuole essere un tentativo di trasportare ciò che si desume dalle macroanalisi della situazione scolastica italiana in un ambito più ristretto, quello cioè che vede lo svolgersi della vita quotidiana in tutti i suoi risvolti, quasi un pianeta irraggiungibile da parte di chi osserva soltanto dall’alto o ad una certa distanza.
Se partiamo dalle grandi finalità che muovono il discorso sull’analisi del sistema scolastico ci si rivelano sin troppo evidenti gli obiettivi strategici a cui dobbiamo approdare: incrementare e rivalutare la professionalità dei docenti, restituire dignità e attrattiva alla professione docente, creare possibilità di sviluppo e di carriera per chi dimostra maggiori meriti e capacità realizzative, scoraggiare dal dedicarsi all’insegnamento chi non dimostra di avere adeguati requisiti, attraverso un indirizzo iniziale di tipo orientativo e opportuni provvedimenti a fronte di situazioni insostenibili nel corso della carriera. Fin qui, facile a dirsi; ma con l’adozione di quali strategie? E a chi l’iniziativa di queste realizzazioni? Sono i piccoli fatti dei percorsi particolari che ogni singola scuola intraprende ogni giorno a costituire i tasselli che compongono la grande mappa e che, nel loro insieme, ne costituiscono la fisionomia generale. Così come ogni goccia contribuisce a formare lo sterminato oceano tanto che, se a una a una quelle gocce svanissero, scomparirebbe l’intero oceano perché esso di quelle si compone e di quelle abbisogna per sussistere, allo stesso modo, fatto riferimento al mondo della scuola, è, sì, gran bella cosa aprire gli occhi su rilevazioni generali, su panoramiche di una certa ampiezza e adeguate a mettere a nudo problemi scottanti e aspetti incoraggianti dell’intero sistema.
Ciò che tuttavia manca, a questo stile di indagine, è la capacità di scoprire le fonti e i vari fittissimi rigagnoli che da queste si diramano, i quali, riunendosi in un tutt’uno organico, contribuiranno sostanzialmente a definire il carattere esperibile dell’intero sistema. Così come ogni mare è più o meno salato, più o meno esente da sostanze inquinanti, più o meno ricco di elementi nutrienti a seconda delle acque che gli donano alimento. Ecco, allora, che pare più produttivo, agli effetti della conoscenza che mi propongo di acquisire nel merito del fenomeno SCUOLA, ricorrere all’adozione di un procedere microanalitico, che è poi quello che ci dà il reale peso e il reale volto della situazione che la Scuola si trova ad affrontare in primo piano.
La prassi corrente è quelle del discutere sui problemi dopo averne individuato la casistica e averne costruito una scala di priorità. Se ne ricavano idee di carattere generale, vuoi anche ricche di penetrazione nel particolare dei concetti trattati, idee che restano più affini a spunti teorici determinati con chiarezza e precisione. Manca una cosa, la capacità di entrare nel sapere come, uno dei motivi dominanti e ricorrenti della presente trattazione.
Sarebbe interessante individuare anche chi è chiamato a sciogliere i nodi, a percorrere coraggiosamente itinerari di sperimentazione per capire come rivolgersi a chi muove, sostanzialmente, le pale dell’elica, agli insegnanti in cattedra intendo, i quali, alla fine di tutte le declamazioni, restano con una domanda che non riceve risposta: “Dove dobbiamo arrivare l’abbiamo capito, che cosa dobbiamo fare ci pare abbastanza chiaro, ma, diteci, come ci dobbiamo muovere? Che cosa ci proponete come sostegno ai nostri sforzi e garanzia di successo? Ci chiedete di raddoppiare la velocità con le forze e con le marce che abbiamo, senza aumentarne la potenza e l’efficacia? Avete presenti quali sono i veri problemi che, a cadenza quotidiana, rendono estremamente difficile il compimento del nostro lavoro?”. I massimi sistemi elaborati “dall’alto” non conoscono nei particolari le variabili che influiscono sul farsi e sul disfarsi dei problemi nella quotidianità dell’attività didattica e che, in effetti, sono quei problemi che indicano quanto e come sia possibile procedere. Piccoli e grandi problemi, come sassolini o materiale di varia pezzatura negli ingranaggi di una grande macchina: occorre fermare tutto, ripulire, liberare i meccanismi dalle impurità per poter continuare. Oppure come un fondo stradale: le cose cambiano se è asfaltato con sistema a tappeto o con bitumazione grossolana e sconnessa o se è un fondo sterrato, con ghiaia, buche, asperità.
