Il Sistema scolastico italiano – 8 di 8 – La proposta (ultima parte)

Riflessioni sui lavori dei seminari

Mario  Bruno  –  Ottobre 2005
Scuola – Famiglia – Successo scolastico
Ho tanto parlato della Scuola e degli insegnanti, ma devo aggiungere che il discorso non si esaurisce all’interno di questi due fattori. Avere scuole a livello di eccellenza, un corpo docente selezionato per disposizione, serietà, impegno professionale, preparazione e competenza non è tutto.
Il problema non si risolve con l’esclusiva collocazione di buone scuole sul territorio. Teniamo presente che lo studente, a partire dai tre anni di età quando inizia la frequenza alla Scuola dell’Infanzia, non è unicamente un alunno, ma anche un figlio di famiglia. Anzi, quello è stato fin dal principio della propria esistenza. Perché dico questo? Perché il bambino, da quando nasce, è in balìa di influssi e di condizionamenti ambientali di penetrazione tale da lasciare nella sua economia psichica ed affettivo-emotivo-relazionale certi segni profondi che più tardi, a guisa di residui dell’imprinting umano iniziale, costituiranno il solco lungo il quale andranno disponendosi le linee di sviluppo dei successivi vissuti di esperienza per l’intero arco dell’età evolutiva. La famiglia, inoltre, è l’ambiente dove il bambino respira un’atmosfera impregnata di valori morali, civili, etici, di rapporto umano, intimo e profondo, dove si costruiscono moduli di comportamento, credenze, atteggiamenti, dove si forgiano opinioni, giudizi di valore, orientamenti, indirizzi di scelta, tendenze valutative, dove si distribuisce alimento per la crescita fisica, dove si apprestano cure nei momenti di malattia del corpo, ma anche di sconforto psicologico e di crisi evolutiva. Tenendo ancora conto del tempo che il bambino trascorre in famiglia, tempo che non è mai silenzioso ed inerme ma che racchiude in sé una ricca serie di fattori di cambiamento, non possiamo certamente ignorare quanta parte l’ambiente familiare occupi nel vasto complesso della formazione personale del bambino. Ed è il bambino che, a sei anni di età, viene affidato alla Scuola perché sia alfabetizzato. Ma lo stesso bambino già reca con sé una dotazione di competenze, di conoscenze, di convinzioni, di atteggiamenti che hanno messo, nel volgersi dei precedenti vissuti, radici tenaci. Ed è da queste radici che promanano le potenzialità sulle quali la Scuola dispiega la propria azione educativa nel periodo evolutivo che va a seguire. Tutti gli insegnanti si avvedono di un fenomeno ricorrente: bambini bravi a scuola hanno alle spalle, nella maggioranza dei casi, una famiglia che ha saputo offrire cure educative adeguate e una sana presenza dei genitori nel corso evolutivo del piccolo durante tutto il periodo che ha preceduto l’ingresso alla Scuola dell’Obbligo. Per altro verso, se vogliamo restare nella realtà dei fatti, non tutte le famiglie carenti nell’applicazione di metodi educativi efficaci finiscono per generare bambini destinati all’insuccesso scolastico, ma si dà il caso che quasi tutti i bambini con seri problemi di apprendimento e/o di adattamento scolastico abbiano alle spalle l’esperienza di vissuti poco gratificanti sul piano della realizzazione delle potenzialità personali oppure anche l’esperienza di ripetuti episodi di trascuratezza e di carenza grave nella trasmissione di valori etico-sociali.
Se soltanto diamo un’occhiata fuori del nostro recinto andiamo a constatare che là dove gli studenti producono risultati scolastici migliori – vedi la Finlandia nella fattispecie – c’è anche una forte presenza della famiglia nell’esperienza scolastica dei figli. Là, intanto, si hanno famiglie molto sensibili ai significati dell’istruzione, e questo è già un caposaldo di indiscusso valore. Queste famiglie, inoltre, attribuiscono grande importanza alla lettura, coltivandone la dedizione e costruendo proprie biblioteche alle quali i figli possono attingere senza restrizioni. La lettura, molto praticata e amata, concerne non soltanto la lingua nazionale, ma anche una discreta gamma di altre lingue. A queste i ragazzi si avvicinano grazie a modalità di induzione invero intelligenti, come quella di sottotitolare i film anziché proporli nella lingua nazionale. Sappiamo che, a queste condizioni, l’avvicinamento alla cultura si verifica per necessità; lo vediamo nel nostro ambito, quando prendiamo in considerazione gli alunni più bravi a scuola e finiamo per constatare che sullo sfondo essi possono godere di una famiglia ricca di stimoli e di aspettative.
