Figli di nessuno che noi siam, fra le rocce noi viviam…

Breve rassegna dell’epopea Alpina nella Grande Guerra, in 7 puntate

Episodio #03

È il ritornello di un canto alpino che mette in luce la stretta connessione dell’uomo-alpino con le vette e le rupi sulle quali il Combattente esprime il proprio valore e il coraggio incrollabile. 
Qui di seguito un rapido sguardo, contenuto in alcuni fra gli innumerevoli fatti episodici, a chi erano e a che cosa fecero gli Alpini sulle Montagne durante il primo Conflitto mondiale.

Monte Nero. Era la notte fra il 15 e il 16 giugno 1915. Il battaglione Alpini Exilles aveva il compito di impadronirsi della vetta del monte. Il reparto mosse l’attacco con la 84a Compagnia del capitano Vincenzo Arbarello sulla sinistra, dove si profilava l’orlo di un precipizio, e con la 31a al comando del capitano Rosso sulla destra. Giunsero le ore 3,30 allorché le vedette austriache si accorsero della presenza ravvicinata degli Alpini e aprirono il fuoco. Fu in quel momento che il sottotenente Alberto Picco si slanciò all’assalto con la pattuglia di punta formata da cinque uomini scelti. Al suo seguito avanzavano il capitano Arbarello e il plotone di testa dell’84a compagnia, con tutto il resto del battaglione. Gli Austriaci opposero una breve resistenza, ma poi, vistisi sopraffatti, retrocessero lasciando sul terreno 18 morti e 10 uomini fatti prigionieri. Erano le 4,45 del mattino e la conquista del Monte Nero era un fatto compiuto, ma il tenente Picco aveva abbandonato la vita in quell’impresa. Il re Vittorio Emanuele III gli conferì, motu proprio, la Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Nella zona del Monte Nero furono i battaglioni alpini Intra e Val Toce a conseguire brillanti risultati con la conquista della colletta che separava la cima del Monte Nero dalla quota 2163. A memoria della sanguinosa lotta qui svoltasi dagli Alpini la stessa quota 2163 (già quota Luznica) assunse da quel momento il nome di Monte Rosso. Fu una lotta che costò molti sacrifici agli Alpini nei giorni correnti fra il 19 e il 21 luglio 1915. Le perdite furono di 324 uomini, di cui 79 morti per il batt. Intra, di 51 uomini di cui 19 morti per il batt. Val Toce, di 304 uomini di cui 87 morti per il batt. Val d’Orco. In seguito a questa azione valorosa i battaglioni Intra e Val d’Orco furono insigniti di Medaglia d’Argento al Val-or Militare.

Col di Lana. Qui (Sud del Passo di Falzarego) si inaugurò tristemente la guerra di mine per stanare gli avversari dell’una e dell’altra parte. Fu una serie di mine e contromine fatte saltare per distruggere le posizioni avversarie. In seguito ai sanguinosi scontri e alle stragi conseguenti sulla quota 2221 a fine ottobre 1915, strage che aggiunse al Col di Lana l’appellativo di “Col di Sangue”, una lunga serie di esplosioni sotterranee si concluse, nella primavera successiva, con un sacrificio che, per le parti contrapposte, ammontò a 18.000 uomini.

Melette di Gallio. Siamo sull’Altipiano dei Sette Comuni, in piena Strafexpedition, la Campagna di primavera voluta dal generale austriaco Conrad von Hötzendorf con l’intenzione di spingere le falangi austriache verso la pianura vicentina e aggredire a tergo l’Esercito Italiano sull’Isonzo per distruggerlo. Il 29 maggio 1916 operava il Gruppo Alpini Foza con alcuni battaglioni del 2° Reggimento: Argentera, Monviso, Val Maira. Il batt. Argentera era stato inviato a occupare la linea che collegava il Monte Sbarbatal con il Monte Meletta di Gallio. Il batt. Monviso, che aveva appena sostenuto un aspro confronto a fuoco con gli Austriaci, si dovette spostare per portare aiuto al batt. Val Maira sul Monte Longara. I superstiti dei tre battaglioni si riunirono nella conca di Malga Lora mentre accorreva sulla linea del fuoco il batt. Alpini Morbegno. Tre giorni appresso le operazioni si spostavano sul Monte Castelgomberto per il batt. Val Maira, sul Monte Tondarecar per il batt. Monviso e sul Monte Spil per il batt. Argentera in funzione di riserva. L’ordine di resistenza a oltranza aveva raggiunto i battaglioni alpini sopra nominati sulla linea impegnata sino al Monte Fior. Sarà poi dimostrato, con il risorgere degli entusiasmi nel corso della Battaglia del Piave, corrente il mese di giugno 1918, che la disperata ed eroica resistenza opposta alle forze austriache dai battaglioni alpini due anni prima attorno ai capisaldi di Monte Fior e di Monte Castelgomberto per impedire l’invasione sul nostro patrio suolo aveva senza dubbio salvato l’Italia.

