La Scuola per i bambini – 1 di 4 puntate

LA PREVENZIONE PRIMARIA – Troppo presto per educare?

Due aforismi fondamentali possono porsi a buon diritto in tema di educazione per orientare e sviluppare alcune riflessioni sui problemi dello sviluppo infantile:

  1. La condizione dell’infanzia, così diffusamente e drammaticamente compromessa, si pone con estrema urgenza al centro dell’attenzione in ambiente educativo.
  2. Il modo in cui rispondiamo oggi ai bisogni del bambino avrà sicure risonanze sulla qualità della sua vita futura.

Per altro verso, facendo appello al Principio settimo della Dichiarazione Universale dei Diritti del Fanciullo (20 novembre 1959), si legge che “Egli (il bambino) ha diritto a una educazione che contribuisca alla sua cultura generale e gli consenta, in una situazione di uguaglianza di possibilità, di sviluppare le sue facoltà, il suo giudizio personale e il suo senso di responsabilità morale e sociale… la società e i poteri pubblici devono fare ogni sforzo per favorire la realizzazione di tale diritto”.

Una prima constatazione: non è vero sempre che il potenziale di sviluppo di una qualsivoglia persona diventi, con il tempo, sviluppo in atto.

Mi riferisco, nello specifico, al problema dell’apprendimento scolastico, più precisamente alle sue implicazioni negative sul processo di crescita culturale dei bambini cosiddetti “normodotati”. Tralascio di proposito la situazione “handicap” per richiamare l’interesse su quella percentuale (che alcune fonti di studio stimano attestarsi attorno al 15%) di bambini scolarizzati i quali, pur non presentando impedimenti di ordine fisico, psichico o sensoriale, vanno incontro all’insuccesso scolastico già durante il corso dell’istruzione primaria. Di questi bambini, portatori di un disturbo di apprendimento specifico, non si fa un gran parlare nel mondo della scuola e, qualora si conceda attenzione alla loro condizione, difficilmente si va oltre la “denuncia” del “caso” considerato, più che altro, come impedimento all’attività didattica oggettiva e quasi mai si supera il semplice tentativo di inventare qualche forma di recupero sorretta da un entusiasmo di per sé già in partenza stanco e dubbio. Eppure la presenza di questi bambini costituisce una realtà preoccupante all’interno delle mura scolastiche, quella realtà che non esiterei a definire l’handicap trasparente. Trasparente per due validi motivi: primo, perché non consente di essere individuato nella sua dimensione concreta in modo così clamoroso come avviene invece per l’handicap nell’accezione comune del termine; secondo, perché noi, operatori della scuola, non sempre siamo disposti a tenere nella dovuta considerazione tale forma di sofferenza, ma ci limitiamo piuttosto a guardare “attraverso” essa, emarginando dunque senza ripensamenti il problema con tutte le sue valenze sul piano evolutivo.

E nell’ “handicap trasparente” vorrei ancora annoverare quella categoria di bambini che, in vero non così rari come si sarebbe indotti a pensare, godono di una superiore dotazione intellettuale incorrendo, pur tuttavia, nella problematica di incontrare essi stessi lo smacco a scuola, lasciando trasparire una sintomatologia sorprendentemente simile a quella dei bambini gravati da ritardo. Accade non di rado che, a fronte di tali problemi, il contesto educativo prevarichi alla propria funzione con una disinvoltura del tutto ingenua. Non possiamo neppure affermare con piena convinzione, fra l’altro, che la scuola, oggi, sia preparata ad assumere ed elaborare pienamente le tematiche legate all’insuccesso e al disadattamento scolastico. È così che il sistema formativo denuncia uno dei suoi mali peggiori, una sorta di irresponsabilità che si tinge ora di fatalismo vagamente trascendentale, ora di competenza sorretta da un pensiero forte e per certi versi fuorviante ma che, molto più realisticamente, si risolve in atteggiamenti surrettiziamente convalidati di trascuratezza educativa. Oggi esistono ancora gravi e diffusi fraintendimenti attorno al concetto di educazione. Ma è anche l’ora di abbandonare l’uso di considerare l’educazione, al di là degli altisonanti pleonasmi vanamente idealizzati, alla stregua di un evento che, nella realtà più tangibile, può indifferentemente esserci e non esserci, di attribuire all’educazione un ruolo formativo le cui implicazioni esistenziali vengono per lo più ostracizzate nella sfera della teoresi più astratta, soltanto perché, diciamolo pure a chiare lettere, il bambino non è monetizzabile, perché il suo livello di autostima, la sua identità psico-fisico-sociale, la sua competenza in funzionalità cognitiva, la sua capacità di autorealizzazione in una parola non possono essere ridotti a termini di speculazione produttiva e di mercato, cioè non arricchiscono alcuno in particolare.

