Søren Aabye Kierkegaard – Timore e tremore – Parte 2 di 2

Nella mente dei Pensatori

Due punti da chiarificare: pare intanto, da quanto Kierkegaard espone, che veramente Isacco sia stato sacrificato e poi risuscitato da Dio e restituito ad Abramo. Ma su una edizione della Bibbia (La Sacra Bibbia, Traduzione del P. Eusebio Tintori O.F.M. per la Pia Società San Paolo – Alba, Edizioni S.A.I.E., 1956, Torino)leggo in Genesi XXII, 12-13: “E l’angelo: «Non stendere la mano sopra il fanciullo, perché ho già conosciuto che temi Dio e che per me non hai risparmiato il tuo figliolo unigenito». Abramo alzò gli occhi e vide dietro a sé un ariete impigliato per le corna tra le spine, e presolo, l’offerse in olocausto invece del figliolo”.

Il secondo punto si presenta così: Data la mia forma mentale, non posso essere in sintonia con una delle definizioni di Kierkegaard: “Perché Dio esige questa prova”. Qui mi pongo di fronte a due situazioni. La prima è che Dio, se vogliamo crederci, sa tutto e tutto di ognuno e di ogni tempo, allora già conosce che cosa farà Abramo e che cosa succederà nel contesto delle sue decisioni, di Abramo appunto. Se conosce ogni cosa, come se la realtà fosse una pellicola di un provino già pronto a essere enumerato, allora che bisogno ha di voler constatare se Abramo ha abbastanza o meno fede in lui? Forse che non conosce la fede di Abramo da sempre, anche prima che il patriarca nascesse? Se così non è, mi pare manchi un attributo importante all’entità divina del Creatore: il dover ricorrere a prove e verifiche per accertarsi di qualcosa di cui non è perfettamente sicuro e che in qualche modo gli sfugge; un Dio dal potere sminuito, dunque. In aggiunta a questa considerazione appare quasi mostruosa la pretesa di leggere nella mente di Dio per poi poter descrivere la sequenza dei fatti: accadde proprio così? E siamo così bravi da interpretare che cosa avvenne nella mente del Supremo? Dobbiamo credere a chi ci racconta questi avvenimenti nel loro incomprensibile svolgersi? Oppure ci dobbiamo accontentare di una esposizione superbamente letteraria? La mia seconda constatazione riguarda il rapporto fra Dio e Abramo: ossia, se Dio deve essere sicuro, perché ancora non lo è, della fede di Abramo, e per questo ricorre a sottoporre Abramo a una prova terribile di per sé, allora ciò sta a significare che Abramo, libero di scegliere il comportamento da attuare, può svolgere un’azione che sicuramente già non risiede nella mente di Dio ossia può mettersi in competizione con lui, in un certo senso dimostra di avere certi poteri che Dio non può controllare e, ancora, con tale situazione può tenere Dio nelle proprie mani. Se non farà la volontà di Dio, da questo potrà essere punito, fulminato e ridotto in cenere, ma nello stesso tempo Dio avrà dimostrato la propria fallibilità e la propria incompletezza oppure la propria natura di divinità imperfetta. Ovvero Dio, creando Abramo al mondo, gli ha dato pure la possibilità di scegliere sulle proprie azioni e di dirigere la propria volontà. Su questo tema, dunque, non può dirigere il canovaccio. Sarà Adamo a indicare e a seguire la strada da percorrere, a dispetto, vorrei dire, delle aspettative di Dio, qualora Dio fosse ancora capace di nutrire aspettative. In questo, dunque, Adamo sarebbe addirittura superiore a Dio o, almeno, indipendente dal suo volere.

Su Abramo non si può piangere. A lui ci si avvicina con un horror religiosus come Israele si avvicinò al Monte Sinai”.

Kierkegaard procede a un accostamento di Abramo con Maria: “Maria non abbisogna dell’ammirazione del mondo, così come Abramo non ha bisogno di lacrime: perché ella non era un’eroina, né egli un eroe. Ma ambedue divennero ancor più grandi degli eroi non con il fuggire la sofferenza, le pene, il paradosso, bensì per via di essi”.

“O prima del risultato Abramo è stato a ogni minuto un assassino, oppure noi ci troviamo con il paradosso che è più alto di tutte le mediazioni. La storia di Abramo contiene allora la sospensione teleologica (ossia delle finalità) dell’etica. Egli è come il Singolo diventato più alto del generale. Questo è il paradosso che non si lascia mediare. È altrettanto inesplicabile sia come egli vi entri sia come rimanga in esso. Se non è questa la situazione di Abramo, egli non è neppure un eroe tragico ma un assassino… colui che va per la via stretta della fede, nessuno lo può consigliare, nessuno riesce a capirlo. La fede è un prodigio, eppure nessun uomo ne è escluso: poiché ciò in cui ogni vita umana si unisce è la passione e la fede è una passione”.

