Breve rassegna dell’epopea Alpina nella Grande Guerra, in 7 puntate
Episodio #07
A cent’anni da quel terribile disastro che fu il primo Conflitto Mondiale è cosa onorevole ricordare, a coronamento delle imprese eroiche e dei sacrifici estremi affrontati dai nostri Combattenti sulle alte vette delle Alpi, quanto venne formulato da eminenti personaggi coinvolti nelle stesse drammatiche vicende, testimoni diretti del valore, della gagliardia e della nobiltà d’animo degli Alpini sui percorsi di guerra. Senza tuttavia ignorare né relegare in sott’ordine le imprese eroiche e dolorosissime delle altre formazioni combattenti, prima fra tutte la Fanteria, che sull’Isonzo, e non solo, lasciarono a decine, a centinaia di migliaia i propri soldati fra le braccia impietose della Morte e innumerabili altri corpi tremendamente mutilati.
Qui di seguito riporterò alcune considerazioni raccolte nel corso di letture che parlano della Grande Guerra, senza tralasciare passi riguardanti altri conflitti armati, ma sempre dedicati agli Alpini chiamati a sostenere confronti a fuoco terrificanti.
Iniziamo dal secolo 19°, con un giudizio espresso dal Gen. Skobeleff, pubblicato sulla Gazzetta di Mosca nel luglio 1896: “I soldati alpini (italiani) sono forse i soli soldati europei che possono competere con gli abissini per la robustezza, agilità e facilità nel sopportare le privazioni”.
Ci portiamo ora in terra di Russia, in pieno secondo Conflitto Mondiale. È il Col. Luigi Scrimin, comandante del 2° Reggimento Alpini, che scrive: “Le penne nere appartengono ad una schiera di prodi e di forti. Hanno superato tutti, anche se stessi. Hanno fatto scintille, si sono battuti leoninamente, con una serenità e naturalezza sbalorditive! Vedendoli così bonari, semplici, sereni, sorridenti e buoni, viene da domandarsi come sappiano fare certe cose. Eppure in ciò sta la loro forza. Fanno e non chiedono. Giù il cappello davanti a questi ragazzi!”.
E qui, per onorare questi giovani coraggiosi e valorosi, iniziamo da questa straordinaria considerazione espressa da Mario Mariani (in Redaelli): “Ma quando la battaglia infuriava, gli alpini non brontolavano e non bestemmiavano più: «I più bei soldati che io abbia visto al fuoco sono gli alpini piemontesi e gli alpini dell’alto Veneto»”.
Il Cap. Ercole Bellani, riconquistatore della Trafojer Eiswand il 1° settembre 1917, scrisse: “Conoscenza perfetta del terreno da parte degli italiani; ottima preparazione del soldato a quel tipo di combattimento; sorpresa, dovuta essenzialmente alla audace concezione della manovra ed allo spregiudicato modo di condurla; attacco simultaneo sul fronte e sul fianco della posizione nemica; genialità e allo stesso tempo semplicità della manovra; alto spirito combattivo e disperata volontà degli Alpini di non dar partita vinta all’avversario, che si riassume nell’Orgoglio di portare la penna nera!” (da Magrin e Peretti, Battaglie per la Trafojer, Alpinia Ed. 2007).
Il Ten. Eugenio Garrone dell’8° Alpini, ferito al petto sull’Asolone il 14 dicembre 1917, non rinunciava a ripetere: “Viva l’Italia, di là non si passa, vi sono i miei Alpini!” (da Volpato, Asolone, monte di fuoco, Nordpress Ed. 2008).
Sul Diario di Guerra concernente il settore “Col di Lana, Lagazuoi, Tofana” si legge quanto sostiene Celso Trevisan, s.tenente del batt. Alpini Belluno, quando parla dei suoi Alpini: “…quegli uomini d’acciaio, quei caratteri d’oro che sereni, col coraggio freddo, calcolatore, del lento e sicuro montanaro,… innalzarono il più bel monumento di gloria nel nome grande d’Italia, alla Patria nostra aspettante” (da Cosa accadde al Sasso Misterioso di Baccon e Trevisan, ed. Gaspari, 2008).
