Il mio “spero” pedagogico
PREMESSA
Iniziamo dal titolo, anzi, dal sottotitolo. Lapalissiana la parafrasi dall’opera di John Dewey, Il mio credo pedagogico apparso nel 1897. Con ciò voglio poter esprimere una mia speranza ossia che si approfondiscano i temi inerenti all’educazione dei bambini, insieme alle nozioni fondamentali della Psicologia Evolutiva, senza lasciare alcunché di intentato, volgendo lo sguardo sempre avanti per cercare e trovare vie nuove di approccio e di soluzione ai problemi incontrati. La mia è una speranza fondata perché so di molti insegnanti che vorrebbero poter disporre di un indirizzo costruttivo per avvalorare il proprio lavoro e conferirgli il significato che vanno cercando di disvelare. Sono attese che, voglio credere, non andranno deluse, quando almeno alcuni volenterosi vorranno cimentarsi a pensare e ad agire in modi alternativi a quelli abitudinari, da sempre disinvoltamente condivisi dalla massa
Tutto cambia con il volgere degli anni. Si scoprono nuovi itinerari di azione, si impiegano nuove tecnologie, si rincorrono teorie avveniristiche, si muta persino il modo di pensare. Ed è bene che sia così, d’altra parte non è forse vero che, da quando l’uomo è un essere raziocinante, il corso della sua esistenza è proiettato senza sosta lungo un interminabile percorso evolutivo e di cambiamento?
Niente di più vero. In quanto andrò esponendo terrò fermamente conto di questo punto di vista e cercherò di sforzarmi di comprendere come i concetti richiamati si attaglino nel migliore dei modi alla vita dei bambini, dei nostri figli e nipoti. Sì, perché i bambini di oggi, da adulti, saranno i responsabili di quell’ambiente di vita e di operosità che lasceremo loro in eredità. Ciò comporta una grandissima preoccupazione: come fare, noi delle generazioni mature, a equipaggiare i nostri discendenti perché sappiano agire in modo saggio incrementando e incoraggiando i passi culturali su una strada irta di difficoltà su tutti i piani: fisico, antropico, relazionale?
Mi interesserò pertanto, per quel che segue, del fattore educazione puntando gli occhi lontano, verso ciò che sarà, che crediamo, che desideriamo sia, all’interno di una realtà che affideremo ai nostri posteri in condizioni di vivibilità tutt’altro che ottimali. Per questo l’educazione rappresenta l’unica e fondamentale leva di potere per assicurare un futuro che sia un futuro accessibile alla nostra progenie.
Dunque mi andrò a interessare, nel corso di 10 capitoli in successione, di come cresce il bambino, di come può e deve essere aiutato a diventare se stesso e delle cose nelle quali dovremo evitare di incappare per non commettere errori madornali e irriducibili.
Nel parlare di educazione la prima cosa che balza alla mente può essere l’ambiente Scuola. Per quanto ho avuto modo di sperimentare e di imparare nella mia carriera scolastica batterò su questo tasto abbastanza da poter mettere in risalto quanta parte abbia una buona o meno buona formazione scolastica per l’integrazione della personalità dei bambini, dei ragazzi, dei giovani.
Ma non basta, per due semplici ragioni. La prima è che, per quel po’ che mi è stato dato di osservare nel mio alquanto ricco curricolo scolastico, si siano allentate certe richieste di acculturazione e di sensibilità emozionale che nella scuola non possono mancare se non si vuole cadere nel superficialismo e nel banale. Io ho un’età ormai prossima alla decadenza, tuttavia sono senza dubbio convinto che, proprio per rispetto alla personalità in fieri dei nostri alunni e per il loro bene personale, se dobbiamo da un lato abbandonare idee di autoritarismo o di permissività al di là dei limiti, non ci corra ugualmente l’obbligo di rinunciare a stabilire un clima continuativo di autorevolezza con i nostri ragazzi, perché in esso si riescano a scoprire e ad apprezzare significati indispensabili per un vivere operoso, efficace e soddisfacente.
In seconda istanza, diciamolo pure forte, non c’è soltanto la Scuola. Pare che un andazzo di comodo non faccia altro che demandare alla Scuola la soluzione dei mille problemi che si affacciano sulla scena educativa. Sarebbe molto più utile riflettere sul fatto che la Scuola prende in consegna persone che già hanno attraversato una lunga esperienza fatta di rapporti umani, di scoperte, di crisi evolutive e che già portano con sé una personalità dai tratti ben definiti, sia per quanto conoscono del mondo sia per l’atmosfera che respirano in ambito affettivo relazionale. Ecco allora che mi andrò interessando del periodo di crescita assai anteriore all’ingresso nella Scuola dell’Obbligo, addirittura dalla nascita fisiologica voglio dire, per non trascurare quell’immensa gamma di fattori che, credo, sono sempre presenti come attivatori delle tendenze e della volontà del singolo. Sono numerosi i casi clinici di disturbo scolastico, infatti, che fanno risalire ai primi anni e addirittura mesi di vita del bambino l’eziologia delle difficoltà scolastiche nell’instaurarsi di accadimenti di particolare importanza per la strutturazione sia dell’intelligenza sia del carattere sia del profilo emozionale.
Il discorso dunque, che andrà esordendo con una trasvolata sui significati che possiamo far discendere da una Psicologia esistenziale della prima infanzia, come ho voluto denominare questa fase iniziale dell’esserci, vale come stimolo alla lettura e alla riflessione ponderata sia per i genitori in famiglia sia per gli operatori scolastici che si occupano dell’istruzione e dell’educazione dei bambini e ragazzi oltre e in sinergia con il compito delle famiglie.