Credo che, nel momento in cui si forma una Commissione di esperti con il compito di affrontare i problemi dai quali oggi è gravato il nostro sistema scolastico, non si possa pensare di fare a meno dell’esperienza e delle conoscenze di chi lavora sul campo, cioè insegnanti e dirigenti scolastici i quali sono in grado di riconoscere a prima vista, e prima ancora di inoltrarvisi, la strada che sono chiamati a percorrere. E, avendola percorsa più volte per scelta professionale, ne sanno individuare gli ostacoli e sanno riferire come hanno fatto a superarli.
Dunque c’è urgenza di cambiamento. Ma chi deve operare il cambiamento? Se vediamo le cose dall’alto, allora possiamo pensare a una struttura che – portato l’esempio in termini molto concreti – fornisce il natante e l’equipaggiamento necessario per intraprendere la traversata dell’oceano. Ma, se l’attenzione si porta verso un punto di vista che muove dal basso, parliamo allora di equipaggio, di persone motivate soprattutto, che devono prendere possesso dei posti di manovra, che devono pertanto aver precedentemente seguito un opportuno ciclo di formazione. Il primo punto di vista parla di una struttura che detiene forti poteri, dotata della capacità di offrire mezzi e istruzioni di procedura di una certa efficacia, ma la sua azione è prevalentemente statica, formata di pochi e lenti movimenti. Il secondo punto di vista riferisce di una variabile profondamente mobile, modificabile, responsabile dell’utilizzo dei mezzi avuti in dotazione. Qui si parla di persone che agiscono, che sperimentano fatti di vita sociale, che costruiscono a poco a poco un percorso. Possono fare un uso più o meno buono di ciò che hanno, da esse dipenderà dove e come andrà il natante.
Muovere dalla base, dunque – e questo è un secondo motivo portante della presente relazione – creando sinergia e reciprocità fra i due vettori portanti dell’intero sistema-scuola: gli insegnanti e l’istituzione.
Gli insegnanti. C’è una percentuale che ha una gran voglia di fare, ha idee, capacità propositive, immaginazione, creatività, inventiva, fiducia, disponibilità di energie e di tempo, desiderio di migliorare la propria formazione e di progredire nella cura della propria professionalità. È gente di buona volontà. Ma non basta. È l’istituzione che deve accorgersi di questa percentuale di insegnanti, cercarla, snidarla eventualmente dal suo torpore, offrirle percorsi di crescita, disporre opportunità di azione, mobilitarla in veste di elemento trainante, infine restituire alla funzione insegnante il suo connotato di privilegio in compresenza della definizione di precise richieste di prestazioni e di risultato.
