Nella mente dei Pensatori
Steven Weinberg
I primi tre minuti. L’affascinante storia dell’origine dell’Universo
Mondadori – De Agostini, Milano 1994-1997, Novara 1994
Originale: The First Three Minutes. A Modern View of the Origin of the Universe
Traduzione italiana di Libero Sosio
Ma dove stiamo andando? È la domanda che affiora alla mia mente dopo la lettura del lavoro di Weinberg, esperto di fama mondiale in cosmologia e strutture delle particelle elementari. Chi si appresta a entrare fra le pagine di questo volumetto divulgativo (Grande Biblioteca Discovery di divulgazione Scientifica) può ripercorrere sentieri cognitivi conosciuti, ma anche incontrarsi con realtà impensabili, affascinanti e finanche misteriose nel loro impatto sulle nostre attese nei riguardi del non conosciuto e del senso di infinito. Queste, almeno, sono le impressioni di prima mano che mi hanno colpito e che cammin facendo mi hanno lasciato sovente “con animo turbato e commosso”.

L’interesse per l’argomento sviscerato e approfondito nell’opera che vado ad analizzare scaturisce, a mio modo di vedere, dall’asserzione che i problemi generati dalla teoria delle particelle e quelli legati alla cosmologia si incontrarono all’alba della vita dell’Universo, più precisamente nel primo centesimo di secondo. L’argomento di fondo verte su quanto si è scoperto attorno alla primissima fase evolutiva dell’Universo e a muovere dalla scoperta della radiazione cosmica a microonde, avvenuta nel 1965.
L’autore esordisce nella propria introduzione dando, per così dire, un assaggio di quel che seguirà portando l’immaginazione del lettore all’attimo iniziale di quella supposta esplosione o espansione o liberazione di energia che si verificò ovunque e nel medesimo tempo, scagliando nello spazio infinite particelle di materia in rapido allontanamento l’una dall’altra. Era allora una vera fornace, ardente alla temperatura di qualcosa come 100 miliardi di gradi centigradi, nella quale si agitavano in gran massa le particelle elementari. Nella situazione descritta si verificò un rapido – si fa per dire – abbassamento della temperatura: dopo un decimo di secondo a 30 miliardi di gradi, dopo un minuto a 10 miliardi, dopo 14 minuti a 3 miliardi, e a un miliardo di gradi appena trascorsi i primi tre minuti. All’origine dell’Universo la luce diffusa ovunque costituiva il fattore fondamentale.
I vagiti di un Universo neonato, ossia la radiazione cosmica di fondo.

Nel 1964 Arno A. Penzias e Robert W. Wilson iniziarono a misurare l’intensità delle radio-onde presenti nella nostra Galassia. Lavorando sulla lunghezza d’onda di 7,35 centimetri compresero che le radio-onde cercate provenivano da ben più lontano, dall’esterno della Via Lattea. Alla Johns Hopkins University un giovane teorico di Princeton, P.J.E. Peebles, durante una sua conferenza confidò di aver scoperto la possibilità che esistesse un fondo di rumore radio residuo proveniente addirittura dal momento in cui nacque il nostro Universo. L’ipotesi sostenuta da Peebles riguardava la grande quantità di idrogeno sottoposta alle sue osservazioni: da tale enorme massa, all’inizio l’Universo sarebbe stato caratterizzato da una quantità parimenti enorme di radiazione che avrebbe sviluppato un’azione inibitrice nei confronti della formazione di elementi pesanti. Avendo poi l’Universo in espansione abbassato fortemente la propria temperatura, la conseguenza fu che ai tempi nostri possiamo renderci certi della radiazione cosmica nella fattezza di rumore radio di fondo che si propaga da e verso tutte le direzioni.