Il dovere diventa dovere se è riferito a Dio; tuttavia nel dovere io non entro in rapporto con Dio, ma con il prossimo che amo… Dio diventa un punto invisibile ed evanescente, un pensiero impotente la cui forza si esercita soltanto nella sfera etica che riempie l’esistenza. Kierkegaard critica Hegel nella sua affermazione che “L’esterno è l’interno” e questo è il motivo centrale dell’opera di Kierkegaard. La fede, sostiene Kierkegaard, è il paradosso che l’interiorità è più alta dell’esteriorità (es. il bambino per l’interno e l’adulto per l’esterno). Nella concezione etica della vita il compito è di spogliarsi della determinazione dell’interiorità e di esprimerla nell’esterno. Ogni volta che il Singolo mostra ripugnanza, ogni volta che egli ritorna o scivola nella determinazione dell’interiorità del sentimento dell’emozione ecc., egli pecca, cade nello scrupolo. Il paradosso della fede consiste in questo che l’interiorità è incommensurabile con l’esteriorità. Il paradosso della fede è quindi questo, che il Singolo è più alto del generale.

Nella storia di Abramo noi troviamo un paradosso… Il suo rapporto a Isacco ha come formula etica: il padre ama il figlio. Questo rapporto etico è abbassato a qualcosa di relativo in contrasto al rapporto assoluto a Dio. Alla domanda del “perché” Abramo non ha altra risposta se non che si tratta di una prova, di una tentazione dove c’è la sintesi di ciò che si fa per Dio e di ciò che si fa per sé; in Luca (XIV, 26) si legge: “Se qualcuno viene a me e non odia il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli e le sorelle e perfino la sua anima, non può essere mio discepolo”… Ma come allora odiare i nostri cari!… Se invece io considero il compito come un paradosso, allora lo comprendo, cioè come si può comprendere un paradosso. Il dovere assoluto può allora condurre a fare ciò che l’etica proibirebbe, ma non può in nessun caso portare il cavaliere della fede a smettere di amare. Si potrebbe pensare che Abramo, nel momento di sacrificare Isacco, lo voglia odiare, invece lo ama ancora di più in seguito alla terribile richiesta fattagli da Dio. Dunque l’angoscia e l’affanno del paradosso per cui Abramo umanamente parlando non riesce a farsi comprendere… la realtà (esteriore) del suo gesto appartiene alla sfera del generale e in questa sfera egli è e rimane un assassino. “L’affanno e l’angoscia che si trovano nel paradosso della fede… Il cavaliere della fede sa che è magnifico appartenere al generale. Egli sa che è bello e benefico essere il Singolo che traduce se stesso nel generale… sa che è bello nascere come il Singolo che ha nel generale la sua patria. Ma egli sa anche che al di sopra di questo si snoda una vita solitaria, stretta e dirupata; egli sa come è terribile esser nati solitari e messi fuori dal generale, dover camminare senza incontrare nessun compagno di viaggio… Umanamente parlando egli è pazzo e non può farsi comprendere da alcuno… Il cavaliere della fede sa che è entusiasmante rinunciare a se stesso per il generale, che per questo ci vuole coraggio. Egli sa che è una cosa splendida essere compreso da ogni spirito nobile”.

Questo passo mi richiama alla mente quanto udito in un colloquio sviluppato all’interno di una trasmissione scientifica andata in onda su TV-RaiScuola: si parlava della meccanica quantistica dove si verificano sovrapposizioni in un certo senso illogiche, comprensibili soltanto se inquadrate in un concetto di paradosso: un contenitore vuoto e pieno allo stesso tempo, il trovarsi vicino e lontano da uno stesso punto determinato, il trasmettere movimento fra due soggetti fisici come per “empatia”, persino l’esistere e il non esistere. Sono tutte situazioni paradossali, inconcepibili, ma mi portano molto vicino alla difficile e spesso impenetrabile speculazione formulata da Kierkegaard.

“… Si crede che esistere come singolo sia la cosa più facile del mondo… l’esistere come singolo è la cosa più terribile di tutte”. “Abramo impiega 70 anni per avere un figlio. Perché egli deve essere tentato e messo alla prova? “Questa non è pazzia? Ma Abramo credette… Sapeva bene che è una cosa magnifica esprimere il generale, che è splendido vivere con Isacco. Ma non è questo il suo compito”.