Ovviamente da parte mia non ci sarà alcunché di giustapposto, se non le espressioni di alcune episodiche mie personali opinioni su fatti, teorie e situazioni che incontrerò cammin facendo. E altrettanto ovviamente i miei riferimenti saranno stilati con il supporto di studi effettuati sulla copiosa storia della letteratura concernente le argomentazioni psicologiche e pedagogiche che ho avuto modo di visitare. Nella mia scelta in ambito letterario ho accordato la preferenza ai lavori apparsi nel corso del secolo ventesimo, lavori che potrebbero apparire un po’ obsoleti a chi è abituato ad affidare le proprie speranze a quanto viene fornito in larga abbondanza di giorno in giorno e a tambur battente dall’editoria attuale. Non è tuttavia peccato il voler rivisitare quella serie di studi e di punti di vista, potremmo chiamarli “classici”, che tanta parte e tanto valore euristico hanno avuto nella definizione e nella descrizione delle fasi esistenziali dell’infanzia, della fanciullezza e dell’adolescenza. Questo perché mi convinco una volta in più che, tornando a quelle teorie e osservando i comportamenti degli studenti di oggi, proprio non mi pare che questi ultimi siano così cambiati. Ciò che è mutato ha a che fare con gli atteggiamenti, con le aspettative sempre più ampie, con interessi certo non così canonici nell’ottica dell’istruzione. Ma i bambini sono sempre gli stessi bambini, immersi sì in una cultura che cambia rapidamente, ma viandanti in cerca di sicurezza nello spazio della loro economia emozionale e inquisitiva. Ecco il motivo delle parole che compongono la parte terminale del titolo “NO scadenza”, perché quanto andrò sviscerando dimostra pur sempre di non aver perso validità nei confronti della crescita assistita dei nostri figli e può parlare tuttora a noi educatori in termini comprensibili e condivisibili.
Parlare di “Psicologia esistenziale della prima infanzia”, come ho accennato, sta semplicemente a indicare l’estrapolazione della ricerca da quelle che sono comunemente le conoscenze di base circa la psicologia tradizionalistica dell’età evolutiva, lungo una traccia che ha per caratteristica peculiare la visione completa, chiara, scientifica, approfondita e armonica della figura umana globale a iniziare dalle sue intimità più recondite.
Nel corso di tale sondaggio avrò modo di sottolineare più volte la portata delle due istanze fondamentali e ricorrenti alle quali si richiameranno le conversazioni: 1) lo sviluppo erompente della struttura neuro-cerebrale, condizione per la comparsa e l’organizzazione delle capacità superiori dell’uomo e della creatività; la particolarità innata in tale sviluppo di decrescere a valore ‘esponenziale’ in un arco di tempo molto breve, quello corrispondente alla prima infanzia; 2) le possibilità di impiegare il potenziale psichico del bambino nell’età prescolare per costruire la sua personalità a livello ottimale impostando l’azione educativa nel momento ‘naturalmente’ migliore di tutta l’esistenza umana.
Da quanto premesso si evince facilmente che i destinatari a operare nella Scuola, gli insegnanti nello specifico, in seguito alla lettura della parte che va a seguire potrebbero esprimere un paio di obiezioni. La prima suonerebbe pressappoco così: Ci rendiamo conto che nella pletora di proposte illustrate non è cosa semplice trovare e attuare il percorso migliore per trasmettere cultura e creare educazione; lo spazio che ospita i concetti sviluppati è immenso e richiede certamente una vasta cultura. La seconda potrebbe essere: Ma, allora, dove abbiamo sbagliato? Sarà tutto da rifare? Guardando alle nostre competenze e alle scelte metodologiche finora condivise, forse che dovremmo sentirci inadeguati a fronte della situazione che andiamo affrontando?
Per prima cosa, niente allarmismi, niente autosvalutazione, niente perdita di entusiasmo. A nulla serve demoralizzarsi e, poi, non è detto che tutto ciò che si è fatto sia da scartare, sono esistiti ed esistono sicuramente episodi didattici ed educativi all’avanguardia; bisogna piuttosto infondere nuovo coraggio nell’affrontare il proprio lavoro, persino accettando l’opportunità, dove se ne presentino promesse vantaggiose, di cambiare idee e sperimentare ipotesi nuove e innovative.
I concetti sviluppati nel corso della trattazione fanno capo a una copiosa bibliografa specificamente dedicata. Occasionalmente i richiami verranno segnalati nelle pagine interessate dagli argomenti presi in considerazione. Una serie completa delle opere consultate e consigliate alla lettura si trova nell’Indice riportante n° 87 titoli di lavori, al termine del decimo e ultimo capitolo di questa serie.
Chiudo con un avvertimento. Nel prosieguo di questa trattazione ci si avvedrà di una serie di ripetizioni. Si tratta piuttosto di accorgimenti necessari per analizzare sotto prospettive e luci diverse alcuni sviluppi epistemologici e alcuni concetti fondamentali relativi al lavoro pratico. Serviranno a completare un quadro di comprensione molto più significativo e abbordabile.
1. primi mesi-anni di vita
– Lo sviluppo psico-somatico del bambino dalla nascita al sesto anno.
– Incidenza dell’ambiente nella formazione della personalità.
In un certo qual senso il futuro del bambino inizia ancora allo stato della vita uterina. Madri che hanno subìto un violento choc nervoso denunciano uno stato di viva agitazione nel feto, che può protrarsi sino alla nascita.
Lesioni cerebrali al feto, insufficiente ossigenazione, introduzione di fattori tossici nella circolazione simbiotica, tare ereditarie sono indubbiamente motivi preoccupanti per una normale apertura alla vita. Alla nascita il bambino emerge da uno stato di ‘chiusura’ totale e manifesta le prime reazioni agli stimoli ambientali: impara presto a discernere tra uno stimolo dato e un altro (Stirnimann); reagisce a determinati odori, si interessa agli occhi della mamma, alle intonazioni e alle modulazioni del linguaggio. L’indice di gradimento espresso nei confronti di certi stimoli permette di intravedere una chiara tendenza a penetrare nel novero di esperienze allocentriche ossia in un nuovo mondo che si apre alla conoscenza. Si può dire che fin da questo momento abbiano inizio l’apprendimento e l’educazione.
Teoria della partogenesi precoce: nei confronti degli altri mammiferi superiori, l’uomo viene partorito un anno in anticipo. Alla nascita gli mancano, è vero, molte capacità funzionali (deambulazione, scelta dei giochi) ma nell’arco di questo anno di vita ‘esterna’ egli subisce il condizionamento di innumerevoli stimolazioni, trae le origini della propria vita affettiva, s’impadronisce delle capacità tipiche dell’uomo: la posizione eretta, il linguaggio, l’azione intuitiva. Viene formandosi pure l’interesse verso gli oggetti dell’ambiente. Siamo alle sorgenti della ricchezza del mondo percettivo umano. Un interrogativo, per entrare senza indugi in argomento: perché mai, con il passare degli anni, questo interessamento allocentrico, anziché organizzarsi e intensificarsi, molto spesso si va spegnendo?