Anche in ambito familiare, dunque, come succede nella Scuola, sono le persone ad avere la responsabilità di costruire o meno qualcosa che si rispecchi nella crescita e nel compimento sia culturale sia più ampiamente educativo dei soggetti che hanno in cura. Genitori capaci, attenti, assidui, affettuosi e autorevoli saranno con ogni buona probabilità artefici di personalità sane ed equilibrate. Genitori incapaci, instabili, scostanti, rifiutanti o anche soltanto poco disponibili, noncuranti, genitori fatalisti, impaniati in atteggiamenti incoerenti, contraddittori, ambigui saranno, con altrettanto buone probabilità, responsabili della strutturazione di personalità fragili, a rischio, al limite devianti.
Si parlava di irrinunciabilità a proposito della formazione degli insegnanti, a fronte della delicatezza e dello spessore sociale del loro lavoro. Non soltanto gli insegnanti. Ogni altra professione che comporti pesanti responsabilità richiede, a chi decide di dedicarvisi, una preparazione assai accurata. Un pilota civile, prima di condurre un aereo con passeggeri, deve sottoporsi ad un “training” di molto corposo e rigoroso, superare esami severissimi, maturare l’esperienza di tante ore di volo che a noi farebbero impressione, attenersi diligentemente alle indicazioni delle figure tutoriali che alla sua formazione sono state preposte. Giusto; se così non fosse chissà quali disastri ci potremmo aspettare, imputabili ad “errore umano”. Ma per crescere un figlio non è così. Evitare assolutamente fatali errori di volo è un imperativo di prim’ordine, ma pare che evitare la caduta a precipizio di una personalità in formazione sia cosa sulla quale si possa soprassedere. Forse che forgiare una personalità, garantire i principi basilari di una sana educazione su tutti i fronti evolutivi, sviluppare in modo ottimale le potenzialità esistenti alla nascita, infondere fiducia, autostima, risvegliare autoconsapevolezza, senso critico e costruttivo, forse che tutto questo è meno importante di ciò che è richiesto per qualsiasi altra professione esistente al mondo? C’è una differenza, ed è ciò che non si dice: ogni altra professione rende, è monetizzabile, crea profitto nel giro dei business finanziari, imprime progresso all’economia, arricchisce chi ha le mani sulle leve del potere, in qualche modo è qualcosa di visibile, di tangibile, di non trascurabile nell’ottica della rincorsa al benessere su larga scala. Tutti d’accordo perché tutti, prima a poi, in un’occasione o nell’altra, sono portati a goderne i benefici.
Il lavoro dei genitori, peraltro, non è monetizzabile, quindi non degno di controllo né di assistenza né di incentivazione. E allora abbiamo genitori che si apprestano a svolgere il mestiere più delicato e più difficile del mondo facendo ognuno a proprio modo, così, come meglio crede, senza che alcuno insegni loro alcunché. Se tutto va bene, vivaddio! Ma, se le cose vanno storte per mancanza di capacità educativa e perché i presupposti per l’edificazione di un sano contesto educativo sono in gran parte carenti, ecco, allora, che si finisce per assistere, a media e lunga scadenza, a comportamenti negativi, antisociali, violenti, di ribellione da parte di certi adolescenti. E ricadiamo nel solito baratro senza via di uscita: la Scuola, impotente nei propri tentativi di recuperare questi adolescenti a uno stile di vita scolastica e civile accettabile, ritorce la propria percepita incapacità del momento sulla famiglia e non sa, non può fare altro che ricorrere ai ben conosciuti rimedi-tampone che si riducono alla segnalazione ai Servizi Sociali territoriali, a una delega all’esperto dunque. Da parte delle famiglie – lo andiamo sempre più constatando ai giorni nostri – va dilagando una scarsa presenza delle figure genitoriali nella vita dei figli. Genitori che intervengono sempre meno; non sanno più dire “no!”; non vogliono neppure capire che esiste un “no” per indurre i propri figli a riflettere. E, questi ultimi, che crescono con la baldanza di chi ha capito come fare per ottenere tutto ciò che vuole, all’interno di un disorientamento devastante, iperprotetti e senza responsabilità, incapaci di coltivare ambizioni culturali, di produrre sforzo personale per realizzarle. La cultura del “tutto dovuto”.
