Immagini raccapriccianti compaiono sui media nel momento di richiamare alla memoria gli orrori compiuti nei campi nazisti di sterminio. Volgo lo sguardo indietro nel tempo e vedo sfilare davanti ai miei occhi scene terribili di crudeltà perpetrate da umani su umani. Ora mi guardo intorno e tutto il mondo mi offre spettacoli terrificanti di morte, ferocia, crudeltà. Non posso vedere nel futuro, ma mi chiedo: che cosa ne sarà di questa nostra umanità così perversa e affogata nella violenza? Che cosa ne sarà dei bambini che nascono, che stanno crescendo, che nasceranno?
I bambini di Auschwitz-Birkenau, eccoli, fanno sgorgare lacrime di sangue, di sangue innocente. La violenza, le atrocità, i soprusi operati sui bambini sono il delitto più abominevole che possa essere partorito dall’immaginazione; chi ne fu responsabile avrebbe meritato di essere ghermito e divorato da un fuoco annientatore, all’istante, prima che l’intenzione perversa venisse reificata nell’incubo di una realtà infernale. Noi, che viviamo in una pausa temporale di relativo benessere, non concentriamo abbastanza i nostri pensieri né modelliamo i nostri sentimenti su quei terribili fatti; se li penetrassimo a fondo nei loro significati più reconditi ne avremmo abbastanza da impazzire per il disgusto e per il dolore. Viviamo su un Pianeta dove, da quando l’animale-uomo ha acquisito la capacità di pensiero e di raziocinio, non si sente parlare che di guerra; anche ai tempi nostri e negli ambienti a noi prossimi; una guerra che alligna, che serpeggia nei cuori e nei propositi degli uomini, che sceglie luoghi opportuni per divampare e mietere vittime a migliaia oppure s’insinua nelle piccole realtà portando discordia, avidità, inganno, egoismo, indifferenza e disprezzo per il prossimo. È forse questo, il Pianeta che calpestiamo, il regno del dolore, dell’odio dilagante, della diabolica volontà di potenza? L’uomo, parrebbe incredibile ma così è, vorrebbe diventare Dio, essere Dio, dominare su tutto e su tutti, perso nel deliberato delirio che lo trascina a misconoscere la consapevolezza della propria esistenza effimera, della propria distruzione imminente. Alle insidie provenienti dalle minacce di conflittualità armate su grande scala si vanno ad aggiungere, quotidianamente, pericoli derivanti dall’assetto geologico sul quale trascorriamo i nostri giorni, dalle pazzie meteorologiche che imperversano su ampie zone abitate, quasi a cedersi in alternativa il turno per uno scopo oscuro mirato a colpire, distruggere, uccidere. Non ultimi i nefasti esiti del propagarsi di morbi infettivi che in poco tempo riescono a falcidiare intere etnie sulla faccia della Terra.
Su questo tormentato Pianeta un giorno apparve una figura carismatica che scelse per la propria esistenza fra gli uomini la via del dolore: Gesù Cristo. Ora io penso che molti fra noi raramente si saranno chiesto qualcosa di veramente serio sulla persona e sull’identità di Gesù Cristo. Lascio a parte tutto quanto discende dalle rivelazioni e dalle profezie di datazione veterotestamentaria ed evangelica, su cui ci sarebbe da aprire un capitolo a parte, per guardare con occhi semplici al profilo espressamente umano di Gesù. Mi piace pensare che egli fosse uno come noi, come tutti, interamente umano, dotato di particolari facoltà psichiche e di argomentazione, anche ispirato, se vogliamo, da quell’Entità trascendente-immanente che è il principio e il fine di ogni cosa, pervaso da un sentimento e da una forza interiore che lo spingevano ad aprire le menti e a rinfocolare i sentimenti delle persone traendole fuori dalla palude dell’ignoranza. La sua intelligenza enormemente superiore a quella dei suoi contemporanei gli avrebbe consentito, senza sforzi eccessivi, di raggiungere posizioni di prestigio, di potere, di supremazia persino, eppure egli scelse la strada della sofferenza abbracciando a piene braccia il dolore, in questo volendo essere come noi, come ognuno di noi. Ora io penso che Gesù Cristo sia venuto al mondo per farci capire che ciascuno fra noi partecipa di quel dolore che egli con noi ha voluto condividere.
Come dire, in altre parole, che ogni persona venuta al mondo è un Gesù Cristo gettato in un marasma di angosce, di paure, di morbilità, di disperazione. Un ammaestramento, questo, di assoluto valore esistenziale, incomprensibile tuttavia alla luce di finalità troppo lontane e troppo grandi perché possano da noi essere assimilate, ancora insufficienti nel tentativo di manifestarsi con tutta chiarezza sul piano di una evoluzione semantica oscurata da contorni impenetrabili. Perché siamo capitati sul Pianeta del dolore? Proprio qui, quando soltanto in quella minima porzione dell’Universo che crediamo di conoscere vagano miliardi di miliardi di mondi sui quali può essere attecchita in qualche modo una forma di vita raziocinante? C’è una spiegazione a tutto ciò? Mi arrovello in queste inconcludenti argomentazioni quando, attorno a me, odo il fragore di guerre e dispute feroci scoppiate per rubare e annientare vite inermi. Esiste uno scopo alla base di tutto questo macello? Oppure dopo essere passati più volte attraverso esperienze terribili e aver costruito consapevolezze di un amaro assoluto, compiremo l’ultimo passo per precipitare in quell’oscuro baratro in fondo al quale, con le parole del Poeta, ognuno di noi troverà null’altro che un “Abisso orrido, immenso, ov’ei precipitando, il tutto obblia”?
Come vorrei, ed è una cosa che mi torna sovente in mente, come vorrei avere la fortuna simile a quella di quei discepoli di duemila anni fa, che dissertavano a tu per tu con il Maestro. Vorrei averlo qui, di fronte a me, soltanto per un’ora e chiedergli un mare di cose, fare sì che le sue parole scolpiscano significati di luce nella mia mente e nel mio cuore lasciandovi un segno capace di cambiare sostanzialmente il senso della mia esistenza. Lo ascolterei in ginocchio, umilmente, gli occhi bassi e il capo chino in segno di timore reverenziale. E che nessuno mi venga a raccontare che oggi abbiamo gli intermediari fra noi e Dio, i ministri, che la Verità ce l’hanno in mano e che sono lì per darmi le certezze che vado rincorrendo senza fortuna. Non ho bisogno di intermediari, non li voglio, mi sommergerebbero delle fandonie che per lunghi secoli hanno inventato di persona per soggiogare il popolo, per manipolarlo e usarlo ai propri fini esclusivi di potere terreno. Resto in attesa, non vedo altra via di uscita, qualcosa succederà. Qualcosa dovrà succedere. Non mi rimane altro da fare, e accettare di convivere con il dolore e con le angosce che la mia natura umana ha gettato su di me.