In questo periodo esistenziale il mondo delle esperienze è immenso, la tendenza naturale del bambino a penetrarvi è spiccata. La risultante di queste due istanze dovrebbe essere l’atteggiamento dei genitori verso la creazione di una varietà intelligente di stimoli atti a favorire il sano sviluppo della personalità. Inizia la comprensione del linguaggio e della comunicabilità. Il bambino ama sentir raccontare le fiabe. Non solo, ma vuole udire la ripetizione della stessa fiaba, per molte volte, nella sua edizione integrale. Non si tratta di un atteggiamento passivo, bensì di una forma di esplorazione ambientale. Il bambino si impossessa della storia attraverso un sistema compositivo a mosaico di molteplici momenti fissati attraverso l’attenzione focale. In tal modo il bambino cerca un’esperienza ricca e importante per i suoi stessi fini formativi. Viene impegnato l’aspetto attivo della sua attenzione e della sua volontà, viene rinforzata la validità della sua fiducia nei contenuti e negli affetti del racconto. Le storie di ‘sapore scientifico’ (storia del pane, del ferro, dell’acqua) hanno il vantaggio di proporre un contenuto che si incontra felicemente con il desiderio di esplorazione espresso dal bambino. Questo periodo di ‘sete di conoscenze’ richiama la necessità di una completa disponibilità educativa. Se, in termini neurobiologici, avremo assicurato le stimolazioni necessarie allo sviluppo della rete inter-neuronica in questa primissima età, in un bambino senza menomazioni psichiche alla nascita, a prescindere dalla sua estrazione sociale e culturale, gli avremo assicurato un potenziale intellettivo che potrà collocare l’individuo al di sopra delle nostre aspettative. Se avremo mancato, per così dire, all’appuntamento e avremo lasciato trascorrere questo delicato periodo affidandoci piuttosto al caso o alla natura, del medesimo bambino avremo fatto, al limite, un deprivato di opportunità essenziali. È questo, forse, uno dei postulati più profondamente e scientificamente ossessivi che le ricerche degli ultimi tempi sono andate proponendo alla nostra coscienza di educatori e di genitori. È quanto succede al bambino subito dopo la nascita a incidere profondamente e con determinatezza spesso irreversibile su tutto il vissuto presente e successivo dell’individuo. In particolar modo è l’organizzazione dei rapporti emozionali e affettivi nel primo anno di vita che, insieme al complesso delle stimolazioni ambientali, concorre alla formazione della personalità. È in questo senso che l’ontogenesi non esclude la filogenesi, ma non trascuriamo il fatto che stiamo parlando di due fattori dell’evoluzione che si integrano reciprocamente. Per sua intima costituzione l’essere psichico presenta determinate predisposizioni e capacità, ma ogni individuo è aperto alla stessa maniera al mondo delle esperienze. Sarà l’ambiente a poter incoraggiare certi aspetti genetici oppure a frustrarne altri. In questo periodo sono della massima importanza tutte le manifestazioni di esplorazione rivolte all’ambiente. Purtroppo, in molti casi, chi viene preposto a fornire le risposte ambientali utili alla maturazione neurologica del bambino è proprio chi, irretito nelle convenzioni sociali e culturali immutabili del proprio ambiente, non può che offrire condizioni di seria precarietà educativa. Il più delle volte, anzi, l’adulto non riuscirà a far altro che rispondere alla genuina domanda del bambino chiudendo squallidamente e in modo molto efficace la bocca che chiede e gli occhi che si meravigliano. Già da queste considerazioni viene da pensare che molto spesso l’educazione si risolve in una lotta impari in cui adulto e bambino si scontrano e nella quale il bambino perde sempre.
1.1. Lo sviluppo del feto. La nascita della mente.
Le prime due settimane dello stato fetale assistono alla divisione cellulare. Dalla 3a alla 5a settimana si va attuando l’organizzazione del cuore, dei muscoli, del sistema nervoso, delle estremità. Dalla 5a alla 8a settimana appaiono i primi movimenti e il battito cardiaco. A due mesi si manifestano movimenti asimmetrici, aritmici, amorfi della testa, del tronco, delle estremità. Dal 3° al 4° mese i movimenti si fanno più rapidi, più coordinati, più ampi; compaiono i primi riflessi. Dal 4° al 6° mese si possono notare la differenziazione e la relativa limitazione delle reazioni motorie. Dal 6° al 9° mese olfatto, udito, gusto e vista cominciano a dare segni di funzionalità.
Alla nascita le possibilità di recezione attivabili dall’encefalo sono enormi. Le esperienze che seguiranno saranno della massima importanza per lo sviluppo del cervello. Si potrebbe anche dire che alla nascita tutti i bambini siano uguali in quanto il loro intelletto è ugualmente vuoto di costrutti mentali, ma all’ingresso nella scuola si possono constatare già differenze nel quoziente d’intelligenza, che si sono venute definendo in maggior misura nei primi tre anni di vita. La costruzione della mente ha in realtà inizio fin dalla nascita. Essa seguirà un’evoluzione sottostando strettamente ai condizionamenti dell’eredità e dell’ambiente. La funzione essenziale del cervello è quella di memorizzare le esperienze e di rielaborarle nel corso del comportamento successivo. Le esperienze precoci provocano modificazioni a livello molecolare con conseguenze frequentemente permanenti nella vita successiva. Talvolta esse possono persino modificare un comportamento innato. Durante la propria evoluzione l’individuo si adatta alle richieste dell’ambiente attraverso scelte sempre più definite e irreversibili. Il cervello del bambino si trasforma in continuazione registrando le memorie delle sue esperienze, definendo certi tracciati di base lungo i quali vengono attivate le sue potenzialità. Una delle più grandi ricchezze dell’uomo è quella di possedere una lunga infanzia, durante la quale egli è aperto a una grande disponibilità di stimolazioni. Se il cervello non sarà stato nutrito con sufficienti stimoli, si adatterà alle circostanze perdendo la volontà di imparare e di prestare attenzione. In teoria uno stesso bambino, educato in due ambienti completamente diversi, può incontrare sorti evolutive diverse.