Nel 1948 altri studiosi citati: George Gamow, Ralph Alpher e Robert Herman svilupparono e sostennero la teoria del Big-Bang e pervennero all’enunciazione dell’esistenza di un fondo di radiazione a una temperatura attuale attorno ai 5 gradi Kelvin (Nel Sistema Internazionale l’unità di misura della temperatura è il Kelvin, dal nome del fisico inglese Lord Kelvin fin dal 1847. Lo zero della scala Kelvin corrisponde a -273,15 gradi centigradi, indicato come zero assoluto, più sotto del quale non si può andare. Il punto di fusione del ghiaccio è indicato con una temperatura di 0° che corrisponde a +273,15 gradi Kelvin. Qualora si voglia trasformare in gradi Celsius una temperatura in Kelvin occorre sottrarre il valore di 273,15). Nel 1964 Robert H. Dicke, fisico sperimentale di Princeton, ipotizzò la presenza di una radiazione risalente ai primi istanti di vita dell’Universo, che potesse essere osservata e potesse rivelare di sé una forma residua dell’età dell’Universo quando questo era molto denso e caldo.
Fino all’età di 700.000 anni l’Universo, data l’elevata densità e l’eccessivo calore in cui era immerso, non poteva consentire la formazione di galassie e di stelle e persino negava agli atomi di assumere la fisionomia che oggi conosciamo, quella rappresentata dai nuclei con gli elettroni. Tutto questo era come una barriera alla corsa dei fotoni che si scontravano con un muro di elettroni liberi che li avrebbero o diffusi o assorbiti. La formazione degli atomi nella loro struttura di nuclei ed elettroni fu possibile soltanto con l’espansine dell’Universo e il suo concomitante raffreddamento fino a 3.000 gradi Kelvin. La formazione degli atomi decretò la scomparsa degli elettroni liberi e questo evento fu responsabile della dissoluzione del contatto termico fra radiazione e materia, per cui la radiazione fu libera di espandersi a sua volta, non trovandosi più in equilibrio termico con la materia. Penzias e Wilson trovarono che la radiazione a microonde aveva un’intensità corrispondente a una temperatura di circa 3 gradi Kelvin e questo si presenta come il segnale più antico che ci sia pervenuto, partito ancora molto prima della luce emessa dalle galassie più lontane scoperte fino a oggi.
L’Universo ha una propria densità dovuta alla presenza di particelle nucleari ossia di neutroni e protoni. Si stima che tale densità corrisponda a una quantità tra le 6 e le 0,03 particelle per m3 e per ogni particella nucleare vagante nell’Universo si conterebbero da 100 milioni a 20 miliardi di fotoni.
Le galassie poterono iniziare ad avere vita soltanto nel momento in cui si vennero a formare gli atomi primordiali ossia quando la temperatura globale diminuì fino al punto da consentire ai protoni di catturare gli elettroni liberi. Questo accadde a una temperatura di circa 3.000 gradi K (Kelvin), quando la pressione di radiazione era fortissima. Scomparsi dunque gli elettroni che vagavano in totale libertà, l’Universo divenne trasparente alla radiazione e la pressione di radiazione subì un calo di efficacia. Prima di quest’epoca l’Universo era costituito semplicemente da un miscuglio ionizzato e indifferenziato di materia e radiazione.

L’energia presente in una particella nucleare corrisponde a 939 milioni di elettronvolt (Qui e altrove si ricorre all’uso del termine “elettronvolt” che corrisponde all’energia di cui si riveste un elettrone per una differenza di potenziale di 1 volt). Oggi la maggior parte dell’energia contenuta nell’Universo è costituita da materia anziché dalla radiazione che dominava invece in epoche precocissime, e questo avvenne proprio a quella temperatura di circa 3.000 K allorché l’Universo stava diventando trasparente alla radiazione. Attualmente l’Universo è attraversato da un fondo universale di radiazione a una temperatura di circa 3 K. Il periodo in cui l’Universo stava diventando trasparente alla radiazione segnò anche il momento di passaggio da un’era di radiazione a un’era pervasa da materia. Nell’era della radiazione l’Universo era opaco a causa dello scontrarsi dei fotoni con elettroni, protoni e neutrini. La temperatura era altissima e le collisioni tra fotoni riuscirono a dare origine a particelle di materia nata, per così dire, dall’energia pura. La materia a quello stadio, pertanto, era originata dalla radiazione. Qualora due fotoni fossero entrati in collisione si sarebbero annichiliti e l’energia in essi compresa si sarebbe annullata producendo di conseguenza l’apparizione di due o più particelle materiali.