Abramo non poteva neppure dare una spiegazione del suo gesto: “infatti la sua vita è come un libro posto sotto sigillo divino e non diventa di pubblico diritto”. L’eroe tragico “ha un appoggio nel generale. Il cavaliere della fede dispone solamente e unicamente di se stesso ed è in questo che consiste la cosa spaventosa… L’eroe tragico compie il suo atto e trova riposo nel generale, il cavaliere della fede si mantiene continuamente in tensione. Agamennone rinuncia a Ifigenia e con questo ha trovato riposo nel generale… Abramo non ha alcun appoggio nel generale… Solo il Singolo può decidere se ora si trova realmente in uno scrupolo o se è il cavaliere della fede… Il vero cavaliere della fede è sempre l’isolamento assoluto. L’eroe tragico esprime il generale e si sacrifica per questo… Il cavaliere della fede è invece il paradosso, è il Singolo, assolutamente soltanto il Singolo senza connessioni o prolissità… I settari si allenano insieme con un chiasso e baccano del diavolo, con i loro strilli tengono lontana l’angoscia… Il cavaliere della fede ha per appoggio unicamente se stesso e soffre il dolore di non poter farsi comprendere dagli altri, ma non ha la vuota smania di guidare gli altri… Il falso cavaliere preferisce l’ammirazione del mondo per la propria abilità. Il vero cavaliere della fede è un testimonio, mai un maestro… Chi vuole essere unicamente testimonio lo confessa mostrando che nessun uomo, neppure il più misero, abbisogna della partecipazione di un altro uomo, oppure deve essere umiliato perché un altro sia ascoltato… Quindi, o c’è un dovere assoluto verso Dio e allora esso coincide con il paradosso ora descritto che il Singolo come Singolo è più alto del generale e si trova perciò in un rapporto assoluto all’Assoluto: o altrimenti la fede non è mai stata, perché è sempre stata”.

“L’etica è come tale il generale, come il generale è a sua volta ciò che è manifesto. Determinato come immediatamente sensibile e psichico, il Singolo è il nascosto. Il suo compito etico è allora quello di voler uscire dal suo nascondimento e diventare manifesto nel generale. Ogni volta che rimane nel nascondimento, egli pena e si trova nello scrupolo da cui può uscire soltanto con il manifestarsi. Se non c’è un’interiorità che ha la sua ragione in questo che il Singolo come Singolo è più alto del generale, la condotta di Abramo non si può scusare, poiché egli ha saltato le istanze etiche intermedie. Se invece si dà una siffatta interiorità, allora abbiamo il paradosso che non si lascia mediare poiché esso riposa appunto su questo che il Singolo è più alto del generale, ma il generale è precisamente la mediazione”.

L’estetica esige occultamento e lo premia, l’etica esige manifestazione e punisce la segretezza. Tuttavia alle volte anche l’estetica esige manifestazione. Agamennone deve sacrificare Ifigenia. L’estetica per questo esige ora da Agamennone silenzio, ma egli sarà tentato nello scrupolo orrendo che gli prepareranno le lacrime di Clitennestra e di Ifigenia. Che fa l’estetica? Essa offre una scappatoia, ha pronto un vecchio servitore il quale rivela tutto a Clitennestra. L’etica esige manifestazione. L’eroe tragico mostra il suo coraggio etico perché annunzia a Ifigenia il suo destino”.

Kierkegaard fa riferimento al mito del Tritone che seduce Agnese, e afferma: “È ciò molto stupido… che una cosiddetta buona educazione preserva la ragazza dalla seduzione. No, l’esistenza è molto giusta e imparziale: contro la seduzione c’è un unico mezzo: l’innocenza”.

(in nota, pag. 128) “L’estetica è la più infida di tutte le scienze. Chiunque l’abbia amata sul serio, è diventato in un certo senso infelice; ma colui che non l’ha mai amata, costui è e resta un pecus (una bestia, in senso spregiativo).

Kierkegaard ricorda Tobia che ardeva d’amore per Sara, figlia di Raguel ed Edna. Ma Sara aveva sposato già sette uomini, morti nella notte di nozze, uccisi da un demone innamorato di Sara. Tobia agì con coraggio, intrepidezza e cavalleria; ma ogni uomo che non ha il coraggio per questo è un rammollito che non sa che cos’è l’amore, né cos’è l’essere uomo, né per quale cosa valga la pena di vivere”. – “La natura nobile e orgogliosa può sopportare tutto, ma una cosa non può sopportare: la compassione”.

“Abramo io non lo posso comprendere, lo posso solo ammirare… Dunque Abramo non parlò, non parlò con Sara, né con Eliezer (il servo fedele), né con Isacco, egli trascurò le sue istanze etiche… L’estetica permetteva anzi esigeva dal Singolo il silenzio, qualora con il silenzio potesse salvare un altro… Abramo non si trova dentro l’ambito dell’estetica. Il suo silenzio non mira affatto a salvare Isacco… tutto il suo compito, quello di sacrificare Isacco, è uno scandalo per l’estetica”.