Possiamo ben dire, a questo punto, che la madre (o più in esteso la figura materna), prima soggettivazione dell’ambiente stimolante, dopo la nascita fisica del suo bambino lo fa nascere una seconda volta, psichicamente. Il bambino comincia ad apprendere sollecitato in massima parte dalle intonazioni e dalle modulazioni del linguaggio della madre. Nel primo anno di vita il bambino è sensibilissimo all’ambiente che lo circonda. Gli stimoli materni quali il linguaggio, i movimenti, il sorriso, più che nella loro quantità sono determinanti per la loro qualità. Come prima risposta a diverse forme di sollecitazione, già all’età di tre anni si può notare nei bambini una enorme diversità nell’uso del linguaggio, anche se il comportamento non dà segni di essere molto differenziato. I bambini più ricchi nel linguaggio sono generalmente anche più dotati di intelligenza; le loro madri hanno sempre parlato molto, ripetendo le parole, spiegando instancabilmente; in questo senso esse hanno rivestito il ruolo di maestra a tutti gli effetti. Non è la povertà della condizione sociale di per sé a determinare un possibile difetto nell’apprendimento, ma bensì la qualità della relazione intercorsa nel primo periodo esistenziale tra madre e figlio. Se un bambino molto piccolo è stato deprivato, all’età di un anno appena darà a intravedere già le prime differenze; e queste con il passare del tempo tenderanno a consolidarsi. Il bambino che entra nella prima classe della Scuola Primaria ha ormai percorso una lunga strada: intellettualmente è già un individuo ben collaudato.
Le stimolazioni ambientali, considerate su un piano fisico, provocano un vero ispessimento della corteccia, un arricchimento bio-chimico nel cervello. Gli impulsi nervosi modificano i neuroni (cellule nervose) e la rete di trasmissione inter-neuronica, determinando la formazione di tracciati ben definiti nel sistema nervoso. Alla nascita il cervello e tutto il sistema nervoso possono determinare questi tracciati sulla scia di innumerevoli probabilità. Con le esperienze successive essi diventano più fitti e le probabilità che si erano presentate poco prima diminuiscono. La memorizzazione, per entrare in attività, esige un sistema di stimolazioni che agiscano sulle emozioni e sull’affettività dell’individuo. Alla nascita e, via via nei primi mesi di vita, il bambino dimostra di avere un vero bisogno di stimolazioni. Un ambiente neutro non emoziona e non pone le condizioni idonee per fissare i ricordi. Le memorizzazioni fissate di recente sono sempre poste a confronto con le esperienze più antiche. Le capacità mnestiche alla nascita sono limitatissime ma, a differenza degli animali, esse vanno aumentando in misura erompente. L’animale, a un certo punto, può anche sapere qualche cosa, ma l’uomo in più sa di sapere. Questo bisogno è la premessa effettiva dei primi apprendimenti anche complessi che possono venire realizzati anche già all’età di cinque settimane. In tal modo il bambino può precocemente esercitare la propria curiosità, la propria iniziativa, che sono i punti di partenza per lo sviluppo delle facoltà intellettive. Quando, nel caso ottimale, è posto nelle condizioni di esercitare la propria curiosità e la propria iniziativa, il bambino dimostrerà sorprendentemente di essere in grado di scoprire da solo la soluzione di problemi molto complessi. Questo fatto basta a sottolineare l’indicibile capacità di adattamento a situazioni mutevoli esistente nel bambino, capacità che a maggior ragione deve essere coltivata di fronte alla prospettiva di un mondo in evoluzione galoppante che richiederà sempre più una perfezionata capacità di adattamento. Importante, in questo senso, sarà la scelta dei primi giocattoli. Anche Jean Piaget affermava che maggiori saranno le esperienze del primo periodo di vita, maggiori si costituiranno i motivi per intraprendere nuove esperienze con conseguente accrescimento dell’intelligenza. Il bambino, più che imparare delle cose, deve imparare a imparare, in via specifica attraverso le cose. Occorre quindi offrire al bambino molte occasioni di manipolazione, di risoluzione di divertenti problemi, sollecitare da lui le sue stesse domande. Ci si deve soprattutto preoccupare di abituare i bambini a sviluppare l’immaginazione, a essere creativi e aperti alle novità.
1.2. La famiglia come primo e determinante nucleo formativo del bambino.
La formazione della struttura neurologica del cervello, oltre che dalle stimolazioni ambientali, dipende in massima parte dalla qualità del rapporto emozionale stabilita tra la madre e il bambino sin dal momento della nascita.
Il rallentamento mentale è sempre la conseguenza principale di un adattamento iniziale dell’organismo ai condizionamenti ambientali, quali essi siano. Bambini cresciuti in condizioni di quasi assoluta mancanza di stimolazione socializzante hanno dimostrato una fondamentale incapacità di recupero. Se si verifica una mancanza o una deficienza dei fattori educativi di base a livello familiare, la deprivazione avrà quasi sicuramente effetti permanenti.
Nel primo periodo dell’esistenza la madre comunica i propri primi messaggi, nella forma più auspicabile, con un linguaggio colorito, con i gesti e le espressioni capaci di impegnare l’attenzione del bambino. Soprattutto nel corso del primo anno di vita il bambino è sensibilissimo all’ambiente, in particolar modo all’aspetto umano di esso, che si esprime attraverso gli atteggiamenti dei componenti la famiglia. Diventano più precoci nella padronanza del linguaggio i bambini ai quali si parla molto. Ma non solo è importante parlare molto; ciò che conta è la disponibilità a fornire sempre chiare spiegazioni sul senso e sul valore di ogni affermazione. Diciamolo ancora: non è il tipo di estrazione sociale o culturale a imporre rigidamente uno stato di deprivazione nell’educazione del bambino, ma lo può essere in maggior misura la qualità della relazione educativa famiglia-bambino.
Si può parlare, in ultima analisi, di adattamento per pure esigenze di sopravvivenza emergenti sotto un profilo sempre più pressante. Probabilmente un domani, forse non molto lontano, riusciranno a sopravvivere soltanto gli individui che, grazie alla loro grande capacità creativa e immaginativa, non saranno stati sommersi e travolti da un complesso di eventi esplosivi già oggi introdotti nel mondo delle probabilità prossime.
1.3 Errori nell’educazione.
È risaputo che la prima “sfida” attraverso la quale il bambino attorno ai due anni di vita si mette per la prima volta a confronto con l’onnipotenza dell’adulto non rappresenta altro che una fase del normale sviluppo della personalità. Con tale atteggiamento il bambino mette effettivamente a dura prova la nostra capacità di pazienza e di comprensione. Se la nostra risposta sarà una reazione di collera, ci vorrà molto poco perché il bambino si accorga del nostro lato debole e ne approfitti in avvenire per vulnerarlo con maggiore audacia. La risposta violenta all’aggressività infantile, se considerata nella sua forma esasperata e usuale, può al limite portare il bambino sino a una specie di paralisi dello spirito.
