Atarassia sulla bilancia.
Voglio iniziare dal secondo termine. Immaginiamo di avere a disposizione una bilancia a due piatti orizzontali, del tipo Roberval, per esempio. I piatti poggiano su due bracci che hanno in comune un fulcro centrale equidistante. Ponete un mattone su un piatto: questo si abbasserà; ponete un mattone identico sull’altro: l’equilibrio sarà ristabilito. Ora provate con due, tre, quattro mattoni per parte. Ancora e sempre si riotterrà l’equilibrio. Ma, quando avrete totalizzato X mattoni, il fulcro cederà e i bracci si spezzeranno lasciando precipitare le colonne ottenute.
Lasciamo un momento in parte la bilancia e portiamoci sul terreno del sociale dove veniamo scossi dall’allarme Onu sul clima, siamo al 24 settembre del 2013. Un allarme che concederebbe un lasso di tempo pari ad appena dieci anni per salvare l’umanità dal precipitare rapidissimo nell’annichilimento totale. Il processo di cambiamento climatico si ritiene, al momento, trovarsi in “pausa”, con la probabilità, tuttavia, che presto si ridesti per produrre effetti ancora più devastanti di quanto è occorso sin qui. A tali conclusioni perviene il 5° Rapporto che l’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change), la task force dell’Onu, ha reso pubblico. Il Rapporto sollecita i governi a correre ai ripari per frenare, nei dieci anni che ci attendono, l’aumento esponenziale del CO2. Il testo compreso nel Rapporto è frutto di sei anni di lavoro che ha impegnato 209 scienziati coadiuvati da 1.500 esperti.
Contemporaneamente si hanno chiari indizi che l’andamento divergente fra povertà e ricchezza tende ad accrescersi nonostante il mare di parole, intenzioni e promesse rimasto accantonato in una bolla illusoria.
Torniamo alla bilancia. Su un piatto poniamo il degrado ambientale con tutte le sue conseguenze devastanti e le prospettive per un futuro da apocalisse. Sull’altro adagiamo quello iato che separa la massa dei poveri affamati dalla schiera più fortunata degli scialacquatori di risorse. Entrambi i piatti stanno sopportando, giorno dopo giorno, un peso che va aumentando, senza soluzione di continuità, senza segni che lascino sperare in un’inversione di tendenza. Il fulcro, ciò che tiene il peso di entrambi i piatti, cioè la Natura, cioè il Pianeta, cioè Noi, resisterà fintanto che gli sarà possibile, poi cederà e quello che apparentemente pareva potersi definire un equilibrio, perché comunque tutto continuava ad andare avanti e a nessuno importava più di tanto di quel che fosse potuto succedere ai propri simili, salterà con la rapidità di un fulmine sprofondando miseramente in un caos infernale.
Non avremo neppure bisogno di preoccuparci delle minacce provenienti dal Cosmo: Apophis, il mostro distruttore, se deciderà di colpire il Pianeta non troverà più segni di vita umana.
Uno spettacolo veramente orrendo, quand’anche soltanto nelle ipotesi più plausibili. Ma l’umanità se ne sta a guardare.
E, allora, il secondo termine della disquisizione: Atarassìa. Lo usavano già i filosofi greci Democrito (460-370 circa a.C.) ed Epicuro (341-270 a.C.), ma anche le Scuole epicurea e stoica per definire un particolare stato d’animo dovuto al distacco con il quale la persona saggia si atteggiava a fronte delle passioni umane e a tutto ciò che aveva a che vedere con il terrore nei confronti dell’ignoto, come il pensiero della morte, del dolore, della potenza divina. In ambito medico il termine atarassìa può essere accostato a una condizione di tranquillità, non tanto per raggiunta serenità in termini di saggezza, quanto piuttosto per un difetto di risposta reazionale.
Ecco dunque l’umanità, al cospetto di un disastro annunciato, presente e cosciente, pur tuttavia insensibile, inerte, immobile, assorta da mille chimere e distrattori capaci di creare ottundimento mentale, indifferenza abissale, trascuratezza, negazionismo a oltranza, come chi sta contemplando uno spettacolo che non lo coinvolge e non lo riguarda. Dieci anni….