Anche e soprattutto a fronte di atteggiamenti di questa fatta credo di poter sostenere che compito della società e della scuola debba essere oggi soprattutto quello di volgere lo sguardo in quella zona vitale che si colloca prima della scuola, di agire con la scuola ma anche prima della scuola, non a parole, ma con l’attuazione controllata e razionale di programmi di sviluppo rigorosamente pianificati in un’intesa di ricerca scientifica senza soluzione di continuità.

Non è più pensabile, se si vuole veramente tenere la concezione di “sviluppo” nella luce della continuità educativa a tutti gli effetti, con il supporto formativo di una strutturata ed efficace “integrazione diacronica” delle competenze e delle forze ascrivibili a un’educazione essenziale e completa, suddividere e ridurre i compiti degli operatori scolastici in compartimenti a limitata specializzazione soltanto, se così posso esprimermi.

Se la scuola, la stessa scuola primaria poniamo, deve fissare lo sguardo prima di se stessa lungo la spirale dello sviluppo individuale, è perché proprio nei primi, primissimi anni dell’esistenza il soggetto umano attraversa i periodi più determinanti e pregiudiziali per la sua stessa fisionomia ontologica di domani all’interno del contesto socio-culturale di appartenenza.

Le Scuole psicologiche di vario indirizzo, comportamentista, strutturalista, cognitivista, psicobiologico, neuropsichiatrico, psicoanalitico, in merito alla tematica educazione-sviluppo testimoniano del peso delle affermazioni sopra avanzate. È purtroppo tristemente vero che spesso si affaccia, sulla scena degli apprendimenti scolastici, l’amara constatazione che, per molti aspetti attinenti alla formazione della personalità, l’impiego di strategie educative o rieducative a sei anni di età si scontra con difficoltà notevoli: a questo livello dello sviluppo accade, soprattutto, che gli interventi vengano in parte vanificati, nel tentativo di conseguire gli obiettivi prefissati, proprio dalla intempestività di applicazione e che gli sforzi di gran mole prodigati per colmare lacune evolutive in determinati settori della personalità infantile finiscano spesso con il sortire risultati deludenti. È a motivo di ciò che le energie della cultura in campo educativo e della politica dei finanziamenti dovrebbero indirizzarsi in misura massiccia al primo periodo dell’ontogenesi perché vengano realmente offerte, a ogni bambino senza distinzioni, le migliori opportunità di crescita, lavorando sulla fasi evolutive più largamente investite di flessibilità educativa, allo scopo di prevenire, prima ancora che curare, l’insorgenza di eventuali difficoltà di apprendimento o di inserimento sociale, allo scopo di impedire o di disinnescare, prima che si affermi in forma virulenta e irreversibile, qualsiasi processo a decorso patogenetico potenzialmente capace di ingenerare quello che ho voluto definire nei termini di “handicap trasparente”.

E, parlando di prevenzione nei primissimi anni di vita, intendo riferirmi addirittura al periodo che precede la stessa scuola per l’infanzia, in modo del tutto privilegiato, dunque, quello che interessa i primi tre anni dalla nascita del soggetto umano.