Esiste tutta una serie di errori probabili affiancata alla normale e quotidiana opera educativa e che, rifacendosi a quanto è stato esposto nel primo argomento di conversazione, si basa sulla deprivazione di quelle che abbiamo postulato come le condizioni ottimali a livello di ambiente familiare. La madre, almeno nel primo periodo esistenziale del bambino, incontra un maggior numero di occasioni atte a indurla in questi errori, nel senso che ella è la personalizzazione dispensatrice di tutto quel complesso di stimolazioni necessarie all’armonico e totale sviluppo della personalità di suo figlio. Soprattutto in vista di questo motivo è da attribuire alla figura materna educatrice una delle più grandi responsabilità nel delicato compito della formazione psichica e, nello stesso tempo, l’ineffabilità della sua opera. Indubbiamente ella dovrà, nel momento in cui sceglierà di dedicare le proprie energie e la propria intelligenza alla seconda delle sue creazioni nello stesso individuo, possedere una vasta preparazione culturale alimentata da una sostanziale disponibilità affettiva. Senza queste condizioni la più grande e la più delicata impresa che mai si possa immaginare, sia che la vogliamo chiamare formazione della personalità sia formazione e direzione dell’intelletto sia nascita del cervello, sarà piuttosto affidata alla sorte. Avremo modo di vedere più dettagliatamente gli effetti da carenza di cure materne in un prossimo argomento. Ora facciamo brevemente cenno ad alcuni di quelli che abbiamo definito come errori di deprivazione.
Una madre non preparata ad assolvere pienamente il proprio ruolo è nelle condizioni, fin dallo stato di gravidanza, di nuocere al feto con l’introduzione nel circolo sanguigno di sostanze più o meno tossiche. Durante l’allattamento, una posizione di parziale intollerabilità ai piccoli morsi del lattante può provocare in quest’ultimo stati di inquietudine. Secondo Erikson la perdita dell’originario oggetto d’amore nel verificarsi di uno svezzamento brusco può generare uno stato depressivo acuto o una condizione di tristezza che può durare tutta la vita. Qualora lo svezzamento venga arbitrariamente differito, probabilmente in conseguenza di uno stato emotivo non equilibrato della madre, si può avere come conseguenza nel bambino la tendenza a una fissazione psicologica a stadi evolutivi anteriori. Se, inoltre, la culla e lo spazio circostante appaiono squallidi, privi di forme, di oggetti manipolabili, di colori, il sistema nervoso del neonato inizierà la sua corsa sfrenata dell’evoluzione adattandosi alla povertà di stimolazioni inibendo in forma pressoché permanente le capacità esplorative, la curiosità, la fantasia, l’immaginazione. La stessa cosa accade se la madre e, in genere, le persone che hanno contatto con il bambino parleranno poco, non sapranno modulare con variazioni interessanti l’intonazione della voce, non si esprimeranno con una mimica vivace soprattutto facciale, non sapranno offrire al bambino sensazioni tattili, visive, cinestesiche, di calore. Un adattamento involutivo e inibitorio si noterà, almeno parzialmente, nei casi in cui il bambino sarà impedito di procedere carponi nel tentativo di organizzare le proprie esperienze e sarà relegato per la maggior parte della giornata in un angusto recinto appositamente costruito. Al momento dell’apparizione del linguaggio sarà molto dannosa per un ulteriore arricchimento del medesimo, per la formazione di capacità logiche, per una più ampia estensione dell’esperienza la posizione di genitori che considerino un peso il fatto d’intessere un dialogo con il bambino in ogni occasione da lui posta o di rispondere magari ripetutamente a reiterate domande fornendo risposte chiare, esaurienti. Così pure sarà condizionante il mancato apporto di stimoli specificamente tecnici e materiali attraverso i quali il bambino potrebbe trovare la normale risposta alle proprie esigenze esplorative e di apprendimento.
1.4 Il bisogno della madre.
Ruolo della figura materna nell’educazione del bambino in età prescolare.
L’origine della vita affettiva del bambino. La vita affettiva ha origine dal rapporto emozionale madre-bambino sin dal primo giorno di vita. Persino nei bambini orfani si nota il bisogno di questo rapporto. Essi creano figure parentali di tipo marcatamente illusorio, nella necessità innata di possedere un oggetto d’amore. La base dello scambio affettivo e dei futuri rapporti sociali risiede nella prima percezione esterna che ha per oggetto il volto della madre. Questa percezione si verifica in quanto durante la poppata gli occhi del bambino e quelli della madre s’incontrano. Le prime modalità di comunicazione tra madre e bambino sono espressive, ma non ancora intenzionali a doppio senso. In via generale la reazione del bambino al farsi della comunicabilità con l’ambiente si manifesta (secondo René Spitz) attraverso tre momenti organizzatori: 1) la nascita del sorriso, verso il 2° o 3° mese, allorché il bambino risponde con il sorriso alla madre riconosciuta come oggetto distinto dal Sé; 2) l’angoscia dell’ottavo mese, quando il bambino non sorride più indistintamente a tutti i volti umani, ma viene preso da una vera forma d’angoscia alla presenza di un volto estraneo; 3) La valorizzazione del segno di diniego del capo e della parola “no” come prima cristallizzazione nella vita mentale del bambino dell’inizio del pensiero astratto.
Tutta l’espressione della vita affettiva adulta dell’individuo trova la propria origine nel rapporto con l’oggetto d’amore primario, la madre. Le gratificazioni conducono il bambino all’identificazione con un oggetto buono; le frustrazioni conducono al rafforzamento di oggetti persecutori che portano con sé il rischio dell’autodistruzione.
Nei primi mesi di vita il bambino esternalizza e interiorizza oggetti fantasmatici parziali buoni e cattivi che convergono e si fondono nella madre. In termini prettamente psicoanalitici è possibile affermare che la quantità di piacere ricevuto dalla madre consente l’internalizzazione nel Super-Io dell’oggetto buono capace di frenare il sadismo primario e autodistruttivo.
Nel secondo semestre di vita appare un processo di trasposizione dalla madre agli oggetti del mondo. L’identificazione e la proiezione di oggetti fantasmatici buoni e cattivi trae origine dalla fase orale e si esprime più tardi nelle pulsioni istintive di esplorazione dell’ambiente. L’atteggiamento esplorativo rivolto a un oggetto estraneo-nemico allo scopo di controllarlo stimola e sviluppa le capacità inquisitive. I processi di identificazione e di proiezione agiranno su canali inconsci per tutta la vita.
Compiuti i due anni il bambino dimostra inquietudine nell’auto-riconoscimento dinanzi allo specchio. Solo più tardi, all’incirca verso i due anni e mezzo, compaiono qui simultaneamente l’Io e il Tu. La comparsa dei pronomi è da interpretare (secondo Bianca Zazzo) come una crisi della personazione anziché come un semplice fatto linguistico.