Buon 2013 a tutti, si diceva. In ritardo? Allora, buon 2014. Se buono potrà essere. Sì, perché, se proprio vogliamo prestare ascolto alle notizie mass mediali di stamane (siamo sempre nel 2013), veniamo a sapere o, meglio, sentiamo ribadire per l’ennesima volta che il 2013 è stato l’anno più caldo e con i mari più alti. Non ci sono precedenti per quanto riguarda il livello raggiunto dai gas serra nell’anno che volge al termine. È un allarme diramato dall’Onu. La Terra, si dice, rischia in futuro di trasformarsi in una landa arida e di cedere all’acqua degli oceani grandissimi lembi di territorio. Il 2013 viene ora visto come uno tra i dieci anni più caldi registrati da quando si iniziò a impiegare le moderne tecniche di misurazione, vale a dire a muovere dal 1850. In 163 anni, continua il Rapporto dell’Onu, il livello dei mari su tutto il Pianeta ha raggiunto un nuovo record e sale ormai a un ritmo progressivo di 3,2 millimetri l’anno. Si può fare qualcosa? Sì! E, allora, che cosa spettiamo?
L’ultimo rapporto scientifico dell’Onu, 31 marzo 2014, afferma che “Il pianeta non è preparato agli effetti estremi causati dai cambiamenti climatici, già presenti in tutti i continenti e negli oceani”. Eventi meteo estremi metterebbero a rischio la biodiversità e porterebbero all’evoluzione di malattie e alla riduzione dei raccolti, con conseguenti spostamenti di popolazioni e conflitti. I rischi di inondazione aumentano in particolare in Europa e in Asia.
Lo studio, opera di 1.700 esperti del mondo, approvato dal Panel Onu sul clima, Ipcc (Panel internazionale sui cambiamenti climatici), riunitosi a Yokohama (Giappone), offre gli strumenti per comprendere come ridurre e gestire i cambiamenti climatici.
Trascorrono due settimane e i mass media di oggi, 14 aprile (siamo nel 2014), recitano: “Livelli record di emissioni di gas serra, aumentati tra il 2000 e il 2010 più rapidamente dei tre decenni precedenti”. Sono rilievi provenienti dal rapporto sul clima presentato a Berlino dal Gruppo intergovernativo di esperti Ipcc, che invitano a “non sottovalutare” le conseguenze da inquinamento atmosferico. Per gli scienziati è possibile ridurre l’aumento della temperatura globale di 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, tagliando entro il 2050 le emissioni del 40-70% (rispetto ai valori del 2010) per arrivare a una soglia prossima allo zero entro fine secolo. Ciò comporterebbe un rallentamento della crescita mondiale dello 0,6% del Pil annuo. Ecco i problemi da affrontare:
1) Spostamenti di popolazioni. Ci sono già e stanno aumentando di intensità a un ritmo pauroso, ma nel contesto trattato diverranno inevitabili, inarrestabili.
2) Gli strumenti per comprendere come ridurre i cambiamenti climatici ci sono.
3) Ma occorre tagliare le emissioni del 40-70%
4) Che significa: rallentamento della crescita mondiale.
5) Mio figlio segue la logica corrente: per crescere economicamente bisogna aumentare i consumi e far girare il capitale.
6) Io dico il contrario, perché è il Pianeta che non ce la fa più. Lo stiamo strozzando e, in ultimo, sarà lui a scuotersi scaraventandoci nel vuoto esistenziale. Lo abbiamo strizzato come un panno bagnato, ora è tempo di lasciare che riprenda a respirare. Ci vorrà molto tempo e, in questo tempo, non dovremo infierire su di lui come su una persona ferita, ma alleviarlo della sua drammaticità.
7) Come? Ridimensionando le nostre pretese, risparmiando su tutto, eliminando il superfluo, accontentandoci dell’onesto, consumando di meno e in modo intelligente.
8) Già, ma chi inizia? Io no, per carità, sarò mica l’ultimo scemo! Io neppure! E nemmeno io, ci pensino i responsabili! Indietro non si torna.
9) No, indietro non si torna, ma intanto il Pianeta lo si sente rantolare, non è buon presagio. Tutti insieme in una corsa folle verso una nuova Cassandra Crossing.
10) Il nostro treno si arresterà prima, molto prima, perché sarà la Natura stessa a decretare quale il punto di saturazione e di massima sopportazione, dopodiché con le sue mani possenti ci schiaccerà come un insignificante nugolo di insetti.