Il cap. Arturo Andreoletti (1° Presidente A.N.A.) in Con gli Alpini sulla Marmolata di Viazzi e Andreoletti (Ed. Musia, 1977) scrive: “Chi ha vissuto per tanti mesi a diretto contatto con questi uomini non potrà mai dimenticare il loro spirito d’abnegazione e tutto il loro sconosciuto eroismo di gente semplice, che seppure anziana e con famiglia a carico, non dimentica un istante il proprio dovere. Soldati sempre pronti per qualsiasi servizio, sia pure gravoso e sempre scrupolosamente attenti e vigili nei servizi di vedetta o di pattuglia… Chi ha vissuto con loro, non potrà mai dimenticare quello che hanno fatto questi instancabili e ingegnosi lavoratori. Sentieri su pareti impossibili, trincee e camminamenti perfetti ed efficienti, baraccamenti comodi e puliti al posto delle preesistenti tane da orsi, osservatori incastrati su picchi raggiungibili con scalate acrobatiche, solidi sbarramenti di reticolati nei punti di più facile accesso, caverne e piazzole ricavate in sinuosità della roccia, matematicamente calcolate e realizzate. Gente modesta, ma dall’animo grande come le loro montagne”.
Detto questo, perché non paia che si voglia fare apologetica in casa propria, il che non si presterebbe con troppa difficoltà, andiamo a sentire cosa ne pensavano alcuni personaggi che stavano dall’altra parte, i nostri così detti “nemici”, i quali avrebbero avuto tutte le possibilità per minimizzare quella figura già di per sé statuaria dei nostri soldati di montagna, se non per scagliarsi in atteggiamenti denigratori.
Il Generale Krauss, nei fatti dell’ottobre 1917, aveva avuto modo di conoscere da vicino l’indole e la tempra dei nostri Alpini i quali, notoriamente, dimostravano carattere e volontà duri come la roccia della loro montagne. Nel lanciare le proprie truppe all’inseguimento dei nostri reparti dichiarò apertamente di non avere intenzione di logorare le sue forze alla Sella Prevala (Slovenia), difesa da Alpini valorosi (Hans Killian). “Ora su Sella Prevala gli Alpini oppongono una valorosa resistenza”, si legge in Hans Killian e, ancora “La guarnigione italiana sul Rombon – il Battaglione Alpini Borgo San Dalmazzo e il Batt. Dronero, appoggiati dal Batt. Saluzzo, si difesero eroicamente… Il risultato dell’attacco sul Monte Tomba (18 novembre 1917) e in montagna appariva piuttosto deludente. Il nemico [Noi] aveva impiegato truppe valorose, la sua resistenza era molto più forte e meglio organizzata di quanto ci si fosse aspettato o si fosse temuto”.
Il 25 maggio 1916 i Battaglioni Alpini Monte Clapier e Cividale difendevano il Monte Cimone nei pressi di Arsiero e del Cengio. Fu lo stesso Rapporto ufficiale austriaco ad affermare che “il nemico [2-3 batt. Alpini] si è battuto molto valorosamente ed ebbe grandi sanguinose perdite” (da Volpato e Pozzato, Monte Cengio, Itinera Progetti 2006).
Il Generale Principe Alios Schömburg-Hartenstein, comandante la 6a divisione a.u., ebbe a scrivere nel suo rapporto di guerra n. 171/6: “…al Monte Melette…l’avversario [Noi]…ne aveva affidato la difesa alle sue migliori truppe scelte, gli Alpini, che si batterono eccellentemente”.
Ed ecco la valutazione di Fritz Weber: “Ma gli alpini si dimostrano anche in questa circostanza tenaci e valorosi soldati… Qui come ovunque si rivelarono autentici soldati di razza, nemici valorosi e cavallereschi”.