Mentre in precedenza l’immagine del proprio volto per il bambino aveva il valore dell’immagine del volto della madre, ora essa viene distinta e diventa come lo specchio del volto degli altri. Si verifica una estraneazione di un Sé percepito in quanto oggetto e confrontato allo specchio con un Io percipiente in quanto soggetto.
All’origine della vita affettiva il bambino ha bisogno di soddisfazioni istintive adeguate le quali, animandosi nella presenza buona garantita dalla madre, permettono al bambino di vivere testimoniando la propria presenza stessa nel mondo. Se il bambino vive una frustrazione eccedente sarà esposto all’universo della presenza cattiva che finirà per mortificare le sue possibilità evolutive biologiche e psichiche. L’esperienza primaria di piacere è offerta dalla madre ed è rappresentata dal suo volto. Verso il terzo mese di vita, infatti, il bambino ha bisogno di vedere il volto della madre non più soltanto per il soddisfacimento del proprio impulso di fame, ma come un bisogno di presentificazione umana, di inveramento. In questo periodo non sono nocive brevi assenze della figura materna in quanto esse consentono, attraverso l’investimento di oggetti transizionali, di spostare parzialmente l’interesse verso il mondo del non-Sé, delle esperienze. Un desiderio di presentificazione della figura parentale si riscontra nella paura del buio alla quale sono soggetti i bambini. In tutti i casi il bambino si apre alla vita sotto la spinta dell’emozione accesa in lui dal contatto con la madre. Ha qui origine il tessuto emotivo della vita umana che è la condizione indispensabile per arricchire la vita espressiva. Lo sviluppo del bambino sarà armonico quando egli sarà capace di passare dal principio di piacere al principio di realtà, rinunziando all’immediato appagamento delle sue pulsioni istintive grazie a un processo di interiorizzazione dell’immagine materna e di identificazione con lei.
La figura materna deve rivestirsi di entusiasmo e di piacere nel creare un buon rapporto con il bambino. Al contrario, si può trattare di una figura depressa (abbassamento del tono dell’umore, ansia, insopportazione, irritabilità, cali repentini di energia, crisi incontrollabili di pianto, pulsioni ostili, idee di suicidio). Una ricerca in merito scoprì che il 70% di bambini con madri depresse, in età prescolare presentavano disturbi emotivi e di comportamento; molto manifestavano povertà del linguaggio espressivo a 3 anni e un ritardo in lettura a 8 anni; già nei primi mesi di vita apparivano problemi di svezzamento, inappetenza, fino anche a gravi patologie alimentari e a fobia per il cibo, verso i 2-3 anni di età, seguiti da difficoltà nelle relazioni sociali e da difetti di attenzione. Si parla di incompetenza interattiva nel caso della figura materna depressa, cioè un atteggiamento di distacco nei confronti del bambino, la mancanza di giochi e di conversazioni ricchi di stimoli e di contenuti; si tratta generalmente di madri che non formulano domande, suggerimenti, spiegazioni, ma si affidano in prevalenza a comportamenti fisici e di controllo, piuttosto rigidi e privi di discussione nel momento di affrontare un problema.
Una integrazione interattiva scarsa può influire negativamente:
- sul contenimento emotivo,
- sulla capacità di funzionamento cognitivo,
- sull’impiego efficace dell’attenzione,
- sullo sviluppo di un linguaggio elaborato.
L’ostilità recepita dal bambino può indurre disturbi mentali nel bambino e privarlo di contenimento emotivo; sono generalmente bambini che crescono in seguito con povertà di legami affettivi, incapaci di amare e facilmente prede della dipendenza da gratificazioni surrogate.
Per diventare se stesso il bambino deve forzatamente passare attraverso le interpretazioni affettive e comportamentali che di lui restituisce la madre (rispecchiamento); la madre deve saper decifrare in modo corretto gli stati emotivi del bambino, attraverso la propria disponibilità affettiva e le proprie identificazioni proiettive; le sue azioni devono essere fatte con gioia, elasticità, prevedibilità; il bambino deve poter interiorizzare identificazioni parziali o totali buone (non aspetti ambigui o contraddittori) per realizzare il Sé potenziale.
Una interazione riuscita e funzionale, l’attenzione e il coinvolgimento reciproco fra madre e bambino stimolano lo sviluppo delle competenze cognitivo-linguistiche e hanno un’influenza positiva sul futuro successo scolastico.
L’adulto può arrivare a commettere abuso psicologico sul bambino in presenza di:
- punizioni eccessive,
- atteggiamenti di rifiuto,
- assenza di affettività e di calore umano,
- incoerenza estrema,
- umiliazioni, disprezzo, insulti, ricatti, sfruttamento, plagio.
In questo modo viene seriamente pregiudicata la realizzazione delle potenzialità di sviluppo e si genera un difetto nella costruzione del Sé.
Nei primi rapporti del bambino con la figura materna si possono distinguere, ancora nel periodo di attesa della nascita, almeno tre tipologie:
- madri fredde: inconsciamente accettano la gravidanza, ma la rifiutano a livello conscio: ne derivano bambini apatici;
- madri ambivalenti: accettano consciamente la gravidanza, ma la rifiutano a livello inconscio: è un segno di conflitto profondo: ne derivano bambini con frequenti vomiti, generalmente iperattivi;
- madri catastrofiche: rifiutano il figlio sia consciamente si inconsciamente: è un segno di presenza prevalente di impulsi ostili: ne derivano bambini che oscillano fra apatia, scoppi di pianto e iperattività.
Nel corso di una ricerca si notò che i bambini indesiderati manifestavano:
- minor peso e minore lunghezza corporea,
- più alto tasso di mortalità.
- maggiore rischio di paralisi cerebrale e di insufficienza mentale,
- rendimento scolastico più basso, soprattutto in materie linguistiche,
- instabilità, iperattività, minore disciplina,
- maggiori difficoltà di fronte allo stress e alla frustrazione,
- disadattamento sociale, convogliamento delle energie psichiche nell’affannosa ricerca di protezione e nello sforzo per evitare il dispiacere.