Ma dico, questo benedetto Giove pluvio, che vuole ancora da noi? All’inizio di marzo corre su tutti i fili dell’informazione un messaggio: clima, Europa più calda, allarme alluvioni. Di nuovo chiamati in causa i cambiamenti climatici, responsabili dell’aumento della temperatura globale, in misura molto più incisiva per quanto riguarda l’Europa, dove la colonnina instabile potrebbe crescere di otre due gradi centigradi. Ma due gradi sono anche la soglia fissata a livello internazionale per tenere a bada i rischi del surriscaldamento planetario. Superata tale soglia, ecco profilarsi lo spettro di un alternarsi mostruoso di alluvioni e siccità, con il verificarsi in quantità sempre maggiore di eventi estremi. A lanciare l’allarme è un recente studio capeggiato dai Francesi del Centro nazionale di ricerca scientifica. Chi più risentirebbe dell’aumento della temperatura sarebbero il Nord e l’Ovest dell’Europa, con un’eccezione per il Regno Unito. Il Sud del continente sarebbe flagellato da casi di precipitazioni atmosferiche mai viste con frequenti rischi di alluvione. Prepariamo l’ombrello; no, la zattera!
La Terra ha un cuore.
Mi è capitato talvolta, svolgendo lezioni volontaristiche presso Scuole Medie, di parlare in termini astronomici, geoastronomici. Ricordo che ponevo l’accento sull’intreccio di opportunità che ha permesso lo svilupparsi della vita organica sul nostro Pianeta: la distanza dal Sole, i moti di rotazione-rivoluzione, l’inclinazione dell’asse terrestre, la presenza e la composizione dell’atmosfera, la distribuzione delle terre e delle acque, il campo magnetico terrestre. Già, eliminate una soltanto di queste componenti e ditemi se la vita che noi oggi conosciamo sarebbe possibile. Sono tutti requisiti indispensabili, ma dell’ultimo poco si discute e poco si conosce. Il campo magnetico: si tratta di uno scudo invisibile ma fortemente attivo, avvolgente l’intera sfera terrestre, uno scudo formidabile che ci protegge dai micidiali raggi cosmici con i quali il Sole quotidianamente ci bombarda, radiazioni capaci di dissolvere in pochi attimi ogni traccia di vita sulla Terra. Ma, per somma fortuna, abbiamo questo magnifico enorme ombrello che ci preserva dalle aggressioni cosmiche. Come si origina? Allo stesso modo in cui si origina la corrente elettrica, quella pure invisibile, che accende la lampadina del faro di una bicicletta quando la ruota mette in moto il piccolo alternatore, impropriamente chiamato “dinamo”. All’interno di detta “dinamo”, con il moto impresso dalla ruota, una piccola calamita (acciaio magnetizzato) gira vorticosamente sul proprio asse, come una giostra, circondata da una gabbia di lamelle in ferro dolce sulle quali sono avvolte spire finissime e fittissime di rame smaltato che, come in un gomitolo, hanno due capi, quello d’inizio e quello terminale, tali e quali al bandolo di una matassa. Questi due capi, poli negativo e positivo, sono quelli che porteranno l’energia elettrica alla lampadina, dopo che tale energia sia scaturita – mistero profondo anche questo – dal campo magnetico formatosi nelle spire di rame per induzione del movimento rotatorio impresso al magnete.
Ebbene, anche il nostro pianeta si comporta in modo analogo: al suo interno, nella parte più profonda, il centro, sotto la crosta terrestre e il mantello, ha sede un nucleo, il cuore della Terra. Ciò che è sorprendente e che ha dell’inverosimile, è che questo nucleo è dotato di una dinamica identica in tutto, men che nelle dimensioni, a quella caratteristica del piccolo alternatore della bicicletta: una parte del nucleo terrestre ruota, circondata da una seconda parte statica che, per induzione elettromagnetica, genera un potentissimo campo magnetico che va a distribuirsi per benino tutto attorno al Pianeta. Se si ferma questa gigantesca “dinamo”, addio campo magnetico e in pochi attimi ogni segno di vita finisce per atrofizzarsi sulla superficie.
Queste considerazioni mi sono tornate in mente assistendo alla proiezione televisiva di due o tre sere or sono (forse il 12 giugno 2014) su RAI Movie del Film The Core prodotto da David Foster su scritto di Cooper Layne Sean Bailey; un film che ipotizza, per l’appunto, il probabile arresto cardiaco della Terra.