“… Se lottare contro il mondo intero è una consolazione, lottare contro se stessi è terribile… Abramo non può parlare; poiché egli non può dire ciò che è la chiave di tutto ossia che si tratta di una prova dove il momento etico costituisce la tentazione”. “La sofferenza e l’angoscia del paradosso stanno… propriamente nel silenzio: Abramo non può parlare”. Quando Isacco gli chiede dov’è la vittima sacrificale, “Egli non può dire nulla, perché ciò che sa non lo può dire. Egli allora risponde: “Dio provvederà un agnello per l’olocausto, figlio mio… In questo senso egli non dice falsità alcuna, poiché in forza dell’assurdo è sempre possibile che Dio faccia qualcosa di completamente diverso”.

“Certamente si può comprendere Abramo, ma unicamente nel modo in cui si comprende il paradosso… Allora aut-aut: o esiste il paradosso che il Singolo come singolo sta in rapporto assoluto con l’Assoluto, oppure Abramo è perduto”.

“La fede è la passione suprema di un uomo. Forse in ogni generazione molti non ci arrivano neppure, ma nessuno va oltre”.

DIAPSALMATA

“Gli uomini come sono incoerenti! Non approfittano mai delle libertà che hanno, ma reclamano quelle che non hanno: hanno la libertà di pensare, chiedono la libertà di parlare”.

“Come è noto vi sono degli insetti che muoiono nel momento della fecondazione; lo stesso avviene per tutte le gioie: il momento più alto e sfolgorante del godimento della vita è accompagnato dalla morte”.

“A me basta solo osservare che la beatitudine non s’intravvede che attraverso il peccato”.

“Fuori del mio solito ambiente numeroso, io ho ancora un intimo confidente – la mia malinconia. La mia malinconia è l’amante più fedele che io abbia conosciuto: che meraviglia allora che io torni ad amarla?”.

“Il primo periodo dell’innamoramento è sempre il più bello, poiché a ogni incontro ogni sguardo si porta a casa qualcosa di nuovo per allegrarsi”. “Il dubitante è un preso a frustate; come una trottola sotto i colpi della frusta egli per un tempo più o meno lungo si mantiene in piedi, tanto poco come la trottola”.

“Nessuno ritorna dai morti, nessuno è entrato in questo mondo senza piangere; nessuno ci comanda quando vogliamo entrare, nessuno quando vogliamo andarcene”.

“La miglior prova della miseria dell’esistenza è quella che si ottiene dalla considerazione della sua magnificenza”.

“Accadde in un teatro che le quinte presero fuoco. Il Buffone uscì per avvisare il pubblico. Credettero che fosse uno scherzo e applaudirono; egli ripeté l’avviso: la gente esultò ancora di più. Così mi figuro che il mondo perirà fra l’esultanza generale degli spiritosi, che crederanno si tratti di uno scherzo”.

“Non sono io il padrone della mia vita: io sono un filo che dev’essere intessuto nella trama della vita!”.

Vivere nel ricordo è il modo più perfetto di vita che si possa immaginare. Il ricordo sazia più di qualunque realtà, e ha una sicurezza che nessuna realtà possiede. Una situazione della vita che è stata ricordata è già entrata nell’eternità”.

“Io ho un solo amico, è l’eco: e perché è mio amico? Perché io amo il mio dolore e l’eco non me lo toglie. Io ho un solo confidente, è il silenzio della notte. E perché è il mio confidente? Perché il silenzio tace”.

“Non mi resta che dare un consiglio ai genitori, ai superiori e ai professori, di raccomandare ai ragazzi che son loro affidati perché conservino le dissertazioni che scrivono nel quindicesimo anno. E questo è il solo consiglio che io possa dare per il bene dell’umanità”.

“Il simile si conosce con il simile”: è l’antico principio del conoscere con assimilazione ossia “il simile conosce mediante il simile”, ma ricorda un detto di nonna Livia: “Simile con simile, e presto si convien”.

“Io mi trovo distratto, inattivo; l’unica cosa che vedo è il vuoto, l’unica cosa di cui vivo è il vuoto, ciò in cui mi muovo è il vuoto. Né soffro alcun dolore”.

“Allora mi viene in mente la mia giovinezza e il mio primo amore, quando ero pieno di nostalgia e ora ho soltanto nostalgia della mia prima nostalgia. Cos’è la giovinezza? Un sogno. Cos’è l’amore? Il contenuto del sogno”.

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