Esperimenti di vario genere hanno dimostrato che i legami affettivi hanno inizio da particolari sensazioni fisiche. La madre è tale per suo figlio non per una pura presenza fisica e assistenziale, ma in particolar modo per la sua disponibilità psicologica. Tutto ciò che concorre alla costruzione mentale del bambino non ha sede nella vita intrauterina, ma nel periodo di tempo che ha inizio dalla nascita. Il bisogno della madre va inteso nel senso di un bisogno di stimolazioni intelligenti che una madre accorta è in grado di offrire al suo bambino. Già dall’inizio della venuta al mondo il bambino subisce una contaminazione del carattere da parte del carattere della madre. Ne consegue un incoraggiamento o una repressione di determinate tendenze innate. I rapporti con gli altri e la capacità di amare saranno influenzati dal tono della relazione diadica primaria. Questi rapporti si esprimeranno verso i tre o quattro anni quando il bambino, incoraggiato dolcemente e gradualmente ad abbandonare lo stato di prevalente dipendenza dalla madre, si aprirà a un mondo più riccamente stimolante. L’incidenza dell’educazione materna precoce è stata puntualizzata grazie a precise osservazioni su gruppi di bambini con quozienti di sviluppo differenziati. Dai dati di osservazioni cliniche e di studi circostanziati si poté evincere che alcune abilità, come la competenza linguistica, la competenza intellettuale, l’esecuzione di compiti, l’attenzione che si riscontrano comunemente in un bambino di sei anni ben sviluppato, si trovassero in un gruppo di bambini di tre anni. Il che vuol dire che dette abilità segnano l’inizio in un periodo ancora precedente a quello dei sei anni. Differenze sostanziali non furono notate fra i vari gruppi di bambini nei primi mesi di vita, ma esse emersero vistosamente nel secondo anno di vita: l’intervento educativo aveva ormai fissato impronte ben delineate. Il periodo più determinante per lo sviluppo delle competenze individuali è stato indicato fra i 10 e i 18 mesi di età. In questo periodo di tempo la figura materna va creando una determinata situazione di stampo neurologico nel suo bambino, tale da poter influenzare, con forti probabilità, tutto il resto della sua esistenza. Il ruolo della madre si fonda su una capacità di organizzazione dell’ambiente stimolante e su una disponibilità di consulenza rivolta alle normali richieste del bambino. Tali atteggiamenti materni saranno della massima importanza per incoraggiare la curiosità del bambino.
Un atteggiamento iperprotettivo, peraltro, interferisce negativamente sul normale sviluppo del bambino. Da più parti si sentì affermare, in determinati ambienti culturali, che l’educazione nella prima infanzia sarebbe stata una cosa spontanea e l’intervento vero e proprio sarebbe iniziato con la scuola, a sei anni. Gli ultimi studi sulla psicologia esistenziale del bambino hanno messo in rilievo non solo la coincidenza dell’apparire del momento educativo con la nascita fisica dell’individuo, ma altresì l’importanza di ogni piccolo dettaglio del rapporto diadico primario nelle sorti dello sviluppo mentale dell’individuo. Ne deriva una grave necessità di educare a loro volta i genitori al loro delicatissimo e urgente quanto responsabile compito. Se vogliamo parlare di rinnovamento dell’educazione, di riforma, dobbiamo considerare come punto di partenza del condizionamento educativo la stessa figura materna, prima ed essenziale maestra. La stessa cosa dobbiamo tenere presente quando poniamo il problema del recupero scolastico: la prevenzione di uno stato psichico generalizzato tendente a mediocrità di prestazioni, a muovere con le possibilità educative fin dalla nascita, non già con la ricerca disperata di rimedi tardivi tanto costosi quanto infruttuosi.
1.5 Le carenze da cure materne.
Gli effetti della deprivazione di cure materne e soprattutto dell’amore materno hanno una portata via via più grave quanto minore è l’età del bambino e quanto più prolungato è il periodo di deprivazione. René Spitz ha codificato i disturbi che ne possono derivare con le denominazioni seguenti: 1) la depressione anaclitica: in bambini che hanno perso la madre dopo i primi sei mesi di vita, qualora l’assenza si prolunghi oltre i due mesi, si verifica un rifiuto di contatto oggettuale; il bambino rimane accovacciato nella culla, non dorme, dimagra, si ammala facilmente; presenta ritardo motorio e un’espressione facciale rigida tipica; dopo tre mesi di deprivazione si ha un aggravamento sino alla letargia; se prima della fine del quinto mese il bambino è restituito alla madre, i disturbi scompaiono rapidamente; 2) il marasma: viene definito per i bambini che perdono la madre all’età di tre mesi; essi ripercorrono tutti gli stadi della depressione anaclitica; rimangono a letto inerti, con espressione idiota e incapaci di girarsi; a quattro anni alcuni non riescono a camminare, a stare in piedi e a parlare; nel 37% dei casi, ai sensi delle osservazioni effettuate da Spitz, muoiono nel giro di due anni; 3) ospedalismo: Anna Freud osservò che il bambino ospedalizzato alla nascita può tollerare nei primi due mesi il mutamento della nurse purché la soddisfazione istintiva sia adeguata; secondo Spitz questi bambini sono sempre dei carenziati sul piano dell’istinto; il bilancio della formazione della vita affettiva gioca nel senso che le frustrazioni risultano eccedenti rispetto alla quantità di soddisfazioni, con la conseguente formazione di oggetti persecutori; la mancanza della madre, parallelamente alla pluralizzazione degli oggetti di investimento, si esprime in un processo di dispersione che starebbe alla base del livello intellettivo basso riscontrato solitamente nei bambini ospedalizzati.
La frustrazione infantile precoce, considerata come carenza di amore materno, agisce direttamente e, nei casi gravi, in modo irreversibile, sulla maturazione della vita affettiva del bambino attraverso meccanismi somatici e psichici: alterazione del ritmo respiratorio, insufficienza di ossigenazione, incompleta maturazione nervosa e neurovegetativa, alterazioni ormonali e vitaminiche, stati di angoscia-panico, aumento della morbilità, difficoltà nella capacità di concettualizzazione del tempo, ritardo nel linguaggio, estinzione delle capacità relazionali. La frustrazione infantile precoce può, in molti casi, porsi all’origine di personalità dissociate o delinquenziali, di schizofrenie, di stati psicopatici, dell’alcoolismo, di alcune malattie psicosomatiche. Pure la formazione caratteriologica subisce una deformazione. Una frustrazione infantile lieve e ben dosata è invece utile all’equilibrato sviluppo dell’affettività.
Il danno appare quando si tratti di una sostanziale mancanza di adeguate cure materne. In tal caso il danno può essere irreparabile e spesso devastante per la stessa persona fisica, soprattutto qualora si tratti del primo anno di vita. In questo periodo il bambino ha assolutamente bisogno del rapporto con la madre per trarre lo stimolo allo sviluppo di tutti gli aspetti della propria personalità, a prescindere dalla qualità e dall’intensità delle cure offertegli da figure sostitutive.