Vado oltre. Su questo nostro Pianeta sono veramente numerose le opportunità che si sono incontrate nello spazio e nel tempo perché noi esistessimo, a dispetto della nostra volontà, del nostro potere deliberante, del nostro crederci eterni e onnipotenti. Sì, perché proprio non comandiamo di alcunché, crediamo di fare cose strabilianti, ma è sufficiente un minimo “no” della Natura perché tutta la nostra volontà e capacità di intelligenza e programmazioni sprofondi in un abisso fatto di nulla. Un solo piccolo esempio: visto che si è accennato a The Core, noi stessi siamo portatori di un cuore che pulsa sviluppando una potenza incredibile, e lo fa infischiandosene di ogni nostro atto volitivo e di ogni nostro tentativo di controllo sulla sua attività; mentre ci sprofondiamo nel sonno la nostra volontà si offusca, la coscienza e la consapevolezza di noi stessi si separano dal nostro Io, eppure lui, il cuore, continua a pompare, che noi lo sappiamo o no, che noi lo vogliamo o no.
Un’altra centrale di comando, non più il sistema nervoso centrale, ma il “simpatico” e guai se questo va in crisi! Noi siamo perfettamente estranei a tutto ciò; sono eventi che si verificano, tuttavia, in una forma tale da far pensare all’ineluttabilità del presentarsi congiunto di opportunità specifiche, che in questo caso fanno capo a un piano e a un’intenzione. Ci dev’essere un piano perché tutto funzioni, nel nostro organismo come nel micro come nel macro, con la perfezione matematica che non finisce di sorprendere. E ci dev’essere un’intenzione che muove il piano a realizzarsi, opinatamente per il conseguimento di un fine, di qual fatta non è dato sapere.
Qualcuno potrebbe obiettare che tutto è scaturito dal Caos, per intervento del Caso. Io sono più propenso a credere che il Caso non sia del tutto casuale. Sì, è vero, a volte è il caso a giocare nell’intreccio delle decisioni che determinano il corso degli eventi. Ma quando si nomina il Caso trattiamo di un concetto non disgiunto da quello di opportunità, poiché quando diciamo che qualcosa è accaduta per caso, se nel suo contesto è implicata la nostra stessa volontà, è plausibile immaginare che si siano presentate alcune opportunità ognuna delle quali avrebbe potuto vantare la facoltà di imprimere l’una o l’altra direzione ai nostri atti volitivi.
Dunque un piano, un’intenzione, dunque una volontà, poi un programma assai elaborato. Quindi, un programmatore capace di una potenza e di una lunghezza di vedute senza limiti, all’infuori senza speranza dalla nostra comprensione.
Programmatore o meno, oggi sappiamo persino qualcosa in più sulle nostre origini. È recentissima la scoperta che è il DNA a riscrivere l’origine dell’uomo raziocinante. L’Homo Sapiens non è nato nell’Africa Orientale, come si è creduto sinora, ma in quella centro-occidentale, dove era presente già duecentomila anni fa e dove una decina di “padri fondatori” ha dato vita alla nostra specie. È quanto emerge dalla firma genetica lasciata dai nostri progenitori, analizzata dai genetisti dell’Università “La Sapienza” di Roma. I nuovi dati indicano inoltre che per l’Homo Sapiens la penisola arabica non è stata solo un luogo di transizione, ma una regione in cui la nostra specie ha sostato per centomila anni. Qui potrebbe essere avvenuto l’evento che ha dato origine, in tempi successivi, a tutta la diversità genetica del cromosoma Y.
Congettura per congettura non posso fare a meno di chiedermi: dove stiamo andando? Questo minuscolo, invisibile puntino che è la nostra Terra, riconoscibile soltanto per essere perennemente investito dalla nostra sciocca presunzione, fila via con il Sistema Solare, e con la Via Lattea che lo ospita, in un contesto più ampio di Galassie, chiamato “Gruppo Locale”, verso l’Ammasso di Galassie della Vergine. Questo Ammasso si sposta, alla velocità di cinquecento chilometri al secondo, verso un Superammasso nella proiezione dell’Idra-Centauro e il Superammasso punta, correndo a 600 km al secondo, lungo un sistema supergalattico dai nomi fantastici di “Grande Muraglia” e “Muraglia Meridionale”. Il tutto poi viene come risucchiato da una sorta di “Grande Attrattore” localizzato nella Croce del Sud, dove già ci attendono almeno centomila altre Galassie. Queste le ipotesi e le denominazioni formulate dagli attuali astrofisici.
E poi? Che ci troveremo colà? Ma, soprattutto, tutto questo gran darsi da fare dell’Universo: perché?