Qualcosa in questa direzione fu già sperimentata tempo addietro con il P.P.A. (Piano Pluriennale di Aggiornamento), una iniziativa che l’allora IRRSAE – nel nostro caso l’IRRSAE/Piemonte – mise in piedi, attorno al 1988, per diffondere e approfondire la conoscenza del Programmi Ministeriali del 1985 per la Scuola Elementare. Si era agli inizi dei tentativi portati avanti per introdurre la procedura dell’istruzione a distanza e per incoraggiare l’autoaggiornamento, con la mobilitazione di una parte fra gli insegnanti in servizio, fra coloro che più vicina sentivano la motivazione al compito, nell’intenzione di tessere reti interattive all’interno delle scuole e fra scuole stesse. L’esperienza era stata veramente incoraggiante e aveva riscosso un notevole successo. Poi, con il tempo, le cose, come spesso purtroppo accade, sono andate perdendo voce e ognuno è tornato alle proprie consuetudini, fatte doverosamente le debite eccezioni. Mancando quella fascia di persone dotate di disposizioni eccellenti verso il progresso nella ricerca dei modi migliori e più efficaci di fare scuola, le idee propulsive che erano state lanciate finirono, in molti casi, per ricadere a terra spogliandosi dell’iniziale vigore. È passato molto tempo, sono ormai alcuni decenni, ma persone piene di buona volontà ce ne sono anche oggi. È sufficiente un richiamo, ma che sia qualcosa non soltanto rivestita di ideologie e gratificazioni verbali; qualcosa che offra concrete possibilità di migliorare i livelli di carriera e di accelerare la progressione retributiva. Le misure che sono attuate ai giorni nostri sono tutt’altro che incentivanti: spesso sono avvilenti. Aumenti di stipendio “a pioggia”, per chi si meriterebbe di più come per chi si meriterebbe molto meno; fondi di Istituto che incentivano ben poco, al limite qualche funzione di routine che in un modo o nell’altro qualcuno dovrebbe necessariamente svolgere. Sono miraggi; non si intravedono, in questo modo, obiettivi di promozione personale significativamente remunerativi sul piano economico personale e gratificanti in quanto a soddisfazione sul piano professionale; si premiano incarichi e prestazioni che sono, sì, supplementari al mansionario contrattuale, ma che non incidono sulla struttura del sistema e sul suo cambiamento. Tutto cambia, come si usa dire, e tutto rimane com’era.
Dire e fare |
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So benissimo che il frutto di questa mia relazione, volta a esprimere fatti oggettivi, insieme alle mie considerazioni personali e ai miei personali punti di vista, rischia di ridursi a un rimaneggiamento, in sintesi, di tutto ciò che già è stato affermato attorno alla fisionomia del sistema scolastico italiano. Vero! Ma la mia idea si rivolge altrove e si incorpora in un impianto dinamico di intenzioni tradotte in modi di fare. Mi spiego. La mia insoddisfazione di fondo consiste – e in questo credo di incontrare la condivisione di molti fra gli addetti ai lavori – nell’assaporare la bontà e la significatività delle cose dette e nel prefigurarmi il silenzio che seguirà perdendosi nell’eco dei primi entusiasmi. Silenzio che prende nome di consuetudine, di assuefazione al corso degli eventi, quale esso sia, di attesa che rischia di trasformarsi in arrendevolezza di fronte al grido di minaccia che abbiamo udito sollevarsi dall’interno delle situazioni distorte che si possano essere presentate. Non sarà per spirito garibaldino o per frenesia a tutti i costi, ma credo che dovremo rabboccarci le maniche, tutti, e molto presto, anzi da subito. Parlarci per un po’, chi sta all’alto con chi ha le mani in pasta e poi, con ferma decisione, abbracciare alcune conclusioni che portano all’azione. Siamo in coda alle classifiche che premiano l’eccellenza? E, allora, vediamo, da quanto abbiamo appreso nel corso delle disquisizioni accademiche, che cosa si può fare che veramente serva alla scuola, ai nostri studenti, e facciamola subito. Servono insegnanti preparati? Ebbene, provvediamo immediatamente. Abbiamo buone leggi, applichiamole, sino in fondo! Non cambieremo il mondo da oggi a domani, ma una cosa è certa: se sapremo ciò che dobbiamo fare oggi, e ciò che dovremo fare domani, e ci lavoriamo su per farlo veramente, allora assisteremo con ogni buona probabilità all’apparizione di risultati che ben presto entreranno nel volgersi di una catena capace di autoalimentazione, di autoriproduzione. Questo intendimento a “fare” comporta la presenza di personale impegnato, competente e responsabile che assuma il ruolo attivo di tratto d’unione fra gli attuali vertici del sistema e le singole realtà scolastiche, perennemente orientato nel campo della ricerca, della comunicazione, dell’organizzazione delle condizioni che preesistono ai miglioramenti cui tutti aneliamo. |
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