In principio c’è l’attaccamento:
- è un sistema indipendente, non derivato, con radici biologiche,
- la sua qualità va di pari passo con la qualità e la continuità delle cure materne,
- la qualità dei primi rapporti di attaccamento influenza fortemente l’organizzazione precoce della personalità e, soprattutto, darà forma al concetto che il bambino avrà di sé e degli altri.
L’attaccamento può essere ansioso: l’ansia è patologica quando è pervasiva (il bambino può temere di perdere la figura-oggetto d’amore anche se gli è vicina; o non la cerca quando si imbatte in un reale pericolo). Le minacce di abbandono e di perdita dell’amore sono pericolosissime per l’equilibrio psico-affettivo del bambino (Es., a un bambino di 4 anni: “se continui così, mi farai morire!”): creano senso di colpa e angoscia di separazione. Le fantasie di abbandono trascinano il bambino nel lutto della perdita: questo non è patologico se viene elaborato, ma diventa un vero impedimento alla crescita interiore se non viene risolto, se scatena angosce e sensi di colpa eccessivi o qualora sia del tutto assente; può risolversi in una depressione nell’età adulta.
Bisogna che l’attaccamento sia un evento sicuro che, attraverso l’amore e il sostegno, offra sicurezza, stabilità, continuità, fiducia. Si avranno così bambini più costanti, più fiduciosi in se stessi, più collaborativi, più curiosi, dotati di personalità meno rigida, più adeguati nei rapporti con gli altri, più empatici e meno aggressivi (il presupposto dello “star bene insieme”).
1.6. In principio, la sicurezza.
I cenni via via riportati sull’insorgere e sul consolidarsi delle difficoltà che possono condurre all’insuccesso scolastico ci hanno trascinato spesso a ritroso nei vissuti del bambino. E questo è inevitabile, per il fatto che spiegare un fenomeno non è l’equivalente del comprenderlo. Per capire qualcosa, in una questione così complessa come è quella del disturbo di apprendimento scolastico, è necessario non accontentarsi del “come”, ma indagare sino a risalire al “perché”, e ciò presuppone, per l’appunto, un percorso all’indietro, se si conviene che in una argomentazione di questa levatura critica non sia sufficiente fermarsi all’analisi dei sintomi del disturbo, ma occorra procedere alla scoperta delle cause. E le cause, quasi sempre, sono rintracciabili in una situazione precoce, tanto precoce che sembra non aver nulla a che vedere con le dinamiche di apprendimento scolastico, pur tuttavia cruciale per l’intero sviluppo della persona. Il riferimento stretto è per la situazione di “attaccamento”, all’interno della quale si forma l’indispensabile senso della sicurezza primaria.
Ogni creatura superiore, partiamo dai primati per intenderci meglio, possiede schemi comportamentali innati che la inducono, dalla nascita, a cercare protezione presso una figura di adulto che si prenda cura di lei. Questa protezione è indispensabile per assicurare la soddisfazione di alcuni bisogni vitali: il bisogno di sicurezza, il bisogno di cibo, il bisogno di contatto fisico, il bisogno di interazione sociale.
Madre e bambino, per conto loro, seguono precisi schemi pre-programmati, specifici della specie umana: da parte del bambino il sorridere, il piangere, l’aggrapparsi, il protendersi; da parte della madre la particolare sensibilità ai segnali emessi dal figlio, il saper riconoscere e distinguere i vari tipi di pianto, la pronta disponibilità a offrire le cure necessarie, il piacere della vicinanza e del contatto fisico.
L’attaccamento, dunque, garantisce al bambino il mantenimento del contatto fisico necessario a veicolare la sensazione di protezione. In stretta connessione a quanto detto, la perdita di una forma stabile di attaccamento e quindi il venir meno della certezza della protezione, o anche soltanto la paura fantasticata relativamente a tale possibile perdita, può ingenerare angoscia, quella che viene chiamata “angoscia di separazione”. Se, per giunta, è proprio la figura materna a difettare di sensibilità nella interpretazione dei segnali indicatori del bisogno di protezione, di vicinanza, di contatto fisico emessi dal bambino, la configurazione di attaccamento madre-bambino diventa insicura e genera ansia. La qualità delle dinamiche del rapporto di attaccamento pone le basi per la solidità futura del senso di sicurezza nell’individuo. Sentirsi sicuri (es.: lo scalatore in una cordata alpinistica adeguatamente attrezzata) vuol dire potersi sporgere, tentare vie nuove, spingersi a esplorare, scoprire; in una parola, apprendere. Da studi effettuati in ambito specifico pare potersi affermare che il comportamento esplorativo si manifestava, nei casi osservati, in proporzione della qualità del legame affettivo primario di attaccamento stabilito fra il bambino e la propria figura materna. Ciò che produce brutti contraccolpi sulla organizzazione del senso di sicurezza è una relazione di attaccamento che va oscillando fra l’ambivalenza e l’evitazione: il comportamento materno, in casi come questi, può alternarsi nel fornire al bambino segnali di valenza opposta (“vieni da me – vattene, non ti voglio vedere; bello, caro – brutto, cattivo; ora la mamma viene a consolarti – come rompi, accidenti!”). I primi elementi delle coppie polari fra parentesi, quelli positivi, sono chiaramente i più augurabili, ma è essenziale che gli atteggiamenti corrispondenti siano immersi in condotte evolutive continuative e coerenti, perfettamente ripuliti di qualsiasi componente o condizione portatrice di motivi, ancorché minimi, di ambiguità, di contraddizione, di imprevedibilità. Perché un bambino cresca equilibratamente sano è assolutamente da scongiurare il verificarsi che l’avvicendamento di avvicinamento e di allontanamento all’interno della diade anaclitica assuma tonalità intollerabili né si può ammettere che un bambino viva in un contesto a due dove egli viene evitato, dove esiste rifiuto, conscio o inconscio che esso sia. Tutto ciò che si avvera nel corso del primo anno di vita del bambino ha un gran peso sul tipo di evoluzione individuale che seguirà. La personalità del bambino andrà successivamente organizzandosi attraverso percorsi che con estrema facilità ricalcheranno i modelli comportamentali di attaccamento primari. Proprio a causa di questa loro tendenza reiterativa, i modelli di attaccamento primari finiscono per perpetuare una ostinata rigidità di approccio educativo, che può diventare retaggio intergenerazionale, con tutte le conseguenze moltiplicative che possono essere scatenate.