I nostri rifiuti Che cos’è, un regalo di Natale? Le ultime di stamane: si parla delle cosiddette discariche dei veleni. Tutti assolti i 19 imputati nel processo di Corte d’Assise di Chieti in merito alle discariche della Montedison. Erano state scoperte sette anni fa a Bussi sul Tirino in quel di Pescara. Si è trattato di ben 25 ettari di rifiuti tossici interrati che avrebbero inquinato il fiume e le risorgive che alimentano la rete di distribuzione idrica della Val Pescara; 25 ettari sono 250.000 metri quadrati, come un’area lunga 500 e larga 500 metri, o larga 10 metri e lunga 25 chilometri se preferite, non poco. Ed è quel che è finalmente emerso, forse soltanto la punta di un iceberg. Se, poi, vogliamo riferirci all’altro capo di accusa, quello che richiama la colpa di disastro ambientale, la Corte ha deciso di derubricare il reato nei termini di disastro colposo, tant’è che gli imputati sono stati giudicati non colpevoli, salvati per loro ventura da sopraggiunta prescrizione. I Pm avevano chiesto, a loro carico, pene varianti dai 4 ai 12 anni e 8 mesi.
Mi chiedo: allora, qui, nel nostro Bel Paese, possiamo fare di tutto, proprio di tutto, anche inquinare le acque del rubinetto o, meglio, qualcuno soltanto lo può fare, passandola sempre liscia. Ma proprio nessuno si accorge che questo, come tante altre forme di deturpazione e avvelenamento del territorio e di danno alla salute delle persone, è un reato gravissimo che non può essere lasciato passare sotto silenzio? Prescrizione? Ma è l’ora di finirla con questa cabala, la prescrizione, scialuppa di salvataggio per delinquenti mastodontici con le mani assai lunghe!
E non è tutto. Leggo ancora, sempre stamane: Tutti assolti dal Tribunale di Paola, nel Cosentino, i 13 imputati tra ex responsabili e dirigenti della fabbrica Marlane di Praia a Mare. Respinta persino l’accusa di omicidio colposo per la morte di alcuni lavoratori, come anche quella per disastro ambientale, perché il fatto non sussiste. Tra gli imputati l’imprenditore Pietro Marzotto. La Procura aveva chiesto condanne da 3 a 10 anni. Un centinaio di operai sarebbero morti di cancro per aver lungamente inalato vapori tossici emessi nella lavorazione dei tessuti. Lo stabilimento ora è chiuso. Tutti assolti! Ma possibile, un centinaio di persone che contrae la medesima malattia e se ne va all’altro mondo, una dopo l’altra a conferma che l’ambiente di lavoro è mefitico, e nessuno s’è mai chiesto il perché? E, poi, a responsabilità di genere non si fa cenno; tanto, c’è la prescrizione; tanto, basta dire che il fatto non sussiste, mentre il volgo piange amaramente i propri morti.
Ora, io non sto scagliandomi contro i colpevoli, non è compito mio, ma penso che la nostra bella Italia e i suoi cittadini siano degni di un trattamento per lo meno del minimo di rispetto che invece manca in assoluto. Vedeva ben a ragione il grande Goethe quando, due secoli addietro, sostenne che in questo mondo sono di casa l’indifferenza e l’antipatia. Ma oggi si vede di più: cinismo e disprezzo per la vita. Ripeto: non mi accingo a giudice delle persone, ma non posso chiudere gli occhi di fronte ai fatti accertati e chiedo giustizia. Certamente giustizia contro chi ha perpetrato il reato, verso chi sapeva e taceva per nascondere le proprie responsabilità, nei confronti di chi non ha saputo o non ha voluto prevenire e creare le condizioni indispensabili perché il disastro fosse scongiurato. E la nostra gente è sempre più assetata di giustizia, di quella giustizia che viene costantemente vilipesa nel suo significato più essenziale.
Mi torna in mente quanto affermava, anch’egli circa due secoli or sono, Arthur Schopenhauer: L’ingiustizia nasce quando un individuo espande l’affermazione della propria volontà a scapito e negazione della volontà altrui. Ma questo, oggi, accade dappertutto, è la prassi comune della convivenza sul Pianeta Terra.
Dunque continueremo così? Sopraffazione, sfruttamento dei deboli, dilagamento dell’insicurezza e della paura fra chi si dibatte con le mani legate per l’esistenza? Questo, il regalo di Natale per la gente semplice che lavora e custodisce, ultima forse detentrice, un genuino senso di umanità e di Patria?