Dunque, per concludere: finché avremo le due agenzie formative, scuola e famiglia, lasciate ognuna a sé, il bambino percorrerà la propria strada come su un canotto dove i rematori del lato sinistro remano con un ritmo senza tenere conto del ritmo, che può variare, tenuto dai vogatori del lato destro, e viceversa. Con il risultato che il passeggero – il bambino nel nostro caso – sarà sballottato qua e là, non capirà dove si stia dirigendo e, con estrema facilità, andrà da un momento all’altro ad arenarsi in qualche scoglio o anfratto in riva al fiume. Con tanto maggior pericolo se le acque si sono fatte ribollenti a motivo delle irregolarità di pendenza e delle asperità naturali emergenti lungo il corso.
La proposta: Non è possibile abbandonare i genitori all’improvvisazione o all’intuizione o al loro limitato bagaglio di conoscenze. Così come ogni professione di chiaro rilievo per il funzionamento del sistema sociale richiede una formazione iniziale e successive iniziative di aggiornamento, allo stesso modo le coppie che hanno figli e/o che decidono di mettere al mondo figli devono essere preparate ad affrontare le responsabilità che con la loro decisione vanno ad assumere.
Una patente per allevare i figli? Chiamiamola come si vuole; certo sono a disposizione denominazioni di gran lunga più nobili per definire la scelta di essere genitori.
La famiglia, senza eccezioni, richiede assistenza nell’assolvimento del proprio compito che non solo riguarda l’allevamento dei figli – questo già si verifica in ambito di cure e preoccupazioni per la crescita fisiologica – ma, soprattutto, la tensione continua nello sforzo di assicurare loro un apporto educativo di qualità. Si tratta di un investimento sicuro, un investimento sulla persona, che non frutta capitali in denaro sonante, ma che si traduce nella produzione di un bene sociale di incomparabile portata. Intanto che investiamo nella tecnologia, nel progresso legato alle macchine tuttofare e sempre più potenti, nelle comunicazioni informatizzate, ben sapendo che qui abbiamo a che fare con pezzi di consumo che si logorano con l’uso e che si possono rimpiazzare con facilità; intanto che bruciamo denaro nei divertimenti, anche in quelli più sciocchi, inutili o dannosi; intanto che sprechiamo in maniera demenziale risorse finanziarie in armamenti e ordigni di distruzione; perché non pensiamo a posporre tutto ciò e a occuparci in prima istanza di un logicamente necessario investimento sociale com’è quello del sostegno alle famiglie nell’educazione dei figli?
Se buoni genitori hanno maggiori probabilità di generare figli sani, intelligenti e onesti, se buoni insegnanti sono i pilastri di buone scuole dalle quali usciranno studenti ricchi di una cultura solida e autogenerativa, allora anche adolescenti e giovani educati, seri e consapevoli si troveranno nella situazione di dare forma a una società con meno problemi inattaccabili, una società finalmente vivibile in un mondo finalmente più ospitale.
È un compito politico, sicuramente, ma è un compito che deve essere affrontato, e subito, a vedere da come stanno andando oggi le cose su scala planetaria: devianze e mostruosità comportamentali che stanno prendendo piede con foga, delinquenza a soglie sempre più basse di età, frodi sempre più legalizzate, disconoscimento dei pericoli crescenti nella sfera ecologica, valutazioni schizofreniche nei riguardi delle prospettive future. E saranno i nostri figli, gli adolescenti e i bimbi di oggi, a ereditare tutto ciò. Con quale equipaggiamento? Con quali energie e mezzi di difesa? Forse, malati di assuefazione e di indifferenza cronica, stiamo avvicinandoci, a passi di gigante, e siamo prossimi ad arrivarci, a quel momento in cui dovremo dire “Ora, o mai più!”.
Che ne facciamo della disciplina?
Disciplina intesa come comportamento degli alunni in classe durante le lezioni. Riprendo un discorso avviato in precedenza. A vedere dai rilievi statistici, che riportano il tasso di spesa più elevato mediamente per studente e il rapporto più basso di insegnanti/alunni rispetto a quanto avviene nelle medie U.E. e OCSE, ci sarebbe da dire che la situazione scolastica, nel nostro Paese, gode di sicuro privilegio. Eppure i risultati, che si riferiscano sia alle competenze acquisite dagli studenti sia al tasso di abbandono scolastico, sono i più deludenti. Il caso di quella classe di Scuola secondaria di primo grado alla periferia di Napoli, che è stato citato all’interno di queste considerazioni, si presenta come esempio emblematico di una situazione ampiamente diffusa. Quella classe annovera appena 14 alunni, dovrebbe essere gestibile, eppure pone gravi problemi di disciplina agli insegnanti i quali si disperano nell’impossibilità di svolgere il proprio operato. E, allora, in classi con 30-32 alunni, e ce ne sono non poche, se emergono problemi come quelli accennati, chi la tiene più la disciplina? Quanto tempo, nell’ora di lezione, resta al docente per insegnare?