Un’ultima riflessione conduce con una certa curiosità a valutare lo spessore educativo che il termine “prevenzione” detiene in tutti i settori dello sviluppo infantile. È appena il caso di dire che al momento attuale c’è ancora molta “prevenzione” attorno alla prevenzione primaria in tema di potenzialità di sviluppo: “Ogni cosa a suo tempo… non bisogna forzare i bambini… il bambino deve maturare… ci penseranno le maestre, quando andrà a scuola… lasciamo che viva la sua infanzia… se mangia, dorme e cresce sano, di cosa ti devi preoccupare?”. Queste le cose che si dicono sulla prevenzione, senza peraltro porsi altri più circostanziati interrogativi che potrebbero suonare così: “Conosciamo per bene qual è il tempo per ogni cosa?… maturazione vuol dire fiducia cieca nell’attesa che qualcosa da noi attesa e auspicata si verificherà per davvero?… che cosa può significare per un bambino vivere la propria infanzia?”.

Esiste effettivamente un tempo per ogni cosa e rientra nei primi doveri del formatore attivare le valenze educative che in esso sono contemplate. Attendere significa il più delle volte sciupare opportunità che fanno la loro comparsa in momenti precisi dello sviluppo e non più tardi. Esiste una sequenza di periodi critici e di momenti salienti nell’attraversare i quali il soggetto respira come un’aura magica per diventare se stesso e per onorare senza lacune di sorta il proprio programma di crescita. Se vogliamo, possiamo anche dire che attendere è certamente comodo, semplificativo, per certi versi deresponsabilizzante, ma al tempo stesso può diventare l’equivalente del delegare, rinunciare, rimandare a sempre, omettere, eludere impegni precisi, fraintendere, deprivare con la probabilità di conseguenze deleterie a lungo termine. Non intervenire educativamente quando i fattori di crescita si presentano più attivi e promettenti significa optare per l’impotenza a muoversi in fasi successive e meno favorevoli dello sviluppo. Queste sono le cose che non si dicono sulla prevenzione.

Quando parlo di stimolazione precoce e di prevenzione primaria, pertanto, intendo riferirmi al modo di garantire la completa estrinsecazione della potenzialità originaria. Ma si è anche autorizzati a immaginare che sia stato lo stesso ambiente a intervenire con sollecitazioni di qualità differente, perché è di sollecitazioni che lo sviluppo mentale ha bisogno per realizzarsi.

Alcuni Ricercatori, in seguito a studi centrati sul problema maturazione/sviluppo, non riscontrarono rilevanti differenze in merito alle abilità possedute da bambini di due anni, ma trovarono che già attorno al terzo anno di vita emergevano con una certa distinzione alcune differenze. Stimolare, dunque, non ha nulla a che vedere con la smania insensata di forzare, ma significa piuttosto assecondare lo sviluppo con le cure che sono utili in un preciso momento evolutivo e che il soggetto beneficiario è in grado di assimilare senza traumi o compromissioni.

Anni addietro si svolse, in territorio piemontese, una iniziativa rivolta a bambini di tre anni e di un anno di età iniziale, non frequentanti la scuola materna, con il proposito, nell’arco di in quinquennio, di controllare e dirigere scientificamente i processi evolutivi responsabili della precoce strutturazione di conoscenze e capacità che sarebbero state richieste, più avanti negli anni, in situazione di apprendimento. Gli interventi educativi prodigati sul filone di una ricerca sperimentale nata con la denominazione Learning Disability – La Prevenzione Primaria, volgeva a favorire nei bambini la realizzazione ottimale del potenziale di sviluppo e dell’equilibrio emotivo-affettivo, a garantire loro la padronanza (Mastery Learning) nell’uso dei canali strutturati in contesti di apprendimento e, per riflesso, a scongiurare preventivamente l’insorgenza di forme di insuccesso scolastico sempre in agguato. Un dossier stilato all’epoca consente di analizzare i progressi e i risultati raggiunti con largo margine di soddisfazione.

A chiusura di questa breve dissertazione mi è gradito richiamare un ultimo aforisma, questa volta tratto da L.S. Vygotsky, che mi auguro accompagni i nostri pensieri e la nostra capacità metacognitiva di riflessione, in veste di educatori: “L’unico tipo efficace di istruzione è quello che precede lo sviluppo e lo guida”.

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