Portato l’esempio nella formazione dell’Universo e riandando all’epoca dei 3.000 K, nel momento in cui l’Universo iniziava a diventare trasparente alla radiazione, l’energia trattenuta da un singolo fotone era di circa 3.000 K moltiplicati per la costante di Boltzmann ossia 0,26 elettronvolt (il valore della costante di Boltzmann è pari a 0,00008617 elettronvolt per ogni grado K). Due fotoni che abbiano una sufficiente carica di energia, in collisione fra loro, possono produrre una coppia elettrone-positone, convertendo nelle masse di queste due particelle la propria energia. Perché questa trasformazione creativa si verificasse occorreva che l’energia di ciascun fotone superasse la soglia di 511.003 elettronvolt a una temperatura superiore ai 6 miliardi di gradi K. Il tempo totale che l’Universo impiegò perché la temperatura scendesse da 100 milioni a 3.000 gradi K fu di 700.000 anni.
C’è un problema: se all’alba dell’esistenza dell’Universo ci fosse stato un numero uguale di particelle e di antiparticelle, allora tutte quante sarebbero state coinvolte in un processo di annichilimento, lasciando nel tutto esclusivamente una enorme quantità di radiazione, ma si può pensare che vi fosse primariamente stato un esubero di elettroni sui positoni, di protoni sugli antiprotoni, di neutroni sugli antineutroni.

Una prescrizione cosmica di infinita precisione: parlando di densità dell’Universo, Weinberg osserva che “la densità media della carica elettrica dell’Universo considerato nel suo complesso è zero”. Una seppur minima variazione di questa situazione di fatto comporterebbe conseguenze di enorme portata. “Se la Terra e il Sole avessero un’eccedenza di cariche positive – conferma Weinberg – rispetto a quelle negative” oppure nel senso opposto, fosse anche soltanto di una parte su 1036 (ossia il numero 1 seguito da 36 zeri), succederebbe che la repulsione elettrica fra i due corpi celesti supererebbe quella che è la loro attrazione gravitazionale, con tutti gli scompensi cosmici che ne potrebbero derivare. Quando si dice che la carica elettrica dell’Universo è pari a zero, questo significa che esiste un elettrone di carica negativa, nell’Universo, per ogni protone di carica positiva. Un caso singolare di ciò che si svolge nell’Universo è quello dei neutrini: provengono dal Sole e si producono nel momento in cui i protoni si trasformano in neutroni nel corso delle reazioni nucleari all’interno della nostra stella. I neutrini, privi di massa, attraversano la Terra, trasparente al loro passaggio, di giorno e tornano verso l’alto di notte.
I primi tre minuti.
“Al di sopra di una temperatura soglia di 1500 miliardi di gradi K l’Universo conteneva un numero elevato di particelle note come pioni, i quali pesano circa un settimo di una particella nucleare”. Weinberg descrive l’evoluzione dell’Universo a partire da 1/100 di secondo: “appena dopo la sua nascita, allorché la temperatura era di 100 miliardi di gradi Kelvin, l’Universo abbondava di materia e radiazione in una sorta di miscuglio indifferenziato e ospitava una scena caratterizzata da particelle in moto e destinate a urtarsi reciprocamente”. L’Universo, in questa fase, si trovava in perfetto equilibrio termico. In questo miscuglio abbondavano elettroni, positoni e particelle prive di massa ossia fotoni, neutrini e antineutrini, in un Universo a densità altissima nella misura di 3,8 miliardi di chilogrammi per decimetro cubo e tale che “Se il monte Everest fosse fatto di materia così densa, la sua attrazione gravitazionale distruggerebbe la Terra”. A quell’epoca prevaleva di gran lunga la presenza di particelle prive di massa, tanto che le particelle che formano il nucleo dell’atomo, protoni e neutroni, si trovavano nel rapporto di 1 a 1 miliardo di fotoni o elettroni o neutrini. A quell’epoca protoni e neutroni non formavano ancora un nucleo atomico, perché alla temperatura di 100 miliardi K i nuclei complessi venivano sistematicamente distrutti subito dopo essersi formati.