Monte Cimone. Ancora il periodo della Strafexpedition sferrata dal gen. Conrad per invadere la pianura padana attraverso l’Altipiano di Asiago. Il 19 maggio 1916, dopo appena quattro giorni dall’inizio dell’ondata d’invasione austriaca, la nostra 35a divisione di Fanteria aveva subito perdite disastrose. Il reparto che si era letteralmente immolato nel confronto armato fu il batt. Alpini Vicenza: inizialmente aveva una forza di circa mille uomini, ma soltanto 150 o 200 di loro fecero ritorno dalla battaglia di sfondamento divampata presso Folgaria. Gli Alpini nonpensarono neppure per un attimo a desistere: il 23 luglio scalarono la parete sud del monte, sorpresero gli avversari coinvolgendoli in una lotta furiosa corpo a corpo, ma una mina austriaca di terribile potenza sconvolse le nostre posizioni e il Cimone rimase in mano austriaca per tutto il resto della guerra.

Monte Pasubio. A inizio luglio 1916 Alpini e Kaiserjäger tirolesi si scrutavano dalle loro trincee scavate a breve distanza le une dalle altre. Le ostilità scoppiarono furibonde il 17 luglio. La posizione del Pasubio rivestiva una formidabile importanza strategica in quanto una definitiva perdita da parte nostra avrebbe comportato il crollo di tutto il fronte tra l’Adige e l’Astico, se non proprio fino al Brenta. Il 9 ottobre ebbe luogo un altro feroce scontro fra Alpini e Kaiserjäger: ancora scontri corpo a corpo, cadaveri dappertutto. La sorte arrise ai Kaiserjäger. Le formazioni alpine, fra le quali spiccava il batt. Aosta, si fecero avanti nella notte sul 20 ottobre e anche in quest’occasione i combattenti delle vette si dimostrarono soldati tenaci e valorosi, nonostante la perdita di 4.000 fra di loro. Il confronto armato prese quindi il devastante aspetto della guerra di mine di cui, la più rovinosa, quella austriaca del 13 marzo 1918, con le sue 50 tonnellate di esplosivo ad alto potenziale dirompente provocò il crollo della testa del Dente italiano seppellendo almeno cinquanta Alpini.

Marmolada. Gli Alpini escogitarono espedienti di alta tecnologia per arrivare sulla cima che resisteva in mano austriaca sin dall’aprile del 1916. Resistettero a ritmi di vita insopportabili ad alta quota sino al disastro di Caporetto, dimostrandosi sempre, come furono definiti dall’avversario, “autentici soldati di razza, nemici valorosi e cavallereschi”. Dovevano destreggiarsi su una coltre di neve che, nell’inverno 1916-1917, raggiunse persino i cinque metri di profondità. Dovevano subire l’insulto delle valanghe, come anche peraltro i loro avversari: si ritenne che circa 20.000 fossero state le vittime delle valanghe, dall’una e dall’altra parte, nel corso di quell’inverno, alle quali si aggiunsero i colpiti da congelamento che assommarono ad alcune migliaia di mutilati.

Monte Cauriol. Il Cauriol era importante perché si trovava in una posizione dominante tutta la Val di Fiemme. Fu conquistato dal batt. Alpini Feltre il 27 agosto 1916, dopo due giorni di lotta feroce. Fu un primo successo rilevante in quel contesto, ma costò al Feltre pesanti perdite: 11 ufficiali e 199 Alpini di cui 26 morti. Gli Austriaci reagirono violentemente e lanciarono l’offensiva contro il batt. Val Brenta che il 1° settembre aveva sostituito il Feltre, ma incontrarono vigorosa resistenza, tanto da dover rinunciare alla conquista del Cauriol. Il Val Brenta, tuttavia, che in due giorni di furiosi scontri armati aveva perso 214 uomini su un organico originario di 350, ottenne il cambio dal batt. Alpini Val Cismon e da reparti del 49° Regg. Fanteria. Il Feltre, ancora, il 2 ottobre venne sostituito dal batt. Alpini Monte Arvenis al comando del maggiore Tessitore.