La domanda d’obbligo: in altri Paesi come si risolvono i problemi di disciplina? Ritorna qui, puntuale, il motivo del confronto, delle reciproche conoscenze, dello scambio di informazioni fra Scuole di realtà diverse.
Portiamo soltanto un esempio: la personalizzazione dei curricoli. Qui si è speso un mare di parole e di carta scritta, ma, in conclusione di tutti i bei discorsi, finisce che dagli insegnanti si sente avanzare sempre la medesima obiezione: “Con ventotto o anche più alunni in classe, uno o due soggetti portatori di handicap, tre o quattro alunni extracomunitari non parlanti la nostra lingua e, magari per buon peso, un gruppetto che frequenta soltanto per disturbare e portare scompiglio, già è un grosso problema riuscire a ritagliare una piccola fetta del tempo a disposizione per svolgere il programma curricolare. Qualcuno mi dice come faccio anche ad individualizzare l’insegnamento?”. Che cosa rispondere? Che in Finlandia e in Svezia ci riescono? Che è prassi normale? Che là gli insegnanti ce la fanno benissimo a tradurre in insegnamento personalizzato anche il quaranta per cento del curricolo? “Come” riescono ad ottenere questi miracoli?
E ritorna a farsi presente la necessità che gli scambi di informazioni si verifichino effettivamente e che, riportati in sede da personale specificamente formato per questo genere di lavoro, da quel medesimo personale venga favorita una ricaduta, sulla Scuola, dell’oggetto delle conoscenze e delle esperienze acquisite curandone, al tempo stesso, la massima diffusione a effetto moltiplicativo e il monitoraggio dei cambiamenti la cui realizzazione sia stata condivisa dagli organi di governo delle scuole. Ho, personalmente, l’esperienza di uno scambio attuato recentemente, in seno a un Progetto Socrates-Comenius.Azione/1, con una Scuola inglese. Dai colloqui intercorsi con gli insegnanti di alcune Scuole, che ospitano una considerevole percentuale di alunni stranieri, si aveva informazione che la disciplina, in classe, veniva ottenuta con l’applicazione di norme rigorose, non solo di comportamento, ma anche di organizzazione, come quella che regola la scansione oraria del pacchetto di lezioni da impartire e la suddivisione della singola ora in settori per ognuno dei quali l’insegnante è tenuto ad attendere a un aspetto particolare dell’insegnamento. Si tratta di un’organizzazione a tempo programmato, che offre ben poche possibilità di trasgressione nel momento di svolgere un compito, sia dal lato dell’insegnamento sia da quello dell’apprendimento e del comportamento. C’è dunque disciplina in classe, ma non senza un costo: quello del mutamento repentino di comportamento una volta emersi dalla “pentola a pressione” dell’aula scolastica, quando finalmente diventa possibile scaricare le tensioni colà accumulate. Un bel ginepraio davvero!
Bisogna andare avanti, certamente, nel dare enfasi a determinate metodologie comportamentali, ma anche prudenza nel trasferirne l’applicazione nella realtà di casa dove emergono requisiti sociali e di rapporto di gran lunga diversi da quelli che vigono in scuole di altri Paesi. Buona regola è pur sempre quella dell’andare con cautela, con ponderazione, benché siamo tutti d’accordo nell’affermare che non sia possibile accettare che le cose continuino ad andare come vanno, visto che non vanno bene affatto. La sollecitazione comportamentale che risponde all’esortazione “Poche regole, ma che siano chiare”, comprese nel loro significato, condivise e applicate senza sconti basterebbe da sola a costituire un buon inizio nella direzione auspicata.
Il ridimensionamento del numero di studenti per classe ha di per sé una notevole importanza ma, da quanto s’è detto, non è sufficiente da solo a risolvere i problemi di disciplina. È necessario che, contemporaneamente, siano regolamentati i criteri che definiscono quale debba essere il clima della classe perché vi si possa svolgere un insegnamento efficace per un apprendimento altrettanto efficace a vantaggio di tutti, senza spreco di tempo assorbito dall’esigenza di affrontare dissonanze comportamentali, gravi motivi di disturbo che richiederebbero il ricorso all’applicazione di sanzioni disciplinari come ultimo e indesiderato rimedio.

Immagini header tratte da Vecteezy

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