Non è possibile definire la grandezza dell’Universo in quella precocissima fase della sua esistenza, ma l’Universo di oggi può essere stimato come compreso in una circonferenza estesa per 125 miliardi di anni luce. La temperatura globale dell’Universo è diminuita dai 100 miliardi K dell’inizio, in proporzione inversa alla sua espansione, fino ai 3 gradi K di oggi. La temperatura dell’Universo, dopo appena 0,11 secondi, scese fino a 30 miliardi K e, dopo un minuto e 9 secondi, a 10 miliardi K. A quell’epoca i neutrini e gli antineutrini ricoprivano il ruolo di particelle libere, abbandonando l’equilibrio termico che avevano con gli elettroni, i positoni e i fotoni. Elettroni e positoni, incontrandosi, si annichilano e questo avviene a una velocità superiore a quella generata dalla radiazione per ricrearli. Trascorsi 13 minuti e 82 secondi dall’inizio dell’Universo la temperatura è ridotta a 3 miliardi K. Elettroni e positoni, annichilendosi, spariscono rapidamente liberando contemporaneamente energia che diventa la responsabile del rallentamento di raffreddamento dell’Universo. Dopo 3 minuti e 2 secondi gli elettroni e i positoni hanno subìto una fortissima diminuzione; nell’Universo primeggiano componenti assai più frequenti, come i fotoni, i neutrini e gli antineutrini. Neutroni e protoni già in collisione con elettroni, neutrini e loro antiparticelle rallentano di molto questa dinamica, mentre ogni 100 secondi una percentuale di 1 su 10 dei neutroni ancora sulla scena finirà per decadere nella forma di protoni, con un rapporto del 14% per i neutroni e dell’86% per i protoni. Passando alla fase che segna 3 minuti e 46 secondi dall’inizio, a una temperatura di 900 milioni K, con un rapporto di 1 miliardo di protoni per ogni particella nucleare, si dà inizio alla sintesi dei nuclei atomici. Il decadimento dei neutroni, sopra segnalato, distribuisce ora il rapporto fra neutroni e protoni nella misura del 13% per i neutroni e dell’87% per i protoni.

Successivamente, allorché la temperatura è scesa a 300 milioni K, nel tempo di 34 minuti e 40 secondi dall’inizio, l’annichilimento fra elettroni e positoni è giunto al completo, con un piccolo residuo di elettroni, 1 su 1 miliardo, che serve per controbilanciare la carica dei protoni. Da tale annichilimento si libera un’energia che fornisce ai fotoni una temperatura superiore del 40,1% nei confronti della temperatura dei neutrini. In quanto a densità di energia dell’Universo abbiamo il 31% di neutrini-antineutrini e il 69% di fotoni. Qui terminano i processi nucleari, per ogni protone esiste un elettrone, ma si dà una temperatura dell’Universo ancora eccessivamente elevata perché si possano formare atomi nella struttura che oggi conosciamo. Si dovrà attendere che l’Universo continui a espandersi e a raffreddarsi, ossia per successivi 700.000 anni, perché sia consentito a elettroni e nuclei di formare atomi stabili. Ora non ci sono più elettroni liberi, ragion per cui l’Universo diventa trasparente alla radiazione. La separazione fra materia e radiazione darà alla materia la possibilità di iniziare a configurarsi in galassie e in sistemi solari. Trascorreranno altri 10 miliardi di anni perché affiori la vita sulla Terra. La materia di cui si componeva l’Universo dopo i primi 3 minuti che diedero vita alla formazione delle stelle, era per il 22-28% elio e per il resto idrogeno.