Piccolo Lagazuoi. Gli Alpini, asserragliati su una cengia nei pressi del Falzarego, vennero massacrati da una mina austriaca di 24 tonnellate di esplosivo il 22 maggio 1917, che, dall’alto, provocò il crollo di 130.000 metri cubi di roccia su 200 Alpini. Si accendeva anche qui una terrificante guerra di mine i cui esiti si limitarono a massacri di vite umane sino alla fine del conflitto.

Vodice. Il mese di maggio 1917 decretò gravissimi sacrifici per i battaglioni alpini. Fu il batt. Val Pellice a lamentare le perdite maggiori fra quelle registrate in tutto il corso della prima Guerra mondiale, ossia 14 ufficiali e oltre 400 Alpini. Il batt. Monte Cervino fu decimato dai colpi dell’artiglieria nemica. In soli tre giorni, a partire dal 25 maggio 1917, perse 15 ufficiali fra cui il comandante Federico Sandino e 367 Alpini. La tragedia aveva avuto un corrispettivo, nelle medesime dimensioni, tra il 17 novembre e il 4 dicembre dell’anno precedente sul Monte Fior e sulla Meletta di Gallio in zona Altipiano di Asiago.

Ortigara. (Da Alberto Readaelli, Vita con gli Alpini della “grande guerra”, Hobby e Work Ed., Milano 1994): “Le pagine più tragiche sono quelle del cappellano Luigi Sbaragli [del batt. Alpini Sette Comuni], che visse in prima persona i sanguinosi attacchi sull’Ortigara: «Per noi l’attesa ora punge. Mancano cinque minuti: giù i parapetti per gli sbocchi. Ancora tre minuti: via i reticolati…Una stretta di mano ai più vicini… e via giù per la china… Gli sbocchi delle nostre trincee vomitano uomini…ma le mitragliatrici nemiche li falciano…Vedo la catena di uomini che si spezza. Vedo i soldati che vacillano e cadono pesantemente. Qualche caduto tenta di rialzarsi, si trascina carponi, si attacca ai reticolati per tornare in trincea. Molti ricadono e tendono le mani… Il cielo è ferro e fuoco… gli scoppi si susseguono feroci, si confondono, si moltiplicano fra le gole dei monti…Il nostro posto di medicazione è già un carnaio, un ammasso di esseri sanguinolenti frenetici spasmodici. I feriti gravi vaneggiano… l’odore del sangue cresce, si fa irritante, insopportabile…Sono migliaia gli uomini che hanno bisogno d’aiuto…i morti. I più sono irriconoscibili…Si inizia subito un contrattacco nemico…Mi trovo nel centro di un’immane fornace…L’orizzonte è una cortina di fiamme…Non siamo più uomini…I feriti giungono così esauriti da credere che abbiano assistito a un eccidio sovrumano, C’è un attimo di terrore. Corrono le voci più strane…di massacri, di completo annientamento…».”

Asolone. La forza e la tenacia degli Alpini nei combattimenti era un vanto per i loro ufficiali. Il 14 dicembre 1917 il tenente Eugenio Garrone dell’8° Reggimento Alpini fu fra i primi, nella battaglia dell’Asolone, a cadere ferito. Era stato colpito al petto. Fu subito disteso su una barella per essere trasportato al più vicino posto di medicazione. Nello spasimo del dolore continuava a ripetere: «Viva l’Italia, di là non si passa, vi sono i miei Alpini!» (In Paolo Volpato, Asolone, monte di fuoco, Nordpress Ed. Chiari 2008).

Monte San Matteo. Nella battaglia per la conquista del San Matteo il capitano Arnaldo Berni, batt. Tirano, eroe della difesa sulla vetta del monte, cadde il 3 settembre 1918 travolto da un enorme blocco di ghiaccio nel corso della battaglia e ne rimase sepolto, né la sua salma venne mai ritrovata, rimasta lassù, a consacrare con una fine eroica la cima dove si combatté l’ultima grande battaglia delle Aquile. Il cap. Berni era reduce dalle battaglie del Monte Scorluzzo e del Passo dell’Ables nel gruppo Ortles-Cevedale nel 1916. Per il valore dimostrato nella difesa della Punta di San Matteo al cap. Berni fu conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare.

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