Altri apprezzamenti all’indirizzo dei nostri Combattenti sul fronte provennero dal barone A. Freiherr von Lempruch (in Der König der Deutschen Alpen und Seine Helden, Ed. Itinera Progetti, Bassano 2005), generale del Genio autro-ungarico, operativo in Val Solda. Nel marzo del 1917 scrive: “… a causa della cappa di un camino, bruciò l’hotel Trafoi… Il fuoco infuriò per due giorni ed una notte… Ciò che maggiormente mi spaventava durante questo incendio, che riuniva in uno spazio ristretto centinaia di uomini, fortunatamente non si verificò. Gli italiani che, dato il tempo bello e limpido, dalla Trafoier Eiswand avevano un’ottima vista di quanto stava accadendo e si astennero dal bersagliarci, cosicché i lavori di riordino poterono proseguire con calma. Un cannoneggiamento ci sarebbe sicuramente costato delle gravi perdite. Questo comportamento cavalleresco da parte del nemico [Noi] merita di essere qui esplicitamente riconosciuto”. Quando parla della conquista della Trafoier Eiswand, a oltre 3500 metri di altitudine, avvenuta il 1° settembre 1917, von Lempruch così si esprime: “Il nemico [Noi] subì pesanti perdite… Due ufficiali… ed una trentina di uomini circa furono fatti prigionieri… dagli ufficiali, che si erano comportati con grande dignità, non si era nel frattempo riusciti a ricavare nulla, nonostante tutto, comprese le mie insistenze; il che va qui esplicitamente ricordato a loro onore”. E, ancora, “Anche il valore e lo spirito di abnegazione del nemico [Noi] vanno pienamente riconosciuti… Come venimmo a sapere in seguito… il S. Ten. Kurzbauer ebbe dal nemico, che sapeva apprezzare il valore e l’eroismo, un’accoglienza straordinariamente cavalleresca ed amichevole”.
Nel libro di Marseiler – Bernhart – Haller, (Memorie nel Ghiaccio – Ortles 2015-2018, Ed. Athesia, Bolzano) si legge (dalle memorie del trombettiere della guarnigione austriaca in zona Stelvio-Ortles): “Sulla Hohen Schneid / Monte Cristallo le trincee avverse si trovavano a sette-otto metri di distanza; di mattina si sentiva l’avversario ridere e parlare; lungo il tragitto al posto di vedetta bisognava passare davanti a piccole feritoie in ghiaccio approntate dalla sentinella degli alpini. Là ci avrebbe potuto ammazzare ogni volta; ma no, no; quello lassù si è comportato nobilmente!”. E, poco oltre nel testo, “… il sottotenente Kurzbauer e 16 uomini furono fatti prigionieri… A Bormio il sottotenente Kurzbauer e gli altri prigionieri furono curati e trattati onorevolmente come fratelli, e rimandati a casa già nel dicembre 1918…”.
Dopo i combattimenti dal 5 al 9 giugno 1916 presso i Monti Fior e Castelgomberto il Ten. Col. austriaco Stefan Duic riconobbe lealmente: “Valorosi e tenaci, gli Alpini difesero con accanimento ogni pietra, ogni pezzo di trincea, ognuna delle molte mitragliatrici, finché caddero nel combattimento corpo a corpo”.
Il generale Krafft von Dellmensingen, prestigioso e cavalleresco capo di Stato Maggiore della 14a Armata, all’indomani della battaglia di Caporetto scrisse: “Così si arrestò, a poca distanza dal suo obiettivo, l’offensiva ricca di speranze, ed il Grappa diventò il «Monte Sacro» degli italiani. D’averlo conservato contro gli eroici sforzi delle migliori truppe dell’esercito austro-ungarico, e dei loro camerati tedeschi, essi, con ragione, possono andare superbi!”.
Da Luciano Viazzi, Le Aquile delle Tofane (Ugo Mursia Ed., Milano 1974): “La battaglia del Masaré… 9 luglio 1915… Gli Alpini erano ormai intorno al Sasso Cubico, ultimo baluardo della resistenza austriaca… De Pilati [un irredento triestino] chiese ancora al capitano Lap di arrendersi… Infine raggiunsero l’imboccatura della caverna, dove il capitano Lap giaceva esangue sulla soglia. Venne subito trasportato in barella a Fontana Negra dove consegnò la sua pistola al capitano Rossi, al quale chiese: «Desidero sapere se i miei Kaiserjäger si sono battuti con valore». Alla risposta affermativa, aggiunse ancora: «Se non fossero stati gli Alpini ad attaccarci non avremmo perduto le nostre posizioni!».