Nella realtà delle particelle oggi nell’Universo dovrebbero esistere 1,1 miliardi di fotoni per ogni particella nucleare. Con la temperatura attuale di 3 K si conterebbero 550.000 fotoni per dm3 e dovrebbero esserci 500 particelle nucleari per ogni milione di dm3. Da queste stime si evince che viviamo in un Universo aperto che si espanderà in eterno (ma Weinberg non rimane molto persuaso da questa argomentazione). In tutto l’Universo, per ogni particella nucleare si presume che esista un miliardo di neutrini e antineutrini. L’Universo ebbe probabilmente inizio con quantità uguali di neutroni e di protoni e si svolse in prevalenza nel corso delle collisioni con elettroni, positoni, neutrini e antineutrini.
L’Universo presenta l’insieme dei propri componenti in una proporzione reciproca tale da consentire la dinamica evolutiva che ha portato fino a noi. Un esempio per i tanti è quello di una presenza preponderante, ai primi istanti della vita dell’Universo, di fotoni nei confronti delle particelle nucleari, e questo perché l’idrogeno non si trasformasse interamente in elio e in elementi più pesanti. Attorno a questo argomento si sviluppò una serie di teorie che assumevano punti di vista per certi versi complementari o discordi. Così si passò dal sostenere una teoria cosmologica riguardante la sintesi degli elementi presenti nell’Universo a una teoria alternativa che prese in esame la sintesi degli elementi all’interno delle stelle. Nel 1952 il fisico E.E. Salpeter postulò il principio secondo il quale due nuclei di elio in collisione reciproca dessero origine a un nucleo instabile di berillio il quale a sua volta, in una situazione di notevole densità, prima di decadere può andare a colpire un altro nucleo di elio, producendo di conseguenza un nucleo stabile di carbonio. Negli anni ’40 si arrivò a credere che tutti gli elementi, al di fuori dell’idrogeno, fossero prodotti all’interno delle stelle per un processo di fusione di 4 nuclei di idrogeno in un nucleo di elio. Più recentemente si ritenne che la sintesi dei nuclei atomici fosse avvenuta sia a livello cosmologico sia nella fucina delle stelle.

Ciò che rimane da tutti gli studi sull’argomento trattato è comunque una grande incertezza: “I primi tre minuti sono però così lontani da noi nel tempo – confessa Weinberg – Le condizioni di temperatura e densità allora vigenti ci sono così estranee, che ci sentiamo a disagio quando applichiamo a quegli istanti iniziali le nostre comuni teorie della meccanica statistica e della fisica nucleare”. Sul concetto di ricerca scientifica in merito al fondo di radiazione a microonde Weinberg afferma che “L’effetto più rilevante della recente scoperta della radiazione di fondo di 3 gradi K è stato quello di costringerci a considerare seriamente l’idea che l’Universo abbia avuto un inizio”. Nel considerare il mondo delle particelle, Weinberg puntualizza l’essenza e la funzione che si osservano nel loro interagire, in un contesto dominato da una delle forze cosmiche: l’interazione forte. È, questa, una forza adibita a tenere insieme protoni e neutroni all’interno del nucleo atomico. Il suo raggio d’azione è brevissimo, appena di cm 10-13. Qualora due protoni vengano a trovarsi abbastanza vicini fra loro, essendo di carica uguale dovrebbero respingersi, se non intervenisse al momento l’interazione forte dimostrando una statura 100 volte superiore rispetto a quella che la repulsione elettrica svilupperebbe. Ne viene pertanto garantita la coesione all’interno dei nuclei atomici.
Weinberg fa menzione di una serie di particelle nucleari che sino a una certa data erano assolutamente sconosciute: i pioni, i kaoni, i mesoni eta, gli iperoni lambda, gli iperoni sigma, gli adroni (pesanti, dal greco hadros, “forte”; comprendono le particelle nucleari, i pioni, i kaoni, i mesoni e altre), i leptoni (leggeri). Conferma inoltre l’esistenza di centinaia di adroni noti e, con forti probabilità, di altre centinaia ancora da scoprire; si potrebbe parlare addirittura di un numero illimitato, così nell’infintamente piccolo, così nell’infinitamente grande, là dove la nostra sete di sapere si scontra con l’impossibilità a procedere. Weinberg crede che i tipi di particelle destinate a crescere in quantità e in modo sempre più rapido aumentino via via che il nostro incedere esplorativo affronterà lo studio di masse sempre maggiori.